Filottète[1] (in greco antico: Φιλοκτήτης?, Philoktétēs) è una figura della mitologia greca, figlio di Peante e Demonassa o della ninfa Metone (secondo una diversa tradizione).
Famoso arciere originario della penisola di Magnesia, possedeva le frecce e l'arco di Eracle, donati a lui (o al padre Peante)[2] da Eracle stesso, che voleva in tal modo ringraziarlo per aver appiccato il fuoco alla sua pira sul monte Eta.
Soggiorno forzato a Lemno
Il Catalogo delle navi presente nell'Iliade afferma che, nella spedizione achea contro Troia, Filottete guidasse un contingente di sette navi provenienti da Metone, Taumacia, Melibea e Olizone, ognuna con cinquanta rematori abili nel tirare coll'arco.[3]
Filottete, tuttavia, non giunse a Troia con gli altri capi: durante lo scalo, fu morso da un serpente velenoso al piede. La ferita diventò ben presto così infetta da emanare un puzzo insopportabile e Ulisse non fece alcuna fatica a convincere gli altri capi ad abbandonarlo a Lemno, quando la flotta passò vicina a questa isola.
Filottete rimase per dieci anni su quell'isola allora deserta e vi sopravvisse uccidendo uccelli con le frecce d'Eracle.
Ambasceria greca a Lemno
Durante il decimo anno della guerra di Troia gli Achei ricevettero una profezia secondo la quale non avrebbero mai conquistato Troia se Neottolemo ed il possessore dell'arco e delle frecce di Eracle (cioè Filottete) non avessero combattuto con loro.[4]
Quasi tutte le fonti attribuiscono la profezia all'indovino troiano Eleno;[5][6][7][8] fa eccezione Quinto Smirneo, il quale, adottando una versione marginale del mito (riportata solo dall'epitome dello Pseudo-Apollodoro[9]) attribuisce la profezia a Calcante,[10] che nel suo poema ha il ruolo fisso di "consigliere e indovino 'ufficiale' degli Achei".[4]
Ulisse partì dunque in ambasciata verso Lemno, accompagnato da Neottolemo e Diomede, e convinse Filottete ad unirsi a loro promettendogli la cura dei figli d'Asclepio, i medici delle schiere greche.
Imprese nella guerra di Troia
Si attribuiscono all'arciere molti meriti in guerra; le sue stragi furono considerevoli e le sue vittime davvero eccellenti. Igino riferisce che l'eroe uccise tre avversari.[11] Secondo altre fonti egli uccise il troiano Admeto, come ci tramanda Pausania,[12] e poi altri guerrieri troiani, Deioneo,[13] Peiraso[14] e Medonte, figlio di Antenore.[15] Secondo alcuni autori, sarebbe stato lui ad uccidere con le sue frecce Acamante, figlio di Antenore,[16] fino a segnare le sorti della guerra, uccidendo Paride.
Dopo la guerra di Troia
Nell'OdisseaNestore narra che Filottete fu tra coloro che, finita la guerra, tornarono felicemente in patria.[17]
Secondo tradizioni posteriori,[18] invece, fu scacciato dalla patria (Melibea in Tessaglia) in seguito ad un’insurrezione e, venuto in Calabria lungo la costa a nord di Crotone, fondò i centri di Krimisa, Petelia, Macalla e Chone, facendo costruire un tempio a Cirò Marina dedicato ad Apollo, l'antica Krimisa, ove depose l'arco e le frecce di Herakles.
Controversa è la sua morte. I Sibariti, poiché Filottete veniva sentito come eroe proprio al quale si facevano risalire le origini della città, lo presentano come morto in combattimento contro i barbari presso Sibari. La principale tradizione vuole, invece, che l'eroe, dopo aver operato nella Crotoniatide, tra Krimisa e il Neto, sia morto combattendo per mano degli Ausoni Pelleni, popolazione achea già presente nella zona del Neto, in difesa dei Rodii che volevano stanziarsi nell’Italia meridionale.[18]
Fonti
Le principali fonti antiche in cui fu narrato il mito di Filottete sono:[19]
nell'ambito della lirica la Pitica I di Pindaro e un ditirambo di Bacchilide (perduto);
nell'ambito della tragedia attica il Filottete di Eschilo (perduto), il Filottete e il Filottete a Troia (perduto) di Sofocle e il Filottete di Euripide (perduto, tranne che per il prologo, conservato da Dione Crisostomo nell'orazione 59); i tre Filottete vengono confrontati nell'orazione 52 di Dione Crisostomo;