La finale della 19ª edizione della Coppa UEFA fu disputata in gara di andata e ritorno tra Juventus e Fiorentina.
Il 2 maggio 1990 allo stadio Comunale Vittorio Pozzo di Torino la partita di andata, arbitrata dallo spagnolo Emilio Soriano Aladrén, finì 3-1 per i padroni di casa. La gara di ritorno si disputò due settimane dopo, in campo neutro, allo stadio Partenio di Avellino e fu arbitrata dal tedesco occidentale Aron Schmidhuber: il match terminò 0-0 e ad aggiudicarsi il trofeo fu la squadra piemontese.
La Juventus di Dino Zoff esordì contro i polacchi del Górnik Zabrze vincendo con un risultato aggregato di 5-2: un passaggio del turno velato di tristezza, poiché proprio andando a visionare oltrecortina i prossimi avversari, il 3 settembre 1989 era scomparso in un incidente automobilistico il tecnico in seconda e bandiera bianconera Gaetano Scirea.[1] Ai sedicesimi di finale i torinesi affrontarono i francesi del Paris Saint-Germain, superandoli con un risultato complessivo di 3-1. Nel turno successivo i tedeschi orientali del Karl-Marx-Stadt furono battuti sia all'andata sia al ritorno rispettivamente coi risultati di 2-1 e 1-0. Ai quarti i Bianconeri affrontarono i tedeschi occidentali dell'Amburgo, passando il turno grazie a un 2-0 esterno che rese ininfluente la successiva sconfitta casalinga 1-2. In semifinale fu la volta di un'altra squadra teutonica, il Colonia, che fu sconfitta grazie al 3-2 di Torino e al pareggio a reti inviolate nel retour match in Germania Ovest.
La Fiorentina, inizialmente affidata a Bruno Giorgi, debuttò contro gli spagnoli dell'Atlético Madrid, pareggiando sia all'andata sia al ritorno 1-1, e superando il turno solo ai tiri di rigore dove prevalse per 3-1. Nel secondo turno i toscani affrontarono i francesi del Sochaux, battendoli grazie alla regola dei gol fuori casa in virtù del pareggio in Francia per 1-1 e allo 0-0 di Perugia – campo casalingo dei Viola in Europa per questa stagione, a causa della ristrutturazione del Comunale di Firenze in vista del campionato del mondo 1990[2]. Agli ottavi i sovietici della Dinamo Kiev furono sconfitti all'andata 1-0, pertanto il pari a reti inviolate nel ritorno in Ucraina fu una formalità. Ai quarti di finale i Gigliati affrontarono ancora una squadra transalpina, l'Auxerre, battendola con un doppio 1-0. Con la Fiorentina nel frattempo passata in mano a Francesco Graziani,[3] in semifinale i tedeschi occidentali del Werder Brema (che avevano eliminato i detentori del Napoli) furono battuti ancora una volta con la regola dei gol in trasferta (1-1 e 0-0).
Le partite
Andata
Va in scena, per la prima volta nella storia delle coppe europee, una finale tutta italiana[4] tra la Juventus, grande favorita per via di un cammino continentale fatto di 8 vittorie, un pari e una sconfitta, e la Fiorentina, giunta tra alterne fortune in finale con soli 6 gol all'attivo oltreché in cerca di riscatto in Europa a fronte di un deludente campionato che, al contrario, l'ha vista impelagata nella lotta per non retrocedere.[5] La sfida è inoltre molto sentita dalla tifoseria toscana per via del loro storico livore verso i Bianconeri.[4][6]
La gara di andata a Torino vede un avvio al fulmicotone: i padroni di casa partono forte e già al 3' vanno in vantaggio con Galia, ma vengono subito riacciuffati al 10' dal gol dell'ex Buso. Tuttavia nella ripresa i Viola perdono d'intensità, pagando oltremodo la scarsa vena offensiva già palesata nel corso della manifestazione; i piemontesi ne approfittano cinicamente con Casiraghi e De Agostini,[7] rispettivamente al 59' (con vivaci recriminazioni degli ospiti, per un presunto fallo su Pin in avvio di azione[4][6]) e al 73', chiudendo la partita e ipotecando il trofeo in vista della gara di ritorno.[4]
Ritorno
Due settimane dopo, la Fiorentina è chiamata a ribaltare l'esito del doppio confronto nella sfida di ritorno: questa è in programma sul campo neutro di Avellino, a causa della squalifica comminata dall'UEFA per le intemperanze dei tifosi viola dapprima nella semifinale di Perugia col Werder Brema,[8] poi reiterate nella succitata sfida in Piemonte.[9]
L'ambiente toscano appare tuttavia destabilizzato sia per la scelta della sede di gara – una decisione della società fiorentina[10] (preferita a ipotesi quali Bari o Lecce per ragioni di distanza geografica) ma di fatto un autogol a livello ambientale, che relega la squadra a giocare in un "feudo" del tifo bianconero[9] –, sia per le sempre più insistenti voci di calciomercato che vogliono il loro numero dieciRoberto Baggio in procinto di accasarsi proprio ai torinesi[6] (come verrà ufficializzato il giorno dopo la finale[11]). Dall'altra parte, la Juventus è in cerca del secondo trofeo stagionale dopo la vittoria della Coppa Italia, per un double continentale decisamente inaspettato alla luce di quelle che erano le modeste ambizioni del club, in una fase di transizione, ai nastri di partenza dell'annata.
I Gigliati sono giocoforza deputati a fare la gara, ma Baggio non riesce a incidere più di tanto e ogni sortita offensiva dei toscani è contrastata dalle parate del portiere bianconero Tacconi. Neanche l'espulsione di Bruno al 58', per somma di ammonizioni, riesce a scalfire l'assetto dei torinesi, sicché la gara rimane bloccata sullo 0-0 fino al triplice fischio, quando la Juventus può festeggiare il suo secondo successo nella competizione (primato tra i club italiani), eguagliando l'allora record di titoli vinti stabilito in precedenza da Liverpool, Borussia M'gladbach, Tottenham, Real Madrid e IFK Göteborg.[7]