San Barnaba sarebbe divenuto patrono di Marino in seguito a una calamità naturale che colpì le campagne marinesi: l'11 giugno 1615 infatti una violenta grandinata devastò i raccolti dei marinesi. L'anno seguente un'altra grandinata, lo stesso giorno, cadde sulle campagne marinesi. Infine nel 1617 una terza grandinata sconquassò ancora, sempre nella giornata dell'11 giugno, i campi e le vigne locali. Per porre fine a questo flagello, venne convocata, il 2 febbraio 1618, un'assemblea popolare plenaria, che votò di scrivere una lettera al cardinal Francesco Sforza di Santa Fioracardinale vescovo di Albano chiedendo di poter venerare san Barnaba, la cui festa ricorre proprio l'11 giugno, come santo patrono «appresso Sua Divina Maestà»[3]. Il 4 giugno 1619 il cardinal Sforza rispose affermativamente[4] e da quella data si iniziò a celebrare solennemente la festività di San Barnaba.
La fondazione
All'inizio del XVII secolo Marino era suddivisa in due parrocchie: la summenzionata parrocchia di Santa Lucia e la parrocchia di San Giovanni Battista, la cui parrocchiale era collocata nell'attuale rione Castelletto, nella parte cioè alto-medioevale dell'abitato, e di cui restano solo pochi resti inglobati dalle case. Quest'ultima parrocchia era la più antica. Allora il duca di Marino Filippo I Colonna e suo figlio, il cardinalGirolamo Colonna, optarono per lo scioglimento delle due parrocchie e l'accorpamento delle stesse in un unico titolo parrocchiale la cui chiesa fosse intitolata a San Barnaba. Questa scelta, avallata dall'autorità ecclesiastica, fu anche ispirata da motivi di ragione pubblica, poiché pare che scoppiassero continuamente liti e risse tra i residenti nelle due parrocchie.
Così, il 28 ottobre 1636 monsignor Giovanni Battista Altieri, vicario generale della sede suburbicaria di Albano, con atto di visitazione soppresse le due parrocchie marinesi di Santa Lucia e di San Giovanni Battista accorpando le loro rendite e benefici nella costituenda parrocchia di San Barnaba[5].
Il duca Filippo I Colonna subito stanziò alcuni fondi per l'avvio dei lavori di costruzione, ai quali tuttavia attinsero, commettendo un reato quasi sacrilego, gli ufficiali tesorieri della Comunità di Marino che approfittarono di quel denaro per «recarsi a pazzeggiare all'hosterie» di Roma[6].
Nonostante il furto, la prima pietra della nuova parrocchiale venne solennemente posata il 10 giugno 1640 con la benedizione del cardinal Girolamo Colonna e alla presenza del duca Filippo I Colonna e degli altri membri di casa Colonna[7].
Papa Urbano VIII il 3 dicembre 1643 emanò la bollaExclesa merita Sanctorum, con la quale non solo confermava la soppressione delle due antiche parrocchie marinesi in favore della nuova parrocchiale in costruzione, ma elevava anche quest'ultima al titolo di Collegiataperinsigne ed alla dignità abbaziale nullius, dunque dotata di un Capitolo di dodici canonici più sei beneficiati con diritto all'abito corale presieduto da un arcipreteabateparroco con privilegio di cappa magna: l'arciprete abate parroco doveva essere inoltre affiancato da due «coadiutori perpetui» per la cura delle anime dei parrocchiani[8]. I privilegi di canonici e abate parroco vennero ampliati nei secoli seguenti dai Pontefici: nel 1748papa Benedetto XIV concesse all'abate parroco l'uso dell'abito pontificale ed ai canonici l'uso del rocchetto e della mozzetta paonazza; il 12 agosto 1828 invece papa Leone XII autorizzò i canonici ad indossare la cappa magna, in premio della fedeltà del clero marinese alla Santa Sede surante le vicende dell'occupazione francese[9]; infine il 17 novembre 1843papa Gregorio XVI concesse sia all'abate parroco che ai canonici l'uso del collare di seta paonazza.
Tornando a parlare del procedere dei lavori, il 5 giugno 1642 l'ufficiale camerlengo del feudo di Marino comunicava al duca Filippo I Colonna che erano stati messi in opera tutti i pilastri dell'erigenda chiesa e le volte delle otto cappelle. Alcune misure dell'edificio: lunghezza alla facciata 58,75 metri; larghezza al transetto 24 metri; altezza della cupola alla lanterna 36 metri[2]. Fino a quella data erano stati spesi 12.000 scudi per la costruzione, e altrettanti ne verranno spesi in seguito, fino al 1655, per un totale di circa 30.000 scudi[10].
Si suppone che nel 1655 terminassero i lavori nella chiesa, durati quindici anni: tuttavia, non si poté procedere alla consacrazione del luogo di culto, a causa della devastante pestilenza che nel 1656 afflisse Marino e l'Agro Romano. La peste sterminò molti marinesi, lasciando in ginocchio il feudo, che dovette essere ripopolato con i vassalli di casa Colonna provenienti dall'Abruzzo: la popolazione marinese, stimata prima delle pestilenze a 2 000 abitanti circa, si ridusse in pochi mesi a poche centinaia di anime.
Il XVII secolo
Così la prima messa cantata fu celebrata nella nuova Collegiata solo il 22 ottobre 1662, da monsignor Carlo Tarugi vicario generale della sede suburbicaria di Albano e dal primo abate parroco, don Agostino Gagliardi. A quella data risale infatti la lapide apposta dal cardinal Girolamo Colonna sulla controfacciata, che ricorda come la chiesa sia sotto lo iuspatronatus perpetuo della famiglia Colonna. Tuttavia la consacrazione ufficiale della Collegiata venne celebrata solo il 14 maggio 1713 ad opera dell'arcivescovo di Napoli monsignor Antonio Sanfelice.
Dopo le vicende della Repubblica Romana (1798-1799), a cui Marino aveva partecipato attivamente[12], nel 1799 le truppe napoletane di liberazione si accamparono ai Castelli Romani e anche a Marino, celebrando una solenne messa in suffragio dei loro caduti proprio nella Collegiata di San Barnaba[13].
Dopo il 1870 a Marino esplose l'anticlericalismo della parte repubblicana maggioritaria della popolazione, che avversava fieramente la comunità parrocchiale con manifestazioni come il Carnevalone. Nel 1899 così l'allora abate parroco volle mostrare anch'egli la sua ostilità verso i repubblicani e verso la stessa Italia unitaria proibendo l'ingresso in basilica alla bandiera italiana, in occasione di una messa in suffragio per i morti nella battaglia di Adua.
Il Novecento
Dall'inizio del secolo alla seconda guerra mondiale
Il terremoto del 1902 causò alcune profonde crepe nella struttura della basilica, perciò il Genio Civile di Roma nel 1909 portò a compimento alcuni necessari lavori di consolidamento, tramite il rafforzamento degli architravi delle due navate laterali con archi a tutto sesto, il potenziamento dei pilastri ed il rinnovamento del pavimento e dell'intonaco.[14]
Nei primi anni del Novecento, la parrocchia fu retta dall'abate parroco Attilio Pandozzi, sacerdote apertamente schierato con la forte maggioranza anti-clericale, che arrivò al punto di scrivere un libello contro la Chiesa cattolica ed il Papa[15]; perciò, fu sospeso a divinis ed allontanato dalla parrocchia. Il cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di AlbanoAntonio Agliardi, per ricostruire una comunità "avvilita e dispersa" dopo la parentesi dell'"infelice parroco apostata"[15], scelse don Guglielmo Grassi (1868–1954)[16], combattivo sacerdote originario di Genzano di Roma, che resterà alla guida della parrocchia fino alla morte, avvenuta nel 1954. Nel 1937 sarà nominato vescovo di Damietta da papa Pio XII, tuttavia continuerà la sua opera di pastore a Marino. A monsignor Grassi si devono la fondazione della congregazione delle Piccole Discepole di Gesù, la creazione di un asilo per i genitori bisognosi durante la prima guerra mondiale, l'apertura della sala-teatro Vittoria Colonna l'incentivo all'attività teatrale, la fondazione dell'Oratorio Parrocchiale San Barnaba negli anni venti, la proficua collaborazione con il Servo di DioZaccaria Negroni che portò alla crescita dell'oratorio parrocchiale ed alla fondazione della congregazione dei Piccoli Discepoli di Gesù e della Tipografia Santa Lucia.
Nella notte tra venerdì 17 novembre e sabato 18 novembre 1911 la venerata immagine della Madonna del Popolo custodita nella seconda cappella di destra della basilica fu soggetta ad un furto sacrilego: i ladri entrarono da una porticina laterale nel coro e portarono via buona parte degli ornamenti più preziosi e degli ex voto.[17] I colpevoli del furto furono identificati quasi immediatamente nelle persone di tre anarchici: due marinesi, Tullo Ostilio Ciaglia ed Enrico Testa, e un forestiero, Proietti Giovanni. Furono condannati a tre anni di reclusione. Un secondo furto sacilego si verificò pochi anni dopo, nel 1914, ed i ladri penetrarono nella basilica sempre dalla stessa porticina, rimasta incustodita per "insipienza del Clero". Vennero trafugati i preziosi sopravvissuti alla prima rapina: i colpevoli stavolta non vennero identificati.
Durante la seconda guerra mondiale, il 2 febbraio 1944 alle ore 12.30 circa, alcuni bombardieri North American B-25 Mitchell della 15ª United States Army Air Forces, del tonnellaggio di 1360 chilogrammi di bombe ciascuno, bombardarono il centro storico di Marino.[18] In questa occasione la basilica venne risparmiata; numerosi sfollati si rifugiarono nei sotterranei della basilica, nella sala-teatro Vittoria Colonna e nella chiesa della Coroncina, presso cui furono collocati anche alcuni uffici comunali, senza sede dopo il bombardamento di Palazzo Colonna. Alla Coroncina trovarono sede anche l'ufficio postale a la cassa di credito cooperativo San Barnaba, ed in un certo periodo anche un deposito di generi alimentari.[19] Il 31 maggio 1944[20] quattro incursioni aeree anglo-americane colpirono la basilica: furono sfondati il tetto -già cadente- e un arco di sostegno della cupola, causando gravi danni ai dipinti dell'interno.[21]
Dalla seconda guerra mondiale alla fine del secolo
Il primo intervento di restauro alla basilica bombardata venne deliberato d'urgenza dall'amministrazione comunale pro tempore già nell'agosto 1944.[22] Venne ricostruito l'arco spezzato che sosteneva la cupola e furono restaurati i due dipinti del Martirio di San Barnaba attribuito a Bartolomeo Gennari conservato sulla parete di fondo del presbiterio e del Martirio di San Bartolomeo del Guercino conservato nel transetto sinistro.[23] Venne anche restaurata l'icona della Madonna del Popolo: Il restauro venne eseguito dal professor Giuseppe Grassi, fratello dell'abate parroco Guglielmo Grassi, a titolo completamente gratuito, mentre sarebbero costati oltre 80 000 £. Il 25 agosto 1948 la Madonna del Popolo tornò trionfalmente nel suo altare. Il 2 febbraio 1948 il Comune di Marino inaugurò le quattro steli di travertino collocate nell'altare del Crocifisso e dell'Addolorata -seconda campata a sinistra- su cui sono riportati i nomi dei 325 marinesi caduti nell'ultima guerra mondiale.
Nel 1950, il cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di AlbanoGiuseppe Pizzardo nominò don Giovanni Eleuterio Lovrovich vicario coadiutore perpetuo dell'abate parroco Guglielmo Grassi con diritto di successione. Don Giovanni, originario di Sebenico in Dalmazia e fuggito da lì a causa delle persecuzioni jugoslave contro gli italiani, successe a monsignor Grassi alla morte di questi, il 14 settembre 1954.: rimase parroco fino al 1989.[24] Si impegnò attivamente -assieme al Servo di DioZaccaria Negroni, diventato senatoredemocristiano- nell'ampliamento dell'Oratorio Parrocchiale San Barnaba, che sotto la sua gestione pastorale arrivò ad avere l'aspetto attuale; fu autore di opere storiche, come una preziosa monografia su Giacoma de Settesoli (1976) e l'importante opera di storiografia locale Lo vedi ecco Marino, scritta assieme a Franco Negroni (1981). Sotto di lui venne inaugurato l'auditorium monsignor Guglielmo Grassi nei locali della ex-chiesa della Coroncina, e l'attività teatrale ebbe un forte e positivo incentivo.
Il 31 agosto 1962papa Giovanni XXIII piombò a sorpresa a Marino, venendo dal Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo a visitare monsignor Alberto Canestri, suo compagno di studi, residente a Marino. Il Papa si ritirò in preghiera nella basilica per alcuni minuti: è l'ultima visita pontificia ricevuta dalla città di Marino.
Nel 1962 la Curia Vescovile patrocinò una serie di lavori di sistemazione e rinnovamento delle cappelle laterali: vennero risistemati il summenzionato altare del Crocifisso e dell'Addolorata, l'altare del Sacro Cuore -terza campata a sinistra-, arricchito con un dipinto raffigurante il defunto abate parroco Guglielmo Grassi che guida il popolo al Sacro Cuore di Gesù Cristo, e la cripta -prima campata a destra-, dove trovarono sepoltura la Serva di Dio Barbara Costantini, monsignor Guglielmo Grassi ed il vicario generale della diocesi suburbicaria di AlbanoGiovanni Battista Trovalusci. Nel 1970 è stata restaurata la statua in legno dorato di santa Lucia, conservata nella prima campata a sinistra ed esposta all'adorazione per il 13 dicembre. Tra il 1978 ed il 1979 furono eseguiti importanti lavori in basilica, soprattutto nell'area del presbiterio che fu messo a norma secondo le nuove disposizione del Concilio Vaticano II.[25]
Purtroppo, nel corso degli anni ottanta la basilica è stata oggetto di almeno tre furti sacrileghi: scomparirono l'icona della Madonna del Popolo -quella venerata è una copia moderna-, il reliquiario in argento del braccio di san Barnaba ed un crocifisso in stile berniniano. Non si hanno notizie sulla sorte di questi oggetti.
Dopo l'allontanamento dalla parrocchia di monsignor Giovanni Lovrovich, nel 1989 venne chiamato alla guida della parrocchia don Elio Abri. Quindi, nel 1997 il vescovo di Albano Dante Bernini affidò la parrocchia a don Aldo Anfuso, precedentemente fondatore della parrocchia di San Bonifacio a Pomezia. Sotto la guida pastorale di don Aldo, l'attività formativa data dall'Oratorio Parrocchiale San Barnaba ha ripreso vigore, è stato restaurato l'auditorium monsignor Guglielmo Grassi con una ripresa dell'attività teatrale che aveva avuto tanta importanza a Marino, e si sono poste le basi per il restauro dell'adiacente sala-teatro Vittoria Colonna.
Negli novanta si sono condotti importanti lavori di restauro della facciata principale della basilica; nel 2006 è stato completamente rinfrescato l'intonaco della monumentale parete orientale, su via Giuseppe Garibaldi.
Il Duemila
Il 30 settembre 2008 monsignor Aldo Anfuso, trasferito alla guida della parrocchia della collegiata di Santa Maria Assunta e del santuario di Santa Maria di Galloro in Ariccia dopo undici anni di attività pastorale a Marino, è stato salutato ufficialmente con una santa messa in basilica.[26]
Il 6 ottobre è subentrato al suo posto il parroco di Ariccia monsignor Pietro Massari, investito ufficialmente della guida della parrocchia dal vescovo di Albano monsignor Marcello Semeraro l'8 dicembre 2008.
«La chiesa paesana rifà, seppure più in grande, le nostre chiese del contado lombardo: ma una ferma venatura di bellezza ne pervade la mole […] Dentro, non c'è soggezione: avanti l'altare maggiore, nel corno dell'Epistola, la statua della Vergine, familiarmente cara, aureolata e dorata, sul portantino processionale: avanzerà tra la gente: "Progreditur quasi aurora consurgens". Nel corno dell'Evangelo, la vetrina con lo scudo di Lepanto: Marcantonio Colonna doveva avere qualche marinese intorno, "Scutum ex Turcarum spoliis reportatum", perché lo scudo è piuttosto mezzo che uno.»
(Carlo Emilio Gadda, La festa dell'uva a Marino, in Il castello di Udine (1934), pp. 145.146.)
La facciata della basilica fu realizzata tra il 1652 ed il 1653, oltre dieci anni dopo l'inizio della fabbrica:[30] a causa di questo ritardo nella costruzione il capo d'arte venne destituito dall'incarico e rimpiazzato, il 28 agosto 1651, da un tale Giacomo Alto fu Giovanni Battista, di Asti.[30] Il prospetto è scandito orizzontalmente in una parte inferiore ed in una superiore, mentre verticalmente si presenta tripartito da sei lesenegiganti di ordine corinzio. Sulla facciata si aprono tre porte: sulle due porte laterali compare l'iscrizione:
(LA)
«HIER S.R.E. CARD COLUMNA»
(IT)
«Girolamo Colonna cardinale di Santa Romana Chiesa»
Sul grande portale d'ingresso centrale invece è collocata la seguente lapide:
(LA)
«D.O.M. HIERONIMUS S.R.E. CARDINALIS COLUMNA EPISCOPUS TUSCULANUS DUX IV MARINI ET PALIANI A FUNDAMENTIS EREXIT A.D. MDCLXII»
(IT)
«A Dio, ottimo e massimo Girolamo Colonna cardinale di Santa Romana Chiesa vescovo di Frascati quarto duca di Marino e Paliano fece costruire dalle fondamenta nell'anno del Signore 1662»
Sopra le due porte laterali si trovano due nicchie sormontate da cornicitriangolari occupate da due statue in peperino dipinto alte circa due metri: a sinistra è raffigurato san Barnaba apostolo, santo patrono della città, recante in mano la palma del martirio, mentre a destra c'è santa Lucia da Siracusa, santa compatrona della città, che tiene in mano anch'essa una palma del martirio oltre ad un piattino contenente gli occhi che le sono stati cavati durante il martirio. Sopra le nicchie, accanto alle volute della parte superiore della facciata, sono collocate altre due statue in peperino dipinto, della stessa altezza delle altre due sopra descritte, raffiguranti due angeli. Nel timpano è collocato lo stemma del cardinale Girolamo Colonna, ovvero una colonna, simbolo araldico della famiglia Colonna, sormontata da un galerocardinalizio. Sopra al frontone, oltre ad una croce in ferro, sono poste sei fiaccole di peperino.
Interno
«La chiesa principale abbaziale collegiata e parrocchiale è dedicata all'apostolo s. Barnaba protettore della città, grandioso edificio di eccellente architettura, eretto dai fondamenti con maestosa e regolare facciata […]»
L'interno è a pianta basilicale a tre navate, lungo 58.75 metri e largo 24 metri al transetto, alto 36 metri alla lanterna della cupola.[31] La navata centrale è coperta da una volta a bottelunettata, mentre le due navate laterali, poste a sinistra e a destra di quella principale, sono coperte da volte a botte disposte ortogonalmente alla volta alla navata principale.[31] L'illuminazione naturale è garantita nella navata tramite sei lunette, tre per lato, mentre nella cupola dalle finestre della lanterna.[31] La spesa per i lavori si aggirò complessivamente tra i 12.000[31] ed i 24.000 scudi pontifici.[32]
La controfacciata
Sulla parte interna della facciata, sopra la porta principale d'accesso, è collocata una lapide celebrativa che recita:
(LA)
«D.O.M. HIERONIMUS S.R.E. CARDINALIS COLUMNA PALIANI ET MARINENSIUM DUX ET PRINCEPS COLUMNENSIUM ROMANORUM PRINCIPUM PIETATEM ET VETUSTISSIMAM MAGNIFICENTIAM SECTANDO AEQUATA RUPE TEMPLUM HOC DIVO BARNABAE DICATUM FUNDAMENTIS EREXIT ABBATIAM CAPITOLUM CANONICATUS CAETERAQUE OMNIA AUCTORITATE PONTIFICIA INSTITUIT ET SUB PERPETUO FAMILIAE SUAE IURESPATRONATU DONAVIT ANNO IUBILAEI MDCL»
(IT)
«A Dio ottimo e massimo Girolamo Colonna cardinale di Santa Romana Chiesa duca di Marino e principe di Paliano imitando la pietà e l'antichissima magnificenza dei Colonna principi romani livellata la rupe eresse dalle fondamenta questo tempio dedicato a san Barnaba istitutì l'abbazia il capitolo di canonici e altre cose tutto sotto l'autorità pontificia e sotto il iuspatronato perpetuo della sua famiglia donò nell'anno giubilare 1650»
Ai lati del grande portale d'ingresso invece sono collocate altre due lapidi, una in latino apposta nel 1909 a celebrazione del consolidamento e della ripavimentazione della basilica resisi necessari dopo i danni seguiti al terremoto del 1902,[14] e finanziati da papa Pio X, dal Comune di Marino e dalla cittadinanza e dal principe Marcantonio Colonna, l'altra in italiano apposta invece nel 1962, in corrispondenza peraltro del terzo centenario della consacrazione della chiesa, a memoria dell'inaspettata visita di papa Giovanni XXIII avvenuta il 31 agosto 1962.[33] Le due lapidi recitano come segue:
(LA)
«AN. DOMINI MCMIX TEMPLUM HOC PARIETUM LABE FATISCENS AD PRISTINAM FIRMITATEM REVOCATUM EST NOVO PAVIMENTO NOVO ADDITO CULTU MUNIFICENTIA ET LIBERALITATE PII PP. X ET EX COLLATIONI AERARII PUBLICII M. ANTONII COLUMNAE CIVIUM QUE MARINENSIUM AUCTORE ATQUE AUDITORE ANTONIO CARD. AGLIARDI EP. ALBANEN.»
(IT)
«Nell'anno del Signore 1909 Questa chiesa poiché il crollo delle pareti fatiscenti fu sventato con il ripristino dell'orginaria solidità fu nuovamente restituita al culto con un nuovo pavimento grazie alla munificenza ed alla liberalità di papa Pio X ed al contributo dell'erario pubblico e di Marcantonio Colonna e dei cittadini marinesi con la promozione e l'ascolto del cardinale vescovo di Albano Antonio Agliardi»
Navata destra
Prima campata
La prima campata della navata destra non ospita alcun altare in particolare, tranne una statualignea di sant'Antonio da Padova ed una tela anonima di grandi dimensioni raffigurante una "Visione di sant'Antonio da Padova".
«CRUX PORTAE SANCTAE LATERANENSIS BASILICAE ANNO IUBILAEI MDCXX[V] QUAM APERUIT HIERONIMUS S.R.E. CARDINALIS COLUMNA ARCHIPRESBITER ET A LATERE LEGATUS SANTISS. D. INNOCENTII PAPAE X SEQUENTI IUBILEI ANNO MCDL»
(IT)
«Croce della porta santa della basilica lateranense dell'anno giubilare 1625 che fu aperta dal cardinale di CSanta Romana Chiesa Girolamo Colonna arciprete e legato a latere di Sua Santità papa Innocenzo X nel giubileo seguente dell'anno 1650»
Presso l'altare è collocata una lapide che ricorda il luogo della sepoltura della Serva di Dio Barbara Costantini prima della sua traslazione nella cripta sotterranea. Sul secondo pilastro della basilica è incastonato nel muro una lapide celebrativa dell'abate parrocoGuglielmo Grassi, collocata il 14 settembre 1956. Il medaglione bronzeo raffigurante il parroco genzanese è opera del medaglista ed incisore Tommaso Peccini. Il testo della lapide è il seguente:
«RISORGERÀ DALLA CRIPTA OVE RIPOSANO LE SUE SPOGLIE MORTALI GUGLIELMO GRASSI VESCOVO TIT. DI DAMIATA ABATE DI MARINO DAL MCMVIII AL MCMLIV UNI' CON ZELO ILLUMINATO LA DIGNITA' EPISCOPALE ALL'UFFICIO DI PARROCO IL SUO SPIRITO VICE NELLE FAMIGLIE RELIGIOSE DA LUI FONDATE PER SERVIRE IL CLERO IN CURA D'ANIME VIVE LA SUA MEMORIA NEL CUORE DEL POPOLO IN BENEDIZIONE NEL II ANNIVERSARIO DEL PIO TRANSITO XIV SETTEMBRE MCMLVI»
Intorno all'altare si trova una sequenza di riquadri in stuccosettecenteschi di mano anonima all'interno dei quali sono dipinti episodi evangelici e biblici: alcune scene sono molto rovinate.
«TRIUMPHALE SCUTUM SACRO BELLO CONTRA SELIM DELATO DUCE MARCO ANTONIO COLUMNA A.D. MDLXXI»
(IT)
«Scudo trionfalmente riportato dalla santa guerra contro Selim dal comandante Marcantonio Colonna nell'anno del Signore 1571»
Il manufatto è stato oggetto di recenti restauri, presentati al pubblico l'11 giugno 2020, in occasione dei quali è stato possibile appurare che lo scudo non fu tolto alla flotta turca, come era erronea e diffusa convinzione,[42] ma si tratta di un palvese appartenuto ad un soldato marinese che partecipò alla battaglia di Lepanto, e donò poi alla chiesa locale lo scudo.[43]
Sulla parete opposta, cioè sul terzo pilastro, è incastonato nel muro una targa bronzea di Nino Lodi commemorativa del Concordato del 1929 tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano.[37] Accanto, si trova una lapide apposta dal clero marinese a memoria dello scampato contagio del colera del 1837, che decimò molti comuni vicini preservando Marino:
(LA)
«MAGNAE VIRGINI DEI GENITRICI MARIAE DE POPOLO NUNCUPATAE ABBAS ET CANONICI HUIUS BASILICAE QUOD ANNO MDCCCXXXVII CHOLERICA PESTILITATE CIRCUM QUAQUE GRASSANTE EXORATA PRAESENTI OPE ADFUERIT ET MORBUS EX EORUM FINIBUS PLANE DEPULERIT VOTUM LIBENTES MERITO SACRAVER.[UNT] ΧΑΡΙΣΤΗΕΡΙΑ IN ANNOS SINGULOS DIE A FESTO ILLIUS OCTAVO»
(IT)
«Alla grande Vergine Maria madre di Dio chiamata "del Popolo" l'abate ed i canonici di questa basilica poiché nell'anno 1837 mentre il colera avanzava frettolosamente dovunque nei dintorni pregata vivamente fu subito presente all'opera e l'epidemia dai nostri confini allontanò totalmente offrirono celebranti di consacrare al merito una messa all'anno nell'ottavo giorno dalla festa di questo»
La balaustra dell'altare, in marmo, è stata realizzata nel 1946 dal proprietario marinese Tito Bellucci in memoria della moglie Elena.
Ai quattro pilastri della cappella sono murate altrettante lapidi di marmo che ricordano i nomi dei caduti nei bombardamenti aerei anglo-americani del 2 e del 17 febbraio 1944 e nei seguenti spezzoni aerei.[33][44]
«HEIC IN PACE CHRISTI QUIESCIT DOMINICUS TERRIBILIS SUBCENTURIO EMERITUS IN COHORTE TRANQUILLITATI PUBLICAE TUENDAE OB RES PRECLARE GESTAS ADLECTUS INTER EQUITES S. SILVESTRI P. M. RELIGIONE IN DEUM FIDE IN PONTIFICES MAXIMNOS EXIMIA DECES IDIB. IANUARIIS AN. MDCCCLIX AN. N. P. M. LII HECTOR POSUIT PATRI OPTIMI BENEMERENTI»
(IT)
«Qui riposa nella pace di Cristo Domenico Terribili sottoufficiale emerito nel battaglione che la tranquillità pubblica deve mantenere per le rinomate imprese ascritto tra i cavalieri di san Silvestro papa per la religione in Dio e la fede nei papi grandemente nobili il 10 gennaio 1850 a 52 anni Ettore pose al padre benemerito»
La cupola si presenta esternamente a padiglione, mentre all'interno è tondeggiante: la lanterna è situata a 31 metri d'altezza. Lungo la base della cupola stessa, all'interno, è apposta la seguente iscrizione:
«AD APOSTOLICUM MUNUS MARTYRII CORONAM ADIUNXIT + BARNABAS CUM PAULO APOSTOLUS GENTIUM»
(Iscrizione alla base della cupola della basilica.)
Gli ultimi restauri alla struttura della cupola sono stati eseguiti nel secondo dopoguerra, dopo che un'incursione aerea anglo-americana del maggio 1944 aveva in parte indebolito i quattro enormi pilastri di sostegno.
Il presbiterio ed il coro d'estate
Nel presbiterio, sulla parete di fondo dietro il tabernacolo, troneggia un grande quadro raffigurante il Martirio di San Barnaba, attribuito a Bartolomeo Gennari (1594-1661), allievo della bottega del Guercino (1591-1666), se non al Guercino stesso. Pregevole è anche la cornice del quadro, sotto la quale si legge l'iscrizione latina Divo Barnabae ("A San Barnaba").
Sempre dietro il tabernacolo, sulle pareti di destra e sinistra si aprono due nicchie marmoree, opera dei marmorai romani del XVII secolo Carlo Spagna e Gabriele Renzi. Nella nicchia di destra è collocato il monumento al cardinal Girolamo Colonna, opera dello scultore Alessandro Algardi (1595-1654), nel quale il cardinale appare orante e inginocchiato su un inginocchiatoio recante scolpito lo stemma dei Colonna. Il cardinale, secondo lo studioso Carlo Bartolomeo Piazza[47], sarebbe sepolto in basilica, ma viene convenzionalmente riconosciuto che, nonostante l'originaria intenzione di farsi seppellire a Marino, il cardinal Colonna sia poi stato tumulato presso la basilica di San Giovanni in Laterano in Roma.[7] Sotto la nicchia, è apposta la seguente iscrizione:
«D.O.M. MORE CARTHUSIANO UT IUCUNDAM REDDERET MORTEM ET PROPRIAM REQUIEM OCULIS PROPONERET ANIMO COMPOSITO ET IMMORTALI SIBI VIVENS POSUIT TOTIUS PRAEDICTI ORDINIS PROTECTOR HIERONIMUS CARDINALIS COLUMNA A.D. MDCLII»
Il tabernacolo è realizzato in pregiato marmo fior di pesco e risale al XVII secolo: consiste in un baldacchino d'argento sorretto da quattro colonnine corinzie. Il ciborio in metallo argentato conservato all'interno è un'opera moderna dello scultore Tommaso Merendoni.
Nella cappella del coro d'inverno, sono conservate alcune opere degne di nota: anzitutto un San Francesco d'Assisi attribuito a Girolamo Muziano (1528-1592) o a Giovan Battista Caracciolo (1578-1635), poi una Umanità di Cristo di Cherubino Alberti su disegno di Michelangelo Buonarroti, due ovali su due pareti contrapposte raffiguranti San Pietro e San Paolo, attribuiti a Guido Reni. Inoltre c'è anche un San Rocco, copia del quadro conservato presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie e attribuito al Domenichino o a Mattia Farnese (1631-1681), quadro destinato in origine alla cappella di San Rocco nell'omonima località, rasa al suolo nel 1944.[37] Pregevoli sono anche gli affreschi sul soffitto, raffiguranti la Gloria dello Spirito Santo su un finto soffitto sfondato, e gli stalli in noce del coro, risalenti al 1747.[7]
Fino ad alcuni anni fa erano incluse nel territorio parrocchiale anche le località di Palazzolo, che amministrativamente è compresa nel comune di Rocca di Papa, e Pozzo Carpino, che è un'exclave del comune di Grottaferrata. L'autonomia delle altre parrocchie del centro storico, dove esistono chiese nate con funzione conventuale, è piuttosto recente: la chiesa di Santa Maria delle Grazie si è costituita parrocchia solo nel 1954,[52] mentre la chiesa della Santissima Trinità è nata alla fine degli anni cinquanta.
^ Emanuele Lucidi, Memorie storiche dell'antichissimo municipio ora terra dell'Ariccia, e delle sue colonie di Genzano e Nemi, parte II, cap. III p. 340.
«La Comunità di Marino, umilissima oratrice della S.V. Rev.ma, espone come avendosi eletto San Barnaba a Patrono Protettore appresso Sua Divina Maestà, et per ex voto; si debba guardare la festa dello detto Santo. Et per tanto supplica si degni concederli il placet per guardare detta festa; che il tutto riceverà per grazia di V.S. Ill.ma er Te.V.ma quam Deus…»
^Ugo Onorati, opera citata, riporta il testo del rescritto:
«Concedimus ut petitur iuxta decretum expediendum, Romae, 4 junii 1619, Sfortia Cardinalis Ep.us Alban…»
«Ob eorum in adversis retroactorum temporum vicissitudinibus erga ipsum et Sedem Apostolicam probatam fidelitatem ac devotionem.»
^. Tanto per fare alcuni raffronti con alcune chiese più o meno coeve dei Castelli Romani, la Cattedrale di San Pietro di Frascati, eretta tra il 1599 ed il 1636, costò alla Comunità locale e alla sede suburbicaria di Frascati complessivamente poco meno di 40.000 scudi a fronte delle dimensioni seguenti: lunghezza 42,30 metri; larghezza della facciata 34,10 metri; altezza al tetto 21,80 metri. La Collegiata dell'Assunta di Ariccia invece, eretta tra il 1661 ed il 1665, costò al cardinale Flavio Chigi e a suo fratello Agostino 84.000 scudi, per una semplice pianta circolare sormontata dalla famosa cupola, progettata però da Gian Lorenzo Bernini.
^Ugo Onorati, Vita e opere di monsignor Giovanni Eleuterio Lovrovich, in AA.VV., Don Giovanni a 10 anni dal suo ritorno al padre, p. 23.
^Ugo Onorati, Vita e opere di monsignor Giovanni Eleuterio Lovrovich, in Don Giovanni a 10 anni dal suo ritorno al padre, pp. 24-26.
^Marino saluta mons. Aldo Anfuso, su comune.marino.rm.it, Comune di Marino, 30 settembre 2008. URL consultato il 3 marzo 2016 (archiviato dall'url originale il 24 luglio 2012).
^Riferita autorevolmente anche da Tomassetti, p. 214
^ Ugo Onorati, Non è turco lo Scudo marinese da Lepanto!, in Castelli Romani. Vicende, uomini, folklore, n. 3, Ariccia, Nello Spaccatrosi Editore, maggio-giugno 2020, pp. 67-71.
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