La riforma coinvolgeva l'intero sistema scolastico del Regno d'Italia e aveva come obiettivo quello di facilitare l'accesso alle scuole superiori anche da parte dei ceti meno abbienti, nel contesto di quello che venne definito "umanesimo fascista".[2]
In particolare, la riforma dava maggiore importanza alla scienza e alle attività manuali, ponendole sullo stesso piano delle discipline umanistiche, preponderanti nell'istruzione superiore dell'epoca; la riforma mirava a ampliare gradualmente la mobilità sociale verticale, senza incorrere nel rischio di fenomeni come l'inflazione dei titoli di studio e l'ipercredenzialismo[3].
Contenuti
La scuola materna ed elementare
La riforma stabiliva l'obbligo di frequentare la scuola materna e suddivideva la scuola elementare (detta "del primo ordine") in due cicli:
la scuola elementare triennale, a sua volta divisa in urbana e rurale, con diversi orari e programmi didattici, e
La scuola media[5] (detta "del secondo ordine") veniva divisa in tre corsi:
la scuola artigianale era concepita per il ceto rurale e per i piccoli insediamenti e si divideva in vari indirizzi (commerciale, industriale, nautica, agricola, artistica),
la scuola professionale, di maggiore rilievo rispetto alla prima, era rivolta a chi volesse proseguire gli studi in una scuola tecnica.
La scuola media unica preparava gli alunni al liceo e all'università (come sarà poi nelle riforme del 1963 - 1977).[6]
^Betti, Carmen, Editoriale: alla eterna ricerca della buona scuola, Historia Magistra: rivista di storia critica, 18, 2, 2015, Milano: Franco Angeli, 2015.