Soprannominato El Cabezón per la folta capigliatura scura che spiccava sul corpo minuto,[3] è considerato uno dei giocatori più forti nella storia del calcio.[4] L'IFFHS lo classifica alla 36ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo,[5] alla 16ª posizione in quella relativa ai più forti sudamericani[6] e alla 5ª posizione per quanto concerne gli argentini.[7] Nel marzo del 2004 è stato anche inserito da Pelé nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori calciatori viventi, redatta in occasione del Centenario della FIFA.[8] Vincitore del Pallone d'oro nel 1961,[9] è stato inserito in totale per cinque anni di fila tra i candidati alla vittoria del premio.
Durante la sua carriera militò nei club del River Plate, della Juventus e del Napoli, vincendo 6 campionati e 2 coppe nazionali. Mise a segno 147 reti nel campionato italiano, dove detiene assieme a Silvio Piola il record del maggior numero di gol segnati in una singola partita: il 10 giugno 1961 siglò infatti 6 reti nella gara Juventus-Inter (9-1) della stagione 1960-1961.[10]
Nel corso della sua carriera agonistica, rappresentò sia l'Argentina che l'Italia, vincendo con la maglia della Selección la Copa América 1957. In totale con le casacche delle due nazionali realizzò 17 reti in 28 presenze. Da allenatore fu inoltre commissario tecnico della nazionale argentina all'inizio degli anni 70.
Calciatore talentuoso,[3] le sue specialità erano il dribbling in velocità e il palleggio.[3][14] Era abbastanza forte fisicamente e possedeva un'ottima coordinazione.[3] Agli esordi in Argentina si guadagnò i soprannomi di El pibe de oro (Il ragazzo d'oro) – rispolverato decenni dopo per il connazionale Diego Armando Maradona –[3] e di El Gran Zurdo (Il grande mancino),[4] quest'ultimo riferito alla sua propensione a giocare principalmente con il piede sinistro.[3]
Carriera
Giocatore
Club
River Plate
Ancora ragazzo entrò a far parte del River Plate, in una squadra che includeva giocatori come Ángel Labruna e Félix Loustau, che a loro volta fecero parte della cosiddetta Máquina degli anni 40;[15] fu allora che si guadagnò il soprannome di El Cabezón per via della folta capigliatura che spiccava sulla sua esile figura.[15]
Il carattere rissoso di Sívori
«Stravedevo per la cattiveria e la scaltrezza di Sivori: non si faceva mai picchiare da nessuno. Anzi, al massimo succedeva il contrario.»
Personaggio alquanto inquieto e rissoso, Sívori non esitava a scatenare risse e fare fallacci: in 12 anni di carriera in Italia ha scontato 33 giornate di squalifica.[3] In un'occasione, con la maglia della Juventus, stava per scagliarsi su un avversario, ma fu fermato dal compagno di squadra John Charles che gli mollò uno schiaffone.[3] Il 25 marzo 1962, nella gara tra i bianconeri e la Sampdoria, all'80' aggredì l'arbitro Grignani, ritenendo ingiusta la sua espulsione, venendo punito con sei giornate di squalifica.[3][16] Nel 1967, quando militava al Napoli, si infortunò a un ginocchio e giocò poche gare. Infuriato, inveì contro l'allenatore Pesaola. Fu punito con un milione di lire di multa. Il 1º dicembre 1968, dopo aver steso lo juventino Favalli fu espulso e punito con 6 giornate di squalifica.
La squadra vinse la Primera División Argentina nel 1955, titolo confermato quando il River batté il Boca Juniors 2-1 alla Bombonera.[17] Nella stessa stagione il club vinse la Copa Río de La Plata battendo il Nacional. La stagione successiva la squadra vinse il campionato argentino all'ultima giornata battendo il Rosario Central per 4-0, con Sívori che realizzò l'ultima rete.[18] Avrebbe giocato l'ultima partita con la maglia del River contro lo stesso club il 5 maggio 1957.
Il giovane vestì la maglia dei Millonarios fino alla stagione 1957-1958, quando fu ingaggiato dalla Juventus. A posteriori quel trasferimento provocò indirettamente un declino nella storia del club argentino, che nei diciotto anni seguenti non riuscirà più a vincere il titolo nazionale;[19] tuttavia con i soldi ottenuti dal trasferimento fu iniziato il completamento de El Monumental.[19]
A 21 anni, Sívori arrivò quindi in Italia. Fu soprattutto l'interessamento dell'ex juventino Renato Cesarini a rendere possibile il trasferimento del giovane calciatore al club torinese, che pagò 10 milioni di pesos (equivalenti allora a 190 milioni di lire)[20] per il suo cartellino, stabilendo un record dell'epoca; a essere battuta fu soprattutto la concorrenza dell'Inter.[20]
Esordì in maglia bianconera nel 1957, andando ad affiancare in attacco l'altro neoacquisto, il centravanti galleseJohn Charles, e il capitano della squadra, l'italiano Giampiero Boniperti: nonostante le incognite della vigilia,[21] questi andarono a comporre un formidabile trio offensivo (tra i più prolifici visti sul palcoscenico della massima serie italiana) che fece la fortuna della Juventus a cavallo degli anni 50 e 60.
L'argentino indossò la casacca bianconera in 257 partite (215 in A, 23 in Coppa Italia e 19 in Europa), segnando 170 reti (135 in A, 24 in Coppa Italia e 12 in Europa).[22][23] Con la Juventus visse il suo periodo di maggior successo, vincendo tre scudetti (tra cui il primo, storico, «della stella»[21]) assieme a due coppe nazionali;[24] nel 1960 riuscì inoltre a conquistare il suo unico titolo di capocannoniere, mentre l'anno successivo raggiunse il suo massimo traguardo personale, venendo insignito (grazie al suo status di oriundo) del Pallone d'oro come miglior calciatore europeo: era la prima volta che il prestigioso riconoscimento veniva assegnato a un giocatore italiano (per quanto italo-argentino), nonché il primo successo assoluto per un calciatore juventino e militante nel campionato italiano.
Sívori fu l'ultimo elemento del Trio Magico a lasciare il club torinese, restando in bianconero fino al 1965 quando, a causa d'insanabili contrasti con l'allora allenatore Heriberto Herrera (di cui non sopportava la stretta disciplina), decise di cambiare squadra.
Napoli
Nel 1965 si trasferì al Napoli grazie all'opera di persuasione dell'allenatore Bruno Pesaola; inoltre l'allora presidente partenopeo Achille Lauro, per ottenere il suo cartellino, acquistò due motori navali per la sua flotta e pagò settanta milioni: quando arrivò in città, ad accogliere il giocatore ci furono migliaia di tifosi.[25]
Qui, all'ombra del Vesuvio, formerà una coppia-gol tutta sudamericana assieme all'altro oriundo, l'italo-brasiliano José Altafini. Col club campano vinse subito la Coppa delle Alpi 1966, e fu poi protagonista in Serie A con un terzo posto nello stesso anno,[26] un quarto l'anno dopo[27] e un secondo nel 1968.[28]
Un infortunio al ginocchio destro durante una tournée del Napoli in Colombia, nell'estate 1967, lo metterà a disposizione della squadra partenopea a mezzo servizio nelle ultime due stagioni; ciò, unito ad uno storico litigio con l'arbitro Fulvio Pieroni durante un Napoli-Juventus del 1º dicembre 1968 (culminato con un'espulsione e successivi sei turni di squalifica), lo convinse definitivamente a concludere la propria carriera, a trentatré anni, decisione su cui già meditava da tempo.[29]
Darà il suo commosso addio al calcio giocato in televisione, il 21 dicembre 1968, durante la tredicesima puntata di Canzonissima, con un collegamento da Napoli.[30]
Nazionale
L'Argentina e gli Angeli dalla faccia sporca
Sívori scese in campo per l'Argentina, suo Paese d'origine, in 19 occasioni, collezionando 9 reti e vincendo il titolo continentale sudamericano nel 1957 – venendo al contempo eletto miglior giocatore dell'edizione.[31]
Con altri fuoriclasse di quella squadra (Omar Corbatta, Humberto Maschio, Antonio Angelillo e Osvaldo Héctor Cruz) aveva formato nell'Albiceleste un gruppo destinato a rimanere nella memoria con il nome di Angeli dalla faccia sporca (appellativo mutuato dall'omonima pellicola del 1938) per l'aria da impertinenti scugnizzi che i cinque avevano sul campo e fuori.
Il terzetto con Angelillo e Maschio non poté ricostituirsi nelle squadre di club italiane dalle quali i tre furono poi ingaggiati: Sívori approdò alla Juventus, mentre gli altri due si trovarono a giocare per una storica rivale dei torinesi, ovvero l'Inter. Successivamente, solo Angelillo riuscirà negli anni 60 a riunirsi calcisticamente, seppur brevemente, al fuoriclasse argentino: nel 1961 con la maglia azzurra, entrambi da oriundi, e nel 1967 con la casacca del Napoli, durante la tournée partenopea in Colombia che vedrà Sívori protagonista del già citato grave infortunio.
Italia
Come accennato, nel 1961 Sívori vinse il Pallone d'oro e, in virtù della sua condizione di oriundo, dallo stesso anno poté essere impiegato nell'Italia che partecipò al campionato del mondo 1962 in Cile, dove fu penalizzato ancora una volta, secondo i giornalisti, dal suo carattere introverso.[32]
Con la maglia della nazionale azzurra Sívori disputò in tutto 9 incontri, mettendo a segno 8 reti (di cui 4 contro Israele nel 1961).
Allenatore e dirigente
Club
Per circa un decennio, subito dopo il ritiro dal calcio giocato, Sívori si cimentò nel ruolo di allenatore nella natìa Argentina. Debuttò in panchina nel 1969 assumendo la guida del Rosario Central, club che guidò per un biennio. Nel 1972 prese poi le redini dell'Estudiantes (LP), squadra che allenò brevemente fino al suo incarico da CT della nazionale. Dopo un quinquennio d'inattività, nel 1979 venne chiamato dal Racing Club, dove rimase per un anno.
Accettò quindi di guidare nel 1983 i canadesi del Toronto Italia nella National Soccer League.[33] Con il club di Toronto chiuse al secondo posto la regular season del campionato, alle spalle dei concittadini del Panhellenic, per poi trionfare ai play-off superando nella finale per il titolo un altro club torontoniano, la Dinamo Latino;[33] in precedenza era arrivato anche il successo nella NSL Cup, battendo in finale il succitato Panhellenic.[33]
Dal 1986 al 1988 fu presidente della Viterbese.[34] Sotto il suo mandato, il club venne promosso dal campionato laziale di Promozione all'Interregionale.
Nazionale
Intervallato tra gli incarichi con le squadre di club, nel 1972 diventò commissario tecnico dell'Argentina, con il compito di qualificare i biancocelesti al campionato del mondo 1974 in Germania Ovest (incarico delicato, in quanto l'Argentina aveva fallito il pass nel 1970); ottenne la qualificazione ai danni di Paraguay e Bolivia, con 3 vittorie e 1 pareggio.
Rimane celebre la mossa attraverso la quale (dovendo giocare due partite ravvicinate, una a livello del mare e l'altra ai 3650 m di quota di La Paz) allestì due nazionali "differenti": mentre la prima, formata dai giocatori titolari, si allenava agli ordini di Sívori a Buenos Aires e si recò ad Asunción dove pareggiò col Paraguay, la seconda (definita "nazionale da montagna" o "nazionale fantasma"), formata da giocatori non convocati abitualmente, fu portata dal tecnico in seconda a prepararsi in segreto sulle Ande, per acclimatarsi in quota.[35]
Sívori venne allontanato nel 1974 dalla guida della nazionale, per divergenze con il presidente della federazione e per le sue scarse simpatie nei confronti di Juan Domingo Perón, rientrato in Argentina e tornato presidente in quel periodo. Sulla panchina dell'Albiceleste conta un ruolino di 16 gare, di cui 9 vittorie, 4 pareggi e 3 sconfitte.
Dopo il ritiro
Negli ultimi anni di vita lasciò l'Italia per tornare a vivere in Argentina. Sposato con María Elena Casas, da lei ebbe tre figli: Néstor, Miriam e Humberto, questo ultimo scomparso di cancro nel giugno 1978, all'età di quindici anni. Morì il 17 febbraio 2005 nella sua casa di San Nicolás de los Arroyos (da lui chiamata La Juventus in omaggio al club italiano[36]), a causa di un tumore al pancreas, all'età di sessantanove anni.
Nel 1972 partecipò a un numero della rubrica pubblicitaria televisiva Carosello, pubblicizzante l'olio per motori Apilube dell'Anonima Petroli Italiani (API), nella quale veniva intervistato dal campione motociclista Giacomo Agostini.
Quando abbandonò il calcio giocato, la polemica con la classe arbitrale si trasferì dai campi di gioco alla televisione, e Sívori si dimostrò per lungo tempo competente e apprezzato commentatore.
Note
^ab1961 - Omar Sivori, su puntosport.net (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2010).
^La partita fu la ripetizione della sfida di campionato del 16 aprile 1961, che era stata vinta 2-0 a tavolino dall'Inter per via di un'invasione a bordo campo del pubblico presente all'interno dello stadio Comunale di Torino. La Juventus presentò ricorso contro la decisione, che il successivo 3 giugno venne accolto dalla Commissione di Appello Federale della FIGC, la quale annullò la vittoria a tavolino dei nerazzurri e dispose di rigiocare il match; con le due squadre in lotta per lo scudetto, la decisione sancì de facto la vittoria del titolo italiano da parte dei bianconeri. In segno di protesta, nella ripetizione del 10 giugno la società milanese fece scendere in campo la propria squadra giovanile; nonostante la Juventus non volesse infierire più di tanto sui giovani interisti, Sívori – intento a inseguire quel Pallone d'oro che avrebbe poi conquistato alla fine dell'anno – volle ugualmente segnare quante più reti possibili, cfr. Mario Gherarducci, Boniperti e quel 9-1 all'Inter: «Fu Sivori a voler infierire», in Corriere della Sera, 25 ottobre 2001, p. 47 (archiviato dall'url originale il 20 settembre 2013).
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