Dichiarazione universale dei diritti umani, art. 1 Declaraziòne universàle d’u iùsse d’u omme - Art.1 Tutte le crestiàne nascene libbere e pare pe dignità e iùsse. Tènene cervidde e chescènze e s’onne à fatecà iùne c’u u-alde che nu spìrite de fraternetà
Distribuzione geografica dei dialetti della Puglia centrale
Tali dialetti hanno come origine comune il latino, spesso nella sua forma volgarizzata parlata durante il Medioevo, e un precedente sostratopeuceta (di probabile origine illirica, ma profondamente influenzato dall'osco e dal greco). Inoltre, come qualsiasi altra varietà linguistica, presentano influenze di adstrato che derivano non solo dal resto della continuità italo-romanza, ma anche da altre continuità linguistiche neolatine più distanti (come quelle gallo-romanze ed ibero-romanze) e da continuità non romanze (principalmente greco-bizantine), le quali, in alcuni casi, hanno contribuito a caratterizzarne l'inflessione –per molti incomprensibile– soprattutto in relazione al livello fonetico dell'analisi linguistica.[2]
Questo gruppo dialettale è caratterizzato da variazioni percettibili per ogni comune, alle volte anche singolari e con tratti non comuni, come nel caso del ruvestino o del nojano, soprattutto per quanto concerne le vocali accentate e i dittonghi, essendo una varietà linguistica non standardizzata.
Scrittura
Come quasi tutti i dialetti meridionali, le vocali atone subiscono una riduzione, mutando in un'unica "e" indistinta e muta (scevà).[3] Diversamente dalla maggior parte dei dialetti meridionali intermedi, nel barese, così come nel lucano, inizia a ridursi progressivamente la frequenza dello scevà - dapprima nelle vocali intermedie (il Nord barese le pronuncia definite), poi in quelle finali (a sud di Bari) - via via che ci si avvicina al confine linguistico con i dialetti meridionali estremi.
Questa vocale si scrive sempre, sia perché sonorizza la consonante a cui si accompagna, sia perché costituisce pur sempre una sillaba; la sua omissione comporterebbe infatti l'illeggibilità del termine o la scrittura di una parola dal significato diverso, come per esempio Bar (bar) e Bare (Bari).
Accenti
accento acuto, usato quando la vocale ha un suono chiuso: é, í, ó, ú;
accento grave, usato quando la vocale ha un suono aperto: à, è, ò;
Gli accenti, inoltre, servono anche per distinguere parole scritte nello stesso modo, che però presentano pronunce diverse.
I monosillabi non vanno mai accentati, eccetto alcune eccezioni: à (a, preposizione semplice), mà (mai, avverbio di tempo), ecc.
Diacronia
Si prenda in esempio la graduale evoluzione dei termini latini, ad esempio, nel dialetto barese:
ă > a (es.: ămylum > àmele, "contenitore di terracotta")
ā > á o é (es.: (ad)lixāre > allescià)
ĕ > é (es.: dĕcem > dèsce, "dieci") a volte i (es.: mĕdicus > mìdeche, "medico");
ē > e > é (es.: sēro > sére, "sera");
ĭ > i (es.: ĭmbricem > ìrgeme, "tegola");
ī > í (es.: īre > scí, "andare");
ŏ > uè (es.: fŏcus > fuéche, "fuoco"), meno di frequente o (es.: nŏvem > nóve, "nove");
ae / oe > gli esiti dimostrano che questi dittonghi vennero recepiti come ĕ (es.: coelum > cìle, "cielo");
au > tende a chiudersi in o (es.: aurum > òre, "oro");
I risultati riportati riguardano la maggior parte degli esiti, ma non sono comprensivi di eccezioni. Questi cambiamenti devono essere interpretati come occorrenti solo in sillabe toniche e non tengono conto degli svariati cambiamenti prodotti in quelle atone, che possono però riassumersi essenzialmente così:
tutte le vocali (compresi i dittonghi) diventano nella maggior parte dei casi un'indistinta eIPA: [ə] soprattutto in fine di parola;
la ŏ tende ad e muta (es.: *cond+sare > conzare > chenzà = "condire");
la ŭ tende a scomparire (es.: cicercŭla > *cicer-cl-a > cecérchie, "tipo di legume"; notare che il nesso latino cl passa sempre in ch, es. cl-avis (chiave) > chié);
L'evoluzione delle consonanti e dei nessi consonantici è più articolata e in alcuni casi, che saranno indicati, continuano tendenze già tipiche del latino. Per facilità i nessi saranno trattati a parte:
b > resta b quando seguita da consonante o semiconsonante (es.: blancus > biánghe o viánghe, "bianco");
c > davanti ai suoni /a/, /o/ ed /u/ e consonantici resta c (es.: casa > càse, "casa"); davanti ai suoni /e/, /i/ ed /ə/ si palatalizza con esiti diversi tra c e sc (es.: macinula > macélene; lucem > lusce, "luce");
d > di solito resta d indipendentemente da cosa segua (es.: *diaboliculus > diauìcchie, "peperoncino"), mentre tende ad assimilarsi in n quando preceduta da un'altra n (es.: quando > quanne, "quando"). Solitamente dopo la consonante l e prima di una e muta o di una consonante r si pronuncia desonorizzata (es.: solidus > sòlde, "soldo"), ma nella scrittura non si differenzia questa variazione di suono;
f > resta f in tutte le posizioni (es.: frixorium > fresóle, "padella");
g > a differenza di moltri altri suoni consonantici, molto frequente nella zona murgiana, in particolare nei comuni di Altamura e Gravina in Puglia, dal latino possiamo sottolineare il nesso gl seguito da a che si trasforma in gn (es.: *glandula > gnàgnele, "ghianda"); nel barese l'esito resta tale, come in italiano (es. *ghianda > ghiande).
h > si perde completamente (es.: hora > ore, "ora");
j > laddove in latino compariva una i semiconsonantica (j in latino volgare) abbiamo in barese una g o sc (es.: iovis dies > giovedì, "giovedì"), ma la questione è controversa, perché il fatto che spesso tale evoluzione riguarda anche la ī vocalica (es.: gītus/jitus > sciúte, "andato") potrebbe essere indice del fatto che in realtà nel dialetto ci si sia rifatti a espressioni italiane anche volgari come "giovedì" e "gito";
l > è una delle consonanti più instabili nel passaggio, i suoi esiti sono tre e tutti estremamente diversi tra loro: l (es.: lingua > lènghe/lèngue, "lingua"), d (es.: caballus > cavádde, "cavallo"). Resta l se iniziale o assieme ad altre consonanti, quando doppia ed intervocalica, soprattutto nei suffissi -allus, -ellus, -illus, -ollus ed -ullus, tende a d nel singolare e a r nel plurale (es.: *anillus > anìdde, "anello");
m > non subisce particolari variazioni (es.: moribundus > marabbónne, "campana che suona durante la celebrazione di un funerale");
n > come per la m, non subisce alterazioni consistenti, ma nei nessi consonantici genera trasformazioni varie;
p > resta di solito p (es.: patiens > pacce, "pazzo");
q > non subisce particolari trasformazioni;
r > resta praticamente invariata (es.: rex > ré, "re");
s > di solito rimane s (es.: sartaginem > sartàscene, "padella", nei dialetti della zona murgiana); la s finale cade (es.: cras > cré, "domani");
t > resta tale, ma spesso muta la sua pronuncia sonorizzandosi. Ciò avviene soprattutto dopo la l (es.: Altus Murus > Ialtamuéure, "Altamura"); segue l'italiano nella trasformazione in precise condizioni in z (es.: amicitia > amecízie, "amicizia");
v > gli esiti più evidenti sono v e f.
Differenze tra italiano e apulo-barese
In genere le parole che passano dall'italiano al barese tendono a semplificare la loro pronuncia. Questa semplificazione passa anche attraverso l'utilizzo di un suono introduttivo che è quasi sempre i (es.: erba > iérve) e che si usa in moltissime parole che iniziano per vocale. Questa semivocale cade nel momento in cui la parola viene preceduta da un articolo (es.: l'erba > l'érve) e le parole che cominciano per i non subiscono il fenomeno (es.: imbricem > ìrgeme [termine della zona murgiana e non presente nel barese puro]).
In alcuni casi, comunque solo se la parola comincia per vocale, può capitare che non venga preceduta da i e che trasformi la sua vocale iniziale in a.
Segue un breve elenco delle maggiori trasformazioni dall'italiano al barese, escludendo come per il paragrafo precedente eccezioni e casi particolari:
aio/aia > ère (es.: notaio > nutére), in realtà è stato l'italiano a perdere la r originaria latina;
cce/cci > zze (es.: salsiccia > salzìzze);
g > quando iniziale diviene spesso i (es.: gamba > iàmme). Davanti ai dittonghi ua e ue cade (es.: guerra > uérre), ma questo può essere anche effetto della provenienza germanica di queste parole (si confronti guerra con war inglese e uèrre barese). Spesso g(g) diventa sc (es.: leggere > lésce). Il gruppo gli diventa gghie (es.: aglio > uàgghie);
i > tende a cadere quando iniziale (es.: imparare > mbará o mbaré; innamorato > nnammuráte o nnamuréte);
p > spesso invariata, si sonorizza dopo nasale (es.: impossibile > mbossìbbele).
Nessi consonantici
I nessi consonantici che vengono affrontati in questo paragrafo sono considerati indipendentemente dalla loro provenienza latina o italiana. Essi possono variare di luogo in luogo
il nesso cl > chi (es.: *cicercla > cecérchie);
i nessi nb e np > mb (es.: in braccio > 'mbrazze o nvrazze; in piedi > nbite);
il nesso nd > nn (es.: quando > quanne);
i nessi ng e nq > ng(u) (es.: in cielo > ngile; in corpo > nguérpe);
i nessi nf e nv > mb (es.: inferno > mbirne; invece > mbésce (in alternativa anche ammère);
il nesso nm > mm (es.: in mezzo > mménze);
il nesso ns > nz (es.: *in sursum > nzuse);
il nesso nt > nd (es.: quanto > quande);
il nesso pl (latino) / pi (italiano) > chi (es.: pluvere / piovere > chiòve);
il nesso tl > cl.
Grammatica
Articoli determinativi e indeterminativi
Gli articoli: determinativi e indeterminativi
Maschile singolare
Femminile singolare
Plurale
determinativi
u, lu, l'
'a, la, l'
i, li, le, l'
indeterminativi
nu, n'
na, n'
dò
Plurale
Molti sostantivi sono invariabili: (cambia solo l'articolo)
u cane [il cane] - le cane [i cani]
la cerase [la ciliegia] - le cerase [le ciliegie]
Altri formano il plurale in -re / -le, caratteristica presente soprattutto nell'entroterra murgiano:
àrvele [albero] - iàrvele [alberi], criatùre [bambino], criatòrele [bambini], vambasciulère [venditore di lampascioni], vambasciulàrele [venditori di lampascioni]
Altri plurali sono metafonetici:
mése [mese] - mise [mesi]
uagnone [ragazzo] - uagnune [ragazzi]
Altri ancora sono sia metafonetici che con il finale in -re:
sóure [sorella] - serure [sorelle]
paise [paese] - paiésere [paesi]
Femminile
Per il femminile molti aggettivi e sostantivi mutano le vocali interne, altri restano invariati:
russe [rosso] - rosse [rossa]
serùche [suocero] - seròche [suocera]
gnure [nero] - gnore [nera]
Vocativo
Per i nomi esiste una distinzione a due casi: nominativo (soggetto) e vocativo (complemento di vocazione).
Per formare il vocativo, il barese tronca la parola al nominativo singolare o, in rari casi, la altera, o adopera l'articolo determinativo preposto al vocativo, e.g. la nò 'nonna!'. Il vocativo plurale, invece, è quasi sempre identico al nominativo singolare.
Mamma:
Caso
Singolare
Plurale
Nominativo
màmme
màmmere
Vocativo
mà
(le) màmme
Ragazzo:
Caso
Singolare
Plurale
Nominativo
uagnòne
uagnùne
Vocativo
uagliò
uagnù
Nonna:
Caso
Singolare
Plurale
Nominativo
nònne
nònnere
Vocativo
(la) nò
(le) nònne
Zio:
Caso
Singolare
Plurale
Nominativo
ziàne
ziàne
Vocativo
(lo) zzì
(le) zzì
Pronomi
I dimostrativi: aggettivi e pronomi
Maschile singolare
Femminile singolare
Plurale
Questo/a/i/e
cusse
chésse/chéssa
chisse
Quello/a/i/e
cudde
chédde/chédda
chidde
Pronomi personali soggetto, complemento, termine, misti e di vocazione
Caso
1a persona sing.
2a persona sing.
3a persona sing. m.
3a persona sing. f.
1a persona plur.
2a persona plur.
3a persona plur.
Nominativo
iì
tu
iìdde
iédde
nú
vú
lore
Accusativo tonico
me
te
se, ù
se, la
ce
ve
se
Accusativo atono
me
te
le
le
ce
ve
le
Dativo atono
me
te
ce, nge
ce, nge
ce
ve
ce, nge
Dativo+Accusativo
m'ù (me u))
t'ù(te u)
s'ù(se u), ch'ù(che u), ng'ù(nge u)
s'ù(se u), che la, nge la
ch'ù(che u)
v'ù(ve u)
s'ù(se u)
Genitivo
-
-
ne
ne
-
-
ne
Strumentale
-
-
nge
nge
-
-
nge
Vocativo
-
a tté / a tte
-
-
-
a vvù
-
Pronomi clitici verbali
Accusativo/Dativo
Dativo + oggetto 3a persona s. m.
Dativo + oggetto 3a persona s. f./pl.
Accusativo + Strumentale/Comitativo
-(m) me
-mmìue
-mmìlle
-mmece
-(t) te
-ttìue
-ttìlle
-ttece
-nge
-ngìue
-ngìlle
-ngiu
-(c) ce
-ccìue
-ccìlle
-cce
-ve
-vìue
-vìlle
-ve(ce)
-nge
-ngìue
-ngìlle
-ngece
Esempio: Fàmmece scequà n'àld'e mmuésse - Fammici giocare ancora un po'
Come forma di cortesia, per esempio quando ci si trova di fronte a una persona più anziana alla quale bisogna dare rispetto, si utilizza il sostantivo u méste/mé' (signore) se ci riferiamo ad un uomo o la signó/la signóre/la segnó se ci riferiamo ad una donna. Alcune volte anche utilizzato in tono scherzoso.
I pronomi relativi sono:
ce [chi];
ca [il quale, la quale, i quali, le quali, di cui, a cui].
Per esempio:
Ce ssi ttu? [chi sei?];
La segnore ca so acchiàte aiíre [la signora che ho trovato ieri];
Le libbre ca tu me si parlàte [i libri di cui mi hai parlato].
Possessivi
Gli aggettivi possessivi e i pronomi possessivi sono questi elencati nella seguente tabella:
Possessivi
Persona
Maschile singolare
Femminile singolare
Plurale indistinto
Forma enclitica
1a singolare
mìe/mi
mé
mìe/mi
-me
2a singolare
tù
tò
tù tò/tò
-te
3a singolare
sùie/su
sòie/so
sùie, sòie/sù, sò'
-se
1a plurale
nèste/nuste
nostre
nèste/nuste
-
2a plurale
véste
vostre
vuéste
-
3a plurale
llore
llore
llore
-se
In dialetto barese l'aggettivo possessivo va sempre dopo il nome al quale si riferisce.
la màchen'a mé [la mia automobile] (si noti che per vocalizzazione dell'articolo femm. la in 'a, esso si pone sistematicamente in fine di parola (sempre al femminile, al maschile non accade) al fine di ribadire l'oggetto, quindi come traduzione letterale avremo la macchina quella mia che in barese risulta in la machen'a mé; stessa cosa per gli altri possessivi, ad esempio la pentola tua=sost. sartàscene [lat. sartago, -ginis], > la sartàscene > la sartàscen'a tò/tòie).
Altra caratteristica di questo dialetto è anche la forma enclitica del possessivo tramite suffissi, che però è limitata solamente alle persone:
preposizione relativa: vogghe a accàtte u prime ca iàcchie. [comprerò il primo che trovo];
congiunzione:
nella proposizione dichiarativa: u sacce ca ié nu buéne uagnóne. [so che è un bravo ragazzo];
nella preposizione consecutiva: téne nu sàcche de llibbre ca la casa sò pare na bibliotéche. [ha tanti libri che la sua casa sembra una biblioteca];
introdurre il secondo termine di paragone: iéve chiú la fòdde ca u rèste. [era più la folla che il resto].
preposizione troncata: tagghià ch'u chertídde. [tagliare col coltello] (troncato)
Che (lat. quem) può avere valore di:
nelle proposizioni finali: veléve che iére chiú iàlte [avrei voluto essere più alto];
nelle proposizioni concessive: bàste ca pàghe [basta che paghi];
Il partitivo in barese non esiste, e per tradurlo vengono adoperate due forme:
nu picche [un poco];
à mmuzze [a morsi "mozzichi", un poco];
do [due].
Nella zona murgiana si registrano tali forme:
nu mùrse/nu muérse de (lett. un morso di, trad. un po dì)
Congiunzioni, negazioni e affermazioni
Segue l'elenco delle congiunzioni comuni (laddove le varianti siano omesse possono essere aggiunte):
e, "e(d)";
o, "o(ppure)";
ma, "ma";
però, "però";
ca, "che";
ce/si/ci, "se";
percé/peccé/pecché, "perché";
come/accóme/accàmme, "come";
acchessí/dechessì/dacassì, "così";
abbàste ca po/baste ca po, "purché";
abbàste ca nan/baste ca nan, "purché non";
tande ... ca ..., "tanto ... che ...".
Qui troviamo le principali negazioni e affermazioni:
none, "no";
nan/non, "non" (la n finale modifica in alcuni casi l'iniziale della parola successiva per un fenomeno di sandhi, es.: nan pozze > nan bozze);
mè/mà, "mai";
sí/sine, "sì";
cèrte, "certo";
securaménde/secùre, "sicuramente";
sènze méne, "certamente".
Comparativo di maggioranza, minoranza e uguaglianza
Comparativo di maggioranza: Soggetto + verbo essere + chiù + aggettivo + de + ...
Es.: Te véde chiù nzìste de cudde ppe ffatié. (Ti vedo più adatto rispetto a codesto per lavorare).
Comparativo di minoranza: Soggetto + verbo essere + méne + aggettivo + de + ...
Es.: Maríe ié mméne gròsse de Nenétte. (Maria è meno grossa di Antonietta).
Comparativo di uguaglianza: Soggetto + verbo essere + aggettivo + come + ...
Es.: Ziànete ié bbélle come a la mì. (Tua zia è bella come la mia).
Verbi
Prima coniugazione: verbo mangiare
Variante del sud-est barese
MANGIÈ
presente
imperfetto
perfetto
presente
continuato
finito
presente
continuato
non finito
imperfetto
continuato
finito
imperfetto
continuato
non finito
passato
compiuto
futuro
proibitivo
Ií
mangeche
mangiàie
mangíbbe
stoche a mmangeche
voche mangianne
stè mmangiàie
sciàie mangiànne
hé mangéte
hé mmangé / égghie a mmangé
-
Tú
mange
mangive
mangíste
stè mmange
vè mangianne
stè mmangive
scive mangianne
ha mangéte
ha mmangé
nan sí mmangianne
Iídde
Iédde
mange
mangiàie
mangí
sté mmange
vé mangiànne
sté mmangiàie
sciàie mangianne
ho mangéte
ho mmangé / hove a mmangé
nan scésse mangianne
Nú
mangéme
mangéreme
mangémme
sté mmangéme
sciéme mangiànne
sté mmangéreme
scéreme mangiànne
ame mangéte
ame a mmangé
nan sime mangiànne
Vú
mangète
mangíreve
mangísteve
sté mmangéte
sciéte mangiànne
sté mmangíreve
scíreve mangiànne
hate mangiéte
hate a mmangè
nan site mangiànne
Lóre
màngene
mangévene
mangérene
stonne a mmàngene
vonne mangiànne
sté mmangèvene
scévene mangianne
honne mangéte
honne a mmangé
nan scéssere mangiànne
Dialetto barese
MANGIÀ
presente
imperfetto
futuro
Iì
màngeke
mangiàve
hi a mangià
tu
mange
mangiàve
hade a mmangià
iìdde/iédde
mange
mangiàve
have a mangià
nú
mangiàme'
mangiàveme
avime a mangià
vú
mangiàte
mangiàvate
avite a mangià
lore
màngiene
mangiàvene
hanne a mangià
Seconda coniugazione: verbo sentire
Variante del sud-est barese
SÈNDE
presente
imperfetto
perfetto
presente
continuato
finito
presente
continuato
non finito
imperfetto
continuato
finito
imperfetto
continuato
non finito
passato
compiuto
futuro
proibitivo
Jí
sèndeche
sendai
sendíbbe
stoche a ssèndeche
voche sendènne
stè ssendai
sciai sendènne
è sendute
è ssènde / ègghje a ssènde
-
Tú
sínde
sendive
sendíste
stè ssínde
vè sendènne
stè ssendive
scive sendènne
a sendute
a ssènde
nan sí sendènne
Iídde
Iédde
sènde
sendai
sendí
stè ssènde
vè sendènne
stè ssendai
sciai sendènne
o sendute
o ssènde / ove a ssènde
nan scèsse sendènne
Nú
sendime
sendèreme
sendèmme
stè sendime
scème sendènne
stè ssendèreme
scèreme sendènne
ame sendute
ame a ssènde
nan sime sendènne
Vú
sendite
sendíreve
sendísteve
stè ssendite
scète sendènne
stè ssendíreve
scíreve sendènne
ate sendute
ate a ssènde
nan site sendènne
Lóre
sèndene
sendèvene
sendèrene
stonne a ssèndene
vonne sendènne
stè ssendèvene
scèvene sendènne
onne sendute
onne a ssènde
nan scèssere sendènne
Variante della città di Bari
SÈNDE
presente
imperfetto
futuro
Iì
sènghe
sendéve
hi a sènde
Tu
sínde
sendìve
hade a sènde
Iìdde/iédde
sènde
sendéve
have a sènde
nú
sendime
sendéveme
avíme a sènde
vú
sendite
sendíve
avíte a sènde
lore
sèndene
sendévene
hanne a sènde
In barese i verbi si differenziano in quattro coniugazioni: -à, -è, -ì, -e. Nella zona murgiana, però, i verbi di prima coniugazione escono spesso in -è.
Modo indicativo
Le desinenze per formare l'indicativo presente sono:
prima coniugazione: -eche, -e, -e, àme/éme, -àte/éte, -ene;
seconda coniugazione: -echee, -e, -e, -íme, -íte, -ene.
Il presente continuato nei dialetti apulo-baresi si forma con l'indicativo presente del verbo stare + a + verbo all'infinito (che può assomigliare alle forme del presente, per esempio fernésce).
stogghe a ffà - sto facendo
Tuttavia, a Bari e, in diverse misure, nei dialetti dell'hinterland, si è affermato il costrutto stare + a + verbo all'indicativo presente (più comune nella seconda e terza persona singolare a nord della zona apulo-barese, mentre viene usato in più persone grammaticali nei dialetti più a sud).
stà a stùdie - sta/stai studiando
stà (a) sséne - stai suonando
stà (a) ssòne - sta suonando
Nell'imperfetto troviamo le seguenti desinenze:
prima coniugazione: -àve, -àve, -àve, -àme, -àte, -àvene
seconda coniugazione: -éve, -éve, -éve, -èmme, -íve, -èvene
Il passato prossimo presenta la formazione seguente: ausiliare èsse/avé al presente + participio passato del verbo.
accattá/é (comprare): iì so accattàte, tu si accattàte, ìidde/iédde hav'accattàte, nú sime accattàte, vú site accattàte, lore sònde accattàte.
Lo stesso accade per trapassato prossimo e trapassato remoto.
Esempio:
iì avéve acchiàte - avevo trovato
iì fuébbe mbregghiáte - ebbi imbrogliato
Per il tempo perfetto le desinenze sono:
prima coniugazione: -éve, -àste, -ò, -àmme, -àste, -àrene;
seconda coniugazione: -íve, -íste, -í, -èmme, -íste, -érene.
Per formare il futuro bisogna ricorrere all'ausiliare avé (avere, dovere) al futuro. Verbo avé al futuro + à + verbo all'infinito.
canòsce (conoscere): iì hì à ccanósce, tu hadde a ccanósce, iìdde/iédde have a ccanòsce, nú avíme à ccanósce, vú avíte à ccanósce, lore hanne à ccanósce.
Modo congiuntivo
Il congiuntivo imperfetto ha delle desinenze proprie:
prima coniugazione: -àsse, -àsse, -àsse, -àmme, -àste, -àssere;
seconda coniugazione: -èsse, -èsse, -èsse, -èmme, -íste, -èssere.
Modo condizionale
Il modo condizionale, inesistente, viene sostituito con l'uso dell'imperfetto indicativo o dell'imperfetto congiuntivo.
Veléve scí o cineme - Vorrei andare al cinema;
Velésse vené pure iì - Vorrei venire anche io.
Nei dialetti murgiani si può presentare anche sotto la forma vulàie o vulisse.
Modo imperativo
L'imperativo è formato semplicemente con l'aggiunta della desinenza -e per la seconda persona singolare, -àme o -íme per la prima persona plurale, e -àte o -íte per la seconda persona plurale davanti all'infinito del verbo:
chiamínde! - guarda!
sciàme! - andiamo! (viene molte volte usato anche sciamanínne / andiamocene)
venite! - venite!
Modo proibitivo
Il proibitivo è utilizzato per vietare un'azione o anche in forma di semplice negazione. Viene utilizzato per la seconda persona singolare e per la prima e seconda persona plurale. Si ottiene con la forma nan + indicativo presente del verbo essere + verbo al gerundio. Ad esempio:
Nan si scénne - non andare
Nan site scénne - non andate
Nan sime scénne - non andiamo
Modo gerundio
Il gerundio si ottiene dall'aggiunta della desinenza -ànne per i verbi del primo gruppo e -ènne per i verbi del secondo davanti alla forma infinita del verbo:
ndrepequànne - cadendo
fescénne - correndo
sendénne - sentendo
senànne - suonando
Modo participio
Il participio passato è formato con l'aggiunta del suffisso -àte per i verbi appartenenti al primo gruppo e del suffisso -úte per i verbi appartenenti al secondo. Tuttavia vi sono anche participi passati uscenti in -ste:
Esistono numerose varianti locali che presentano mutamenti fonetici nella costruzione sintattica della frase, a volte anche netti, con inflessioni dovute al contatto con altri dialetti: si definiscono tali come dialetti di transizione, ne sono esempi i dialetti dell'entroterra murgiano, o della fascia confinante con la provincia tarantina. Eccone alcuni esempi.
La tabella che segue offre un confronto tra alcuni termini apulo-baresi e alcuni stranieri simili tra loro per suono e significato: la similitudine non prova tuttavia un rapporto di derivazione, dal momento che in molti casi la parola apulo-barese ha relazioni provate con i dialetti vicini o con il latino medievale. L'affinità con la lingua straniera può essere quindi una coincidenza o un effetto della comune derivazione dal latino di entrambe le varietà linguistiche.
Apulo-barese
Lemma italiano standard con uguale significato
Lemma simile in una lingua straniera
Lingua di riferimento del lemma straniero
abbàsce
giù / in basso / abbasso (prima persona dell'indicativo presente nel verbo abbassare)
Attànma e nèste,
ca stà n-gìile,
sandefecàte iè u nome tù,
dange u Règne tù,
sèmbe ca iè la volondà tò,
accòme n-gìile acchesì n-dèrre.
Dange iòsce u ppane nèste d, tutte le dì.
e allìvenge le peccàte nèste,
accòme nù le levàme a ll'alde–
e nno nge sì mettènne – la prove,
ma scànzece do male,
Amen.
Ave Marì - L'Ave Maria
Ave MarìQuesto gruppo dialettale è
chiène de grazzie,
u Seggnòre stà che ttè
Tu si benedètte m-mènze a le fèmmene
e benedètte iè u frutte de la venda tò: Gesù.
Sanda Marí,
mamme de Dòmene DDì,
prighe pe nnù peccatùre,
finghe a ll'ore de la morta noste,
Amen.
Glorie o U-attàne - Gloria al Padre
Glorie o U-attàne
o Figghie
e o Spìrde Sande.
Accòme iève iìnd'o prengìbbie
mò e ssèmbe
iìnd'a le sèghele de le sèghele.
Amen.
U repòse atèrne - L'Eterno riposo
U repòse atèrne
regàle a llore Seggnòre,
appìcce sop'a llore
la lusce perpètue,
arrepòsene mbàsce,
Amen.
Iàngeue de Dòmene DDì - Angelo di Dio
Iàngeue de Dòmene DDì
ca sì u uardiàne mì,
lusce, astìpeme, rìsceme e guidìsceme,
ca te fubbe date da la pietà Celèste,
Amen.
Preghìre de la matìne - Preghiera del mattino
T'adorèsceche o Dòmene DDì mì
e tte vogghe bbène che ttutte u core,
te rengrazièche percè me sì criàte,
lebberàte, fatte crestiàne e astepàte iìnd'a cchèssa notte.
Me mbègneche o Dòmene DDì mì, ca aiùte de la grazzia tò,
de fescì da ogne peccàte e da tutte le cassiùne de peccàte
e te prègheche, p'amòre de Gesù, de darme la forze.
No cchèdda mè, ma se va fà la volondà tò
o Dòmene DDì.
Preghìre de la sère - Preghiera della sera
T'adore o Dòmene DDì mì,
e tte vogghe bbène che ttutte u core,
te rengràzieche percè me sì criàte,
lebberàte, fatte crestiàne e astepàte iìnd'a cchèssa dì.
Damme la grazzie de recanòssce le peccàte mì
e de sendì addavère delòre.
No cchèdda mè, ma s'av'a fà la volondà tò
o Dòmene DDì.
Estratti da varianti di comuni dell'entroterra murgiano (gravinese e ruvestino)
Preghìre de la not - Preghiera della notte (gravinese)
Mcolc e madurmesc,
sus o Cil s dscn tre mess,
ci Di' mprvides l'anmamì nans prdes.
A captl du litt mi ste la presenz di Di',
alt ste la Santissm Trinitè,
dal pit la Mari Maddaln rispon pn'abella vousc
facimc u Segn d Sant Crousc.
Preghiere scritte secondo le regole del Seminario di studi ed approfondimento del dialetto Barese di Mondo Antico e Tempi Moderni. L'ultima preghiera è scritta secondo la tradizione orale tramandata a Gravina in Puglia.
Attòn nuostǝ - Il Padre Nostro (ruvestino)
Attòn nuostǝ,
ca stè n-cìdd,
sandǝfkòtǝ u nàume tìuǝ,
vìannǝ u Règnǝ tìuǝ,
ca vènǝ fattǝ la vòlùndǫ tìuǝ,
kòm in-dala kìis aksǝi n-dìàrǝ.
Dàš òšǝ r pònǝ nuostǝ dǝ tuttǝ r dèi.
e lìvǝ r peccòtǝ nuostǝ,
kòm nìuǝ r levòmǝ a ll'aldǝ
e nan-ge sì mìttǝ a r provǝ,
ma scànzǝcǝ dù mòlǝ,
Amen.
Note: ǝ (e muta) š (sc), č (ch), ň (gn), ų semivocale, k (c dura)
Preghiera scritta secondo gli studi del cultore di storia locale e lingue locali, il ruvestino Angelo Tedone[8]
Note
^Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
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Giacinto Spagnoletti, La Puglia e i suoi poeti dialettali, su bpp.it. URL consultato il 14 agosto 2011 (archiviato dall'url originale il 16 novembre 2011).
^Luigi Reho, Dizionario etimologico del monopolitano, Fasano, Schena Editore, gennaio 2008, SBNRML0006378.
^ab Centro di studi filologici e linguistici siciliani, De Blasi-Montuori (PDF), in Giovani Ruffino (a cura di), Bollettino, Palermo, 2012, pp. 166-172.