Visco svolse un ruolo di primaria importanza nella politica razziale del regime fascista: fu primo firmatario del «Manifesto degli Scienziati razzisti» (15 luglio 1938), Capo dell'Ufficio per gli Studi e la Propaganda sulla Razza del Minculpop (dal febbraio 1939 al maggio 1941) come successore di Guido Landra[5], membro del Consiglio Superiore della Demografia e della Razza[6], vicepresidente della Commissione ordinatrice e del Museo della Razza nell'ambito dell'E42, e fu anche candidato alla direzione della rivistaLa difesa della razza[7]. In un intervento alla Camera, nella primavera del 1939, Visco dichiarò che l'università italiana perdeva i docenti ebrei «con la più serena indifferenza» e che anzi ne guadagnava in «unità spirituale»[8].
Con il ritorno della democrazia, il 4 gennaio 1946 una commissione di epurazione, presieduta da Benedetto Croce e Vincenzo Rivera, lo dichiarò decaduto dall'Accademia dei Lincei assieme ad altri accademici compromessi col fascismo. Visco riottenne tuttavia senza difficoltà la cattedra di fisiologia, la presidenza della facoltà di Scienze all'Università di Roma e la direzione del suo Istituto Nazionale della Nutrizione, grazie all'abilità nel trovare appoggi all'interno dei maggiori partiti politici italiani riciclandosi come antifascista[1][9].
1954 Francesco Cedrangolo, Silvio Garattini, Tommaso Lucherini, Pietro Valdoni · 1957 Michele Arslan, Ida Bianco, Vittorio Erspamer, Ezio Silvestroni, Luigi Villa · 1959 Sergio Abeatici, Luigi Campi, Raoul De Nunno, Francesco Morino, Gian Franco Rossi, Alberto Zanchetti · 1961 Giovanni Marcozzi · 1963 Vincenzo G. Longo · 1965 Enrico Greppi · 1967 Giovanni Felice Azzone