Il dialetto spezzino (nome nativo dialèto spezin/speˈziŋ/) è la varietà ligure parlata nella zona urbana della Spezia. Presso alcune frazioni del territorio comunale, come Marola, Cadimare sono parlate varietà proprie: il marolino e il cadamoto, tuttavia le differenze tra le parlate sono minimamente percettibili (a tali varianti sono assimilabili anche i dialetti di Fezzano e delle Grazie; diverso discorso per il dialetto di Portovenere di matrice decisamente più genovese). Nella zona di Pitelli, Pagliari, San Bartolomeo e Muggiano, invece, si registra un dialetto di tipo arcolano (Arcola). Inoltre nei quartieri più orientali (Favaro, La Pieve, Limone, Melara) si nota un'influenza nella parlate da parte dei dialetti limitrofi. Nella zona del Termo e delle Pianazze invece si parla prevalentemente una variante di tipo arcolano.
I borghi di Biassa e Campiglia hanno un dialetto proprio con caratteristiche abbastanza diverse dallo spezzino urbano.
Pur distinguendosi sia dal genovese che dai dialetti della limitrofa Lunigiana, ha comunque importanti punti di contatto con entrambi. Particolare per la sua cantilena, e per una propria fonologia, che risente dell'influenza toscana ed emiliana. Numerose sono le varianti fonetiche, essenzialmente riconducibili alle zone geografiche distinte del territorio: il dialetto risente fortemente delle influenze genovesi sulla riviera e nella parte alta della Val di Vara, a Sarzana e alla Spezia digrada nel tipo lunigianese, e si caratterizza per tratti comuni condivisi soprattutto con l'emiliano,[1] mentre è intriso di toscanismi nella bassa Val di Magra.
Un recente studio dell'Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini ha evidenziato la matrice quasi esclusivamente lunigianese del dialetto spezzino.
L'area del dialetto spezzino comprende gran parte dell'area urbana della città e del suo territorio comunale (ad esclusione della frazione di Pitelli, che ha un proprio dialetto fortemente influenzato dalla parlata di Arcola) e i comuni del settore interno del golfo della Spezia, dove presenta significative, ma non essenziali, varianti di tipo fonetico e lessicale (i dialetti da Marola fino a Portovenere sono infatti più influenzati dal genovese).
Considerando invece l'intero territorio della provincia della Spezia si nota come lo spezzino lasci spazio gradualmente a varianti specifiche da comune a comune e talvolta anche da frazione a frazione.
Nelle parti più esterne della provincia i dialetti non appartengono più alla tipologia dello spezzino, ma rientrano o in quella genovese (ad esempio il "genovese" parlato a Deiva Marina, Varese Ligure, Maissana e Carro) o addirittura si collocano ai margini della dialettologia ligure, assumendo caratteri sintattici e ortofonetici che li avvicinano maggiormente ai dialetti emiliani; tra queste parlate di tipo lunigianese, che vanno cioè a raccordarsi con quelle dell'area apuano-lunigianese, si possono citare quelle di Luni, Castelnuovo, Sarzana[2], Santo Stefano Magra e Bolano[3] che, seppure diverse tra loro, presentano sia influenze lessicali liguri e emiliane, sia un forte sostrato fonetico e grammaticale di tipo apuano e lunigianese; conformemente alla sua posizione di "cerniera" tra la Val di Magra e il Golfo, il dialetto di Vezzano Ligure si pone invece in posizione intermedia tra il dialetto spezzino e quelli lunigianesi. Infatti l'area anticamente, assieme all'attuale provincia di Massa-Carrara costituiva il territorio degli apuani (fino a Bonassola), e per tanto la maggior parte della provincia di Spezia un tempo ha fatto parte della Lunigiana storica, cui in seguito si è allontanata, con l'annessione allo stato genovese. Dialetto della lingua genovese il lericino, da cui prende praticamente tutta le terminologia e la grammatica; la "cantilena" ligure lericina è molto accentuata.
Va infine citata anche l'area che dalle Cinque Terre giunge a Levanto e Bonassola, nella quale le parlate locali presentano alcune affinità con quelle dell'area del Tigullio orientale (e quindi con quelle di tipo "genovesizzante" parlate a Lavagna e Chiavari) ma presentano elementi conservativi non solamente genovesi dal punto di vista lessicale e fonetico (p. es. levantese e bonassolese veciu, spezzino vecio, genovese vegio pronunciato vegiu). Caratteristiche simili a quest'area ha pure la Val di Vara in cui si osserva un sempre maggior stadio di "genovesizzazione" a mano a mano che si risale il fiume.
Per via della notevole immigrazione tra fine Ottocento e inizio Novecento e dell'insegnamento nel dopoguerra dell'italiano con metodi che di fatto mortificavano il dialetto, oggi lo spezzino è parlato pochissimo. Sopravvivono in modo diffuso solo alcune espressioni di uso quotidiano.
Scriveva Ubaldo Mazzini già nel 1889: "[...] in pochi anni la popolazione della Spezia si è più che triplicata per elementi nuovi venuti da ogni parte d'Italia, tal che si è fatta una confusione di linguaggio incredibile, e il dialetto antico va man mano modificandosi, finché un giorno si perderà del tutto."
Negli anni che seguirono il faticoso periodo della ricostruzione, quando Spezia poté dedicarsi nuovamente allo studio e alla divulgazione del proprio dialetto, affinché non andasse perduta una tradizione radicata e sentita, furono organizzati concorsi e premi letterari di poesia in vernacolo, denominati "Béla Speza" o "Vécia Speza" che, con la costante presenza di illustri cittadini, quali Augusto Ambrosi, Ferruccio Battolini, Franco Marmori, Bruno Ferdeghini, e molti altri, rivestirono un grande significato socio-culturale, grazie alla tenace ed infaticabile opera di Eugenio Giovando e del suo inseparabile collaboratore, il colto studioso Piergiorgio Cavallini. Tra i poeti dialettali che parteciparono a questi concorsi di poesia in vernacolo possiamo qui ricordare Tino Barsotti, Livio Sisti, Maria Trenta, Sergio Rezzaghi, Teofilo di Rosa, Alberto Vaccarezza e Amedeo Ricco, filologo attento ed ultimo grande classico della poesia dialettale spezzina, vincitore di uno tra i primi prestigiosi concorsi sul tema "Dàa Fòze".
Caratteristiche principali
Il nesso italiano "bi" (BL in latino) corrisponde spesso, ma non sempre, in spezzino a "gi" come in gianco (bianco). A sua volta il nesso "bb" talvolta corrisponde a "gi" come in gàgia (gabbia).
Il nesso "pi" (PL in latino) diventa spesso "c" dolce, come in cian (piano), cén (pieno), ciü (più) o ciassa (piazza).
I nessi "ghi", "gli" e "chi" divengono rispettivamente "gi" e "ci" come in giasso (ghiaccio), magéta (maglietta), ciàve (chiave). Nel caso del suono "schi" si usa la forma "sc-c" presente in diversi dialetti del settentrione: sc-ciopàe (schioppare, scoppiare), mesc-ciae (mischiare), masc-cio (maschio).
In particolare queste caratteristiche sono comuni a molti dialetti liguri.
Il suono "uò" è spesso mutato in "è", come in nèvo (nuovo), èvo (uovo). Talvolta anche il suono "ò" preso singolarmente come èio (olio), nève (nove). Questo fenomeno è presente inoltre nei dialetti di Lerici, Tellaro, Montemarcello, San Benedetto e lungo tutta la costa occidentale fino a Portovenere compreso (nei borghi di Biassa e Campiglia invece si ha il suono œ tipico del genovese).
La "g" dolce, o palatale, (ossia anteriori alle vocali I ed E), doppia o singola, è spesso tramutata in "s" sonora (S di casa) come in parchezo (parcheggio), ormezo (ormeggio), siéza (ciliegia), cusìna (cugina), zìo (giro), zenziva (gengiva) (notare come spesso la I venga inglobata nel suono S/Z stesso).
Solito fenomeno si verifica per la "c" palatale intervocalica, come in nose (noce), e la "z" sonora, come in "sìo" (zio), o zèo (zero).
NOTA: come in molti dialetti liguri la Z scritta si pronuncia come una S sonora, per cui è equivalente la scrittura dell'una piuttosto che dell'altra.
La "c" palatale (o dolce) è tramutata invece in "s" sorda quando si trova all'inizio delle parole o compresa nel nesso "nc", per esempio: sénto (cento), singhiale (cinghiale), comensae (cominciare), lansae (lanciare).
La "r" cade quando compresa tra due vocali come in amoe (amore) o in Caràa (Carrara); presenta inoltre il fenomeno della metatesi come in drento (dentro) o in presempio (per esempio), straportae (trasportae), stranüdo (starnuto). Simile il discorso per la "l" che spesso cade tra vocali come in aa (ala).
Si evidenzia inoltre il fatto che molte parole terminanti in -"ale" tramutano anche la "e" finale in "o": mao (male), canào (canale), spedào (ospedale) (ciò è dovuto probabilmente al fatto che nei dialetti limitrofi di matrice lunigianese, come ad esempio accade nel sarzanese, questi termini terminano in -o/u, canalu, malu etc..).
Il solito fenomeno accade anche per i termini in che finiscono in "-ere" (come molti mestieri) che oltre che elidere la "r" intervocalica sostituiscono la "e" finale con la "o": barbéo (barbiere), carobinéo (carabiniere), canbeéo (cameriere), mestéo (mestiere).
Altro fenomeno, comune a molti dialetti settentrionali, è il troncamento delle parole terminanti in "-ne", "-no": can (cane), man (mano), vesìn (vicino), gatìn (gattino), ma non in àno (anno).
La doppia "m" dell'italiano corrisponde in spezzino a "nm", come in enmaginae (immaginare), o a "rm" come in armiralio (ammiraglio).
I nessi "mb" e "mp" corrispondono a "nb" e "np", come in canpana (campana).
Frequente sostituzione della "i" con la "e" ": repète (ripetere), fenìe (finire), desmentegàsse (dimenticarsi), mòrvedo (morbido).
I nessi formati da 'vocale + L' sono frequentemente tramutati in 'vocale + R' come in arba (alba), merma (melma). Il nesso 'AL + C, D, T, Z' invece diventa 'AÖ' (pronuncia della O simile ad una U) come in caödo (caldo), aöto (alto), caössa (calza) (la Z /ts/ diventa inoltre S in questo caso, come già illustrato prima).
La "c" velare intervocalica (suono K) viene spesso mutata in "g" velare come in amigo (amico), figo (fico).
I termini indicati unità di misura e tempo sono tronchi: giornà (giornata), caretà (unità contenuta in un carro, lett. carrettata).
Quest'ultimo fenomeno accade anche per i nomi indicanti colpi inferti con oggetti come in cotelà (coltellata), bastonà (bastonata), e per molte parole derivanti dai participi (come spesso accade agli aggettivi): condanà (condannato), passà (passato), edücà (educato), fenì (finito).
Assenza del suono "sci", "sce" sostituito invece da "s" sorda: semo (scemo), pésso (pesce) (tranne in pochissimi termini come scena, mosciame).
La "i" adiacente ad un'altra vocale è spesso elisa: masèa (maceria), penséo (pensiero), enséme (insieme).
Confronto con l'italiano, il francese e il ligure genovese
Italiano
Francese
Ligure (Spezzino)
Ligure (Genovese)
Bambino/Ragazzo
Enfant
Fante (figio)
Figgêu
Bambina/Ragazza
Fille
Fantèla (figia)
Fìggia
Madre
Mère
Mae
Moæ
Padre
Père
Pae
Poæ
Fratello
Frère
Frè
Fræ
Sorella
Sœur
Soèla
Sêu
Lavorare
Travailler
Travagiae
Travagiâ
Mela
Pomme
Pomo
Méi/Pommo
Carciofo
Artichaut
Articiòco
Articiòcca
Branzino (nord)
Spigola (sud)
Loup de mer
(lett. lupo di mare)
Lovasso
(lett. lupaccio)
Loasso
Muscoli (nord)
Cozze (sud)
Moules
Muscoli
Móscolo
Aperto
Ouvert
Avèrto
Avèrto
Lucertola
Lézard
Léssoa
Grîgoa
Pipistrello
Chauve-souris
(lett. topo senza peli)
Rato penüo
(lett. topo pennuto)
Ràtto penûgo
(lett. topo pennuto)
Guida, rotaia
Coulisse
Colìssa
Colìssa
Liquirizia
Réglisse
Recanisso
Regolìçia/Recanìsso
Nota: in genovese le O/Ó vengono pronunciate come U e il dittongo Æ si pronuncia È.
Ortografia e pronuncia
L'ortografia dello spezzino non è mai stata ufficialmente determinata e possono esserci variazioni a seconda del periodo, a seconda dell'autore e della zona del Golfo. La tradizione ci lascia comunque dei punti di riferimento.
ln spezzino le consonanti sono sempre scempie (non si usano le doppie), unica eccezione: la "s", che appare scritta in parole come assassin (assassino), nissèe (nocciole), colisse (rotaie), per sottolineare la pronuncia sibilante.
Manca del tutto il suono della "z" aspra (o sorda) come nell'italiano "balzo" o "Firenze". Al suo posto si usa la "s" di "sole"; ad es. pasiensa per "pazienza", esistensa per "esistenza".
Come precedentemente menzionato, la "s" dolce (es. roSa) può esser scritta con z o con s. È quasi sempre indifferente: gese o geze per "chiesa", ma si usa z in Speza, Lerze, Riomazoe per "Spezia", "Lerici", "Riomaggiore".
La "o" può avere suono aperto, chiuso o turbato. In quest'ultimo caso ha una pronuncia intermedia tra la "o" e la "u" (ö).
In aggiunta lo spezzino ha il suono e il carattere ü come in francese o in tedesco: tüto (tutto), mücio (mucchio), grüpo (gruppo, nodo).
Tutti i rimanenti suoni si pronunciano e si scrivono come quelli italiani.
È tipico del dialetto spezzino l’uso di “da” con valore di stato in luogo. Tale uso è antichissimo, attestato già in Dante e Petrarca e anche letteratura precedente. Ad esempio: in dialetto spezzino “ci vediamo dal palazzetto” anziché in italiano “ci vediamo al palazzetto”
Grammatica
Articolo determinativo
L'articolo determinativo femminile è "a". Per sostantivi femminili e maschili comincianti per vocale si usa "l" (con apostrofo o senza, a seconda delle trascrizioni).
L'articolo determinativo maschile "er" si usa di fronte a parole che iniziano per b, c (velare), f, g (velare), m, p, q, v. Per tutti gli altri sostantivi maschili si usa "o".
er besogno (il bisogno)
er caamà (il calamaio)
er füme (il fumo)
er gato (il gatto)
er margon (il palombaro)
er petene (il pettine)
er quatro (il quattro)
er vecio (il vecchio)
l'ase (l'asino)
l'èvo (l'uovo)
l'ignoante (l'ignorante)
l'oo (l'oro)
l'ürtimo (l'ultimo)
o dido (il dito)
o lechezo (la leccornia)
o negro (il nero)
o rato (il ratto)
o svao (il varo)
o tranvai (il tranvai)
o zeneo (il genero)
L'articolo per il plurale maschile è "i", mentre per il plurale femminile è "e" (i fanti, e done).
Articolo indeterminativo
L'articolo indeterminativo singolare per i nomi che iniziano per consonante è "en/ 'n" al maschile e "üna" (spesso modificato in "' 'na") al femminile. Per i nomi che iniziano per vocale l'articolo indeterminativo è sempre " 'n" indipendentemente dal genere. Per il plurale si usano invece le forme partitive "de" e "di".
'n (én) gato (un gatto)
'na (na) dòna (una donna)
'n'agócia (un ago)
la gh'è de dòne ch'i ciarlo (ci sono delle donne che chiacchierano)
la gh'è di fanti ch'i zègo (ci sono dei bambini che giocano)
Il sostantivo e i plurali
Come in italiano lo spezzino possiede entrambi i generi maschile e femminile.
Il plurale delle parole si forma proprio come in italiano tranne che per i termini terminanti in "-n" oppure con un accento tonico:
er fante, i fanti (il ragazzo, i ragazzi) - er porco, i porchi (il maiale, i maiali)
a nìssoa, e nìssoe (la lucciola, le lucciole)
l'oà, e oà (l'orata, le orate)
a man, e man (la mano, le mani)
I termini: porte (porta), sporte (sporta), torte (torta), gése (chiesa) hanno invece la forma singolare e plurale coincidente.
Alterazione del sostantivo
Accrescitivo
Dispregiativo
Diminutivo
naso > nason
fegüa > fegüassa
fante > fantìn, fantéto
cornise > cornison
vento > ventasso
gorpe > gorpòto
Aggettivi
Possessivi: me (mio/a..), te (tuo/a..), se (suo/a..), nostro/a/i/e (nostro/a..), vostro/a/e/i (vostro/a..), se (loro).
Nota: l'utilizzo di er piuttosto che o come pronome proclitico (prima del verbo) dipende dalla lettera iniziale del verbo stesso e segue la stessa regola dell'articolo determinativo maschile. In alternativa si utilizza anche il pronome lo come in italiano.
Pialo (prendilo)
La l' abrassa (lo/ la abbraccia)
I ne dan da mangiae (ci danno da mangiare)
Bevali (bevili)
I i mìa (li/ le guarda)
Interrogativi:chie? (chi?), cóse? (che cosa?, in questo caso la ó è chiusa).
Preposizioni
Le preposizioni sono: de, a, da, en, con, sü, per, tra, 'nfra.
Da esse si formano le articolate:
De
A
Da
En
Con
Per
Tra
Fra
er /o
der/ do
ar /ao
dar/ dao
ente'r/ ent'o
co'r/ coo
pe'r/ pe'o
tra 'r/ tra o
'nfra 'r/ 'nfra o
a
dea (da)
aa
daa
ent'a
coa
pe'a
tra a
'nfra a
l'
del'
al'
dal'
ente l'
con l'
pe' l'
tra l'
'nfra l'
i
di
ai
dai
ent'i
co'i
pe'i
tra i
'nfra i
e
dee
ae
dae
ent'e
co'e
pe'e
tra e
'nfra e
Nota: in spezzino la preposizione articolata "su + articolo" non si usa. Al suo posto si usano le equivalenti "ensimo a" e "sorve a".
Piccolo dizionario di spezzino
Si riporta di seguito la traduzione in spezzino delle parole maggiormente usate nel linguaggio comune.
Nota: Per sost. m. si indica un sostantivo maschile, per sost. f. uno femminile (sarà inserita questa indicazione in particolare nei casi dove il genere del corrispettivo italiano sia diverso da quello del dialetto spezzino).
Come precedentemente menzionato, la "z" si legge come la S dolce di caSa, roSa.
Mangiare e altro: frissèi (frittele di forma quasi sferica, dal genovese "friscêu"), mesc-ciüa (zuppa tipica a base di legumi), èio (olio), asé (aceto), méo (miele), sà (sost. f., sale), sgabei/morseléti (pezzi di impasto per pane fritti), muscoli cen (mitili ripieni, tipico piatto), cressente/levà (lievito), formenton (mais).
Le parti del corpo: ocio (occhio), masca (guancia), brasso (braccio), fantinéta de l'ocio (pupilla), meninèo (mignolo), de l'anèo (anulare), do didào (medio, lett.te "del ditale"), leca mortào (indice, lett.te "lecca mortaio"), sàca peòci (pollice, lett.te "schiaccia pidocchi"), casseta (torace), zenocio (ginocchio), pé (piede), onbrissalo (ombelico), pansa (ventre), chèe (cuore), figaéto (fegato), pimon/pormon (polmone), paétada sc-cena (scapola), sc-cena/schena (schiena), fì dea schena (colonna vertebrale, lett.te filo della schiena), scóso (grembo), fetón (piede grosso), pométi (zigomi), ganassa (mascella).
Le malattie (maotìe) e altro: fréve (febbre), voatìn (sost. m. pl., varicella), rafredoe/massüco (raffreddore), ràntega (raucedine), béssego (sost. m., tosse secca), angossa (nausea), caghéta (dissenteria), sgranfio (crampo), smangiansa (prurito) sc-ciopon (infarto e simili), pantàsso (fiatone), ciavèo (foruncolo), lepra (lebbra), cressentìn (singhiozzo), berlügon (capogiro).
I vestiti e accessori: (vestidi):camisa (camicia), magion (maglione), pelisson/magéta (maglia "della pelle"), braghe (pantaloni), bragoneti (pantaloncini), rebèca (cardigan), pendìn/aneléte (orecchini), pomèo (bottone), gasséta (asola del bottone), scapüsso (cappuccio), scosà (grembiule), berta/staca (tasca), giaché (sost. m., giacca).
Oggetti di uso comune: sacanosi (spaccanoci), tesóe (forbici), picagéta (strofinaccio da cucina), tiabüsson (cavatappi), làpi (matita), cüciao (cucchiaio), cotèo (coltello), forcina (forchetta), tondo (piatto da portata), sperlünga (fiamminga da portata), tiàn (tegame), covèrcio (coperchio), pügnata (pentola di terracotta), gòto/bicéo (bicchiere), arbanèla (barattolo di vetro per conserve), bolàco (barattolo di latta), gondon (profilattico), ancüzena (incudine), faössa (falce), arelogio (orologio), tòa (tavola), toagìn (tovagliolo), saron (sega a due mani), tortaè (imbuto), specéti (occhiali, lett.nte specchietti), papèo (foglio), picosso (scure), cióna (pialla), cüna (culla), ghirindón (comodino), lenséo (lenzuolo), balon (pallone), brilèa (trottola, dal verbo "brilae": ruotare attorno ad un asse, avvolgere), armàio (armadio), sigào (sigaro, notare l'accento sulla "a"), ravàto (oggetto di scarsa qualità), ciavadüa (chiavatura, serratura), tiéto/càntoa (cassetto), scróssa/ometo (appendiabiti), gratóa (grattugia), gradizèla (griglia), zàta (scodella), tanca (tanica).
Luoghi (lèghi): gése (chiesa), stansia (stanza, camera da letto), quartéo (quartiere), ciassa (piazza), mercà (mercato), spedào (ospedale), mòo (molo), ostaìa (osteria) (come in genovese anche alla Spezia lègo, e in buona parte della Val di Magra lògo/lògu, significa anche bagno, cesso).
Avverbi ed espressioni avverbiali: chì (qui), aa marparà (alla malparata), fito (presto), de sprèssa (di fretta), de strangogion/strangosson (ingozzandosi, riferito al mangiare), de daré/aprèvo (dietro, appresso), drénto (dentro), de costa/a canto (accanto), da mezo/de tramèzo (in mezzo), daa lünte (da lontano), de lüngo (da tanto tempo), a bretio/a piéto/aa sanfassona (a casaccio), a renvèrsa (al contrario), a zinzin (sorseggiando), bocüdo (bocconi), anchè/òi /ogi (oggi), de sbiesso (di sbieco), aiéi (ieri), avantiéi (l'altroieri), volentéa (volentieri).
Verbi ed espressioni: abalotoae (appallotolare), asconde/aciatae (nascondere), adormise/ensochìsse (addormentarsi), badaciae (sbadigliare), besigiae/pünzeciae (punzecchiare), aragiasse/arabisse/enfotasse (arrabbiarsi), enbelinae (mettere qualcosa in un posto a caso), spüncionae (spintonare), stranüdae (starnutire), stremenae (seminare, perdere a giro), stragiae (far tracimare liquidi, sprecare), fasse 'na polada (fare un riposino), beciae (avere un atto sessuale, pomiciare), rancae (tirare, strappare), sbragiae (sbraitare), beletagae (solleticare), sghigiae (scivolare), assetasse (sedersi), racae/fae i gatin/caciae fèa (rimettere di stomaco), spatarae (spiaccicare), catae (comprare), cispae (rubare con destrezza), scorìe (rincorrere), ronpìe (rompere), caìe (cadere), lociae (oscillare, muoversi in alloggiamento) , sagagnae (malridurre), siolìe/ deslengoae (sciogliere), devertisse/ demoàsse (divertirsi, trastullarsi), assomiasse (sognarsi), encìe/ reencìe (riempire), bofae/ süssae (soffiare), polìe/ netezae (pulire), bate balengo/ smatezae (dar di matto), avéghevogia/ cuè (avere voglia, desiderio), delamae (franare), svoae (volare).
Unità di misura: 'nabrancà/manà (una manciata), 'n bresenin/pettin/spìsso/cicinìn (un poco), 'na slerfa/slépa (una grossa fetta), 'n bogè/'na caterva/ 'na marea (in gran quantità), 'n tonèo/chintào (una tonnellata, quintale), 'na ramà/versa..d'aigöa (una scrosciata di pioggia), 'na stissa (una goccia), 'na còrba (una cesta).
Insultie parolacce(ensürti): semo/benè/belighè/tarlüco/besügo/ghigion/tanàca/sandron/tananón/tordèo/tanbüo/sonà/tronà/abelinà (scemo, deficiente), strepacoge (rompiscatole, lett.te strappa-balle), galüsso (pezzo di..), cüo/panéo/ocio strobedo (sedere), belin/casso (pene), mössa/guèrsa/petera (vulva), bulìcio (omosessuale), trogia/bagassa (meretrice), pìtima (persona petulante), ciatèla (piattola, persona fastidiosa), ravàto (persona di scarse abilità), legéa/legéra (persona poco affidabile), sc-cena drita (o de vedro) (scansafatiche), mandilào (ladro), gàgio/gagistron/babanàsso (ingenuo).
Il verbo
Le declinazioni verbali in dialetto spezzino derivano principalmente da quelle del genovese (pur essendo presenti anche tratti tipici lunigianesi). A differenza di quest'ultimo però si hanno suoni più aperti (es. è al posto di êu).
Si ha inoltre la ripetizione del soggetto mediante alcune particelle proclitiche (fenomeno presente in molti dialetti come ad esempio quelli emiliani). Esse sono:
a per la prima persona singolare
te per la seconda persona singolare
i / la per la terza persona singolare (a seconda che il soggetto sia maschile o femminile/neutro)
a per la prima persona plurale
a per la seconda persona plurale
i per la terza persona plurale
Modo indicativo presente
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
son
me
a
g'ho/ ho
te
t'
èi
te
te
gh'è/ è
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ l'
è
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'ha/ ha
noi
a
semo
noi
a
g'avémo/ avémo
voi
a
sé
voi
a
g'avé/ avé
lóo
i
en
lóo
i
g'han/ han
Nota: per la forma possessiva nella declinazione del verbo avée, in tutta la zona della provincia viene spesso aggiunta la particella ghe (troncata in gh') corrispondente alla particella ci in italiano. Es: me a g'ho (o anche gh'ho) corrisponde all'italiano io c'ho.
verbi regolari
mangiae (mangiare)
vede (vedere)
sentìe (sentire)
fenìe (finire)
soggetto
partic.
me
a
mangio
vedo
sento
fenisso
te
te
mangi
vedi
senti
fenissi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mangia
veda
senta
fenissa
noi
a
mangémo
vedémo
sentìmo
fenìmo
voi
a
mangé
vedé
sentì
fenì
lóo
i
mangio
vedo
sento
fenisso
verbi irregolari
fae (fare)
dae (dare)
andae (andare)
vorée (volere)
podée (potere)
savée (sapere)
dìe (dire)
stae (stare)
soggetto
partic.
me
a
fago
dago
vago
vogio-vòi
posso
sò
digo
stago
te
te
fè
dè
vè
vè
pè
sè
disi
stè
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
fa
da
va
vè
pè
sa
disa
stà
noi
a
femo
démo
andémo
vorémo
podémo
savémo
disémo
stémo
voi
a
fé
dé
andé
voré
podé
savé
disé
sté
lóo
i
fan
dan
van
vèno
pèno
san
diso
stan
Inoltre si possono considerare "alterati" nella loro coniugazione i seguenti verbi:
moìe (morire)
trovae (trovare)
crovìe (coprire)
zügae (giocare)
provae (provare)
sarae (chiudere)
soggetto
partic.
me
a
mèo
trèvo
crèvo
zègo
prèvo
sèro
te
te
mèi
trèvi
crèvi
zèghi
prèvi
sèri
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mèa
trèva
crèva
zèga
prèva
sèra
noi
a
moìmo
trovémo
crovìmo
züghèmo
provémo
sarémo
voi
a
moì
trové
crovì
züghé
prové
saré
lóo
i
mèo
trèvo
crèvo
zègo
prèvo
sèro
Vi sono poi le forme impersonali: la gh'è (c'è/ ci sono), la cèva (piove), la néva (nevica), la grànzoa (grandina, granzèa infatti è la grandine in spezzino) etc..
Modo indicativo imperfetto
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
éo
me
a
g'avevo/ avevo
te
t'
éi
te
te
g'avevi/ avevi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ l'
éa
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'aveva/ aveva
noi
a
évimo-éimo
noi
a
g'avévimo/ avévimo
voi
a
évi-éi
voi
a
g'avevi/ avevi
lóo
i
éo
lóo
i
g'avevo/ avevo
mangiae (mangiare)
vede (vedere)
sentìe (sentire)
soggetto
partic.
me
a
mangiavo
vedevo
sentivo
te
te
mangiavi
vedevi
sentivi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mangiava
vedeva
sentiva
noi
a
mangiàvimo
vedévimo
sentìvimo
voi
a
mangiavi
vedevi
sentivi
lóo
i
mangiavo
vedevo
sentivo
Modo indicativo futuro
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
saiò - saò
me
a
gh'aveò/ aveò
te
te
saiè - saè
te
te
gh'aveè/ aveè
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
saà
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'aveà/ aveà
noi
a
saiémo -saémo
noi
a
g'aveémo/ aveémo
voi
a
saié - saé
voi
a
g'aveé/ aveé
lóo
i
saàn
lóo
i
g'aveàn/ aveàn
mangiae (mangiare)
vede (vedere)
sentìe (sentire)
soggetto
partic.
me
a
mangeò
vedeò
sentiò
te
te
mangeè
vedeè
sentiè
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mangeà
vedeà
sentià
noi
a
mangeémo
vedeémo
sentiémo
voi
a
mangeé
vedeé
sentié
lóo
i
mangeàn
vedeàn
sentiàn
Modo congiuntivo presente
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
sìo
me
a
g'agio/ agio
te
te
sìi
te
te
g'agi/ agi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
sìa/ sìgia
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'agia/ agia
noi
a
siìmo
noi
a
g'àgimo/ àgimo
voi
a
sìi
voi
a
g'agi/ agi
lóo
i
sìo
lóo
i
g'agio/ agio
Nota: Modo congiuntivo presente verbi regolari: la declinazione è uguale al MODO INDICATIVO PRESENTE (vedi sopra)
Verbi irregolari
fae (fare)
dae (dare)
andae (andare)
vorée (volere)
podée (potere)
savée (sapere)
dìe (dire)
stae (stare)
soggetto
partic.
me
a
fago
dago
vago
vogio
posso
sàcio
digo
stago
te
te
faghi
daghi
vaghi
vogi
possi
sàci
dighi
staghi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
faga
daga
vaga
vogia
possa
sàcia
diga
stàga
noi
a
fàghimo
dàghimo
andémo
vorémo
podémo
savémo
disémo/ dighimo
stàghimo
voi
a
faghi
daghi
andé
voré
podé
savé
disé/ dighi
staghi
lóo
i
fago
dago
vago
vogio
posso
sàcio
digo
stago
Modo congiuntivo imperfetto
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
füsse
me
a
g'avesse/ avesse
te
te
füssi
te
te
g'avessi/ avessi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
füsse
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'avesse/ avesse
noi
a
füssimo
noi
a
g'àvessimo/ àvessimo
voi
a
füssi
voi
a
g'avessi/ avessi
lóo
i
füsso
lóo
i
g'avesso/ avesso
mangiae (mangiare)
vede (vedere)
sentìe (sentire)
soggetto
partic.
me
a
mangiasse
vedesse
sentisse
te
te
mangiassi
vedessi
sentissi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mangiasse
vedesse
sentisse
noi
a
mangiassimo
vedessimo
sentissimo
voi
a
mangiassi
vedessi
sentissi
lóo
i
mangiasso
vedesso
sentisso
Modo condizionale presente
verbo: èsse (essere)
verbo: avée (avere) (forma possessiva/ ausiliare)
soggetto
partic.
soggetto
partic.
me
a
saài
me
a
g'aveài/ aveài
te
te
saéssi
te
te
g'aveéssi/ aveéssi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
saài - saésse
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
g'aveài/ aveài - aveésse
noi
a
saéssimo
noi
a
g'àveéssimo/ àveéssimo
voi
a
saéssi
voi
a
g'aveéssi/ aveéssi
lóo
i
saésso
lóo
i
g'aveào/ aveào - aveésso
mangiae (mangiare)
vede (vedere)
sentìe (sentire)
soggetto
partic.
me
a
mangeài - mangeéssi
vedeài - vedeéssi
sentiài - sentiéssi
te
te
mangeéssi
vedeéssi
sentiéssi
lü (masch.)/ lè (femm.)
i/ la
mangeài - mangeésse
vedeài - vedeésse
sentiài - sentiésse
noi
a
mangeéssimo
vedeéssimo
sentiéssimo
voi
a
mangeéssi
vedeéssi
sentiéssi
lóo
i
mangeào - mangeésso
vedeào - vedeésso
sentiào - sentiésso
Nota: come si evince dalle tabelle per la prima persona singolare e la terza persona singolare e plurale vi sono più modi di declinazione del verbo (separati dal tratto -), in particolare questi ultimi sono considerati la versione più moderna.
Modo participio
Passato
mangiae (mangiare)
beve (bere)
sentìe (sentire)
mangià
bevü
sentì
NOTA: i participi passato regolari sono uguali per tutti i soggetti verbali, per cui ad esempio sortì significa: uscito, uscita, usciti, uscite.
Vi sono poi i participi passato irregolari come: ascoso -a/i/e (da asconde, nascondere), cèvito (piovuto), vorsü/ vorü (da vorée, volere), saciü/ savü (da savée, sapere), parsü (parso), varsü (valso) e i classici fato -a/i/e, visto -a/i/e... .
Modo gerundio
Presente
mangiae (mangiare)
beve (bere)
sentìe (sentire)
mangiando
bevendo
sentìndo
In spezzino al posto del gerundio si usano prevalentemente le espressioni: "conde+ infinito" (es. con de dìe, dicendo) oppure "ent'o/ ent'er+infinito" (es. ent'o sentìe, ent'er miae, sentendo, guardando).
Favole e poesie
Esistono alcune favole tipiche in spezzino. Iniziano spesso con la formula
Dónca, cos'a a voré 'n veità, na vota la gh'ea...
(Dunque, che volete [che vi dica] in verità, una volta c'era...) e si chiudono a volte con
Foa 'n sa, foa 'n là, A me foa la se 'n è andà.
(Favola in qua, favola in là,/ la mia favola se n'è andata.)
Dopo il lieto fine, invece, la formula di chiusura è diversa:
I feno 'n beo pranso grande e grosso, Me a eo sotto a toa e i m'han cacià n' osso Ch'i m'è arestà zü per er canoosso. Toca un po' chi com'a gh'ho grosso!
(Fecero un pranzo grande e grosso/io ero sotto la tavola e mi hanno tirato un osso/ che mi è rimasto giù per la gola/ tocca un po' qui come è grosso!) Finita l'ultima frase il narratore spinge la lingua contro la guancia in modo da creare un rigonfiamento e il bambino che ascolta fa per toccarlo, come la mano è abbastanza vicina il narratore finge di mangiargli le dita e dice "ham!"
A veceta e a bereta
"La vecchietta e il berretto" è una storiella, impostata come un esercizio mnemonico, che ripercorre tutti gli elementi necessari per fare il pane. Il Mazzini la definisce come la più tipica e originale del repertorio spezzino.
Una vecchietta prende il berretto del narratore/protagonista e dice "A te dago a bereta, se te me dè de pan." (ti do il berretto se mi dai del pane). Ma il forno non ha pane e si percorrono a ritroso tutti i passaggi della produzione: prima in cerca della pasta, poi della faìna (farina), il gran (grano), a grassina (concime), le giande (ghiande), o sèro (cerro), il vento, er mae (mare). E poi, ottenuto il vento dal mare, di nuovo tutti i passaggi sino al forno. Finisce con lo scambio: il pane alla veceta e il berretto al proprietario.
A foa dee trei gainete
"La favola delle tre gallinette" ricorda nella sua seconda parte quella dei tre porcellini, con varianti piuttosto "pulp".
Tre gallinette (Giancheta, Rosseta, Negreta) assaggiano troppo spesso il riso che stanno cucinando sino a mangiarlo tutto. Preoccupate della reazione del padre decidono di lasciargli una zuppa e di andare in giro per il mondo. Dopo un'estenuante camminata vengono sorprese dalla pioggia e si mettono a piangere. Ma ecco che arriva un gallo, che decide di aiutarle costruendo per loro una casa. Ma Giancheta entra per vedere come ci si sta e si trova così bene che non apre più alle sorelle. Di nuovo pianti. Ma arriva un altro gallo che fa una nuova casa. Questa volta è Rosseta che lascia fuori l'ultima sorella. Ancora pianti e ancora un gallo che costruisce la terza casa, più solida, e anche Negreta è sistemata. Ecco che passa o luvo (il lupo), si ferma dalla prima casa, bussa e si presenta come il padre. Ma la gallina capisce subito l'inganno e non apre. O luvo minaccia di demolire la casa con un peto; la gallina è incredula "Mah, se t'èi bon, falo!" (Se sei capace, fallo!). E il lupo lo fa e se la mangia. Stessa sorte per la seconda gaineta. Alla terza, come o luvo minaccia la distruzione della casetta col suo originale metodo, la gallina Negreta mette un chiodo bello lungo ad arroventare sul fuoco e prende tempo "Spèta 'n momento che t'a rèvo" (Aspetta un momento che ti apro). Poi si avvicina alla porta e trova il lupo che ha sovrapposto il suo orifizio al buco della serratura. Allora ci infila il chiodo e lo ammazza, poi esce, apre il lupo, ne estrae le due sorelle e le accoglie a vivere con sé. I feno 'n beo pranso grande e grosso... ecc.
Lerze (Lerici) (la z è viene pronunciata come una S sonora)
Una filastrocca cantata dai nonni di Lerici (il cui dialetto, come si nota, si discosta per alcuni tratti da quello della Spezia):
"La me l'ha cuntà me nono en te 'na giornà de soe, asetà 'nte 'na panchina a redosso de'r muagion;
dopo avè cargà a se pipa, aveghe ato doe tià, m'ha mià drito n'ti oci e così gi ha 'ncomensà:
-o me Lerze te sen belo con a luna e quei puntin, te me pai 'na perla véa tempestà de diamantin!!!
con 'r soe e o te castelo te me fè restà encantà, o me Lerze te sen belo, te me pai 'na rarietà!!!"
Me l'ha raccontata mio nonno in una giornata di sole, seduto su una panchina a ridosso del muraglione (muro);
dopo aver caricato la sua pipa, avergli dato due tirate, mi ha guardato dritto negli occhi e così ha cominciato:
O mia Lerici sei bella con la luna e qui puntini (stelle), mi sembri una perla vera (vea) tempestata di diamantini!!!
con il sole il tuo castello mi fa rimanere incantato, o mia Lerici sei bella, mi sembri (pai=sembri) una rarietà!!!
Scioglilingua (desbrogia léngoa)
Aiei i éa èio, òi i è òo (Ieri era olio, oggi è oro - Nota: la frase non contiene neanche una consonante)
A t'ho ito oto èti de totaneti, tüti tagià a tocheti (Ti ho detto otto etti di totanetti, tutti tagliati a pezzetti)
Bonaséa, séa. La m'ha dito a séa s'a ghe 'npresté en po' de séa che la passeà staséa a redarve a séa. Bonaséa, séa. (Buonasera, zia. Mi ha detto la zia se le prestate un po' di cera, che ripasserà stasera a ridarvi la cera. Buonasera, zia).
Pia 'n po' 'n pan! (Prendi un po' una pagnotta!)
Te chini chì o te chini ciü 'n là? (Scendi qui o scendi più avanti?)
Me a chino chì che g'ho da catae i cüciaìn (Scendo qui perché devo comprare i cucchiaini)
Se sa assè se a sà l'è assè per saàe a saösissa (Non si sa se il sale è abbastanza per salare la salsiccia - Nota: "sale" in spezzino si dice "sà" al femminile). (Assè vuol dire assai ed è utilizzato anche antifrasticamente, ossia in senso opposto, con il significato di abbastanza).
Proverbi e modi di dire
Ai cativi mainài tüti i venti i en contrai (Per i cattivi marinai, tutti i venti sono contrari)
Ai cüiosi se ghe strina 'r cüo. (Ad esser curiosi ci si può scottare il culo)
A tüto la gh'è remedio, fèa che a l'osso der colo (A tutto c'è rimedio, tranne all'osso del collo, alla morte)
Beati i ürtimi se i primi i g'han discression. (Beati gli ultimi... se i primi sono educati)
Bela come er cüo dea padela (Bella come il cul della padella)
Chi pè pè, chi ne pè va a pé (chi può può, chi non può si arrangia)
Chi prometa e che n'atenda, a cà do diao se ghe stenda (Chi promette e non mantiene, a casa del diavolo vi si distenda)
Da 'n pin ne ghe nassa en castagno (Da un pino non nasce un castagno)
En po' pe' ün, ne fa mao a nissün (Un po' per uno non fa male a nessuno)
Er merlo ch'i disa a'r crovo: -come t'èi negro!- (Il merlo che dice al corvo:-come sei nero!-)
Er porco i dà de'r porco ai aötri perché i è lü. (Chi ha la coscienza sporca accusa gli altri)
Fin che i sassi i van a fondo, la ghe 'n saàn de semi ar mondo (finché i sassi vanno a fondo, ce ne saranno scemi al mondo)
L'è come picae ün che caga (è come picchiare uno che sta facendo i suoi bisogni)
Morto 'n papa, se fa 'n papa e 'n cardinale. (Morto un papa, si fa un papa... e un cardinale)
'Na pissada sensa peto, l'è come 'n violin sensa archeto (una pisciata senza peto, è come un violino senza archetto)
'Nta padela e sime di bochi i pao torte (lett.: Nella padella le cime dei rovi sembrano torta.)
Se ne ghe n'è, la ne se 'n spenda (Se non ce n'è non se ne spende: si dice dei soldi o dell'intelligenza)
Esse come er can do Lecia, ch' i lo pìa ent'er cüo e poi i disa ch'i becia (è come il cane del Leccia, che lo prende nel sedere e poi dice di fare sesso; si dice alle persone che si danno tante arie ingigantendo le proprie "dis-avventure").
"E chi t'èi, er mostro de Pitèi?" ("E chi sei, il mostro di Pitelli?", dicesi sempre a coloro che raccontano le proprie avventure in modo fantasioso mettendosi in mostra).
Esse cén de venti (lett. essere pieno di venti, ossia darsi delle arie).
A te dago 'n mascon/ sc-ciafo/ tafón cossì forte che a müagia la te 'n tìa n'aötro (ti do uno schiaffo così forte che il muro te ne dà un altro).
Vegnìe ae cürte (tagliar corto).
I è caìto ent'er canao e i ne s'è fato manco mao (è caduto nel canale e non si è fatto manco male).
Mìa ch'i te mìo (guarda che ti guardano).
Amigo o nemigo, china zü dar pé de figo (amico o nemico, scendi giù dalla pianta del fico).
^Giorgio Masetti, Antologia etimologica del dialetto Sarzanese, Agorà, 2000
^Vedi P. Maffei Bellucci, Profilo dei dialetti italiani - Lunigiana, Pisa, Pacini, 1977; per Follo R. Bruni, Vocabolario del dialetto di Bastremoli, La Spezia 1996.
Bibliografia
Ubaldo Mazzini, Saggio di folclore spezzino, La Spezia, Amministrazione provinciale della Spezia, 1979.
Ubaldo Mazzini, Poesie in vernacolo, La Spezia, Editori Laterza - Cassa di Risparmio della Spezia, 1989.
Mario Niccolò Conti e Amedeo Ricco, Dizionario spezzino, La Spezia, Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini, 1975.
Franco Lena, Nuovo dizionario del dialetto spezzino, La Spezia, Accademia Lunigianese di Scienze Giovanni Capellini, 1993.
Franco Lena, Introduzione alla grammatica del dialetto spezzino, Genova - La Spezia, Stabilimento Tipografico Fabiani, 1995.
This article is about the novel. For the film, see The Ambushers (film). This article needs additional citations for verification. Please help improve this article by adding citations to reliable sources. Unsourced material may be challenged and removed.Find sources: The Ambushers novel – news · newspapers · books · scholar · JSTOR (May 2019) (Learn how and when to remove this template message) The Ambushers Original 1963 paperback coverAuthorDona...
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