Non ci fu però tregua fra le due casate e i baroni siciliani lo avevano rifiutato, e avevano eletto re il fratello di Giacomo, Federico III d'Aragona. La guerra riprese con violenza e dopo che una flotta aragonese-napoletana aveva riportato la vittoria sui siciliani nel 1299, lo scontro si era spostato in Sicilia, dove i figli di Carlo II lo Zoppo, Roberto con il fratello, Filippo I di Taranto, avevano conquistato Catania e cinto d'assedioMessina; Federico però aveva riportato una notevole vittoria, nella battaglia di Falconara (Trapani), aveva resistito a Messina, facendo prigioniero Filippo, e resisteva in Calabria.
Dopo che il papa Bonifacio VIII, nel 1300, aveva chiamato in aiuto i templari, gli ospitalieri e i riluttanti Genovesi, la situazione non progredì, fatta eccezione per una nuova brillante vittoria della flotta di Ruggero di Lauria su quella siciliana, il 14 giugno. Infine Bonifacio VIII si rivolse al re di Francia, Filippo IV il Bello, che inviò un esercito al comando del fratello, Carlo di Valois, che, arrivato in Sicilia, nel maggio del 1302, bruciando e depredando, l'attraversò sino a Sciacca, dove però arrivò distrutto dalla malaria e per la paura di un deciso attacco da parte di Federico, gli offrì la pace. La guerra dei Vespri siciliani terminò con la pace di Caltabellotta, del 30 agosto, che portò alla definitiva separazione della Sicilia dal Regno di Napoli e gli Angioini persero definitivamente l'isola.
Guerre contro i ghibellini e gli imperatori
Dopo la morte del papa Benedetto XI Roberto fu eletto capitano della Lega toscana, che avrebbe dovuto pacificare i guelfi della Toscana, in lotta tra loro (guerra tra guelfi bianchi e neri). Roberto giunse in Toscana nella primavera del 1305 con cavalieri scelti aragonesi e catalani e la fanteria capitanata da Diego de Rat e, il 20 maggio, Pistoia, governata dai Bianchi, fu circondata da fiorentini e lucchesi. Ma Roberto, che si apprestava ad assaltare la città per conquistarla, dovette ritirarsi per l'opposizione del nuovo papa Clemente V, ossia il guascone Bertrando di Got, suddito del re d'Inghilterra, eletto il 5 giugno, il quale continuò la politica del suo predecessore: una neutralità leggermente favorevole a Bianchi e Ghibellini.
Sul trono di Napoli
Alla morte del padre, nel 1309, divenne re di Napoli consacrato incoronato, a Lione, da Clemente V e da allora fu personaggio importantissimo della vita politica italiana. Per agevolare la riconciliazione tra guelfi e ghibellini Clemente V appoggiò il vecchio piano di ricostituire il regno di Arles (questo Stato, che era stato incorporato nell'impero dall'imperatore d'Occidente, Corrado il Salico, nel 1035 circa, si estendeva su un territorio, poi diviso tra contea di Provenza, contea di Forcalquier, marchesato di Provenza, ducato di Borgogna e una parte della Franca Contea), mettendo in contatto i capi delle due fazioni, Roberto il Saggio e il nuovo imperatore, Arrigo VII.
Il piano prevedeva che il regno di Arles fosse ceduto dall'imperatore a uno dei due figli di Roberto (ciò perché nel 1257 il nonno di Roberto, Carlo I d'Angiò, aveva acquisito i diritti al trono del regno di Arles), il quale avrebbe sposato una delle due figlie di Arrigo. Il piano però fallì, oltre che per l'opposizione di vari feudatari provenzali e borgognoni, anche per la fiera opposizione del re di Francia, Filippo il Bello, che, mal sopportando l'instaurazione di un regno dei cugini angioini nel sud-est della Francia, fece molte pressioni[3] sulla corte papale di Avignone, cosicché Clemente V ritirò l'appoggio al progetto, che, senza la sua approvazione, fu tacitamente lasciato cadere[4].
Comunque, vicario del papa in Romagna dal 1310, Roberto fu alla testa dei guelfi, che si opponevano ad Arrigo VII[5] (1311-1313), che nel 1312 occupò Roma; Roberto, pur non opponendosi apertamente all'imperatore, aveva inviato a Roma il proprio fratello, Giovanni di Gravina, con quattrocento cavalieri per contrastare l'ingresso di Enrico nell'Urbe. Arrigo VII, lasciata Roma per sottomettere la Toscana, convocò una dieta a Pisa, a cui Roberto non si presentò e fu dichiarato ribelle, meritevole della morte dall'imperatore, che si accordò con Federico III per conquistare il regno di Napoli. Ma mentre si dirigeva verso Roma, per poi invadere il regno di Napoli, a Buonconvento, fu colto da forti febbri malariche che lo portarono alla morte improvvisamente, il 24 agosto 1313. Dopo la morte di Enrico i suoi sostenitori, i Guelfi, lo definirono «buon Roberto re di un italico regno». La guerra, interrotta dalla morte di Enrico, proseguì contro i ghibellini Matteo Visconti e Cangrande della Scala. Già in possesso di vasti possedimenti in Piemonte, Roberto estese ulteriormente la propria influenza nella penisola: nel 1317 fu nominato dal papa senatore di Roma, nel 1318 divenne signore di Genova - di cui detenne la signoria sino al 1334 - e, nel 1319, di Brescia[6], e ancora tra il 1313 e il 1318, fu signore di Firenze, voluto dallo stesso governo guelfo della città.
Intervenne militarmente in Piemonte nel 1341 per sostenere Manfredo V di Saluzzo contro il nipote Tommaso II: durante questa spedizione militare le milizie angioine saccheggiarono Saluzzo, che venne data alle fiamme.[senza fonte] Tornato a Napoli le sue costanti preoccupazioni furono riacquistare la Sicilia e assicurare la successione dinastica; questa fu gravemente compromessa dalla morte nel 1328 del figlio ed erede Carlo, Duca di Calabria, che aveva lasciato soltanto due figlie, Giovanna d'Angiò e Maria di Calabria. Per assicurare la successione di Giovanna, nel 1333 Roberto la promise in sposa ad Andrea d'Ungheria, figlio di Carlo I d'Ungheria.[8]
Le sue ultime volontà furono dettate il 16 gennaio 1343 a Napoli, nel Castel Nuovo, confermando la scelta di Giovanna come erede e la reggenza per Sancha. Morì il 20 gennaio.[8]
Ma le guerre siciliane non condussero ad alcun risultato, mentre il disgraziato matrimonio tra la nipote Giovanna e Andrea d'Ungheria, voluto dal re, segnò l'inizio delle vicende burrascose che avrebbero provocato la fine della dinastia.
La corte e il mecenatismo
Fu ricordato da Petrarca e Boccaccio come colto e generoso mecenate: Petrarca, che gli dedicò l'Africa, volle addirittura essere esaminato da lui prima dell'incoronazione in Campidoglio (1341). Molto meno lusinghiero fu invece il giudizio di Dante Alighieri, la cui opposizione alla presenza degli Angiò in Italia si concentrò nei confronti di re Roberto, colpevole tra l'altro di aver ostacolato la consacrazione ad imperatore di Enrico VII a Roma, per cui Dante nutriva speranze per l'affermazione del potere imperiale e il risanamento dei conflitti presenti in tutta la Penisola.[9]
Membri della sua corte furono i notai Barbato da Sulmona, dal 1341 stretto amico del Petrarca che lo incontrò proprio a Napoli, Guglielmo di Scala e il francescano Roberto di Mileto, custodi dei sigilli reali.[10] Roberto da Mileto entrò nella corte angioina nel 1329 ed era uno dei spirituali, una corrente più intransigente all'interno del movimento francescano, ed ebbe una notevole influenza religiosa sia su re Roberto che sulla sua seconda moglie Sancia.[11]
Roberto d'Angiò fu anch'egli letterato: a lui viene attribuita la composizione del canto religioso Credo regis[12] e una lunga raccolta di sermoni, tanto da ottenere ancora in vita il titolo di "re da sermone" da Dante Alighieri stesso, in maniera del tutto negativa come commento all'apparente propensione di Roberto più per una vita religiosa e umanistica che politica come sovrano. Comporre e scrivere sermoni era un'attività che già altri sovrani avevano perseguito, come Pietro IV d'Aragona altrimenti noto come "il Cerimonioso", ma Roberto d'Angiò, in quanto a vassallo del Papa e capo della fazione guelfa in Italia, fu particolarmente prolifico in questa attività, che perseguì per tutta la durata del suo regno e adoperò in occasioni diplomatiche e politiche, accademiche di fronte ai professori e studenti dell'università di Napoli, e infine per occasioni religiose, come il soggiorno reale alla corte papale o le visite alle varie abbazie del regno.[13]
^Filippo il Bello arrivò a fare dire ai suoi ambasciatori che avrebbe ritenuto il papa il principale colpevole della indebita ricostituzione del regno di Arles.
^Il regno di Arles venne in auge altre due volte, nel 1320, per essere donato al fratello di Filippo il Bello, Carlo di Valois, e nel 1332 per essere offerto al figlio di Carlo di Valois, il re di Francia Filippo di Valois. Ma, ambedue le volte, Roberto il Saggio fu tra gli oppositori del piano.
^Quando Enrico VII di Lussemburgo (o Arrigo VII) arrivò in Piemonte rifiutò l'omaggio di Alessandria e Asti (feudi di Roberto), per cortesia nei riguardi di Roberto che si fece garante della loro fedeltà.
^ Delphine Carron, Elisa Brilli e Johannes Bartuschat, Domenicani e la costruzione dell'identità culturale fiorentina (XIII-XIV secolo), Firenze University Press, 2020, ISBN978-8855180450.
Romolo Caggese, Italia, 1313-1414, in Storia del mondo medievale, vol. VI, 1999, pp. 296–331.
Carlo Cocchetti, Brescia e la sua provincia, 1859.
P.J. Blok, Germania,1273-1313, in Storia del mondo medievale, vol. VI, 1999, pp. 332–371.
Hilda Johnstone, Francia: gli ultimi capetingi, in Storia del mondo medievale, vol. VI, 1999, pp. 569–607.
Paul Fournier, Il regno di Borgogna o di Arles dall'XI al XV secolo, in «Storia del mondo medievale», vol. VII, 1999, pp. 383–410.
Tanja Michalsky: Memoria und Repräsentation. Die Grabmäler des Königshauses Anjou in Italien (= Veröffentlichungen des Max-Planck-Instituts für Geschichte. 157). Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen 2000, ISBN 3-525-35473-8.
Tanja Michalsky (a cura di): Medien der Macht. Kunst zur Zeit der Anjous in Italien. Reimer, Berlin 2001, ISBN 3-496-01231-5.