Il primo re di Pergamo fu un certo Filetero, il quale era tesoriere di Lisimaco, diadoco di Alessandro Magno e re della Tracia. Nel 282 a.C. si impossessò della città di Pergamo, nella Troade (Asia Minore) e dopo aver tradito Lisimaco, alla sua morte a Corupedio (281 a.C.), passò dalla parte di Seleuco I. Quando anche questi morì (280 a.C.), Filetero rimase fedele al figlio di Seleuco, Antioco I, e ottenne una notevole autonomia nell'amministrazione del territorio di Pergamo. Pur non trasformando la città in un regno autonomo, la gestì di fatto come un piccolo principato indipendente; è per questo considerato come il fondatore della dinastia degli Attalidi, futuri sovrani di Pergamo. Morì nel 263 a.C.[1]
A Filetero successe Eumene I, che rafforzò ulteriormente il regno contro le mire espansionistiche dei sovrani seleucidi. Nel 262 a.C. infatti il Seleucide Antioco I tentò di riportare Pergamo, ormai stato indipendente, sotto l'impero Seleucide. Nonostante l'esercito Seleucide fosse molto più grande e potente di quello del piccolo regno, Eumene riuscì a infliggere una valorosa sconfitta presso Sardi ad Antioco con un esercito composto perlopiù da mercenari, sancendo di fatto la definitiva indipendenza del regno. Pare che Antioco sia rimasto così sconvolto dalla sconfitta da morire di crepacuore poco tempo dopo. Con il successore Attalo I (241-197) la città esercitò la sua egemonia su gran parte dell'Asia Minore occidentale. Il sovrano rifiutò di pagare il tributo ai Galati, tribù celta stanziatasi nell'area dell'Asia Minore che aveva fondato il regno di Galazia, alleati dell'usurpatore Seleucide Antioco Ierace. Questi mossero guerra ai Pergameni, ma furono sconfitti nel 240 a.C. presso le fonti del Caicó assieme alle truppe di Antioco. Pergamo riuscì quindi ad annettersi molti territori seleucidi dell'Asia Minore.
Ma è nel 232 a.C. con la vittoria sui Tolistobogi, altra tribù celtica della Galazia, presso il tempio di Afrodite della città di Pergamo che il re Attalo I libera le sue terre dalle incursioni celtiche. Grazie a queste vittorie Attalo ottenne grande prestigio presso i Greci d'Asia e gli fu conferito il titolo di Soter ("salvatore"). Attalo celebrò queste vittorie con un ciclo di sculture che raffiguravano i Galati sconfitti (Galata morente e Galata suicida) e costruì il celeberrimo Altare di Zeus. La Gigantomachia, ivi raffigurata, doveva rappresentare la vittoria della civiltà greca, rappresentata dagli dei, sulla barbarie dei celti, simboleggiati dai Titani. Nel 223 a.C.Seleuco III lanciò una spedizione militare per riprendere controllo dell'Asia minore, ma venne ucciso da alcuni suoi mercenari. Ciò nonostante suo zio Acheo proseguì la spedizione e riuscì a infliggere dure sconfitte ai Pergameni, che vennero rinchiusi dentro a Pergamo e persero tutte le loro conquiste. Avrebbe potuto essere la fine del regno, ma Acheo decise di ribellarsi al legittimo sovrano Antioco III e fondare un proprio regno in Asia minore, che aveva come capitale Sardi: tuttavia nel 213 a.C. Antioco si alleò con Attalo per sconfiggere il ribelle e lo sconfisse espugnando Sardi. Così il regno fu salvo e poté riprendere possesso dei suoi territori.
L'alleanza con il Seleucide tuttavia era di puro comodo. Scomparso il pericolo di Acheo, Attalo cominciò a temere che il proprio regno entrasse nell'orbita del gigante Seleucide. Dunque stipulò una importante trattato di alleanza con i Romani, che sostennero attivamente in tutte le numerose guerre che essi affrontarono contro gli stati ellenistici. I Pergameni misero a disposizione dei Romani forze armate e la loro potente flotta nella Prima guerra macedonica, nella Seconda guerra macedonica e nella Guerra contro Nabide, contribuendo in modo determinante alla sconfitta degli avversari di Roma. Per arginare l'espansionismo di Filippo V di Macedonia Attalo si schierò assieme a una alleanza che comprendeva numerosi stati dell'Asia Minore: il risultato della guerra conseguente fu di evitare l'espansione di Filippo nello scacchiere Egeo. Attalo morì nel 197 a.C. in mezzo alla Seconda guerra Macedonica, mentre tentava di convincere i Beoti a schierarsi coi Romani. Il coinvolgimento nelle numerose guerre locali aveva procurato grande prestigio al regno, considerato dai Romani il più fido alleato; inoltre Pergamo conobbe sotto il suo regno un periodo di straordinario fervore culturale e artistico. Gli successe il figlio Eumene II.
Dopo essersi impegnati in queste guerre, la dinastia Attalide dovette affrontare la più importante sfida per la propria sopravvivenza: infatti in quegli anni era in atto una sorta di guerra fredda tra Antioco III, ormai il più potente monarca ellenistico, e la Repubblica Romana. Antioco tentò di legare a sé Eumene proponendo un'alleanza matrimoniale; Eumene tuttavia restò fedele alla alleanza del padre coi Romani rifiutando l'offerta di Antioco. Quando scoppiò la guerra fra Antioco e i Romani Eumene si schierò con questi ultimi; il regno venne devastato e Pergamo stessa fu assediata da Seleuco IV, figlio di Antioco. Tuttavia, con una eroica azione di cavalleria, la città fu liberata dall'assedio. Eumene contribuì alla vittorie navali dei Romani spiegando la propria potente flotta; ma fu su terra che il suo apporto si rivelò determinante. Infatti, nella decisiva Battaglia di Magnesia, quando i carri falcati dei Seleucidi stavano per caricare l'ala destra romana, Eumene (che per esperienza sapeva come i Seleucidi combattevano) ordinò ai legionari di scagliare i pila contro i cavalli nemici, che si imbizzarrirono a caricarono i propri alleati: la battaglia si trasformò dunque in una straordinaria vittoria per i Romani. Nella successiva Pace di Apamea a Pergamo furono conferite gran parte delle province anatoliche dei Seleucidi, rendendo Pergamo il più potente stato dell'Asia Minore. Eumene era riuscito non solo a salvare il regno dalla catastrofe, ma persino a ingrandirlo. Tuttavia, con la scomparsa della minaccia Seleucide, i rapporti fra Pergamo e Roma si raffreddarono: Eumene era diventato un alleato scomodo, pericoloso e troppo potente. Il senato cominciò a complottare per ridimensionare il suo potere.
Infatti, quando nel 167 a.C. si recò a Roma, dopo la vittoria romana a Pidna contro il re di Macedonia, Perseo, non fu ricevuto, poiché si sospettava fosse favorevole all'antico regno macedonico. Tornato in patria, riportò alcune vittorie contro i Galati (nel 166 a.C.), ma Roma decise di proteggere questi ultimi, accordando loro la necessaria autonomia, e mettendo fine così alle campagne militari del re attalide.[2] Nel 164 a.C. venne inviato a Sardi il consolare Gaio Sulpicio Gallo, nel timore che Eumene II potesse allearsi con Antioco Epifane.[3]
«[...] Gallo invitava tutti coloro che intendevano muovere accuse al re Eumene a presentarsi a Sardi entro una data stabilita. Poi recatosi qui egli stesso, vi rimase per circa 10 giorni nella palestra, dando udienza agli accusatori. Accettò ogni genere di diffamazione pronunciata contro il re, e soprattutto, ingigantì ogni fatto ed accusa, quasi usasse questa diatriba con Eumene come motivo di gloria personale. La sensazione era che più i Romani erano duri con Eumene, tanto più i Greci diventavano di lui amici, poiché fa parte della natura dell'uomo stare dalla parte di chi è vessato.»
Pochi anni più tardi, nel 161 a.C., ambasciatori di Prusia II di Bitinia e dei Galati, raggiunsero Roma per accusare Eumene II. Quest'ultimo per discolparsi fu costretto ad inviare il fratello Attalo II.[4]
Con la morte di Eumene II, salì al trono il fratello Attalo II (159-138), tutore di Attalo III (il figlio minorenne di Attalo I), ma di fatto re di Pergamo. Egli, recatosi ancora una volta a Roma nel 159 a.C., non solo riuscì a discolparsi dalle accuse che i Galati, inviati da Prusia II, gli avevano mosso, ma prima di tornare in patria, il senato romano lo colmò di onori e doni, consolidando l'alleanza con i Romani.[5]
«Il senato, infatti, quanto più si era staccato da Eumene e gli era ostile, tanto più cercava di rendersi amico Attalo e di rafforzare il potere di lui.»
Pochi anni più tardi, nel 158 a.C./157 a.C., Attalo II, restituì il trono al vecchio re di Cappadocia, Ariarate V, che gli era stato sottratto da Oroferne. Nel 156 a.C. fu costretto a difendersi da un attacco di Prusia II, re di Bitinia, che riuscì ad avvicinarsi alla stessa Pergamo.
I Romani decisero quindi di aiutare Attalo II contro Prusia II, dopo l'invasione di quest'ultimo ai danni del regno attalide, inviando prima presso i due re come legati, un certo Lucio Apuleio e Gaio Petronio (nel 155 a.C.). La ragione fu riconosciuta ad Attalo e Roma diede l'ordine di sospendere definitivamente le ostilità a Prusia (nel 154 a.C.).
Da Regno a provincia romana
Ad Attalo II successe Attalo III (138-133 a.C.), ultimo dinasta indipendente degli Attalidi, poiché, alla sua morte, lasciò il regno in eredità ai Romani, e il suo territorio venne a costituire la provincia romana d'Asia. Nel testamento, Attalo lasciava alla città di Pergamo e ad altre città la libertà e i territori circostanti, oltre all'esenzione dai tributi, mentre a Roma lasciava i suoi tesori e le sue proprietà, ma soprattutto gran parte dei territori. Il testamento era condizionato dall'assenso della Repubblica romana. Il senato, che inizialmente si era mostrato abbastanza restio ad accettare questo dono, successivamente, non tanto per l'insieme delle proprietà reali lasciate a Roma (dal tesoro regio alle attività manifatturiere), ma soprattutto a causa di una rivolta interna, fu costretta ad intervenire ed annettere l'area, trasformandola in provincia romana.[7]