Pietro Francesco Orsini di Gravina nacque a Gravina in Puglia da Ferdinando III Orsini, XI duca di Gravina, e da sua moglie, Giovanna Frangipane della Tolfa di Toritto. Fu il figlio maggiore della coppia, che ebbe sei figli.
Il padre morì nel 1658, quando egli aveva otto anni, e - quindi - ereditò subito da lui il titolo di feudatario di Solofra. Fu educato da Niccolò Tura, domenicano di Solofra, e da sua madre Giovanna, donna religiosa e caritatevole. Iniziò gli studi nella stessa cittadina e, a 16 anni, fondò l'Accademia dei Famelici.
A 17 anni chiese di entrare nel noviziato dell'ordine che egli più amava, quello dei domenicani, durante un viaggio a Venezia, nonostante alcuni suoi parenti non fossero d'accordo per il fatto che egli era primogenito. Si appellò a papa Clemente IX, che non solo accettò l'ingresso ma, viste le doti del ragazzo, lo dispensò dagli studi propedeutici.
Nel 1668 egli rifiutò l'eredità del titolo di duca, che passò al fratello, e fece la sua prima professione. L'Orsini divenne frate domenicano con il nome di fra' Vincenzo Maria nel convento di San Domenico in Venezia il 13 febbraio 1668. Studiò a Brescia, Napoli, Bologna e Venezia laureandosi in filosofia e teologia. Fu ordinatosacerdote da papa Clemente X il 24 febbraio 1671.
Cardinale e vescovo
A soli ventitré anni, il 22 febbraio 1672, divenne cardinale del titolo di San Sisto e prefetto della Congregazione del concilio; accettò solo dopo che il Maestro generale dell'Ordine dei frati predicatori, chiamato dal papa Clemente X, lo obbligò. Si trasferì, quindi, a Roma. Fino all'elevazione alla porpora di Benedetto Pamphilj, effettuata da Innocenzo XI il 1º settembre 1681, è stato il cardinale italiano più giovane.
Nel 1675 gli furono proposte le sedi vescovili di Salerno e di Manfredonia: la sua scelta cadde su quest'ultima, che era meno prestigiosa e meno ricca, ma vicina al suo luogo natìo; fu, quindi, nominato il 28 gennaio 1675 arcivescovo di Manfredonia e consacrato il 3 febbraio dello stesso anno dal cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni. Qui dimostrò le sue doti di vicinanza al popolo di Dio, anche se il suo carattere zelante lo portò ad avere contrasti con alcuni importanti funzionari del vice-regno e con i legati spagnoli. Durante il ministero condusse una vita ascetica, senza rinunciare in alcun modo ai suoi doveri di vescovo, tra cui quello di effettuare periodiche visite alle chiese locali.
Papa Innocenzo XI e il cardinale Paluzzi Altieri, suo protettore e uomo vicino alla sua famiglia, fecero in modo che il 22 gennaio 1680 accettasse il trasferimento alla sede vescovile di Cesena, con il titolo personale di arcivescovo. In tale città, però, ebbe problemi di salute e vi poté soggiornare solo due anni (su un totale di sei anni), poiché si assentò per curarsi all'isola d'Ischia e a Napoli.
Il suo fervore religioso e la sua condotta di vita virtuosa influenzarono con il tempo anche sua madre, sua sorella e due sue nipoti che entrarono nel terz'ordine domenicano. Alla morte di Clemente X partecipò al conclave del 1676 entrando nel grande gruppo dei cardinali cosiddetti "zelanti", cioè non schierati con nessuna potenza europea. Il 18 marzo 1686 gli fu proposta la sede arcivescovile di Benevento, ritenendola più consona al suo stato di salute; vi risiedette per ben trentotto anni e conservò la cattedra anche dopo l'elezione a Romano Pontefice, in via eccezionale.
Di grande rilievo fu la sua sollecitudine pastorale; ogni anno, infatti, visitava in media una settantina di parrocchie completando il giro ogni due anni[1]. Tenne due sinodi provinciali, il primo nel 1693, al quale parteciparono diciotto vescovi e il secondo nel 1698, con il contributo di venti vescovi; entrambi gli atti furono approvati a Roma. Costruì ospedali e alleviò le sofferenze dei poveri. Precorrendo i tempi, diede un forte impulso alla fondazione dei monti frumentari in tutta la diocesi per prestare ai contadini indigenti i fondi per acquistare le sementi. Essi assunsero l'impegno di restituirli dopo aver venduto il raccolto[2].
Durante il suo episcopato il terremoto colpì due volte Benevento (8 giugno 1688 e 14 marzo 1702). L'Orsini fece riparare numerosi edifici danneggiati, meritandosi l'appellativo di “secondo fondatore” della città. Protesse il giovane Niccolò Paolo Andrea Coscia, facendogli percorrere una rapida carriera come funzionario della Curia diocesana, fino a nominarlo suo segretario personale.
Il 3 gennaio 1701 optò per l'ordine dei cardinali vescovi e la sede suburbicaria di Frascati, conservando l'amministrazione di Benevento. Il 27 settembre 1710 consacrò, su invito di Alessandro Macedonio, la miracolosa cappella di San Giovanni Battista, realizzata nella torre del castello Macedonio a Grottolella[3]. Nella cripta della cappella di San Giovanni Battista riposavano le spoglie della duchessa Emilia Cioffi, moglie di Nicola Macedonio, feudatario di Grottolella.
Il cardinal Orsini partecipò a sei conclavi, inserendosi sempre nel gruppo degli zelanti. L'ultimo pontefice prima di lui che partecipò a sei conclavi fu Leone XI (1-27 aprile 1605). Dopo di lui nessun papa (fino al XX secolo incluso) ha partecipato a un pari numero di elezioni papali.
Nel 1728 scrisse un'opera di teologia pratica e penitenza, pubblicata nello stesso anno.
Il conclave durò dal 20 marzo al 29 maggio. Parteciparono alla fase finale 53 cardinali. I cardinali si riunirono attorno a quattro gruppi: filo-imperiali; filo-francesi; zelanti; i cardinali veneziani.
Il 7 settembre 1724 il pontefice pubblicò la bolla Romani pontificis in cui stabilì che la carica di decano del Collegio cardinalizio spettasse al cardinale più longevo. Impose ai porporati una veste meno lussuosa e meno mondana;
Il 23 settembre dello stesso anno pubblicò la bolla In supremo, nella quale stabilì le funzioni dei sacerdoti nelle processioni; il successivo 30 settembre concesse alle confraternite francescane di operare anche al di fuori del proprio ordine (Sacrosancti apostolatus).
Siccome alcuni abati regolari neoeletti mancavano di chiedere, come da tradizione, la benedizione al vescovo diocesano, il pontefice fissò l'obbligo di ricevere la benedizione entro un anno dalla nomina (Commissi nobis, 6 maggio 1725);
L'8 giugno 1725 pubblicò una raccolta di leggi (costituzione apostolicaEx quo divina). In essa stabilì che non può ritenersi salvo, anche rifugiandosi in una chiesa, colui che ha compiuto in modo proditorio un omicidio, ed anche l'uccisore del suo prossimo con premeditata decisione[5]. Nella stessa costituzione apostolica è contenuto un provvedimento riguardante i Cavalieri dell'Ordine di Malta in cui si disciplina il duello[6]; proibì inoltre ai sacerdoti di farsi crescere la barba e di vestirsi con abiti laici.
Il 14 giugno 1727 pubblicò la costituzione apostolica Maxima vigilantia con la quale stabilì per ogni sede episcopale e casa religiosa esistente in Italia l'obbligo di istituire un archivio[7]
Nel 1729 riconobbe la Confraternita della Buona Morte (Bona Mors), che eresse in arciconfraternita.
Per favorire lo sviluppo di seminari diocesani, istituì una commissione speciale, la Congregazione dei seminari.
Decisioni in materia liturgica
Nel 1725 il pontefice celebrò il giubileo universale della cristianità. Fautore della morigeratezza dei costumi, rinunciò alla carica di "Gran Penitenziere". Durante l'anno giubilare tenne un sinodo della Chiesa romana nella Basilica del Laterano[8];
Nello stesso anno approvò la pubblicazione del Memoriale rituum, con il quale consentì alle chiese minori (per esempio, le parrocchie con un solo sacerdote) di celebrare le Sante Messe che, nelle altre chiese, vanno celebrate con solennità[9]. Sempre nel 1725 emanò un provvedimento con il quale annullò le esenzioni al funerale religioso;
Nel 1727 riformò il Caeremoniale Episcoporum (Cerimoniale dei vescovi, modificato più volte nei secoli) stabilendo che fosse ripristinato l'uso originario (bolla Licet alias, 7 marzo 1727)[10].
Nel 1727 intervenne nella controversia dei riti malabarici, disputa che si trascinava da anni e riguardava il modo con cui i Gesuiti missionari in India avevano accolto le usanze locali nella liturgia cattolica. Il pontefice ingiunse i missionari ad uniformarsi ai decreti della Santa Sede[11];
Nel 1724 il clero francese propose al Papa di ritirare la costituzione apostolicaUnigenitus Dei Filius, emessa da Clemente XI nel 1713 con la quale il predecessore aveva inteso sradicare il fenomeno del giansenismo. Il provvedimento aveva provocato però anche delle divisioni tra i vescovi, minando l'unità della Chiesa francese. La risposta di Benedetto giunse in occasione del sinodo della Chiesa romana avvenuto durante l'anno santo 1725. Il pontefice richiese agli appellanti un'incondizionata accettazione della bolla e incaricò l'Ordine domenicano di far rispettare le disposizioni della Santa Sede. Il 28 giugno 1728 pubblicò la bolla Pretiosus con la quale confermò che la teologia tomista è incompatibile con il pensiero di Giansenio e di Pasquier Quesnel. L'arcivescovo di Parigi, il molto influente Louis-Antoine de Noailles, si pronunciò a favore della bolla pontificia.
Con la bolla Nuper pro parte dilectorum (8 gennaio 1726) assegnò una dote alle ragazze ebree neofite cristiane. Il 14 febbraio 1727 (Emanavit nuper) pubblicò le disposizioni necessarie per il battesimo degli ebrei. Il 21 marzo 1729 (Alias emanarunt) vietò agli ebrei di commerciare talune merci.
Relazioni con i monarchi europei
Imperatore del Sacro Romano Impero
Nel 1708 la città di Comacchio (la cui appartenenza all'Impero o allo Stato della Chiesa era oggetto di disputa fin dalla devoluzione di Ferrara alla Santa Sede nel 1598) era stata sottratta alla Santa Sede; Clemente XI l'aveva rivendicata, ma Comacchio non era stata ancora restituita. Innocenzo XIII riuscì a convincere la Corte di Vienna, ma morì prima che si concludessero i negoziati. Benedetto XIII completò l'opera del predecessore. Il trattato che restituiva Comacchio alla Santa Sede fu firmato il 25 novembre 1724[13]. La restituzione di Comacchio divenne efficace il 20 febbraio dell'anno seguente. Come gesto di riconoscenza, Benedetto XIII accordò all'imperatore Carlo VI d'Asburgo le decime ecclesiastiche su tutti i dominii austriaci. Infine, il 30 agosto 1728 il pontefice riconobbe i privilegi dell'imperatore sul governo della chiesa siciliana.
Regno del Portogallo
Un'altra questione che Benedetto XIII aveva ereditato da Innocenzo XIII era la nomina del nuovo nunzio presso la corte di Giovanni V. Il re voleva che il nunzio uscente, Vincenzo Bichi, fosse promosso cardinale. Quando capì che Giovanni V mirava in realtà ad avere un cardinale di corona, Innocenzo XIII non accolse la sua richiesta. Benedetto continuò la linea del predecessore, ma dovette subire la ritorsione del re, che ritirò il cardinale Pereira, l'ambasciatore ed altri funzionari della Corte da Roma. Inoltre il re bloccò la nomina del successore di Bichi. Il pontefice cercò quindi la mediazione del re di Spagna Filippo V. Tra le corti di Madrid e di Lisbona vi erano buone relazioni, tanto che nel 1729 l'infanta del re di Spagna sposò l'erede al trono del Portogallo. C'erano così tutte le premesse per addivenire a un compromesso. Però l'anno successivo il pontefice morì, rimandando ancora una volta la soluzione della questione[14].
Regno di Sardegna
Dopo la guerra di successione spagnola le relazioni tra i Savoia e il papato si deteriorarono. La causa apparente fu il rifiuto da parte del duca Vittorio Amedeo II (che dal 1720 si fregiava del titolo di re di Sardegna) di rispettare i privilegi della Santa Sede sull'isola. Per reazione, il papa non confermò le nomine vescovili già approvate dal duca. A causa delle tensioni createsi tra i due poteri, molte sedi vescovili dell'isola rimasero prive di guida pastorale. Per migliorare le relazioni con il papa, Vittorio Amedeo II inviò un nuovo ambasciatore a Roma nella persona del marchese Carlo Vincenzo Ferrero d'Ormea. Egli riuscì a far riconoscere Vittorio Amedeo II come re di Sardegna e, soprattutto, a stipulare nel 1727 un Concordato che normalizzò le relazioni fra i due Stati.
Opere realizzate a Roma
Nel 1724 Benedetto XIII approvò l'edificazione di un ospizio per le persone colpite dalle malattie della pelle, oggi Ospedale San Gallicano. Fu l'ultimo dei cinque ospedali storici di Roma ad essere fondato.
Durante il suo pontificato le seguenti chiese furono edificate o restaurate[15]:
Basilica di San Sisto Vecchio: l'edificio venne ricostruito (ad eccezione dell'abside e del campanile). Oltre alla chiesa, avviò la ricostruzione del convento e del chiostro;
Benedetto XIII confermò i bandi di Innocenzo XI che vietavano il gioco del lotto[15].
Patrono di arti e scienze
Nel 1727 il pontefice riconobbe l'Università di Camerino (fondata nel Medioevo) con la bolla Liberalium disciplinarum. Le facoltà erano quelle tradizionali: teologia, giurisprudenza, medicina e matematica.
Il comune di Gravina in Puglia ricorda il suo cittadino più illustre con una statua bronzea, posta nella piazza che porta il suo nome.
Anche Benevento ricorda il suo secondo fondatore con una statua nella piazza intitolata a lui medesimo, antistante il Duomo. L'attaccamento nei confronti di Benevento rimase sempre molto forte come testimonia lo storico Ludwig von Pastor che, nella sua Storia dei Papi, scrive che Orsini continuò a vivere nel "ricordo del lungo tempo passato colà, durante il quale la sua indole di pastore delle anime aveva potuto esplicarsi indisturbata; anche da Papa egli si sentiva a casa sua a Benevento, non a Roma"[20].