«La vita di un regista sono i suoi film. Non tutta la sua vita certo, ma quella parte di essa attraverso la quale ha espresso la sua relazione con il mondo, con le idee e con gli uomini»
Francesco Rosi nacque a Napoli, nel quartiere di Montecalvario, il 15 novembre 1922, figlio di Sebastiano Rosi, calabrese, direttore di un'agenzia marittima e caricaturista per i periodici cittadini Monsignor Perrelli e Vaco'e pressa (in questa veste anche creatore, assieme ad Emilio Reale, del simbolo del Napoli, il Ciuccio[3]), e di Amalia Carola, una casalinga napoletana. Nel 1930 nacque il fratello Massimo, che diventerà un famoso architetto. La famiglia Rosi ben presto si trasferì, dapprima in via Cesare Rosaroll, poi in viale Regina Elena (oggi viale Antonio Gramsci) ed infine in via San Pasquale, nel quartiere di Chiaia. Durante il periodo dell'estate, Francesco passava le vacanze a Posillipo, dove conobbe Raffaele La Capria, con il quale condividerà l'amore per il mare, amicizia fraterna e lavoro. Francesco frequentò la scuola elementare Teresa Ravaschieri in via Bausan e poi, dal 1934, il liceo ginnasio Umberto I. Qui strinse amicizia con quelli che saranno i compagni di una vita, legati dall'amore per la cultura e per l'impegno politico: Giorgio Napolitano, Antonio Ghirelli, Francesco Compagna, Achille Millo, Giuseppe Patroni Griffi, Maurizio Barendson e Rosellina Balbi.[4]
Formazione
Nel 1940, in pieno periodo bellico, Rosi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli. L'amicizia dei "ragazzi di via Chiaia" continuò anche all'università: amavano il teatro, il cinema, la letteratura, frequentavano il Circolo degli Illusi in via Crispi, dove misero in scena atti unici di Patroni Griffi, di Ghirelli e dello stesso Napolitano. Erano loggionisti del Teatro Mercadante e frequentavano la sede del settimanale del Guf di Napoli "IX Maggio". Il 3 febbraio 1943 Rosi venne chiamato alle armi e partì dunque per Firenze, al 7° Autieri, per frequentare il V corso preparatorio di addestramento. Lì conobbe Enzo Papoff e Mario Ferrero. Dopo l'armistizio di Cassibile, per evitare l'arresto da parte dei tedeschi, Rosi si rifugiò nel "buco", la casa di Ferrero, assieme all'amico Carlo Pucci, nipote di Ernesto Rossi. Qui trascorrevano le serate a discutere con Nello Traquandi e con Carlo Ludovico Ragghianti, uno dei suoi primi maestri. "Con loro si parlava della Resistenza, del fascismo, del Partito d'Azione. Si parlava di ciò che si sarebbe fatto dopo la Liberazione, quali erano i programmi. E leggevamo"[5].
Nel 1944 collaborò con Radio Napoli, diretta da Italo De Feo; conobbe il regista Ettore Giannini, lavorò con Luigi Compagnone, con Tommaso Giglio e Raffaele La Capria. Nel 1945 entrò nella redazione di un quindicinale di letteratura e arte, Sud, fondato da Pasquale Prunas, ancora con gli amici di sempre: La Capria, Patroni Griffi, Barendson, ma anche Anna Maria Ortese, Carla de Riso, Luigi Compagnone e Mario Stefanile. Francesco Rosi disegnò un sillabario ed illustrò un'edizione di Alice nel paese delle meraviglie. Inventava storie e le disegnava. Partì poi alla volta di Milano per lavorare al quotidiano Milano Sera, dove già svolgevano la loro attività giornalistica Alfonso Gatto e Ghirelli. Nel 1946 si trasferì a Roma, entrando nella Compagnia del Teatro Quirino di Orazio Costa; Ettore Giannini gli propose di lavorare come assistente per 'O voto di Salvatore Di Giacomo. Nel 1947 si dedicò anche al cinema: recitò con Nino Taranto in Dove sta Zazà di Giorgio Simonelli. Poi girò per l'Italia con uno spettacolo di rivista, E lui dice di Benecoste, con la Compagnia del Quattro Fontane di Adolfo Celi. Preparò uno studio su I Malavoglia di Giovanni Verga per partecipare al concorso di ammissione al Centro sperimentale di cinematografia. Ma Luchino Visconti lo chiamò come assistente alla regia, assieme a Franco Zeffirelli, per il film La terra trema: il 28 ottobre 1947 firmò il contratto. "L'occasione mi venne fornita dal mio amico Achille Millo, a cui Visconti aveva proposto di fargli da assistente per La Terra Trema. Millo volle invece continuare a fare l'attore, così parlò di me a Visconti, che non ebbe difficoltà ad accettarmi. Visconti, con il gusto che ha sempre avuto per il pionieristico, per la provocazione, aveva messo insieme un gruppo di persone che non avevano mai fatto cinematografo; l'unico era lui, che poi lo aveva fatto una sola volta, sia pure magnificamente, con Ossessione"[6].
Con Luchino Visconti collaborò, in veste di aiuto-regista, anche per Senso (1953) e, invece come sceneggiatore, al fianco di Suso Cecchi D'Amico, per Bellissima. “Instancabile, Visconti era il capo di una impresa, oltre che l'autore e il regista di un film; duro e allo stesso tempo giusto, comprensivo […]. Egli metteva i suoi collaboratori nella condizione più difficile, ma anche la più esaltante, per imparare”[7].
Nel 1956 figurò come sceneggiatore ed aiuto-regista de Il bigamo di Luciano Emmer e, questa volta in qualità di co-regista al fianco di Vittorio Gassman, di Kean genio e sregolatezza.
L'anno successivo Rosi scrisse una sceneggiatura tratta dal romanzo di Bruno TravenLa nave morta, storia di un sans papier, un uomo senza documenti, dunque senza identità e senza nazionalità. Ma il film Le carrette del mare non sarà mai realizzato.
Gli esordi
Nel 1958 Rosi presentò alla XIX Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il suo primo lungometraggio, La sfida, che ottenne un buon riscontro di critica e pubblico. Attraverso la storia di Vito Polara, il regista narrò l'evolversi della criminalità napoletana, che scopre altri affari più redditizi del contrabbando e comprenderà via via l'importanza dei legami con la politica. È il passaggio da una camorra che rispetta le regole interne ad una basata sull'individualismo arrogante, la ricerca della ricchezza a tutti i costi, anche infrangendo il codice criminale dell'omertà. È l'inizio dell'utilizzo di quel metodo storico-analitico che Rosi nei film coniugherà con la sua estetica cinematografica. La luce, le ombre, le inquadrature, le composizioni delle scene nelle quali protagonisti e comprimari occupano spazi geometrici voluti e studiati già dai disegni che il regista realizza, segneranno lo stile di Francesco Rosi. Dopo aver letto La Galleria di John Horne Burns, ne scrisse l'adattamentoa cinematografico, che resterà però solamente un progetto; realizzò un altro film, ambientato nell'allora Germania dell'Ovest, I magliari (1959) con Alberto Sordi, Renato Salvatori, Belinda Lee.
Anni sessanta: da Salvatore Giuliano a C'era una volta
"Cercare con un film la verità non significa voler scoprire gli autori di un crimine, ciò spetta ai giudici e poliziotti, i quali lo fanno a volte a prezzo della vita e a loro va il nostro pensiero riconoscente. Cercare con un film la verità significa collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza" (Francesco Rosi).[8] Nel 1962 uscì Salvatore Giuliano, per cui venne premiato con l'Orso d'argento per il miglior regista e con tre Nastri d'argento. "Per fare il film che aveva in mente, Rosi ha dovuto inventare tutta una maniera nuova di narrare che chiameremmo corale o epica se non fosse prima di tutto realistica"[9]
L'anno successivo diresse Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti e Carlo Fermariello in Le mani sulla città (1963), nel quale denunciava con coraggio le collusioni esistenti tra i diversi organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli. La città nelle opere di Rosi diviene simbolo di una condizione che è del Sud e dell'intero Paese. Rosi narra la speculazione edilizia, il rapporto tra potere politico, economico e potere criminale. La pellicola venne premiata con il Leone d'Oro al XXIV Festival di Venezia. Nello stesso anno portò in scena a teatro In memoria di una signora amica (1963), testo di Giuseppe Patroni Griffi, con Lilla Brignone, Pupella Maggio e Lia Thomas, che venne presentato il 10 ottobre 1963 al Teatro La Fenice di Venezia nel corso del XXII Festival internazionale del teatro di prosa.
Dopo Il momento della verità (1965), film non sui tori e sui toreri, ma sulla Spagna, sulla povertà e sull'individuo che, escluso dalla società, non ha scelta, Rosi si avvicinò ad un libro che lo aveva affascinato, Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, dal quale trasse spunto per il suo nuovo film C'era una volta (1967), con Sophia Loren e Omar Sharif, che da poco aveva ottenuto un grande successo con il kolossalIl dottor Živago di David Lean. La favola è filtrata attraverso elementi storici, reali, come la povertà, la superstizione e il potere feudale nel Sud.
L'incontro con Gian Maria Volonté
Nel 1970 Francesco Rosi realizzò Uomini contro, ambientato nella prima guerra mondiale, che gli causò anche una denuncia per vilipendio all'Esercito. Tratto dall'opera di Emilio LussuUn anno sull'Altipiano, Uomini contro è un film contro l'immagine retorica della guerra, un film contro tutte le guerre. "Ho descritto la guerra in modo quasi biologico per farne risaltare meglio l'orrore e l'assurdità"[10]. Girato sui monti dell'entroterra istriano a pochi chilometri da Fiume, in condizioni proibitive per attori e operatori, il film non concede nulla all'enfasi patriottica; nessuna esaltazione né del dovere né dei giovani contadini mandati al macello. Rosi intuisce uno stravolgimento in atto anche nel concetto di morte e “ha messo decisamente da parte fronzoli, nostalgie e prestiti ottocenteschi per aggredire la vicenda privata con una tale fredda passionalità da dilatarla a vicenda pubblica. La strage di Uomini contro risulta meno giustificata e anche meno giustificabile di quelle di Un anno sull'altipiano”.[11]
Il film segnò l'inizio del sodalizio con Gian Maria Volonté, attore di grande forza interpretativa, rigoroso e meticoloso quanto Rosi anche nel documentarsi e nella preparazione di un personaggio. "Volonté è un grandissimo attore e un uomo intelligente che s'impegna sui problemi, che capisce e che fa capire allo spettatore gli aspetti più nascosti di un personaggio"[12]. Volonté interpretò negli anni successivi Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano (1973) e Cristo si è fermato a Eboli (1979), tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Levi, nel quale erano presenti anche due attrici di livello internazionale che Rosi amava molto, Irene Papas e Lea Massari.
Negli anni 2000 Francesco Rosi tornò alla regia teatrale, allestendo una trilogia dedicata ad Eduardo per la compagnia di Luca De Filippo. Riguardo al grande successo della messinscena di Napoli milionaria! (2003), raccontava allora Luca: "Mi venne in mente di chiedergli di occuparsi di questa regia una notte di tre anni fa, quando, in omaggio a Eduardo, fu proiettato il film omonimo, tratto dalla commedia. Pensai che sarebbe stato bello unire, sui temi trattati in Napoli milionaria!, una coppia di grandi napoletani, mio padre e Rosi. Due uomini e due artisti che hanno sempre lavorato alla luce dell'impegno civile e morale".[14] Seguono Le voci di dentro (2006) e Filumena Marturano (2008). "È come se a teatro continuassi il discorso che ho portato avanti nei miei film"[15].
Nel 2008 gli venne assegnato l'Orso d'Oro alla carriera al Festival di Berlino, nel 2009 la Legione d'Onore, nel 2010 l'Alabarda d'oro alla carriera e il 10 maggio 2012 il Consiglio di amministrazione della Biennale di Venezia approvò all'unanimità la proposta del suo direttore, Alberto Barbera, di conferire il Leone d'oro alla carriera al regista in occasione della 69ª edizione della mostra[16].
Il regista continuò a raccogliere documentazione e riprese alcuni progetti nati negli anni Sessanta e che purtroppo resteranno tali: Bruto, sulla vita e la morte di Giulio Cesare, e I 199 giorni del Che, sulla storia di Ernesto Che Guevara e soprattutto sulle condizioni della vita delle popolazioni latino americane in quegli anni. Tra i suoi propositi anche un film sulla rivoluzione giacobina e un film su Raul Gardini.
Rosi morì a Roma, a 92 anni, il 10 gennaio 2015[17]. La cerimonia laica si tenne alla Casa del cinema a Roma, alla presenza anche del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.[18]Tel qu'en lui même enfin l'éternité le change - Quale in Se Stesso alfine l’eternità lo muta - così lo ricorda Raffaele La Capria citando i versi di Mallarmé per la morte di Edgar Allan Poe[19]
Vita privata
Rosi ebbe una figlia, Francesca, nata il 14 marzo 1954 dalla sua prima compagna, l'attrice Nora Ricci. Francesca morì in un incidente stradale a soli quindici anni, il 18 gennaio 1969, dopo che Francesco Rosi aveva perduto il controllo dell'automobile[20].
Il 18 gennaio 1964 sposò Giancarla Mandelli, sorella della stilista Krizia, conosciuta nel periodo delle riprese de I magliari, che gli sarà accanto per tutta la vita: «Quando vuoi bene a una donna e hai avuto con lei un rapporto così intenso, non banale, voglio dire ti rimane proprio non nel cuore, ti rimane dappertutto».[21] Il 26 dicembre 1965 nacque la figlia Carolina, che poi diventerà attrice cinematografica teatrale e televisiva.
La moglie Giancarla Mandelli morì la mattina dell'8 aprile 2010 per le gravi ustioni riportate in seguito all'incendio della vestaglia che indossava, causato da una sigaretta.[22]
Archivio
L’archivio personale di Francesco Rosi è conservato, per espressa volontà del regista, a Torino presso l'Archivio Storico del Museo Nazionale del Cinema.
«a testimonianza dell'importanza della sua opera e segno di riconoscimento per la sua proficua collaborazione nel settore cinematografico franco-italiano[26][27]» — Roma, 4 marzo 2009
M. Ciment, Dossier Rosi, a cura di L. Codelli, Milano, Il Castoro, 2008.
M. Procino, Alla ricerca delle ragioni. Il mondo artistico e umano di Francesco Rosi attraverso le carte del suo archivio, in «Carte Vive», rivista degli Archivi di Cultura contemporanea della Biblioteca Cantonale di Lugano, dicembre 2007.
M. Procino, L'archivio di Francesco Rosi in «Il mondo degli Archivi on line», n. 2, 2007.
La sfida della verità. Il cinema di Francesco Rosi, a cura di A. Tassone, G. Rizza, C. Tognolotti, Aida Edizioni, Firenze 2005.
E. Costa, Con Francesco Rosi a Lezione di Urbanistica, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria 2012.
M. Procino, Le voci di dentro da Eduardo De Filippo a Francesco Rosi: dal teatro al cinema, le ragioni dell’anima, in Interferenze. Registi/scrittori e scrittori/registi nella cultura italiana con un'intervista a Gianni Amelio, a cura di D. Brotto e A. Motta, University Press, Padova, 2019, ISBN 9788869381676
Francesco Rosi. Il cinema e oltre, a cura di N. Pasqualicchio, A. Scandola, Mimesis Edizioni, collana Cinema, n. 71, Milano-Udine, 2019.
G. Marrone, The cinema of Francesco Rosi, Oxford, Oxford University Press, 2020, ISBN 9780190885663.
C. Rosi, Francesco Rosi mio padre, mio maestro; P. Iaccio, Francesco Rosi tra denuncia civile e arte cinematografica; M. Procino, Francesco Rosi regista teatrale: da Giuseppe Patroni Griffi a Eduardo De Filippo, in «Perseo», n. 2, a. 2, ottobre 2022.
A. Ticozzi, «Andiamo avanti: ha da passà 'a nuttata». Dialogo familiare sulla trilogia eduardiana interpretata da Luca De Filippo con la regia di Francesco Rosi, SensoInverso Edizioni, Ravenna, 2022.
M. Procino, Francesco Rosi incontra Eduardo De Filippo: Napoli milionaria, Le voci di dentro, Filumena Marturano, in «Rifrazioni», n. 6, 2022, Rivista Sinestesie – Periodico Quadrimestrale di Letteratura e Arti della Modernità (sinestesieonline.it).
Francesco Rosi Diari. Da Salvatore Giuliano a Carmen: il cinema della ragione (1961-1981). Prefazione di Giuseppe Tornatore, a cura di M. Procino, Milano, La nave di Teseo, 2022. ISBN 9788893951500