La diocesi, situata nel nord-ovest della Sardegna, comprende la città di Alghero ed altri comuni delle province di Sassari, Oristano e Nuoro, tra i quali i più popolosi sono Bosa e Macomer. Nel dettaglio[1]:
La medievale diocesi di Bosa trae la sua origine dall'antica diocesi di Cornus, città punico-romana che, secondo l'Itinerario Antonino, era a metà strada tra Bosa e Tharros, lungo la costa centro-occidentale della Sardegna. Qui è attestata per la prima volta[2] la presenza di una diocesi nel V secolo, quando Bonifacio di Senafer prese parte, assieme ad altri vescovi sardi, al concilio indetto a Cartagine nel 484 dal re vandaloUnerico; oggi tutti gli storici identificano Senafer con l'antica Cornus[3], la cui diocesi fu eretta probabilmente tra la fine del IV secolo e gli inizi del V, come indicherebbero i dati archeologici[4].
In una lettera indirizzata da Gregorio Magno al metropolita di Cagliari, Ianuarius, sono menzionati tutti i vescovi dell'isola senza però riferimento alla sede di appartenenza; è presumibile che uno di questi sia stato vescovo di Cornus.[5] Infine la Chiesa di Cornus è ancora attestata nel VII secolo, quando il vescovo Boezio, vescovo della Sancta ecclesia Cornensis, prese parte al concilio indetto a Roma da papa Martino I nel 649. La diocesi ebbe termine con l'occupazione saracena dell'isola, che portò alla scomparsa di tutte le strutture cristiane. Gli scavi archeologici hanno messo in luce, in località Columbaris, a circa un chilometro da Cornus, una insula episcopalis, consistente nei resti di una basilica con fonte battesimale e di altri edifici ad uso cultuale ed abitativo.[6]
Nel corso del XII e XIII secolo la diocesi vide l'arrivo di diversi ordini religiosi; tra questi, sono attestati i benedettini cassinesi a Ferrughesu di Suni, i camaldolesi a Scano Montiferro e a Pozzomaggiore, e i cistercensi a Sindia e a Garaveta di Bosa.
Nel XIV secolo il primitivo borgo di Bosa andò spopolandosi a favore della località di Serravalle, dove la famiglia Malaspina, di origini toscane, aveva fatto costruire il nuovo castello. Anche i vescovi vi trasferirono la loro sede, e la chiesa di Santa Maria divenne la nuova cattedrale della diocesi.
Al concilio di Trento, nel Cinquecento, presero parte due vescovi di Bosa, Baltasar de Heredia e Vincenzo de Leone; il primo ebbe modo di intervenire in più occasioni, nei dibattiti teologici sul peccato originale, sulla giustificazione e sulla concezione immacolata di Maria. Tra i vescovi post-conciliari, si distinse in particolare Nicolò Canelles, che nel 1580 diede alle stampe nuove costituzioni per regolamentare la vita e la disciplina del clero. Antonio Atzori celebrò nel 1593 il primo sinodo diocesano; di questi se ne conoscono quindici, fino alla fine del Settecento.
Tra Settecento e Ottocento venne istituito il seminario diocesano, nei locali dell'ex collegio dei gesuiti, durante l'episcopato di Giovanni Antonio Cossu, e fu ricostruita la cattedrale, all'epoca del vescovo Gavino Murru.
Il 9 marzo 1803, in concomitanza con la restaurazione della diocesi di Bisarcio, Bosa cedette 6 parrocchie alla diocesi di Alghero, acquisendo al contempo alcune piccole parrocchie dall'arcidiocesi di Oristano.
A metà dell'Ottocento, la diocesi rimase vacante per 26 anni, per la mancata presentazione dei vescovi da parte dei re di Sardegna; nel 1855 furono espropriati dallo Stato alcuni conventi diocesani. Per porre fine a questa situazione irregolare, papa Pio IX nel 1871 nominò il nuovo vescovo Eugenio Cano, senza attendere la presentazione da parte del governo sabaudo.
Alghero
La diocesi di Alghero fu eretta l'8 dicembre 1503 con la bollaAequum reputamus di papa Giulio II, che diede attuazione ad una disposizione del suo predecessore Alessandro VI: con questa bolla il papa sopprimeva le sedi vescovili di Castro e di Bisarcio, che venivano unite a quella di Ottana, il cui vescovo contestualmente trasferiva la sua sede ad Alghero, sottratta alla giurisdizione degli arcivescovi di Torres.
La diocesi era costituita da due entità territoriali non contigue fra loro:[7] la parte più consistente era formata dal territorio delle antiche sedi di Castro, Bisarcio e Ottana, nel centro-nord dell'isola; una porzione di diocesi si trovava sul litorale occidentale ed era formata da Alghero e dal suo territorio, distante dai 90 ai 150 chilometri dal resto della diocesi. Questa situazione, voluta "dai re di Spagna che intendevano confermare l'importanza strategica di Alghero anche con vescovi fedeli alla corona"[8], finì per creare problemi e rendere difficoltosi il governo e l'azione pastorale.
Pietro Parente, genovese, fu il primo vescovo a risiedere ad Alghero e presenziò al concilio Lateranense V nel 1512, dalla prima alla settima sessione. L'attuazione delle disposizioni relative alle soppressioni delle antiche sedi non fu immediata e sollevò diverso malumore, soprattutto da parte del capitolo di Ottana, restio a trasferirsi ad Alghero. Pietro Parente infatti compare nel concilio Lateranense ancora con il titolo di "vescovo di Ottana". Così anche il suo successore, Juan Loaysa. Ed è solo nel 1543, durante l'episcopato di Pedro Vaguer, che si ebbe la formale presa di possesso da parte del vescovo di Alghero delle antiche sedi di Castro, di Bisarcio e di Ottana. Ma i malumori dovettero continuare ancora a lungo, perché nel 1572papa Gregorio XIII dovette intervenire per confermare e ribadire la soppressione delle antiche sedi episcopali.[9]
Pedro del Frago Garcés (1566-1572) fu il primo vescovo a risiedere stabilmente in diocesi e poté dare avvio ad una normale attività amministrativa e pastorale, alla luce del concilio di Trento: celebrò due sinodi diocesani e avviò la costruzione della cattedrale. Andrés Bacallar (1578-1604) è considerato il vero fondatore della diocesi: "Nel 1581 celebrò un sinodo diocesano con orientamenti marcatamente pastorali: gli atti, redatti in catalano e conservati manoscritti nell'archivio diocesano, rivestono anche un grande interesse letterario e giuridico, perché rappresentano l'unico testo di diritto ecclesiastico sardo in lingua catalana; fondò il seminario (secondo in tutta l'isola); si adoperò perché i gesuiti aprissero in Alghero un collegio con scuole (1588); portò a compimento la costruzione della cattedrale che inaugurò nel 1593 e portò a termine ben nove visite pastorali".[8]
Quando la Sardegna passò dalla Spagna ai Savoia (1718), la diocesi ebbe quasi ininterrottamente dei vescovi piemontesi, bene preparati e dediti ad attività pastorali; Giuseppe Agostino Delbecchi costruì il nuovo seminario (1753); Gioacchino Michele Radicati fece editare nel 1790 in lingua algherese il catechismo della dottrina cristiana.
Tra Settecento e Ottocento la diocesi perse la maggior parte del territorio dell'entroterra: infatti il 21 luglio 1779 parte del territorio dell'antica diocesi di Ottana fu ceduto a vantaggio del ripristino della diocesi di Galtellì-Nuoro (oggi diocesi di Nuoro); il 9 marzo 1803 il territorio corrispondente a quello delle antiche diocesi di Castro e di Bisarchio fu ceduto a vantaggio del ristabilimento della sede di Bisarchio (oggi diocesi di Ozieri). Contestualmente il suo territorio fu ingrandito nel 1798 con 3 parrocchie (Uri, Olmedo e Semestene) dell'arcidiocesi di Sassari, e nel 1803 con 6 parrocchie (Mara, Monteleone, Padria, Pozzomaggiore, Romana e Villanova Monteleone) sottratte alla diocesi di Bosa. Queste acquisizioni permisero l'unione tra la parte della diocesi attorno ad Alghero con ciò che restava del territorio dell'entroterra.[8]
^È priva di fondamento documentario la tradizione secondo cui la diocesi di Bosa sarebbe erede di un'antica diocesi sarda, Calmedia o Calmeida, il cui primo vescovo darebbe stato sant'Emilio (66 d.C.). Cappelletti e Bima elencano sedici vescovi di Calmedia. Gams menziona altri vescovi, non riportati tuttavia dalle fonti citate.
^Enciclopedia della Sardegna, vol. 3, pp. 71-72; Matteo Poddi, op. cit., p. 394; Pier Giorgio Spanu, op. cit., p. 96.
Enciclopedia della Sardegna, vol. 3, Sassari, 2007, pp. 71–72 (Columbaris) e 147–149 (Cornus)
Matteo Poddi, Senafer (Cornus-Cuglieri?), in Raffaela Bucolo (a cura di), Le sedi episcopali della Sardegna paleocristiana. Riflessioni topografiche, Rivista di archeologia cristiana 86 (2010), pp. 393–402
Attilio Mastino, La Sardegna cristiana in età tardo-antica, in La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno: atti del convegno nazionali di studi, Cagliari, 1999, pp. 263–307