Le notizie circa le opere di Calamide che è possibile trarre dalle fonti letterarie antiche sono numerose benché siano accompagnate da scarse copie identificabili. La collocazione cronologica e i caratteri della sua statuaria ne fanno un tipico esponente dello stile severo, le cui opere sono ricordate da Quintiliano (Institutio oratoria, XII.10.7) e da Cicerone (Brutus, 18.70) tra quelle caratterizzate da antica "rigidità". Dionigi di Alicarnasso ne rammenta invece la finezza e la grazia (de Isocrate, 3). Viene citato anche in contesti poetici romani come in Properzio (Elegie, III.9.10) e in Ovidio (Epistulae ex Ponto, IV.1.33), che lo ricordano come scultore di cavalli; dei cavalli di Calamide scrive anche Plinio il Vecchio in un passo della Naturalis historia (XXXIV, 71) che potrebbe tuttavia riferirsi ad uno scultore omonimo del IV secolo a.C.[2]
Il carattere di Calamide, se si seguono i tratti stilistici deducibili dalle copie attribuite, sembra lontano dai problemi inerenti al movimento, cari a Pitagora di Reggio come a Mirone; egli sembra più interessato alla statica della figura e alla sua volumetria, inserendosi nella linea di ricerca che da Crizio giunge a Policleto. L'interesse per il panneggio, per la sintesi e la morbidezza dei passaggi lo rendono un diretto antecedente di Fidia.[3]
Afrodite Sosandra
Con l'Afrodite Sosandra (originale bronzeo databile al 465 a.C. circa) Calamide ha offerto allo stile severo un singolare contributo, con il gioco morbido della luce che scorre sul mantello nel quale la figura si avvolge celando il proprio corpo e ogni intuizione di anatomia; fa eccezione il bel volto ovale del quale Luigi Lanzi disse che Calamide precisò assai bene "la verecondia e il sorriso".[4] Le fonti letterarie antiche relative alla Sosandra sono Luciano di Samosata (Imagines) e Pausania (I.23.2); entrambi ricordano la statua nei Propilei e Pausania ricorda Callia (cognato di Cimone) come dedicante.[5] L'opera è conosciuta attraverso una ventina di copie marmoree di età romana una delle più note fra le quali fu ritrovata da Mario Napoli presso Baia ed esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli; un'altra è conservata al Pergamonmuseum di Berlino.
Pausania attribuisce a Calamide i due cavalli montati da fanciulli che si trovavano ai lati di un carro opera di Onata di Egina, dedicata da Deinomenes, figlio di Ierone di Siracusa in vece di quest'ultimo, morto prima di riuscire a dedicare l'opera a Zeus come ringraziamento per la vittoria nella corsa dei carri ai giochi olimpici del 468 a.C. (Paus., VI.12.1).[5]
Georgios Dontas, Cavalli di stile severo del Partenone, in Nicola Bonacasa (a cura di), Lo stile severo in Grecia e in Occidente : aspetti e problemi, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1995, ISBN88-7062-882-5.