Il successo letterario di Papini iniziò con Il crepuscolo dei filosofi, pubblicato nel 1906, e col romanzo autobiografico Un uomo finito, del 1913. Come cofondatóre delle riviste «Leonardo» (1903) e «Lacerba» (1913), concepì la letteratura come azione, dando ai suoi scritti un tono ostentato e irriverente. Autodidatta, ebbe una grande influenza nel futurismo italiano e nei movimenti letterari della gioventù. Fu attivo nella sua città natale, Firenze, promuovendo la crescita della cultura italiana con una concezione individualista della vita e dell'arte; partecipò attivamente a movimenti filosofici stranieri. Su tutti: l'intuizionismo francese di Henri Bergson e il pragmatismo anglo-americano di Charles Peirce e William James. Negli anni Trenta, divenne fascista, pur mantenendo un'avversione verso il nazismo e pentendosi poi del razzismo.[1] Si convertì dall'anticlericalismo e dall'ateismo accesi - compresa un'ammirazione per Max Stirner e Nietzsche - al cattolicesimo, rimanendo fedele al Credo cattolico fino alla morte.
Rimosso dalla grande letteratura dopo la scomparsa, a causa delle sue scelte ideologiche[2], fu in seguito rivalutato e riapprezzato[3]: nel 1975 lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che lo incluse nella sua collana La biblioteca di Babele, curata per Franco Maria Ricci editore, definì Papini un autore "immeritatamente dimenticato".[4]
Biografia
I primi anni
Nacque il 9 gennaio 1881 in una famiglia artigiana da Luigi Papini, ex garibaldino e repubblicano ateo e anticlericale, ed Erminia Cardini, che lo fece battezzare all'insaputa del padre. Siccome i genitori non erano sposati, per un periodo ebbe il cognome Tabarri e trascorse i primi mesi di vita presso l'Istituto degli Innocenti; il 10 agosto 1882 venne riconosciuto dalla madre, che gli diede il suo cognome e lo portò in famiglia; il 14 maggio 1888, giorno delle nozze dei genitori, fu legittimato con il cognome Papini. Nel 1887 e nel 1889 nacquero i fratelli Mario e Sofia.[5]
Ebbe un'infanzia e un'adolescenza prevalentemente solitarie. Attirato dalla letteratura, passò molto del suo tempo libero a leggere i libri della biblioteca del nonno prima e di quella pubblica poi (la Biblioteca Nazionale di Firenze). Frequentò la scuola elementare "Dante Alighieri", poi la scuola tecnica San Carlo, infine passò a quella di via Parione. Compì gli studi secondari di secondo grado alla scuola normale di via San Gallo. In questo periodo strinse delle amicizie durature: nel 1897 Domenico Giuliotti (anch'egli diverrà scrittore) e l'anno dopo Luigi Morselli, Giuseppe Prezzolini e Alfredo Mori.
Si diplomò come maestro nel 1899. L'anno seguente aveva già un'occupazione: insegnante di lingua italiana all'Istituto Inglese di Firenze. Successivamente diventò bibliotecario del Museo d'antropologia di Firenze. Nel 1903 morì il padre Luigi.
Il Leonardo
Nel 1903 Papini fondò, assieme a Giuseppe Prezzolini e a un gruppo di artisti, la rivista Leonardo[6]. Rivista tenacemente combattiva, si pose in contrasto con il positivismo filosofico, e letterario, all'epoca imperante[1].
I fondatori proclamavano "guerra a tutte le accademie fra i muri di un'accademia". Inoltre perseguivano un "feroce individualismo contro la frenesia solidarista e socialista che allora ammortiva gli spiriti della gioventù"[7]. Papini, che assunse in proprio l'impianto e la gestione della rivista, firmò i suoi articoli con lo pseudonimo "Gian Falco". Dal 1904, grazie alla collaborazione con Giovanni Vailati, il Leonardo si schierò su posizioni che si rifacevano al pragmatismo americano. Papini fu molto lodato da William James e intrattenne una corrispondenza con Charles S. Peirce[8]. Alla fine dell'anno fu chiamato da Enrico Corradini a collaborare alla redazione del periodico Il Regno, su cui Papini scrisse i suoi interventi più squisitamente politici. Pieno di interessi, imparò tutto quello che c'era da sapere sulla corrente filosofica detta Pragmatismo. Nel 1904 partecipò al Congresso Internazionale di Filosofia di Ginevra. In quell'occasione conobbe il filosofo francese Henri Bergson[9].
Il 18 maggio 1907 Papini pubblicò sulla prima pagina della «Stampa» di Torino l'articolo La filosofia del cinematografo, considerato uno dei primi articoli di critica cinematografica apparsi su un quotidiano nazionale italiano[11][12][13].
Il distacco progressivo da Prezzolini, più incline a seguire Benedetto Croce, e i disaccordi con gli altri collaboratori segnarono la chiusura del Leonardo nel 1907. Dopo la chiusura del Leonardo fondò il Circolo di filosofia diretto da Giovanni Amendola[14]. Nel 1909 Papini cominciò a curare per l'editore Rocco Carabba di Lanciano la collana Cultura dell'anima (dedicata ad opere di filosofia antica e moderna) che, insieme a quella intitolata Scrittori nostri, avrebbe diretto fino al 1920 (non senza contrasti con Carabba, che si concluderanno con la cessazione della collaborazione con la casa editrice abruzzese)[15].
Intanto nel 1907 Papini aveva sposato Giacinta Giovagnoli, nativa di Bulciano, una frazione di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Lasciò la casa dei genitori e andò a vivere in via dei Bardi. Il 7 settembre 1908 nacque la prima figlia, Viola. Nel 1910 ebbe una seconda figlia, Gioconda.
La Voce
Nel 1908 sempre con Prezzolini fondò La Voce, destinata a essere una delle più importanti riviste culturali del Novecento, e che attraverso diverse fasi continuò le pubblicazioni fino al 1916.
«Un giornale. Ogni articolo ha il tono e il suono di un proclama; ogni botta e battuta di polemica è scritta con lo stile dei bollettini vittoriosi; ogni titolo è un programma; ogni critica è una presa della Bastiglia; ogni libro è un vangelo; ogni conversazione prende l'aria d'un conciliabolo di catilinari o di un club di sanculotti; e perfino le lettere hanno l'ansito e il galoppo di moniti apostolici. Per l'uomo di vent'anni ogni anziano è il nemico; ogni idea è sospetta; ogni grand'uomo è da rimettere sotto processo e la storia passata sembra una lunga notte rotta da lampi, un'attesa grigia e impaziente, un eterno crepuscolo di quel mattino che sorge ora finalmente con noi»
(Giovanni Papini, Un uomo finito)
Nel 1911, Papini fondò con Giovanni Amendola la rivista L'Anima, di tendenza teosofica, che ebbe solo un anno di vita, continuando a gravitare, in campo irrazionalista, tra ateismo e misticismo esoterico. Nel 1912, pubblicò Le memorie d'Iddio, l'apice della sua protesta anticristiana e del suo nichilismo, in cui mette in scena un Dio che si augura la morte della fede e dunque la propria fine, pentito com'è di aver creato tanto male nel mondo. L'opera, seguita da articoli antireligiosi sulla nuova rivista Lacerba come Cristo peccatore e Odiatevi gli uni con gli altri, generò molto scalpore e costò all'autore un processo per oltraggio alla religione ma venne ricusata da Papini in tarda età, tanto da incaricare la figlia Viola di ricercare le copie ancora esistenti e darle alle fiamme. Tommaso Gallarati Scotti gli indirizzò una lettera in cui afferma che l'ateismo rabbioso di Papini sarebbe sfociato prima o poi in una conversione (come accadrà).[16]
«è guerra contro l'accademia, contro l'università, contro lo scolarismo, contro la cultura ufficiale, è liberazione dello spirito dai vecchi legami, dalle forme troppo usate... è forsennato amore dell'Italia e della grandezza d'Italia... è odio smisurato contro la mediocrità, l'imbecillità, la vigliaccheria, l'amore dello status quo e del quieto vivere, delle transazioni e degli accomodamenti...»
Sempre nel 1913 pubblicò Un uomo finito, un'autobiografia scritta ad appena 30 anni di un giovane "nato con la malattia della grandezza", che si butta sullo studio per creare un'opera che possa superare Dante Alighieri e William Shakespeare in importanza, in cui svela però uno stato d'animo turbato, nevrotico e depresso, rivelando anche l'attrazione per la morte e il suicidio:
«Tutto è finito, tutto è perduto, tutto è chiuso. Non c'è più nulla da fare. Consolarsi? Neppure. Piangere? Ma per piangere ci vuole ancora dell'energia, ci vuole un po' di speranza! Io non son più nulla, non conto più, non voglio niente: non mi muovo. Sono una cosa e non un uomo. Toccatemi: sono freddo come una pietra, freddo come un sepolcro. Qui è sotterrato un uomo che non poté diventare Dio. (...) Io non chiedo né pane, né gloria, né compassione. Ma chiedo e domando, umilmente, in ginocchio, con tutta la forza e la passione dell'anima, un po' di certezza: una sola, una piccola fede sicura, un atomo di verità. Ho bisogno di un po' di certezza, ho bisogno di qualcosa di vero. Non posso farne a meno; non so più vivere senza. Non chiedo altro, non chiedo nulla di più, ma questo che chiedo è molto, è una straordinaria cosa: lo so. Ma la voglio in tutti i modi, a tutti i costi mi deve essere data, se pur c'è qualcuno al mondo cui preme la mia vita. Senza questa verità non riesco più a vivere e se nessuno ha pietà di me, se nessuno può rispondermi, cercherò nella morte la beatitudine della piena luce o la quiete dell'eterno nulla.»
(Un uomo finito, 1913)
Sopravviene di tanto in tanto nel romanzo la delusione per l'impossibilità di raggiungere un obiettivo troppo ambizioso. Nel novembre del 1914 ebbe inizio la collaborazione a Il Popolo d'Italia, il giornale fondato da Benito Mussolini.
Sul primo numero di Lacerba Papini pubblicò un testo verbalmente violento d'intonazione nietzscheana, marinettiana e anticlericale:
«4. Tutto è nulla, nel mondo, tranne il genio. Le nazioni vadano in isfacelo, crepino di dolore i popoli se ciò è necessario perché un uomo creatore viva e vinca. 5. Le religioni, le morali, le leggi hanno la sola scusa nella fiacchezza e canaglieria degli uomini e nel loro desiderio di star più tranquilli e di conservare alla meglio i loro aggruppamenti. Ma c’è un piano superiore – dell’uomo solo, intelligente e spregiudicato – in cui tutto è permesso e tutto è legittimo. Che lo spirito almeno sia libero!(...) 14. Queste pagine non hanno affatto lo scopo né di far piacere, né d’istruire, né di risolvere con ponderatezza le più gravi questioni del mondo. Sarà questo un foglio stonato, urtante, spiacevole e personale. Sarà uno sfogo per nostro beneficio e per quelli che non sono del tutto rimbecilliti dagli odierni idealismi, riformismi, umanitarismi, cristianismi e moralismi. 15. Si dirà che siamo ritardatari. Osserveremo soltanto, tanto per fare, che la verità, secondo gli stessi razionalisti, non è soggetta al tempo e aggiungeremo che i Sette Savi, Socrate e Gesù sono ancora un po' più vecchi dei sofisti, di Stendhal, di Nietzsche e di altri “disertori”. 16. Lasciate ogni paura, o voi ch'entrate!»
(Giovanni Papini, Lacerba, I,)
Papini si batté per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale, in maniera accesa ed esaltandosi per il bellicismo. Celebre il suo provocatorio articolo Amiamo la guerra, apparso su Lacerba (1º ottobre 1914), in cui afferma, riprendendo le idee di Marinetti della guerra come "igiene del mondo"[17], la violenza come "bella e necessaria"[18], influenzato anche da teorie nietzschiane e di darwinismo sociale:
«Finalmente è arrivato il giorno dell'ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell'anime per la ripulitura della terra. Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre. (...) Siamo troppi. La guerra è una operazione malthusiana. C'è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un'infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita. (...) Non si rinfaccino, a uso di perorazione, le lacrime delle mamme. A cosa possono servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere. E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chiamassero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio. (...) Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa - e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.»
(G. Papini, Amiamo la guerra)
Lo scrittore venne però riformato e non poté arruolarsi, a causa di un'innata e molto accentuata miopia.
Il suo spirito polemico, scettico e intimamente individualista, lo portò poco prima dell'entrata in guerra dell'Italia a rompere con i futuristi milanesi (Futurismo e Marinetti, Lacerba del 14 febbraio 1915).
Il 22 maggio 1915 chiuse la rivista pochi giorni prima dell'entrata in guerra contro l'Austria-Ungheria, dimostrandosi però in seguito ampiamente pentito del suo interventismo, rendendosi conto dell'immane carneficina della Grande Guerra anche tramite scambi epistolari con Prezzolini e Giuseppe Ungaretti, allora al fronte. Papini ripercorse l'evoluzione del suo travaglio personale fino alla conversione nell'opera (postuma) La seconda nascita (1958, ma completato già nel 1923). Descrivendo le posizioni assunte prima e dopo lo scoppio della prima guerra mondiale rivelò in questo e altri scritti un pentimento sincero e intimo per il suo iniziale interventismo fino alla sua adesione all'allocuzione sull'"inutile strage" di papa Benedetto XV (1917). Scrisse che la guerra era
«un immane sciupio di sangue e di anime (...) scompigliava, imbestiava e affoscava. (...) Mentre stavo colle mie figliole in casa mia, tra i miei libri, e il pane, milioni di uomini si accosciavano nelle trincee motrigliose.»
«Sentivo a tratti un rimorso che non so neppur descriver con fedeltà: a volte n'ero vergognoso, a volte l'accettavo come un principio di redenzione. Rimorso di aver consigliata la guerra e, nello stesso tempo, di vederla ora tanto diversa da quella che aspettavo; rimorso della mia inazione e rimorso di aver fatto, nella mia piccolezza, anche troppo; rimorso di aver preparato anch'io, col cinismomisantropico degli ultimi anni, quell'acciecamento spirituale che ora si sfogava nelle stragi; rimorso di sentirmi quasi complice, benché inerme, di quella forsennata devastazione di corpi, di cuori, di patrie; rimorso della mia impotenza a far sì che il sanguinolente flagello avesse fine.»
(da Mortura, in La seconda nascita, Vallecchi, Firenze, 1958, pagg. 233-240)
«Io ho creduto alla guerra nel 14 e nel 15 – ma dal 16 a ora la mia repugnanza e la mia disillusione son andate crescendo gigantescamente. E oggi, come te, maledico e condanno ciò che esaltai. (...) L'orrore ci ha insegnato quel che veramente siamo.»
Sempre nel 1915 pubblicò le raccolte poetiche Cento pagine di poesia, Buffonate e Maschilità. Nel 1916, con le sue Stroncature[20] fece apprezzamenti per Shakespeare e Goethe, ma stroncò Boccaccio, Croce, Gentile, Benelli e il "passerotto agevolino" Guido Mazzoni. Il 4 febbraio 1917 un suo articolo su Giuseppe Ungaretti, di cui aveva pubblicato alcune liriche in Lacerba, appare sul bolognese Il Resto del Carlino. Nello stesso anno esce la silloge Opera prima. I versi di Opera prima, inizialmente intitolata Venti poesie, tracciano il profilo di un uomo alle prese con una realtà, come quella dei primi decenni del Novecento, caratterizzata da un tumulto di idee spesso contrastanti tra loro. Ed è in una posizione di contrasto, con tutto e specialmente con se stesso, che Papini si pone; in un continuo urto di sensi e di coscienza, in cui emerge di nuovo un malinconico intimismo[21]:
«... Ma quando, al finire del giorno / ritrovo, stracco e freddo, la fossa della strada / nella mezzombra lilla del ritorno, / sono il povero triste a cui nessuno bada.»
Nel 1924 l'editore Formiggini omaggiò Papini con una delle sue "Medaglie"; il ritratto fu composto dal poeta abruzzese Nicola Moscardelli. Giovanni Papini aveva conosciuto Moscardelli nel 1913, allievo ufficiale a Firenze, e tra i due era nata un'amicizia che sarebbe durata fino alla prematura scomparsa dell'abruzzese, avvenuta nel 1943.
Riemersero lentamente le sue nevrotiche inquietudini per non poter raggiungere il superomismo che desiderava, che già nell'anteguerra lo avevano tormentato e che aveva tentato di placare con Lacerba, i proclami incendiari e l'interventismo, e una crisi personale sempre più profonda.
1921: la conversione religiosa
Dopo la prima guerra mondiale, Papini trascorse anni di particolare travaglio spirituale, ma la vicinanza della moglie, l'amicizia e i benevoli rimproveri di Domenico Giuliotti[22], e altre persone che ne avevano sempre intuito il genio controcorrente e incompreso, lo accompagnarono nel suo percorso di scoperta della fede cristiana. Tra le personalità del mondo cattolico con cui strinse amicizia vi fu anche il vescovo di Sansepolcro, Pompeo Ghezzi, da lui conosciuto e frequentato durante i soggiorni estivi a Pieve Santo Stefano. Questa sua conversione dall'anticattolicesimo precedente costituisce un cambiamento rilevante nella vita dell'artista e dell'Italia di quel periodo.[23]
Già il 16 maggio 1918 aveva confidato e anticipato[24] la sua conversione all'amico sacerdote Cesare Angelini.
Nel 1921 dona una copia della Storia di Cristo ad Angelini, con la seguente dedica: «A Cesare Angelini | che per primo ebbe la | confidenza e primo | parlò[25] di questo libro | offre con amicizia | il suo G. Papini | 28.III.1921» (volume conservato presso il Fondo Angelini della Biblioteca del Seminario Vescovile di Pavia).
Nel 1921 annunciò la sua conversione religiosa pubblicando la Storia di Cristo, che si rivelò un successo editoriale internazionale. Basato sulla testimonianza dei Vangeli canonici e anche di quelli apocrifi, narra della vita di Gesù, celebrato anche come un ribelle del suo tempo (il che provocò critiche anche da alcuni ambienti cattolici[26]), per invocarne la grazia verso l'umanità corrotta:
«L'autore di questo libro ne scrisse un altro [Un uomo finito], anni fa, per raccontare la malinconica storia di un uomo che volle, per un momento, diventare Dio. Ora, nella maturità degli anni e della coscienza, lo stesso autore ha tentato di scrivere la vita di un Dio che si fece uomo. In quel tempo di febbre e di orgoglio, quegli che scrive offese Cristo come pochi altri, prima di lui, avevano fatto. Eppure dopo sei anni appena - ma sei anni che furono di gran travaglio e devastazione fuori di lui e dentro di lui - dopo lunghi mesi di concitati ripensamenti, ad un tratto, interrompendo un altro lavoro, quasi sollecitato e sospinto da una forza più forte di lui, cominciò a scrivere questo libro di Cristo, che ora gli sembra insufficiente espiazione di quelle colpe.»
(Introduzione a Storia di Cristo)
«In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d’una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l’abiettezza è stata così abietta e l’arsura così ardente. La Terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attuffati in una pegola di sterco stemperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi.»
Nel 1922, in seguito al successo dell'opera, l'Università del Sacro Cuore di Milano gli offrì la cattedra di letteratura italiana, che tuttavia Papini rifiutò.
«È da notare come gli scrittori de La Civiltà Cattolica se lo tengono diletto, lo vezzeggiano, lo coccolano e lo difendono da ogni accusa di poca ortodossia. Frasi di Papini contenute nel libro su S. Agostino e che mostrano la tendenza al secentismo[27] (i gesuiti furono spiccati rappresentanti del secentismo): «quando si dibatteva per uscire dalle cantine dell'orgoglio a respirare l’aria divina dell’assoluto», «salire dal letamaio alle stelle» ecc. Papini si è convertito non al cristianesimo, ma propriamente al gesuitismo (si può dire, del resto, che il gesuitismo, col suo culto del papa e l'organizzazione di un impero assoluto spirituale, è la fase più recente del cristianesimo cattolico).»
Solo nel 1935 si avvicinò al fascismo ma rifiutò l'offerta della cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna. Nel 1937 pubblicò il primo volume - poi rimasto unico - della Storia della letteratura italiana con la dedica "Al Duce, amico della poesia e dei poeti". Poco dopo ricevette la nomina ad accademico d'Italia ed accettò la direzione dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, nonché la direzione della rivista La Rinascita.[26][30]
«Prima del 1918 i lavori forzati erano di regola soltanto in alcune province della Siberia; oggi la Siberia ha invaso tutte le Russie, e l’Unione Sovietica altro non è che una immensa casa di pena, dove carcerieri e prigionieri sono egualmente puniti da un mutuo terrore. Il governo di Mosca è una autocrazia feroce e bigotta, dove lo czar è un antico svaligiatore di banche.[26]»
Figurò tra i firmatari del Manifesto della razza nel 1938, anche se sulle pagine del periodico Il Frontespizio, con l'articolo Razzia dei Razzisti (dicembre 1934), si era dichiarato distante da ogni discriminazione razziale e dal razzismo scientifico, essendo più vicino ad un classico antigiudaismo religioso in cui gli ebrei vanno convertiti, come da tradizione cattolica. Nell'articolo Papini affermava:
«I razzisti all'ingrosso van cicalando di razze come se l'etnologia fosse una scienza precisa e certa quanto la geometria. Dove mai riposa e scorre il puro sangue ariano in nome del quale codesti vociatori perseguitano gli Ebrei e decretano l'incurabile decadenza del 'caos etnico' dei popoli neolatini?»
e ancora:
«Il Razzismo non è che una camuffatura - col cenciume di scienza sbagliata e di storia falsificata - della eterna superbia germanica.»
In seguito prenderà nuovamente le distanze dalla sua presa di posizione istintiva sul razzismo fascista.
Nel 1942 Papini venne eletto a Weimar vice presidente del congresso dell'Unione Europea degli Scrittori[31][32][33]. Nella città tedesca tenne un discorso improntato a un cattolicesimouniversalistico e civilizzatore, e sul primato della cultura italiana su quella germanica, che non mancò di attirargli le critiche dei nazisti, e che venne quindi ignorato dalla stampa tedesca per ordine di Joseph Goebbels.[34]
Nell'aprile del 1944, dopo l'uccisione di Giovanni Gentile da parte di partigiani comunisti dei GAP a Firenze, rifiutò la nomina a Presidente dell'Accademia d'Italia della Repubblica Sociale Italiana di Salò, il nuovo stato fascista fondato da Mussolini al centro-nord sotto l'appoggio della Germania nazista occupante. Lasciata la Verna, si nascose poi nel vescovado di Arezzo poiché minacciato e ricercato dai comunisti, mentre partigiani delle Brigate Garibaldi gli devastano la casa fiorentina e le proprietà, sia per il passato fascista e sia perché ritenuto tacitamente colluso con la RSI. Verrà infine soccorso da soldati americani, due dei quali avevano letto i suoi libri. Anche a guerra finita, Papini rimase letteralmente sconvolto, sia dalle violenze belliche che aveva visto, sia dalla notizia della bomba atomica, che dalle atrocità staliniste e dall'Italia devastata[26].
Gli anni del dopoguerra
Nei primi anni '50, Papini continuò a scrivere benché quasi cieco.[26] Dopo la seconda guerra mondiale, pur emarginato di fatto dal mondo della cultura e appoggiato dai soli cattolici più tradizionalisti per il suo coinvolgimento col fascismo, fondò insieme ad Adolfo Oxilia la rivista di poesia e metasofia L'Ultima[35] e pubblicò opere che suscitarono ulteriore attenzione, come le Lettere agli uomini del Papa Celestino VI (1946), la Vita di Michelangelo (1949), Il libro nero - Nuovo diario di Gog (1951) e soprattutto Il diavolo (1953, ma scritto nel 1950[36]), che rischiò la messa all'indice dei libri proibiti nonostante l'appartenenza religiosa dell'autore come francescano, per l'opposizione di alti prelati; questo in quanto vi sosteneva, non senza autobiografismi[37], la teoria teologica eterodossa dell'origenismo (una forma di apocatastasi), dichiarata eretica nel concilio di Costantinopoli del 553; elementi della tesi furono invece accettati dalla Chiesa ortodossa. La dottrina di Origene, che Papini in pratica ripropone nel testo, come faranno poi altri teologi dopo di lui, si basa su alcuni testi biblici (Atti degli Apostoli, lettere di Paolo) e sugli scritti del monaco alessandrino secondo cui i dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se mancasse anche una sola creatura: «Noi pensiamo che la bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine»[38]; la Chiesa cattolica aveva decretato sotto pena di scomunica che «se qualcuno dice o sente che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema».
«Il Diavolo, dunque, è un agente di Dio, riconosciuto da Dio: qualcosa di simile ad un investigatore e a un pubblico accusatore. Si direbbe, quasi, un procuratore del Re del Cielo.»
Vi si leggono qui anche echi del libro di Giobbe. L'Osservatore Romano lo stroncò ("un libro colmo di errori, anzi scapigliati e clamorosi"), il libro venne boicottato da alcune librerie cattoliche (in una il titolare ne gettò nel Tevere le 40 copie acquistate).[26] L'Agenzia Romana Informazioni, diretta da monsignor Roberto Ronca, scrisse che «l'eternità dell'Inferno è un dogma di fede e quindi è escluso che la suprema congregazione del Santo Uffizio permetta ai cattolici di leggere un libro come "Il diavolo"...» Perciò il saggio teologico fu proposto per l'Indice, ma Papini non subì conseguenze, anche perché alla fine né la Congregazione per la Dottrina della Fede né papa Pio XII emisero giudizi di condanna. L'Indice fu infine soppresso nel 1966 da papa Paolo VI e quindi Papini non vi figurò mai.[39]
Da ricordare anche, in questo periodo, La loggia dei busti e La spia del mondo, usciti entrambi nel 1955. Nello stesso periodo Papini collaborò al Corriere della Sera, pubblicandovi articoli con cadenza quindicinale, e continuò a realizzare brevi analisi elogiative dell'opera di Giacomo Leopardi, iniziate negli anni '30.[40]
Nel 1953 Papini fu colpito da una seria malattia, i cui segni erano cominciati nel 1952 durante un viaggio in treno: una paralisi progressiva, causata dalla malattia del motoneurone; secondo la diagnosi del suo amico dottor Sante Villani, riportata dal biografo Roberto Ridolfi, una forma di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) con paralisi bulbare[36][41][42] che lo privò dell'uso delle gambe, delle mani e delle braccia e perfino, nella sua fase terminale (1955-56), della parola; perse inoltre l'uso della vista (se non per una leggerissima capacità rimasta all'occhio destro[43]) a causa dell'indebolimento avvenuto negli anni per via dell'età e per la natura della sua forte miopia congenita. Rilasciò l'ultima intervista a Oriana Fallaci nel 1953.
Oltre al corpo, anche il suo spirito fu colpito duramente: nel 1954 morì la figlia Gioconda. Papini si rinchiuse sempre più in sé stesso, nella preghiera e nella vita monastica. Le sue condizioni di salute si aggravarono sempre più, anche se non rinunciò a lavorare a L'imitazione del Padre.[26]
Nel 1955 fu proposta la sua candidatura al Premio Nobel per la letteratura da parte del filologo svizzero Henri de Ziégler. Lucido fino all'ultimo, con l'aiuto della nipote Anna Casini Paszkowski (figlia di Viola Papini) scrisse Giudizio universale, un progetto giovanile pubblicato postumo nel 1957.[37] Raccontò gli anni della malattia in La felicità dell'infelice (1956). Negli ultimi giorni chiese di farsi leggere Santi che amiamo, una raccolta di saggi a cura dell'ambasciatrice statunitense in Italia Clare Boothe Luce, anche lei scrittrice e convertita in età adulta.[23]
Il 7 luglio 1956 ricevette, col nome di Bonaventura, l'estrema unzione dal frate francescano fra Clementino, alla presenza della moglie Giacinta, dei familiari e dell'amico Ardengo Soffici.[44] L'8 luglio 1956, alle ore 8:30, morì a 75 anni nella sua casa di Firenze, per complicazioni respiratorie seguite a una bronchite.[44]
«Quando ai miei occhi di prossimo sepolto il sole per l'ultima sera varcherà le mura occidentali, Dio sarà sempre con me, sole dei soli.»
(Papini nell'ultimo scritto delle Schegge[44][45])
L'attrice Ilaria Occhini era nipote diretta[46] di Papini, che la descrive bambina nel racconto breve La mia Ilaria, in quanto figlia di Barna Occhini e Gioconda Papini, la secondogenita dello scrittore fiorentino. La sceneggiatrice e scrittrice Alexandra La Capria, figlia di Ilaria, è sua pronipote.
Posterità
Il poeta Eugenio Montale, unico tra gli intellettuali antifascisti, commentò in maniera elogiativa la dipartita dello scrittore con le seguenti parole: «Una figura unica, insostituibile, a cui tutti dobbiamo qualcosa di noi stessi»[47].
Scrittore controverso per i suoi cambi estremi di posizione, fu molto apprezzato da Mircea Eliade. Jorge Luis Borges, che definì Papini un autore "immeritatamente dimenticato", dedicò allo scrittore fiorentino il secondo volume della sua celebre collana «Biblioteca di Babele», dove raccolse anche le «novelle metafisiche». Il titolo del volume, Lo specchio che fugge (quanto mai borgesiano ante litteram)[48], fu tratto dal racconto eponimo incluso nella raccolta Il tragico quotidiano (1906)[4] - e anche da Henry Miller, l'autore del censurato (per "oscenità") romanzo Tropico del Cancro, che disse di stimare in particolare l'autobiografia giovanile Un uomo finito.[37]
«Occorreva qualcosa per rimettermi in accordo con me stesso. Ieri sera l'ho scoperta: Papini. A me non importa se è sciovinista, o un meschino bigotto o un pedante di vista corta. Come fallito è una meraviglia.»
Il libro Storia di Cristo è stato inserito nel saggio 1001 libri da leggere prima di morire a cura di Peter Boxall.[50] Nella prefazione al suo libro Gesù di Nazareth, Papa Benedetto XVI ha definito la Storia di Cristo uno dei «libri più entusiasmanti» che siano mai stati scritti sulla figura di Gesù.[51]
Secondo il giornalista del New York Times Stephen Prothero, Mel Gibson si sarebbe ispirato anche alla Storia di Cristo di Papini per il suo film La passione di Cristo[52] del 2004. Secondo Prothero, «Gibson e Papini hanno molto in comune. (...) Entrambi sono cattolici tradizionalisti approdati ad un'intensa fede in età matura (...). Ognuno presenta il suo Gesù con la gioia e talvolta il fanatismo di un neofita. A differenza della Passione di Cristo di Gibson, che si limita a raccontare le ultime 12 ore della vita di Gesù, il volume di Papini copre l'intera storia. Ma il libro tende inesorabilmente verso il processo e la croce, dove i farisei si trasformano in serpenti e la violenza si scatena incontrollabile. Il Gesù di Papini è indiscutibilmente divino, ma è anche intrappolato nella tomba del corpo. Così è anche Gesù di Gibson: un Servo Sofferente che soffre le torture per noi, espira il suo ultimo respiro per noi e ci viene incontro nella presenza reale dell'Eucaristia».
Premi e riconoscimenti
1958 - Premio "La penna d'oro" alla memoria da parte dalla Presidenza del Consiglio.[53]
Opere
Edizioni originali
Il crepuscolo dei filosofi, Firenze, Tipografia della Biblioteca di cultura liberale, 1905; Firenze, Lacerba, 1914; Firenze, Vallecchi, 1919.
L'edizione di Opere nella collana "I Meridiani", a cura di Luigi Baldacci e Giuseppe Nicoletti, ivi, 1977, comprende:
Sul Pragmatismo (1903-11) (1913)
Un uomo finito (1913)
L'esperienza futurista (1913-14) (1919)
Da Il crepuscolo dei filosofi (1905)
Da Ventiquattro cervelli (1913)
Da Stroncature (1916)
Da Ritratti italiani (1904-31) (1932)
Da Eresie letterarie (1905-28) (1932)
Una raccolta dei Racconti è uscita nel 2022 a cura di Raoul Bruni (con prefazione di Vanni Santoni e postfazione di Alessandro Raveggi) per le Edizioni Clichy. L'opera colma una lacuna del Meridiano del 1977, che non aveva incluso alcun racconto dello scrittore fiorentino.
con Antonio Baldini, Carteggio 1911-54, a cura di Marta Bruscia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984
con Domenico Giuliotti, Carteggio, vol. I: 1: 1913-1927, vol. II: 1928-39, vol. III: 1940-55, a cura di Nello e Paolo Vian, prefazione di Carlo Bo, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1984-89-91
con Attilio Vallecchi, Carteggio 1914-41, a cura di Mario Gozzini, premessa di Giorgio Luti, Vallecchi, Firenze 1984
con Armando Spadini, Carteggio 1904-25, a cura di Pasqualina Spadini Debenedetti e Vanni Scheiwiller, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1984
con Sibilla Aleramo, Lettere Papini-Aleramo e altri inediti 1912-43 a cura di Annagiulia Dello Vicario, ESI, Napoli 1988
con Giuseppe De Luca, Carteggio, vol. I: 1922-29, a cura di Mario Picchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985
con Ardengo Soffici, Carteggio, vol. I: 1903-08, vol. II: 1909-15, vol. III: 1916-18, vol. IV: 1919-56, a cura di Mario Richter Edizioni di storia e letteratura, Roma 1991-2002
con Roberto Assagioli, Carteggi 1904-74, a cura di Manuela Del Guercio Scotti e Alessandro Berti, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1998
con Emilio Cecchi e Arturo Onofri, Carteggi Cecchi-Onofri-Papini (1912-1917), a cura di Carlo D'Alessio, Bompiani, Milano 2000
con Carlo Carrà, Il carteggio Carrà-Papini, a cura di Massimo Carrà, Skira, Milano 2001
con Mario Novaro, Carteggio 1906-43, a cura di Andrea Aveto, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2002
con Barna Occhini, Carteggio 1932-56, a cura di Simonetta Bartolini, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2002
con Giuseppe Prezzolini, Carteggio, vol. I: 1900-07. Dagli Uomini liberi alla fine del Leonardo, vol. II: 1908-15. Dalla nascita della Voce alla fine di Lacerba, vol. III: 1915-56. Dalla Grande Guerra al secondo dopoguerra, a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghetti, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2003-08-13
con Aldo Palazzeschi, Carteggio 1912-33, a cura di Stefania Alessandra Bottini, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2006
con Roberto Ridolfi, Carteggio 1939-56, a cura di Anna Gravina, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2006
con Piero Bargellini, Carteggio 1923-56, a cura di Maria Chiara Tarsi, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2006
Note
^abPapini, Giovanni, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 19 novembre 2016.
^Il periodico uscì dal gennaio 1903 all'agosto 1907, con periodicità irregolare, per complessivi 25 fascicoli.
^ Giovanni Papini, Un uomo finito, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994.
^Giovanni Maddalena, Giovanni Tuzet, I pragmatisti italiani. Tra alleati e nemici. Alboversorio, Milano 2007
^Leonardo, su giovannipapini.it. URL consultato il 19 novembre 2016.
^Il Crepuscolo dei Filosofi regalato dal suo autore, Giovanni Papini all’amico Arturo al suo ingresso nella Loggia fiorentina ‘Lucifero’ nel 1907. Nel frontespizio una dedica ad inchiostro, scolorito dal tempo, «Al nuovo fratello Arturo Reghini il suo G Papini».in: Raffaele K. Salinari, Arturo Reghini, pitagorico, su ilmanifesto.it. URL consultato il 3.4.2020.
^Giovanni Papini, su museocinema.it. URL consultato il 10 marzo 2016 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2016).
^La filosofia del cinematografo (PDF), su museocinema.it. URL consultato il 10 marzo 2016 (archiviato dall'url originale il 10 marzo 2016).
^ Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, Milano, Gabriele Mazzotta Editore, 1971. pag. 9.
^ Francesco Giubilei, Strapaese, Città di Castello (PG), Odoya, 2021, p. 42.
^F.T. Marinetti, Necessità e bellezza della violenza
^Marcello Veneziani, La Grande Guerra dell'interventista pentito e convertito
^Papini è considerato il primo utilizzatore del termine in ambito letterario. Cfr. Raffaella De Santis, Terra di mezzo o cyberspazio così nascono gli "autorismi", «la Repubblica», 6 gennaio 2015.
^"Storia della letteratura italiana del Novecento, Giacinto Spagnoletti, 1994, ISBN 88-7983-416-9, p. 176
^ Domenico Giuliotti e Giovanni Papini,, Carteggio I (1913-1927), a cura di Nello Vian, Prefazione di Carlo Bo, Edizioni di Storia e Letteratura, in Roma, 1984.
^abSi veda la breve: La belva di Firenze. Vita di Giovanni Papini, a cura di Mons. Angelo Comastri [1]
^Nei Discorsi del tempo natalizio, apparsi su «Il Convegno», n. 11-12, nov.-dic. 1920, pp. 52-62, Angelini sottolinea, nell'attesa di una Storia di Cristo, l'umanità di Papini attraverso le tappe più significative della sua carriera di scrittore, anche nei momenti di maggiore ateismo.
^Secondo il dizionario Treccani: «termine con cui si indica il gusto prevalente nella produzione artistica e letteraria del Seicento in Europa, caratterizzato dalla ricerca di concetti sottili e preziosi, di metafore ardite e stravaganti, di analogie lambiccate, di ornamenti puramente formali e scenografici; viene denominato anche barocco, barocchismo, concettismo (o, con riferimento alle varie letterature nazionali, marinismo in Italia, gongorismo o culteranismo in Spagna, preziosismo in Francia, eufuismo o poesia metafisica in Inghilterra)».
^"Dichte, Dichter, tage nicht!" - Die Europäische Schriftsteller-Vereinigung in Weimar 1941-1948, Frank-Rutger Hausmann, 2004, ISBN 3-465-03295-0, p. 210
^Copia archiviata (PDF), su disp.let.uniroma1.it. URL consultato il 16 luglio 2011 (archiviato dall'url originale il 31 ottobre 2006). Maria Clotilde Angelini, 1942. Note in margine al Convegno degli scrittori europei a Weimar.
^William James, "Papini and the Pragmatism Movement in Italy", in The Journal of Philosophy, Psychology and Scientific Method, III, 13, 1906, pp. 337-341.
^ 1001 Books You Must Read Before You Die, Peter Boxall, Hachette UK, 2012, [2]
^Gesù di Nazaret, Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) “Premessa”, pag. 7.
^Stephen Protero, The personal Jesus, su mobile.nytimes.com. URL consultato il 13 maggio 2018.
^Il premio "La penna d'oro" alla memoria di Giovanni Papini, Corriere della Sera, 11 gennaio 1958, p. 3.
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Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006
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Giona Tuccini, Voce del silenzio, luce sul sentiero. Di altre pagine mistiche tra Italia e Spagna, Urbino, Quattroventi, 2008
Dilvo Lotti, La giornata di Giovanni Papini a San Miniato, San Miniato, Edizioni del Bellorino
Antonino Di Giovanni, Giovanni Papini. Dalla filosofia dilettante al diletto della filosofia, Roma-Acireale, Bonanno, 2009
1954 Francesco Cedrangolo, Silvio Garattini, Tommaso Lucherini, Pietro Valdoni · 1957 Michele Arslan, Ida Bianco, Vittorio Erspamer, Ezio Silvestroni, Luigi Villa · 1959 Sergio Abeatici, Luigi Campi, Raoul De Nunno, Francesco Morino, Gian Franco Rossi, Alberto Zanchetti · 1961 Giovanni Marcozzi · 1963 Vincenzo G. Longo · 1965 Enrico Greppi · 1967 Giovanni Felice Azzone