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Le spoliazioni napoleoniche[1][2], impropriamente note anche come furti napoleonici[3][4], furono una serie di sottrazioni di beni, in particolare opere d'arte e in genere di opere preziose, attuate dall'esercito francese o da funzionari francesi e napoleonici in Italia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, ed Europa centrale durante l'età napoleonica. Anche se prendono il nome da Napoleone Bonaparte, l'ordine di iniziarle partì dal Direttorio e il loro prosieguo fu dovuto a svariati funzionari della Repubblica e dell'Impero. Le spoliazioni vennero costantemente perpetrate nell'arco di venti anni, dal 1797 fino al Congresso di Vienna nel 1815. Secondo lo storico Paul Wescher, le spoliazioni napoleoniche rappresentarono "il più grande spostamento di opere d'arte della storia", che provocò anche diversi danni in quanto "è difficile stabilire con esattezza quante opere d'arte di valore unico andarono distrutte o disperse in quei giorni"[5].
«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»
(Ordine del Direttorio a Napoleone Bonaparte, 1796)
«La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.»
(Petizione degli artisti francesi al Direttorio, 1797)
Durante il Congresso di Vienna, le potenze vincitrici ordinarono l'immediata restituzione di tutte le opere sottratte, «senza alcun negoziato diplomatico», sostenendo come «la spoliazione sistematica di opere d'arte è contraria ai principi di giustizia e alle regole della guerra moderna». Venne infine affermato il principio di come non ci potesse essere alcun diritto di conquista che permettesse alla Francia di detenere il frutto di spoliazioni militari e che tutte le opere d'arte dovessero essere restituite.[6]
Secondo la storica Mackay Quynn[7], gli Stati europei, ma specialmente quelli italiani separati dalle Alpi dalla Francia, si trovarono davanti a elevatissimi costi di trasporto e all'ostinata resistenza dell'amministrazione francese. I prussiani, vedendosi negato l'accesso alle gallerie del Musée Napoléon, minacciarono di spedire in prigione in Prussia il Direttore Vivant Denon in persona se questi non avesse lasciato agire i propri ufficiali. La strategia dovette funzionare, se in meno di qualche settimana tutti i capolavori dei prussiani erano pronti per l'imballaggio fuori dai cancelli dell'ex Musée Napoléon, divenuto Louvre[8]. La Spagna inviò funzionari dell'esercito insieme a un discreto numero di militari prima delle conclusioni del Congresso di Vienna, i quali, rompendo i portoni del Louvre, si ripresero tutte le opere con la forza. Anche Belgio e Austria mandarono il proprio esercito, senza attendere la conclusione del Congresso di Vienna. Giova ricordare come i furti napoleonici ebbero lunghi strascichi nella storia europea. Durante la guerra franco-prussiana, la Germania di Bismarck chiese alla Francia di Napoleone III la restituzione delle opere d'arte ancora detenute dai tempi delle spoliazioni napoleoniche ma che non erano state restituite. Per quanto riguarda gli Stati italiani, questi si mossero lentamente e in maniera non coordinata, tranne lo Stato della Chiesa che inviò a Parigi Antonio Canova, il quale scelse le opere da far rientrare in Italia.
In Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e in speculazioni da parte di funzionari del nuovo Stato. Alla ricerca di oro e di argento, gli ufficiali francesi fusero il Gioiello di Vicenza del Palladio, e tentarono pure di fondere le opere del maestro orafo manierista Benvenuto Cellini[9]. I francesi cercarono in diverse occasioni di sviluppare delle tecniche che consentissero loro il distacco degli affreschi, con notevoli danni strutturali sia alle opere sia ai muri. Nel 1800 si tentò con la Deposizione di Daniele da Volterra nella cappella Orsini di Trinità dei Monti a Roma attraverso lo stacco a massello che provocò danni così seri all'intera struttura che la rimozione dovette essere interrotta e il muro restaurato da Pietro Palmaroli, rinunciando a spedirlo a Parigi. Simili tentativi vennero effettuati presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, ma vennero abbandonati per i danni arrecati agli affreschi. Secondo lo storico dell'arte Steinmann (che scrisse nel primo dopoguerra, violentemente antifrancese), questi tentativi non vanno intesi come episodi isolati, poiché il vero obiettivo degli ufficiali francesi era di riuscire a distaccare gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana[10].
Per la Lombardia e il Veneto, che erano sotto gli Asburgo d'Austria, il governo di Vienna negoziò ma non richiese le opere d'arte portate via dalle chiese, che gli stessi austriaci non intendevano riaprire al culto, come l'Incoronazione di spine di Tiziano, commissionata per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, che non fu restituita perché non fu richiesta ufficialmente al governo francese. Il governo toscano, sotto gli Asburgo-Lorena, non richiese i capolavori sottratti alle chiese sostenendo che sarebbero serviti a pubblicizzare la grandiosità dell'arte toscana, lasciando così in Francia capolavori assoluti quali le stigmate di San Francesco di Giotto, la Maestà di Cimabue o L'Incoronazione della Vergine del Beato Angelico. Per Parma, sotto il governo della moglie di Napoleone, Maria Luigia, si adottò un'istanza mediatrice, lasciando metà delle opere in Francia e rimpatriandone l'altra metà. Il governo pontificio preferì non richiedere tutto, soprattutto i quadri conservati nei musei delle province francesi, come molti Perugino sottratti alle chiese di Perugia, per non turbare la ri-cristianizzazione delle campagne francesi uscite dal giacobinismo. Antonio Canova, delegato dallo Stato della Chiesa ai rimpatri, era dotato di documentazione archivistica assai limitata e si affidava ai funzionari dell'esercito austriaci. Secondo un catalogo pubblicato nel Bulletin de la Société de l'histoire de l'art français del 1936, dei 506 dipinti portati in Francia, 248 rimasero in Francia, 249 tornarono in Italia, 9 vennero indicati come non rintracciabili[11], raro caso in Europa di opere catalogate e non restituite.[12]
Storia
Le celebrazioni
Nel giorno nono di Termidoro dell'anno VI (27 luglio 1798) prese luogo la più grande celebrazione di una vittoria militare che si fosse vista a Parigi fino a quel momento. L'evento è impresso su una famosa stampa presso la Biblioteca Nazionale di Parigi[13]. Questa mostra l'arrivo del primo convoglio con i beni confiscati al termine della Campagna d'Italia di Napoleone a Champ de Mars, di fronte all'École Militaire di Parigi. Per l'occasione erano stati ben potati gli alberi e gli studenti dell'École Polythecnique erano stati chiamati a partecipare tra il pubblico. Nelle stampe d'epoca si notano i cavalli della Basilica di San Marco a Venezia su un carro trainato da sei cavalli, preceduto da uno con una gabbia di leoni e succeduto da quattro dromedari. Davanti un pannello che dichiara: "La Grèce les ceda; Rome les a perdus; leur sort changea deux fois, il ne changera plus" (la Grecia li cedette, Roma li ha persi, la loro sorte cambiò due volte, ora non cambierà più). In questa processione erano inclusi l'Apollo del Belvedere, la Venere de' Medici, il Discobolo, il Laocoonte, e una sessantina di altre opere tra cui nove Raffaello, due Correggio, collezioni minerali e antiquarie, diversi animali esotici, ma anche diversi manoscritti dal Vaticano datati prima del 900 d.C.[senza fonte]L'attenzione popolare era attratta dagli animali esotici e dalla Vergine di Loreto, ritenuta opera di San Luca e capace di realizzare miracoli.[senza fonte]
I francesi avevano giustificato le spoliazioni di opere d'arte sia in virtù al diritto di preda sia a teorie più oscure. Una petizione di artisti francesi riteneva che le opere servissero come ispirazione per il progresso delle arti repubblicane e per educare il pubblico francese come fecero i romani trasportando opere d'arte dalla Grecia a Roma.[senza fonte] Il luogotenente Hussars[non chiaro]riteneva che le opere fossero rimaste "imprigionate da troppo tempo...queste opere immortali non più in terra straniera, ma portate nella patria delle arti e del genio, nella patria delle libertà e della sacra eguaglianza: la Repubblica Francese"[senza fonte]. Ancora, "statue che i francesi hanno prelevato dalla degenere Chiesa Romana per adornare il grande Museo di Parigi, per distinguere i più nobili tra i trofei, il trionfo della libertà sulle tirannie, della conoscenza sulla superstizione"[senza fonte]. Ancora, il vescovo Henri Grégoire davanti alla Convenzione del 1794: "Se le nostre armate vittoriose entrassero in Italia, l'asportazione dell'Apollo del Belvedere e dell'Ercole Farnese sarebbe la più brillante delle conquiste. È la Grecia che ha decorato Roma: perché i capolavori delle repubbliche greche devono decorare il paese degli schiavi (i.e. l'Italia)? La Repubblica Francese dovrebbe essere la loro sede definitiva." Di fronte a queste rapine, alcuni come Quatremère de Quincy, allievo del Winckelmann, ricordò come le più grandi opere del genio umano, quali il Colosseo, Villa Farnesina, la Cappella Sistina o le Stanze vaticane, non potessero essere rimosse e anzi sfidò la retorica dell'amministrazione napoleonica argomentando che per riscoprire le opere del passato, occorrerebbe "rivolgersi alle rovine in Provenza, investigare le rovine di Arles, Orange, e restaurare il bell'anfiteatro di Nîmes", invece di spogliare Roma.[senza fonte]
In occasione del Trattato di Tolentino, nelle Lettres à MirandaQuatremère de Quincy reiterava l'esistenza di un forte rapporto che lega l'opera d'arte al luogo cui è stata destinata e il contesto in cui essa viene prodotta. Quatremère sosteneva che sradicando l'opera dal contesto in cui è stata creata e destinata venisse irrimediabilmente compromessa la sua leggibilità autentica, e ne assumesse una nuova, estranea alle sue finalità. Quatremère de Quincy credeva che l'arte italiana potesse essere soltanto studiata in Italia per essere pienamente compresa, biasimando le ruberie dei napoleonici.[14] A tal proposito si ricordi come il capo militare a Roma di Napoleone, il generale Pommereul, avesse progettato di far rimuovere la Colonna Traiana e spedirla in Francia[10], probabilmente tagliandola a pezzi. L'assistente di Pommereul, Daunon, scriveva tal proposito il 15 aprile 1798: "Spediremo un obelisco", in tal modo riferendosi alla colonna di Traiano. Questo proposito irrazionale venne solo bloccato dai costi di trasporto e dagli enormi ostacoli amministrativi pontifici che rallentarono il processo.[15]
Il sacco d'Italia
La prima campagna d'Italia aveva portato un grandissimo numero di oggetti di valore di tutti i tipi, da quando nel maggio del 1796 vennero firmati gli armistizi coi Ducati di Modena e di Parma fino e nel 1797 il Trattato di Tolentino con lo Stato della Chiesa e il Trattato di Milano con la Repubblica di Venezia. Milano era stata saccheggiata per prima e così le collezioni dei Gonzaga di Mantova. Ai duchi di Modena e Parma si era imposto di consegnare venti dipinti dalle loro collezioni private e dalle collezioni pubbliche, che presto diventarono 40, 50 e poi se ne perse il numero. In giugno, sia il Re di Napoli sia il Papa firmarono armistizi in cui si impegnavano a consegnare 500 manoscritti antichi dal Vaticano e un centinaio di dipinti e busti, specialmente i busti di Marco e Giunio Bruto capitolino. I manoscritti vennero scelti da Joseph de la Porte du Theil, erudito francese che conosceva bene le biblioteche vaticane e prelevò tra gli altri la Fons Regina, la biblioteca della Regina Cristina di Svezia.
Il Papa fu obbligato a pagare le spese di trasporto dei manoscritti e delle opere fino a Parigi. Saccheggi avvennero anche nella Biblioteca Apostolica Vaticana, nella Biblioteca Estense di Modena, nella Biblioteca capitolare di Monza, e in quelle di Bologna, Pavia e Brera e infine nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Successivamente, il Trattato di Tolentino aggiungeva opere dai tesori di Ravenna, Rimini, Perugia, Loreto e Pesaro. In Vaticano, gli ufficiali napoleonici aprirono le stanze del Papa, spogliandole sia per arricchimento degli stessi ufficiali e sia per Napoleone, mentre i medaglioni in oro e argento del Vaticano venivano fusi[16]. La biblioteca privata di papa Pio VI venne comprata dal funzionario Daunou e nel 1809 la collezione di marmi del principe Borghese venne venduta a Napoleone, messo in gravi difficoltà finanziarie a causa della pesante tassazione patrimoniale imposta dai francesi. Il Principe Borghese non ottenne neanche tutte le somme promesse, ma venne pagato in terreni requisiti alla Chiesa e in diritti minerari in Lazio, che successivamente dovette restituire ai legittimi proprietari con il Congresso di Vienna[17].
W. Buchanan, un antiquario inglese, nel 1824 notava come Napoleone avesse «impostò una pesante tassazione sui principi e la nobiltà romana [...] che si era opposta alla sua armata, e, come notava che le sue richieste erano già corrisposte dai proprietari, rinnovava le richieste osservando che i proprietari di opere d'arte detenevano ancora antichi tesori: così fu che i Colonna, Borghese, Barberini, Chigi, Corsini, Falconieri, Spada e molte altre famiglie nobili di Roma furono obbligate […] a vendere i loro quadri […] per dimostrare che non avevano più i mezzi per sostenere il pagamento delle imposizioni»[17]. A Venezia, i cavalli di bronzo di San Marco, attribuiti per tradizione al bronzista di Alessandro Magno, Lisippo, vennero spediti a Parigi, la tela delle Nozze di Cana del Veronese venne tagliata in due e spedita al Musée Napoléon. L'Arsenale di Venezia venne smantellato e i cannoni, le armature più belle e le armi da fuoco vennero spedite in Francia ma vennero perduti perché la nave che li trasportava fu affondata dagli inglesi al largo di Corfù[18]. Talvolta l'incompetenza dei commissari francesi incaricati delle requisizioni fece sì che alcuni capolavori rimanessero in loco, come fu per la Sacra conversazione di Piero della Francesca poiché ritenuta di scarsa importanza, o per La Velata di Raffaello poiché attribuita a Sustermans.[19]
Spoliazioni nel Ducato di Modena
L'armistizio tra Napoleone e il Ducato di Modena venne stipulato il 17 maggio a Milano da parte di san Romano Federico d'Este rappresentante del Duca Ercole III. La Francia richiedeva la consegna di venti dipinti dalle collezioni d'Este e una somma in denaro tripla rispetto a quella dell'armistizio con Parma. La prima spedizione venne curata da Giuseppe Maria Soli, direttore dell'Accademia Atestina di Belle Arti, che si occupo della selezione dei dipinti, che furono levati dagli appartamenti del Duca d'Este, e spediti a Milano nel 1796 coi commissari Tinet e Bethemly. Tuttavia, arrivati in Francia vennero giudicati mediocri da Lebrun e Napoleone dichiarò infranto l'armistizio col duca d'Este a causa della violazione delle clausole.
Il 14 ottobre Napoleone entrò a Modena con due nuovi commissari, Pierre-Anselme Garrau e Antoine Christophe Saliceti, che si recarono più volte a setacciare le gallerie delle medaglie e la galleria del palazzo ducale per prelevare la collezione di cammei e pietre dure incise. Il 17 ottobre, dopo aver prelevato dalla biblioteca ducale numerosissimi manoscritti e libri antichi, vennero spediti 1213 oggetti: 900 monete romane imperiali in bronzo, 124 monete dalla colonie romane, 10 monete d'argento, 31 contornati, 44 monete di città greche, 103 monete dei pontefici inviati alla Bibliothèque Nationale di Parigi e da allora li conservati.[20] La moglie Giuseppina nel febbraio del 1797 non fu da meno: alloggiando a Palazzo ducale di Modena volle vedere la collezione di cammei e pietre preziose, ma non si accontentò di guardarle e ne prese circa duecento, oltre a quelli di cui si impossessarono alcuni aiutanti di campo del marito che la accompagnavano. Vennero spediti al Musée Napoléon 1 300 disegni trovati nelle collezioni estensi[21], 16 cammei in agata, 51 pietre dure e diversi vasi in cristallo di rocca, dove si trovano da allora.[22] Il 20 ottobre vennero requisiti il busto di Lucio Vero e Marco Aurelio, un disegno della Colonna traiana, e un altro coi busti degli imperatori. Saliceti e Garrau prelevarono a titolo personale diversi cammei con montatura in oro e oro smaltato. La seconda spedizione di dipinti avvenne il 25 ottobre, quando Tinet, Moitte e Berthelmy scelsero 28 dipinti da spedire a Parigi, insieme con altri 554 disegni, quattro album per un totale di 800 disegni. Numerosissimi dipinti della scuola emiliana rimasero in Francia:
Spoliazioni nel Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla
Con l'armistizio del 9 maggio 1796, il Ducato di Parma e Piacenza devono consegnare 20 quadri, poi ridotti a 16, identificati da commissari francesi. A Piacenza vengono scelte due tele conservate in Duomo di Piacenza: si tratta del Funerale della Vergine e gli Apostoli al sepolcro della Vergine di Ludovico Carracci, che vengono portate al Musée Napoléon. Nel 1803, per ordine del ministro Moreau de Saint Mery, furono tolti gli intagli e gli ornati di palazzo Farnese, da San Sisto il quadro dell'Incoronata coi SS. Anselmo e Martino di Giuseppe Maria Crespi, dal Duomo i due quadri del Lanfranco di Sant’Alessio e San Corrado, da San Lazzaro la Tavola di S. Rocco opera di Giuseppe Ribeira. Ettore Rota pubblica alcune tabelle riassuntive: 55 opere dal ducato di Parma, Piacenza e Guastalla e 8 oggetti in bronzo da Velleia dei quali 30 opere restituite e 8 oggetti di bronzo restituiti.[25] Il San Corrado del Lanfranco e l'Incoronata dello Spagnolo rimangono in Francia dove sono ancora visibili. Le restanti opere risultano disperse. A Parma, a partire dal 1803, dopo la costituzione del Dipartimento del Taro da parte dei francesi, il museo archeologico ducale venne spogliato dei pezzi più prestigiosi, che furono portati a Parigi, come la Tabula alimentaria traianea e la Lex Rubria de Gallia Cisalpina.
Spoliazioni nel Granducato di Toscana
Le spoliazioni nel Granducato di Toscana vennero portate a termine dallo stesso direttore del Musée Napoléon, Vivant Denon. Tra l'estate e l'inverno 1811, setacciò prima Massa, Carrara, Pisa, poi Volterra e infine Firenze. Ad Arezzo, Vivant Denon prelevò L'Annunciazione della Vergine, dipinto da Giorgio Vasari, proveniente dalla soppressa chiesa di S. Maria Novella d’Arezzo, che all'epoca era tenuta in gran considerazione, mentre a PratoLa Natività, dipinto da Fra Filippo Lippi, oggi al Museo del Louvre, proveniente dal Convento di Santa Margherita. In ciascuna annotò le opere da spedire a Parigi.
La commissione francese incaricata di spedire i capolavori in Francia era guidata da Monge, Berthollet, Berthélemy e Tinet, che in precedenza erano passati a Modena. Vennero fuse le opere in oro e argento accumulate nel corso di secoli presso la Zecca di Venezia e spedite in Francia.[26]
Venne fuso il tesoro della Basilica di San Marco e con l'oro liquefatto furono pagati i soldati francesi.
Gli ordini religiosi vennero abrogati e furono abbattute 70 chiese. Circa 30 000 opere d'arte sparirono o furono vendute[27]. Il Bucintoro, la nave ducale, fatta a pezzi assieme a tutte le sculture, che furono arse nell'isola di San Giorgio Maggiore per fondere la foglia d'oro che le ricopriva. L'Arsenale di Venezia venne smantellato, i cannoni, le armature più belle e le armi da fuoco vennero spedite in Francia[18]. Si fusero oltre 5 000 cannoni facenti parte dell'armeria - museo, nonché le armi antiche, i cannoni e le pietraie in ferro e in rame che erano il vanto dell'Arsenale e frutto delle conquiste e delle vittorie della Repubblica vennero spedite nei musei francesi.[28] Presso l'Hôtel National des Invalides conosciuto come Les Invalides, si ospita anche il celebre Musée de l'Armée.
Il Museo è tra i più grandi musei d'arte e di storia militare del mondo, inclusi un cannone in bronzo di fattura veneziana, da 36 libre non destinato a uso militare, fuso dalla Serenissima per celebrare l'alleanza tra il regno di Danimarca e di Norvegia e la Repubblica di Venezia, i cui emblemi sono posti a ornamento dell'arma stessa. Il cannone in questione porta la data di fusione: Anno Salutis. MDCCVIII.[29] Le Nozze di Cana del Veronese un tempo presso il refettorio benedettino dell'Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia a vennero tagliate in due e spedite al Musée Napoléon, dove si trovano ancora. La Pala di San Zeno del Mantegna, in origine a Verona presso San Zeno, venne tagliata e spedita in Francia. Le predelle sono oggi rimaste in Francia al Museo del Louvre mentre il pannello principale è tornato a Verona, rompendo l'autenticità del capolavoro per sempre.
A Verona, la collezione Gazola di fossili dal monte Monte Bolca (in gran parte costituita da reperti di pesci appartenenti all'Eocene) venne confiscata nel maggio 1797 e depositata presso Museo nazionale di storia naturale di Francia a Parigi, dove si trova ancora oggi dal Settembre 1798. Sembra che Gazola fosse stato retrospettivamente compensato[30] con un'annuità dal 1797 e una pensione dal 1803. A ogni modo Gazola ricostituì una seconda collezione di fossili anch'essa confiscata e portata a Parigi nel 1806.[31] Nell'aprile 1797 i francesi rimossero il leone e le famose statue in bronzo dei cavalli di San Marco, che la tradizione attribuiva a Lisippo, il bronzista di Alessandro Magno. Quando Napoleone decise di commemorare le sue vittorie del 1805 e 1806, ordino la costruzione dell'Arco di Trionfo in piazza del Carrousel e che i cavalli fossero posti in cima come unico ornamento dell'arco. Gli austriaci si premunirono di ottenere il recupero dei cavalli ma non delle glorie sottratte all'Arsenale, il Leone alato di San Marco tornò frammentato e dovette essere ricomposto[32].
Spoliazioni a Mantova
A farne le spese a Mantova le opere di alcuni degli artisti più importanti che lavoravano per i Gonzaga. Tra le principali opere non restituite e provenienti da Mantova e dalle collezioni dei Gonzaga:
Battesimo di Cristo, di Pietro Paolo Rubens per la cappella maggiore della chiesa della Trinità dei Gesuiti. L’opera si trovava sulla parete sinistra, di fronte alla Trasfigurazione. Il dipinto e nel Museo reale di belle arti di Anversa.
Trasfigurazione di Cristo, di Pietro Paolo Rubens per la chiesa dei Gesuiti. L’inaugurazione del trittico si tenne il 5 giugno 1605, festa della SS. Trinità, e le opere di Rubens diventarono subito una meta per i visitatori della città, oggi al Museo di Nancy.
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Motivo: la sezione non ricorda che Brera fu arricchita da opere provenienti da istituzioni soppresse, anche di altri Stati, né sottolinea la causa del trasferimento a Parigi di alcune di queste.
I francesi entrarono a Milano nel 1796 in concomitanza con la prima Campagna d'Italia di Napoleone. Nel maggio 1796 a Milano ancora si combatteva al Castello Sforzesco che già il commissario Tinet era all'Ambrosiana, dove requisiva il disegno preparatorio di Raffaello per la Scuola di Atene al Vaticano, dodici disegni e il Codice Atlantico di Leonardo, il prezioso manoscritto delle Bucoliche di Virgilio con le miniature di Simone Martini, e cinque paesaggi dipinti da Jan Brueghel per Carlo Borromeo conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano dal 1673.[33] L'Incoronazione di spine, eseguita da Tiziano Vecellio tra il 1542 e il 1543 su commissione della Confraternita della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, fu spedito al Musée Napoléon. Il Codice Atlantico venne restituito non-integro all'Ambrosiana. Infatti diversi fogli del Codex sono conservati a Nantes e a Basilea, mentre tutti gli altri quaderni e scritti autografi di Leonardo sono conservati nella Bibliothèque National de France di Parigi.[34] Dalla Pinacoteca di Brera, vennero prelevate:
La Vergine Casio, di Boltraffio, ora al Museo del Louvre
San Bernardino e San Luigi, del Moretto da Brescia, ora al Museo del Louvre
Saint Bonaventue et saint Antoine de Padoue, del Moretto da Brescia, ora al Museo del Louvre
Sacra Famiglia con Elisabetta, Gioacchino e Giovanni Battista,Marco di Oggiono, ora al Museo del Louvre
Spoliazioni nel Regno di Sardegna
Con l'armistizio di Cherasco, 100 opere italiane e fiamminghe vennero cedute alla Francia. Torino venne annessa al territorio francese e la scuola piemontese non era conosciuta, quando non era considerata marginale. Ciò evitò un massiccio prelievo di opere che si vide invece nei territori delle repubbliche sorelle. L'attenzione francese si rivolse a documenti, codici dei Regi Archivi e ai pittori di scuola fiamminga nelle collezioni sabaude. In occasione del rimpatrio del Martirio di Santo Stefano di Giulio Romano alla città di Genova, Vivant Denon, direttore del Museo del Louvre, sostenne che l'opera era stata "offerta in omaggio al governo francese dal consiglio comunale di Genova" e che il trasporto avrebbe messo a rischio la fragilità dell'opera, ben sapendo tuttavia che l'opera era stata sostanzialmente confiscata come tributo culturale e dando contestualmente ordine al ministero degli interni francese di bloccare alla dogana l'opera senza menzionarne né la fragilità né la legittimità delle istanze piemontesi[35].
Madonna in gloria, Defendente Ferrari (1520) ubicazione ignota
Spoliazioni nel Regno di Napoli
Nel 1799, il generale Jean Étienne Championnet attuò la stessa politica nel Regno di Napoli, come risulta da una missiva inviata al direttorio il 7 Ventoso Anno VII (25 febbraio 1799):[36]
«Vi annuncio con piacere che abbiamo trovato ricchezze che credevamo perdute. Oltre ai Gessi di Ercolano che sono a Portici, vi sono due statue equestri di Nonius, padre e figlio, in marmo; la Venere Callipigia non andrà sola a Parigi, perché abbiamo trovato nella Manifattura di porcellane, la superba Agrippina che attende la morte; le statue in marmo a grandezza naturale di Caligola, di Marco Aurelio, e un bel Mercurio in bronzo e busti antichi del marmo del più gran pregio, tra cui quello d'Omero. Il convoglio partirà tra pochi giorni.»
Le spoliazioni napoleoniche non furono limitate ai dipinti e alle sculture, ma riguardarono anche i patrimoni librari e le oreficerie. Gran parte di questi oggetti preziosi non fecero più ritorno.
Al patrimonio artistico napoletano i francesi imposero un durissimo colpo. Nel 1799, con l'arrivo a Napoli dei francesi e la breve istituzione della Repubblica Napoletana, il danno fu enorme. Temendo il peggio, l'anno precedente il Re Ferdinando IV Borbone di Napoli aveva già trasferito a Palermo 14 capolavori. I soldati francesi depredarono, infatti, numerose opere: dei 1.783 dipinti che facevano parte della Collezione Borbonica, di cui 329 della Collezione Farnese e il restante composto da acquisizioni borboniche, 30 furono destinati alla Repubblica Napoletana, mentre altri 300 vennero venduti, in particolar modo a Roma[37].
Secondo il catalogo pubblicato nel "Bulletin de la Société de l'Art Français" del 1936[38], nessuna delle opere d'arte ritornò in Italia.
Durate l'occupazione francese, i funzionari napoleonici divennero avidamente interessati al distacco degli affreschi. Per dare un senso delle dimensioni delle spoliazioni perpetrate in Italia, lo storico dell'arte Steinmann[10] ha documentato come i francesi avessero ambizioni grandiose a Roma. Le intenzioni del capo militare a Roma di Napoleone, il generale Pommereul, il quale voleva cercare di trovare un modo per rimuovere la Colonna Traiana e spedirla in Francia[10]. Tuttavia il vero obiettivo, come scriveva Steinmann, era di staccare gli affreschi nelle Stanze Vaticane di Raffaello e spedirle in Francia.
Durante l'occupazione francese, numerose opere d'arte vennero spedite in Francia come spoliazioni napoleoniche[39], e la maggior parte di queste non fece più ritorno. Secondo il catalogo francese del 1936[40], le opere che erano conservate a Palazzo Braschi fino a prima del periodo napoleonico e che non vennero restituite, sono:
Ritratto equestre dell'ambasciatore di Spagna, Antoon van Dyck, portata al Musée Napoleon, oggi Louvre
Uomo seduto ai piedi di un albero, Frans Viruly, portata al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre, e poi andata persa durante i recuperi del Canova
I venditori cacciati dal tempio,Bartolomeo Manfredi, portata al Musee Napoleon, oggi Museo del Louvre, e poi andata persa durante i recuperi del Canova
La Vergine, Gesu e San Giovanni Battista,Giulio Romano, portata al Musee Napoleon, oggi Museo del Louvre
San Francesco,Francesco Albani, portata al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
Vergine e Gesu, Bernardino Fasolo, portata al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
La Vergine di Loreto, Raffaello Sanzio (copia), portata al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
Il Salvatore del mondo, Carlo Dolci, portato al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
Vergine e Gesù, Bernardino Fasolo, portato al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
Vergine e Gesù, Perugino, portato al Musée Napoleon, oggi Museo del Louvre
A Todi presso il Convento di Montesanto, il cronista padre Cesario da Montegiove, prima di iniziare a parlare dell'anno 1810, esclama: «Passiamo, mio lettor, con mesto volto/ al secol ladro, lussurioso e stolto». Infatti, l'11 giugno 1810, il governo francese, guidato dall'imperatore Napoleone Bonaparte, ordinò ai frati di fare l'inventario di tutta la roba, e costrinse la famiglia religiosa ad abbandonare il Convento, per far posto ad un ospizio. I frati dovettero abbandonare la casa religiosa per farvi ritorno solo nel 1815, quando la persecuzione della Chiesa da parte del governo francese cessò.
Spoliazioni in altri paesi europei
Origini degli attriti
La campagna delle Fiandre ha origine dall'inasprirsi delle controversie tra il Club dei Giacobini e il gruppo politico dei girondini, a seguito della caduta della monarchia. Giacobini e girondini, nonostante appartengano entrambi alla sinistra repubblicana, contrari all'assolutismo monarchico, ed entrambi siano i fautori delle libertà civili e dei diritti dell'uomo, hanno tra di loro un rapporto ostile, che viene evidenziato ancora di più il 10 agosto 1792, quando Luigi XVI viene fatto prigioniero. Da quel momento la necessità diventa quella di assicurare al paese una nuova identità politica nazionale. Nel frattempo, nello stesso anno, eventi come il riaccendersi del conflitto con la Prussia, e i Massacri di settembre, anticipano quella che poi diventerà la rivoluzione vera e propria. Carlo Guglielmo Ferdinando, duca di Brunswick - Wolfenbüttel e militare prussiano minaccia inoltre di assediare Parigi se solo qualcuno avesse fatto del male al re francese Luigi XVI o alla sua famiglia[41]. La reazione del popolo al ricatto è inaspettata: anziché scappare di fronte al nemico ormai alle porte, la comunità viene pervasa dall'odio antimonarchico che funge da guida per la difesa della patria e la difesa di tutte le conquiste perseguite dal 1789. I sostenitori della monarchia e i preti refrattari, vengono prima incarcerati e poi uccisi: inizia un bagno di sangue che costituisce il preambolo e l'espressione fisica della psicosi generale che di lì a poco investirà il dibattito politico tra le differenti fazioni all'interno dell'Assemblea[41]. Nonostante però il clima di incertezza, dovuto al vuoto politico dato dalla caduta dell'Ancien Régime, e la pressione psicologica e militare delle sconfitte prussiane avevano infervorato gli animi contro il re, i monarchici e il clero, all'interno dell'Assemblea il dibattito verte su ben altri temi: il sospetto che qualche gruppo politico stia attentando alla vita della neonata Repubblica con lo scopo di imporre un governo tirannico alla nazione, e quindi il desiderio di scoprire di chi si tratta.
I Rivoluzionari dichiarano guerra a Prussia e Austria
Il 27 agosto 1791 viene firmata la Dichiarazione di Pillnitz, con cui l'imperatore del Sacro Romano impero, Leopoldo II, nonché Re di Ungheria e Boemia e fratello di Maria Antonietta (di lì a breve sostituito da Francesco II d'Asburgo-Lorena, Re di Ungheria e Boemia) assieme a Federico Guglielmo II di Prussia, dichiarano il loro interesse nei confronti delle condizioni di Luigi XVI. La dichiarazione dell'interesse per la politica francese non era il fulcro dell'accordo, che invece riguardava la spartizione della Polonia, ma si presentava più come la concessione di un proficuo favore al Conte di Artois: il conte infatti rappresentava la moltitudine di nobili francesi, sfollati a seguito della Grande Paura, i cosiddetti "émigrés", che si erano precipitati nei territori limitrofi e strepitavano per un intervento armato delle monarchie europee contro la Francia rivoluzionaria. L'intenzione della dichiarazione era quella di ammonire l'Assemblea affinché quest'ultima lasciasse a Luigi XVI la libertà di scegliere la forma di governo più consona ma, soprattutto e più onestamente, il velato ammonimento mirava a salvaguardare l'incolumità stessa del sovrano e auspicava la rinascita della monarchia. La Dichiarazione viene letta dall'Assemblea come un'intollerabile intromissione nella politica interna della Francia, alla stregua di una vera e propria minaccia.[42] Questo fatto rinsalda l'opinione pubblica a favore di un conflitto armato: il popolo, effettivamente, non ebbe scelta davanti alla concretizzazione di uno dei suoi peggiori timori, ovvero l'organizzazione di un complotto degli emigrati e delle potenze europee per la restaurazione della monarchia. Il 20 aprile del 1792, l'Assemblea dichiara ufficialmente guerra alla Prussia e all'Austria, pur non potendo contare su un esercito qualitativamente addestrato. La guerra viene combattuta nelle sue prime fasi lungo i confini orientali del territorio francese e non ebbe risvolti positivi per i rivoluzionari. Longwy cade e Verdun viene assediata dalle truppe di Brunswick, le quali continuano la loro avanzata verso le porte della capitale francese. Le armate francesi vengono invece ripartite tra i generali Charles François Dumouriez e François Christophe Kellerman: il piano di Dumouriez, a capo delle armate del nord, era quello di invadere i Paesi Bassi austriaci, ma fu costretto a virare verso est e stanziarsi nelle Argonne al fine di bloccare l'avanzamento dell'armata prussiana verso la capitale. Ai primi di settembre i prussiani, sotto la guida di Brunswick, riescono a forzare il valico della Croix-de-Bois e a costringere Dumouriez a ripiegare sulla vicina Sainte-Ménehould; il 19 le truppe di Kellerman riescono a ricongiungersi all'esercito di Dumouriez e lo scontro ha luogo già il giorno successivo, in concomitanza alla creazione dell'Assemblea costituente che avrebbe votato la fine della monarchia e la proclamazione della prima Repubblica francese. Entrambi gli eserciti, prussiano e francese, avevano dalla loro parte pro e contro: i primi erano debilitati dagli scarsi approvvigionamenti, i secondi erano numericamente inferiori e composti per lo più da soldati inesperti e indisciplinati; mentre i prussiani potevano moralmente contare su due precedenti vittorie, i francesi, appostati sulle alture delle Argonne, erano in una posizione strategicamente vantaggiosa. A sferrare il primo colpo fu il duca di Brunswick, sollecitato dal re prussiano a causa delle continue pressioni degli emigrati, che speravano di riprendere il prima possibile la marcia verso Parigi. La battaglia di Valmy non fu un evento militare straordinario dal punto di vista tattico e strategico, ma fu fondamentale e determinante per il futuro andamento della guerra. Il suo successo spesso viene attribuito dal contributo morale dato dal generale Kellerman.
Invasione dei Paesi Bassi austriaci
La Battaglia di Valmy è sicuramente il primo successo della Repubblica contro le forze austro-prussiane e viene ottenuto grazie alle masse, anche se impreparate, di volontari patrioti che sarebbero morti pur di non lasciar avanzare il nemico e che contro ogni previsione, ebbero la forza di restare unite e compatte contro il nemico. La vittoria ha talmente così una grande risonanza che Danton, politico e rivoluzionario francese, ordina subito a Dumouriez di oltrepassare i confini dei Paesi Bassi austriaci. Dall'altra parte nel frattempo le truppe di Brunswick si ritirano perché più interessate a difendere le proprie pretese in Polonia, che in quel momento erano minacciate da Caterina II di Russia. La vittoria di Valmy fa capire chiaramente come le leggi della guerra sono cambiate: i nuovi eserciti moderni, composti per lo più da volontari che combattono per l'amore e la difesa della patria, non possono competere con gli eserciti mercenari delle monarchie. I conflitti si spostano in territorio nemico e dopo una serie di brevi scontri, il 6 novembre, con la battaglia di Jemmapes, i rivoluzionari riescono ad avere la meglio e a portare a casa la prima vittoria sul suolo belga. La scontro fu molto diverso da quello di Valmy, infatti, Michelet racconta appassionatamente come l'esercito francese, sguarnito di rifornimenti ed equipaggiamenti, ridotto alla fame e svestito, era ancora più numeroso di quello della battaglia precedente, composto da migliaia di volontari uniti da un "unico cuore".[43] I tre schieramenti francesi presenti nel territorio belga e guidati da Dumouriez e dai generali Thouvenot e Luigi Filippo d'Orléans per diventare ancora più efficienti decidono di unirsi sotto un unico comando: un violento e massiccio attacco frontale sancisce la vittoria dei francesi e costringono le truppe di Francesco II a ritirarsi e a lasciare di lì a breve l'intero Belgio in mano ai rivoluzionari. Entro la fine di dicembre la maggior parte dell'odierno Belgio, ormai libero dalle truppe austriache, passa sotto il dominio della Repubblica Francese: il 14 novembre Bruxelles accoglie senza troppi tentennamenti le truppe di Dumouriez, il 28 i giacobini belgi del principato di Liegi accolgono con entusiasmo le truppe rivoluzionarie francesi, al punto da distruggere, in un atto di violenza simbolica, anticlericale e anti monarchico, la cattedrale di San Lamberto, il 30 è il turno di Anversa e il 2 dicembre a Namur. A seguito di questa prima conquista dei Paesi Bassi meridionali, corrispondenti approssimativamente all'odierna Vallonia e al Lussemburgo, e al principato di Liegi, l'esercito rivoluzionario si prepara, sotto la guida di Dumouriez, a marciare verso nord per conquistare le Fiandre belghe e passare i confini della repubblica delle Sette Province unite. Fin dagli inizi del 1793 gli esiti della restante Campagna delle Fiandre sono negativi per la Francia rivoluzionaria, fintantoché essa dovette occuparsi principalmente dei suoi contrasti politici interni e delle ribellioni cattolico-realiste scoppiate in Vandea. La decapitazione di Luigi XVI, il 21 gennaio del 1793, ha una duplice ripercussione: da un lato si levarono proteste da parte di chi era ancora fedele al re e al cattolicesimo, dall'altra fece riunire le maggiori potenze europee in un'unica coalizione antifrancese che già nel marzo dello stesso anno, riesce a far indietreggiare l'esercito rivoluzionario. La politica militare dell'esercito francese si inasprisce verso la fine del 1793 le offensive riprendono. Per risollevare gli altalenanti esiti sul fronte belga viene inoltre nominato, al fianco del generale Jean-Charles Pichegru, Jean-Baptiste Jourdan: quest'ultimo guida l'ultima grande azione rivoluzionaria per la conquista del Belgio, ovvero la battaglia di Fleurus, del 26 giugno 1794. Il 27 luglio 1794 i rivoluzionari francesi conquistano il Belgio, ma non, come avevano professato inizialmente per liberarlo, bensì per inglobarlo.
I furti in Belgio
Dopo la conquista del Belgio, quindi in pieno clima anti-monarchico, ogni simbolo che fosse riconducibile all'Ancien Régime e, più precisamente a ogni forma di tirannia che ponesse in uno stato di sudditanza l'uomo, doveva essere eliminato dalla storia e doveva celebrare l'inizio di una nuova epoca, ovvero quella della ripartizione democratica dei poteri e della garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo. Ancor prima di scagliarsi contro le opere e i luoghi rappresentativi dell'Ancien Régime, le masse popolari prendono d'assalto le chiese e i monasteri. L'iconoclastia e le depredazioni artistiche avvenute nelle chiese rappresentano l'estrema reazione di un astio popolare che tuttavia furono atti legalizzati dall'Assemblea. Le opere prelevate da conventi, monasteri e chiese servivano a estinguere i debiti ereditati dall'antico regime: queste vengono raccolte e messere in specifici depositi[44].
L'instaurazione del dominio francese in Belgio e le conseguenti spoliazioni artistiche inizialmente non suscitano, nella popolazione belga, particolare malcontento. Le opere d'arte vengono scelte e giudicate da commissioni, ovviamente con conoscenze artistiche, create appositamente per decidere quali devono essere tolte dalla loro terra di appartenenza e mandate a Napoleone. Interessante notare la differenza che intercorre tra le requisizioni artistiche operate in Francia e quelle operate in Belgio: le prime avevano lo scopo di conservare per i posteri il patrimonio artistico a prova dell'identità storica della nazione, le seconde invece si configurano come un'opera di salvataggio, di protezione dal degrado e dalla corruzione. Le requisizioni in Belgio sembravano delle opere caritatevoli e altruiste da parte della Francia illuminata verso le altre nazioni europee. Le prime confische iniziano dopo l'occupazione del 1792 ma solo con l'occupazione definitiva del 1794 ha inizio un vero e proprio sistema di requisizioni. Le confische durano fino al 1795, fino al momento in cui la popolazione inizia a mostrare i primi segnali di malcontento. Sono quasi 200 le opere sottratte al Belgio e portate in Francia a occupare posti nei musei regionali e specialmente nell'appena nato museo del Louvre. Fra queste opere, circa una quarantina sono di Pieter Paul Rubens, tra cui una delle più importanti "Ultima cena", e non tutte fecero ritorno in patria o rimasero in Francia, infatti uno scambio importante avviene tra il Museo Louvre di Parigi e la Pinacoteca di Brera.
Musée Napoléon
Napoleone attuò nel campo dei beni culturali una politica di spoliazione delle nazioni vinte, incamerando opere d'arte dai luoghi di culto del clero, dalle corti reali e dalle collezioni nobili e private delle famiglie dell'Ancien régime[4] che, a scopi propagandistici, trasferiva in prima battuta nel palazzo del Louvre di Parigi, oltre che in altri musei di Francia.
La collezione del Musée Napoléon, che oggi conosciamo come Museo del Louvre, fu inizialmente costituita da reperti tratti dalle collezioni borboniche e dalle famiglie nobili francesi, oltre che da fondi ecclesiastici. Ma già in occasione della prima campagna di guerra nei Paesi Bassi (1794-1795) incamerò oltre 200 capolavori di pittura fiamminga, tra i quali almeno 55 Rubens e 18 Rembrandt.[4] Con la successiva Campagna d'Italia del 1796 portò in Francia altri 110 capolavori grazie all'armistizio di Cherasco (1º maggio 1796).[4] Stessa sorte subirono, con il trattato di Tolentino (22 gennaio 1797), numerose opere d'arte dello Stato Pontificio. La politica di trasferimento in Francia dei beni dei territori italiani occupati rispondeva a un preciso ordine del direttorio, che il 7 maggio 1796 inviò a Bonaparte le seguenti direttive:
«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni[45].»
Proprio i trattati di pace furono lo strumento legale usato da Napoleone per legittimare queste spoliazioni: tra le clausole faceva rientrare la consegna di opere d'arte (oltre all'imposizione di tasse a titolo di tributi di guerra). Queste stesse opere erano già state individuate in precedenza da una specifica commissione composta da specialisti,[46] al seguito del suo esercito, guidata dal baroneVivant Denon che seguì personalmente, a questo scopo, sette campagne di guerra. Tutte le opere di maggior pregio erano destinate al Musée Napoléon, mentre quelle meno importanti furono collocate nei musei francesi di provincia (Reims, Arles, Tours).
La Restaurazione e le restituzioni
All'indomani della sconfitta di Napoleone nella battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) i regni d'Europa inviarono a Parigi propri commissari artistici ed eserciti per pretendere la restituzione delle opere (per esempio Antonio Canova partecipò in rappresentanza dello Stato Pontificio).[4][47]
Come scriveva il Courier di Londra il 15 ottobre 1815, l'opinione pubblica nei paesi alleati protestava contro l'arroganza dei francesi: " gli ufficiali francesi tornano a Parigi, e, girando senza uniforme, aizzano il popolo. Al ritirarsi delle truppe alleate, l'insolenza dei parigini aumenta. Vogliono la rimozione degli articoli sulle opere d'arte. Perché? In base a quale diritto? Il diritto di conquista? Ebbene, non hanno loro perso già due volte? Insistono a invocare il diritto di preda? Allora perché non consentiamo agli Alleati di saccheggiare la Francia di ogni opera che valga la pena di rimuovere e che avevano in proprietà fino al periodo di Bonaparte?". Come diceva Lord Liverpool ai rappresentanti inglesi a Parigi "La parte ragionevole del mondo sta con chi vuole la restituzione ai proprietari. È desiderabile, in punto di politica da perseguire, rimuoverli dalla Francia, poiché ricordano le memorie delle loro conquiste e alimentano la vanità e lo spirito militare della loro nazione".[48] Ancora, il Corriere di Londra scriveva: "Il Duca di Wellington arriva alle conferenze diplomatiche con una nota in mano in cui si richiede espressamente che tutte le opere vengano restituite ai legittimi proprietari. Ciò ha generato grande attenzione, e i Belgi, che hanno enormi richieste da fare, e sono stati ostinatamente opposti alla permanenza delle opere d'arte in Francia, non hanno aspettato che gli venisse detto che potevano incominciare a riprendersi ciò che vi era di loro. I valorosi Belgi sono già sulla via per la restituzione dei loro Rubens e dei loro Potter".
I Prussiani furono i primi a muoversi con re Federico Guglielmo II, che delegò von Ribbentropp, trisavolo di Ribbentropp, insieme a Jacobi, di occuparsi delle restituzioni. Questi ordinarono a Vivant Denon di restituire tutti i tesori prussiani, ma il direttore del Musée Napoléon oppose la mancanza di una specifica autorizzazione da parte del governo francese. Von Ribbentropp allora minacciò di mandare soldati prussiani a prelevare le opere e portare Denon in prigione in Prussia se non avesse lasciato agire Jacobi. In meno di qualche settimana, tutti i tesori prussiani erano fuori dal Musée Napoléon e in deposito per la spedizione in Prussia[49]. I prussiani aiutarono anche gli altri stati tedeschi settentrionali a recuperare le loro opere. Nel settembre 1814, l'Austria e la Prussia ottennero indietro tutti i loro manoscritti. La Prussia recuperò tutta la statuaria, 10 Cranach e 3 Correggio. Il Duca di Brunswick ottenne 85 dipinti, 174 porcellane di Limoges, 980 vasi in majolica.
Quando i soldati olandesi arrivarono al Musée Napoléon, Vivant Denon negò loro accesso e scrisse allora a Talleyrand allora al Congresso di Vienna: "Se cediamo alle richiese di Olanda e Belgio, neghiamo al museo uno dei più importanti cespiti, quello dei fiamminghi (...) La Russia non è contraria, l'Austria ha già ottenuto tutto indietro, praticamente anche la Prussia. C'è solo l'Inghilterra, che non avrebbe niente da chiedere indietro, ma che siccome ha appena rubato i Marmi Elgin dal Partenone, ora pensa di poter far competizione con il Musée Napoléon, e vuole spogliare questo museo per raccoglierne le briciole "[50]. I francesi volevano tenere i trofei raccolti da Napoleone e argomentavano che tenere le opere d'arte in Francia fosse un gesto di generosità nei confronti dei paesi di provenienza ma anche un tributo all'importanza di ciascun paese.
Il 20 settembre 1814, Austria, Inghilterra e Prussia si accordarono che tutti gli oggetti d'arte dovessero essere restituiti ai loro proprietari. Lo Zar non era parte di questo accordo, e si oppose, avendo appena acquistato per l'Hermitage diverse opere d'arte vendute frettolosamente dai discendenti di Napoleone e avendo ricevuto in dono dalla stessa Giuseppina Bonaparte un cammeo vaticano di Tolomeo e Arsinoe noto come Cammeo Gonzaga[51].
Per quanto riguarda le città italiane, queste si erano mosse tardi e in modo disorganizzato, a causa della loro divisioni. Solo per quanto concerne i dipinti, su 506 opere catalogate che avevano preso la via della Francia, infatti, ne fu restituita meno della metà, 249 opere. Il Duca di Brunswick da solo ottenne 85 dipinti e tutti i suoi 980 vasi di maiolica. Le opere rimanenti (per la gran parte dallo Stato Pontificio, ma anche del Ducato di Modena e del Granducato di Toscana) rimasero invece in Francia.
Il 24 ottobre 1815, terminate le trattative, fu organizzato un convoglio di 41 carri trainati da 200 cavalli per un peso complessivo di 49 tonnellate. Il convoglio lasciò Parigi scortato da soldati prussiani e giunse a Milano, da dove le opere d'arte furono instradate verso i legittimi proprietari sparsi per la penisola. La restituzione venne accolta da un popolo esultante; esultò anche Giacomo Leopardi nel 1818 per le opere «ritornate alla patria».[52] Le collezioni di camei, disegni e altre opere minori rimasero in Francia e ne vennero perse le tracce.
Degna di nota la vicenda dei cavalli di San Marco. Secondo il corrispondente del Courier di Londra: «Ho appena visto che gli austriaci stanno togliendo i cavalli in bronzo dall'arco. L'intera corte delle Tuileries e la piazza de Carousel sono riempite da reparti di fanteria e cavalleria austriaci in armi; nessuno è autorizzato ad avvicinarsi; le truppe ammontano a diverse migliaia; folle di francesi in tutte le vie di accesso danno sfogo alle loro emozioni con grida e imprecazioni [...] ]»[53]. Il Leone alato della Serenissima in bronzo era stato issato su una fontana agli Invalides. Quando gli operai cercarono di rimuoverlo, cadde a terra e si ruppe in migliaia di pezzi, con grande risate e delizia della folla di francesi ivi accorsa[54].
A differenza delle confische di opere d'arte in Olanda, Belgio e paesi renani dal 1794 al 1795 da parte dei funzionari del direttorio, in Italia Napoleone legalizzò tutte le cessioni di opere d'arte attraverso trattati. Le restituzioni amareggiarono i francesi, al punto che lo stesso Stendhal ebbe poi a scrivere «Gli alleati hanno preso 1150 dipinti. Spero che mi sia permesso di sottolineare che noi li abbiamo acquisiti per mezzo di un trattato, quello di Tolentino. […] Gli alleati, invece, si prendono i nostri dipinti senza trattato»[55]. In altre parole, le acquisizioni francesi erano state legalizzate attraverso trattati, le appropriazioni degli alleati erano mere confische.
Restituzione, smantellamento ed eredità
L'Immacolata Soult di Murillo, dal nome del maresciallo francese Nicolas Jean-de-Dieu Soult che la requisì durante le guerre napoleoniche e la portò a Parigi, i cui eredi nel 1852 lo cedettero allo Stato francese (che l'acquistò per 615.300 franchi d'oro, la cifra più alta pagata fino ad allora per un quadro), venne collocata al Musée Napoléon fino al 1941, quando la tela venne scambiata con il Ritratto di Maria Anna d'Austria di Diego Velázquez, e ceduta alla Spagna in seguito a un accordo tra il Regime di Vichy e la Spagna di Francisco Franco.
Come ricordato, tra il 1814 e il 1815 il Museo Napoléon venne smantellato (sebbene alcune opere vi rimasero intenzionalmente o dimenticate). Paul Wescher sottolineò ciò che rimase di quell’esperienza, scrivendo "Il grande Museo di Napoleone non finì tuttavia con la dispersione materiale dei suoi capolavori. Il suo esempio stimolante gli sopravvisse a lungo, contribuendo in modo decisivo alla formazione di tutti i musei europei. Il Musée Napoléon, museo nazionale di Francia, aveva dimostrato per la prima volta che le opere d’arte del passato, anche se raccolte dai principi, appartenevano in realtà ai loro popoli, e fu questo principio (con l'eccezione della collezione reale britannica) a ispirare i grandi musei pubblici dell'800." Paul Wescher sottolineò ancora come "Il ritorno delle opere d’arte trafugate ebbe poi, di per sé stesso, un effetto notevole e inatteso... Esso contribuì a creare la coscienza di un patrimonio artistico nazionale, coscienza che nel ‘700 non esisteva."
Nel 1994, l’allora direttore generale del Ministero dei Beni Culturali, Francesco Sisinni, riteneva che ci fossero le condizioni culturali per il rientro delle Nozze di Cana del Veronese. Nel 2010 lo storico Ettore Beggiatto, già assessore regionale del Veneto ai lavori pubblici e consigliere regionale per quindici anni, scrisse una lettera all'allora première dameCarla Bruni per sollecitare il ritorno dell’opera medesima.[56]
Diverse personalità pubbliche si sono pronunciate sulle opere oggi in Francia a seguito delle spoliazioni napoleoniche. Alberto Angela dichiara " È pieno di opere sottratte da Napoleone con i fucili spianati; quando giro tra quelle sale e leggo il cartellino Campagna d'Italia avverto un moto di fastidio profondo: vuol dire che è stata razziata"[57].
L'Egitto ha fatto richiesta di restituzione della Stele di Rosetta scoperta ed esportata dall'Egitto al British Museum dopo l'occupazione francese dell'Egitto. Zahi Hawass, autorità suprema per le antichità egiziane, all'indomani della restituzione da parte del Museo del Louvre delle pitture staccate dalla tomba Tetiki, sovrano della 18ª dinastia sepolto a Luxor che il Louvre aveva acquistato in violazione delle norme internazionali sulla circolazione di opere d'arte, ha affermato: «Non ci fermeremo. Ora vogliamo ottenere anche la restituzione di altri sei reperti conservati al Museo del Louvre, fra i quali lo Zodiaco di Dendera». Lo Zodiaco di Dendera venne tagliato e spostato in Francia durante la Restaurazione ed è oggi al Museo del Louvre.
Tabella riassuntiva del catalogo francese del 1936
Il Bulletin de la Société de l'histoire de l'art pubblicò una ricerca abbastanza dettagliata sulla situazione delle opere confiscate in Italia e parzialmente restituite. Vi si indicava anche dove fossero state redistribuite molte opere poi rilasciate dal Louvre ad altri musei e istituzioni francesi.[58]
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Motivo: l'elenco mischia opere requisite all'atto della conquiste francese con le molte altre provenienti dalle soppressioni degli ordini religiosi e dalla chiusura di molte parrocchie incamerate dal demanio poi in parte assegnate direttamente al Musée Napoléon o alla Pinacoteca di Brera, in parte passate sul libero mercato.
La purificazione della Vergine di Guido Reni, si trovava nella Cappella Sassi del duomo di Modena e passò più tardi nella Galleria Estense oggi è conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
San Bernardino da Siena libera Carpi di Ludovico Carracci, si trovava nella Chiesa di San Bartolomeo a Carpi poi passò più tardi nella Galleria Estense oggi è a Parigi, Notre Dame
Giuseppe e la moglie di Putifarre di Leonello Spada, si trovava nella Galleria Estense di Modena ora a Lille, Musée des Beaux Arts
San Paolo di Guercino, si trovava nella collezione del Duca di Modena a Modena oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
Il ritorno del figliol prodigo di Leonello Spada, si trovava nella collezione del Duca di Modena a Modena oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
I santi protettori della città di Modena di Guercino, si trovava nella collezione del Duca di Modena oggi conservata presso il Musée des Augustins, Toulouse
Salome riceve la testa di san Giovanni di Guercino, si trovava nella collezione del Duca di Modena oggi conservata presso Musée des Beaux Arts, Rennes
La Madonna e il Bambin Gesù e il martirio di San Paolo di Guercino, commissionata per la Cattedrale di Reggio Emilia ora a Toulouse, Musée des Augustins
San Sebastiano curato da Irene di Francesco Cairo, Tours, Musée des Beaux Arts[20]
San Francesco d'Assisi riceve le stigmate di Guercino, Magonza, Mittelrehinschers Landesmuseum[20]
Cristo adorato dagli angeli con San Bernardino e Sebastiano di Carlo Bononi, proveniente dalla città di Reggio Emilia oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
Il martirio di San Cristoforo di Leonello Spada, Epernay, Notre Dame
San Tommaso d'Aquino fra i Dottori della Chiesa di Benozzo Gozzoli, in origine proveniente dal Duomo di Pisa, oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
Firenze
Pala Barbadori, dipinto da Fra Filippo Lippi, proveniente dalla sagrestia di Santo Spirito di Firenze, oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
La Visitazione di Domenico Ghirlandaio, dalla chiesa di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, di Firenze, oggi conservata presso il Museo del Louvre, Parigi
La Circoncisione di Gesù di Federico Barocci, commissionata per la chiesa pesarese del Santissimo Nome di Gesù, oggi conservata presso il Museo del Louvre[62]
La Vergine in gloria, san Antonio abate, e santa Lucia, del Barocci, oggi al Louvre, sequestrato il 27 febbraio 1797 e portato a Parigi il 27 Luglio 1798 al museo del Louvre nel 1798, poi nella chiesa di Notre Dame nel 1802 e quindi di nuovo al Louvre dal 1804
Quattro santi, san Luigi Gonzaga e la Vergine, del Guercino, sequestrato il 31 Luglio 1797, a Parigi al Musée du Louvre nel 1798, poi spostato al Musée de Bruxelles nel 1801
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^abcdeSteinmann, E., “Die Plünderung Roms durch Bonaparte”, Internationale Monatsschrift für Wissenschaft, Kunst und Technik, 11/6-7, Leipzig ca. 1917, p. 1-46, p. 29..
^Auber 1802: vol. 3, pl. 136, Collection complète des tableaux historiques de la Révolution française, tome 2. Pierre Didot l’aîné, Paris, [i]-[iv] + 273-424, 1 frontispice, pls 69-144
^Quatremère de Quincy, “Lettres sur le projet d’enlever les monuments de l’Italie”, [originally published in Paris, 1796] in Considérations morales sur la destination des ouvrages de l’art (1815), Paris, Fayard, 1989, Fifth Letter to General Miranda, p. 225..
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Ashton DearholtDearholt dalam iklan untuk Too Much Youth (1925) dengan nama Richard HoltLahir(1894-04-04)4 April 1894Milwaukee, Wisconsin, Amerika SerikatMeninggal27 April 1942(1942-04-27) (umur 48)Los Angeles, California, Amerika SerikatMakamHollywood Forever CemeteryNama lainRichard HoltPekerjaanPemeranTahun aktif1915–1938Suami/istriFlorence Gilbert (1926–1934) (bercerai)Ula Holt (Juli 1935–27 April 1942; kematiannya)Helene Rosson (sebelum 1926; bercerai) Ashton Dearho...
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Koordinat: 34°03′13″N 118°28′42″W / 34.0535°N 118.4782°W / 34.0535; -118.4782 12305 Fifth Helena DriveKediaman terakhir dari Marilyn Monroe, Brentwood, Los Angeles, California. Gabungan dari dua foto.Informasi umumGaya arsitekturHaciendaLokasi12305 Fifth Helena Drive, Brentwood, Los Angeles, CaliforniaRampung1929KlienMarilyn MonroeData teknisUkuran2,900 sq.ft.Informasi lainJumlah kamar4 kamar tidur, 3 kamar mandi 12305 Fifth Helena Dr. adalah sebuah rumah d...
أهلا بك في بوابة ليبيريا اليوم هو السبت 6 أبريل 2024 04:06 | إفراغ الكاش شقيقة المزيد عن ليبيريا في المشاريع الشقيقة: ويكي كتب كومنز ويكي أخبار ويكي اقتباس ويكي مصدر ويكي جامعة ويكي رحلات ويكاموس ويكي بيانات كتب وسائط متعددة أ�...
Negara-negara anggota: Negara anggota Pengamat yang sedang berunding untuk bergabung Pengamat saja Perjanjian tentang Pengadaan Pemerintah (Inggris: Agreement on Government Procurement, disingkat GPA) adalah sebuah perjanjian plurilateral di bawah yurisdiksi Organisasi Perdagangan Dunia (WTO) yang mulai berlaku pada tahun 1981. Perjanjian ini lalu dirundingkan ulang bersamaan dengan Putaran Uruguay pada tahun 1994 dan mulai berlaku pada tanggal 1 Januar...
هيثم عبيد معلومات شخصية الميلاد 22 سبتمبر 1965 (59 سنة) الطول 179 سنتيمتر مركز اللعب لاعب وسط الجنسية تونس المواقع مُعرِّف الاتحاد الدولي لكرة القدم 93568 تعديل مصدري - تعديل هيثم عبيد هو لاعب كرة قدم تونسي في مركز الوسط، ولد في 22 سبتمبر 1965.[1][2] لعب مع الت...
Extinct genus of reptiles PadillasaurusTemporal range: Early Cretaceous, Barremian PreꞒ Ꞓ O S D C P T J K Pg N ↓ Vertebrae of holotype JACVM 0001 Scientific classification Domain: Eukaryota Kingdom: Animalia Phylum: Chordata Clade: Dinosauria Clade: Saurischia Clade: †Sauropodomorpha Clade: †Sauropoda Clade: †Macronaria Clade: †Titanosauriformes Genus: †PadillasaurusCarballido et al., 2015 Type species †Padillasaurus leivaensisCarballido et al., 2015 Padillasaurus is an ...
Artikel ini tidak memiliki referensi atau sumber tepercaya sehingga isinya tidak bisa dipastikan. Tolong bantu perbaiki artikel ini dengan menambahkan referensi yang layak. Tulisan tanpa sumber dapat dipertanyakan dan dihapus sewaktu-waktu.Cari sumber: Lembah, Babadan, Ponorogo – berita · surat kabar · buku · cendekiawan · JSTOR LembahDesaNegara IndonesiaProvinsiJawa TimurKabupatenPonorogoKecamatanBabadanKode pos63491Kode Kemendagri35.02.16.2011 L...
Bias, hatred or distrust against Protestantism and its followers Part of a series onProtestantism Outline Concepts Anti-Protestantism Bible Criticism Culture Demographics Ecclesiology Liturgy Relations with Catholics Theologies Five Solas History Proto-Protestantism Bohemian Reformation Reformation Magisterial Radical Counter Martin Luther Ninety-five Theses Augsburg Confession Huldrych Zwingli John Calvin Arminianism Crypto-Protestantism Nonconformists Dissenters Puritans John Wesley Pietism...
Questa voce sull'argomento allenatori di pallacanestro statunitensi è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Ralph Miller Ralph Miller (a sinistra) nel 1968 Nazionalità Stati Uniti Pallacanestro Ruolo Allenatore Termine carriera 1989 Hall of fame Naismith Hall of Fame (1988) Carriera Giovanili Chanute High School1937-1941 Kansas Jayhawks Carriera da allenatore 1951-1964 WSU...
Artikel ini perlu dikembangkan dari artikel terkait di Wikipedia bahasa Inggris. (April 2024) klik [tampil] untuk melihat petunjuk sebelum menerjemahkan. Lihat versi terjemahan mesin dari artikel bahasa Inggris. Terjemahan mesin Google adalah titik awal yang berguna untuk terjemahan, tapi penerjemah harus merevisi kesalahan yang diperlukan dan meyakinkan bahwa hasil terjemahan tersebut akurat, bukan hanya salin-tempel teks hasil terjemahan mesin ke dalam Wikipedia bahasa Indonesia. Janga...
City in the Mexican state of Coahuila City in Coahuila, MexicoCiudad AcuñaCity SealCiudad AcuñaShow map of CoahuilaCiudad AcuñaShow map of MexicoCoordinates: 29°19′27″N 100°55′54″W / 29.32417°N 100.93167°W / 29.32417; -100.93167Country MexicoStateCoahuilaMunicipalityAcuñaSettled27 December 1877(146 years ago) (1877-12-27)Town status1880(144 years ago) (1880)City status16 September 1951(72 years ago) (1951-09-16)Named f...
Intercollegiate sports teams of the University of Florida Athletic teams representing University of Florida Florida GatorsUniversityUniversity of FloridaConferenceSEC (primary)The American (women's lacrosse)NCAADivision I (FBS)Athletic directorScott StricklinLocationGainesville, FloridaVarsity teams19 (8 men's, 11 women's)Football stadiumBen Hill Griffin StadiumBasketball arenaExactech Arena at Stephen C. O'Connell CenterBaseball stadiumCondron Family BallparkSoftball stadiumKatie Seashole Pr...
Thrush native to Europe, Asia and North Africa Common blackbird Male T. m. merula Female T. m. mauritanicus Conservation status Least Concern (IUCN 3.1)[1] Scientific classification Domain: Eukaryota Kingdom: Animalia Phylum: Chordata Class: Aves Order: Passeriformes Family: Turdidae Genus: Turdus Species: T. merula Binomial name Turdus merulaLinnaeus, 1758 Global range based on reports to eBird Summer range Year-round range Winter range Thi...
French poet and critic (1821–1867) Baudelaire redirects here. For other uses, see Baudelaire (disambiguation). Charles BaudelaireCharles Baudelaire by Étienne Carjat, 1863BornCharles Pierre Baudelaire9 April 1821Paris, FranceDied31 August 1867(1867-08-31) (aged 46)Paris, FranceOccupationPoet, art critic, philosopherEducationLycée Louis-le-GrandPeriod1844–1866Literary movementDecadentSignature Charles Pierre Baudelaire (UK: /ˈboʊdəlɛər/, US: /ˌboʊd(ə)ˈlɛər/;[1] Fr...
Presbyterian denomination For other uses, see Cumberland Presbyterian Church (disambiguation). Cumberland Presbyterian ChurchClassificationProtestantOrientationNew School PresbyterianPolityPresbyterianAssociationsWorld Communion of Reformed Churches, World Council of ChurchesRegionUnited States, Hong Kong, Colombia, Guatemala, Mexico, Haiti, Brazil, Spain, Australia, the Philippines, Cambodia, Japan, Macau, South Korea[1]OriginFebruary 4, 1810 Dickson County, TennesseeSeparated fromPr...
American college football season 2023 Penn State Nittany Lions footballPeach Bowl, L 25–38 vs. Ole MissConferenceBig Ten ConferenceDivisionEast DivisionRankingCoachesNo. 13APNo. 13Record10–3 (7–2 Big Ten)Head coachJames Franklin (10th season)Offensive coordinatorMike Yurcich (3rd season; first ten games)Co-offensive coordinatorJa'Juan Seider (interim; reaminder of season)Co-offensive coordinatorTy Howle (interim; remainder of season)Defensive coordinat...
Questa voce o sezione sull'argomento trasporti non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Per trasporto navale o trasporto marittimo si intende tutto quell'insieme di uomini, strumenti, idee e tecniche che consentono il trasporto di persone e merci sul mare per mezzo di navi. Più impropriamente, il ...