Alla bandiera italiana è dedicata la Festa del Tricolore, istituita dalla legge 31 dicembre 1996, n. 671, che si tiene ogni anno il 7 gennaio. Questa celebrazione commemora la prima adozione ufficiale del tricolore come bandiera nazionale da parte della Repubblica Cispadana, che avvenne a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, a seguito della Rivoluzione francese e della discesa di Napoleone Bonaparte in Italia; la Repubblica Cispadana propugnò tra i suoi ideali l'autodeterminazione dei popoli. I colori nazionali italiani erano comparsi per la prima volta a Genova il 21 agosto 1789 su una coccarda tricolore, mentre il primo stendardo militare verde, bianco e rosso, a tre bande verticali, era stato adottato dalla Legione Lombarda a Milano l'11 ottobre 1796.
La considerazione popolare per la bandiera tricolore crebbe costantemente, sino a farla diventare uno dei simboli più importanti del Risorgimento, che culminò il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d'Italia, di cui il tricolore assurse a vessillo nazionale. La bandiera italiana ha attraversato più di due secoli di storia d'Italia, salutandone tutti gli avvenimenti più importanti.
Il 12 luglio 1789, due giorni prima della presa della Bastiglia, il giornalista rivoluzionario Camille Desmoulins, mentre arringava la folla parigina alla rivolta, chiese ai manifestanti quale colore adottare come simbolo della Rivoluzione francese, proponendo il verde speranza oppure il blu della Rivoluzione americana, come simbolo di libertà e democrazia: i manifestanti risposero "Il verde! Il verde! Vogliamo delle coccarde verdi!"[9]. Desmoulins colse quindi una foglia verde da terra e se l'appuntò al cappello come segno distintivo dei rivoluzionari[9]. Il verde, nella primigenia coccarda francese, fu abbandonato dopo un solo giorno in favore del blu e del rosso, perché esso era anche il colore del fratello del re, il reazionarioconte d'Artois, che diventò monarca dopo la Restaurazione con il nome di Carlo X[10]. La coccarda francese tricolore si completò poi, in seguito a eventi successivi, con l'aggiunta del bianco, colore dei Borbone, in ossequio al re Luigi XVI, che era ancora regnante nonostante le violente rivolte che imperversavano nel Paese (la monarchia francese fu abolita infatti tre anni dopo, il 10 agosto 1792)[5][11]. Secondo altre interpretazioni invece il bianco sarebbe stato scelto in quanto colore della Nazione[12].
Poco dopo gli eventi rivoluzionari francesi, anche in Italia iniziarono a diffondersi estesamente gli ideali di innovazione sociale — sulla scorta dell'approvazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 — e successivamente anche politica, con i primi fermenti patriottici indirizzati all'autodeterminazione nazionale: per tale motivo la bandiera francese blu, bianca e rossa diventò prima riferimento dei giacobini italiani e in seguito fonte di ispirazione per la creazione di un vessillo identitario italiano[8].
Le prime sporadiche dimostrazioni favorevoli agli ideali della Rivoluzione francese da parte della popolazione italiana avvennero nell'agosto del 1789, con la comparsa, soprattutto nello Stato Pontificio, di coccarde di fortuna costituite da semplici foglie verdi di alberi che erano appuntate sui vestiti dei manifestanti richiamando analoghe proteste avvenute in Francia agli albori della rivoluzione, poco tempo prima dell'adozione della coccarda francese tricolore[13].
In seguito la popolazione italiana iniziò a usare coccarde vere e proprie realizzate in stoffa: al verde delle foglie degli alberi, già impiegato in precedenza, furono aggiunti il bianco e il rosso, in modo da richiamare in maniera più marcata gli ideali rivoluzionari rappresentati dal tricolore francese[14]; in particolare, la prima traccia documentata della comparsa della coccarda tricolore italiana è datata 21 agosto 1789: negli archivi storici della Repubblica di Genova è riportato che testimoni oculari avessero visto aggirarsi per la città alcuni manifestanti aventi appuntata sui vestiti[15]:
«[…] la nuova coccarda francese bianca, rossa e verde introdotta da poco tempo a Parigi […]»
(Archivio storico della Repubblica di Genova)
Le gazzette italiane dell'epoca avevano infatti ingenerato confusione sui fatti francesi, in particolar modo omettendo la sostituzione del verde con il blu e il rosso, e riportando l'erronea notizia che il tricolore francese fosse verde, bianco e rosso[14]; in aggiunta a ciò, non era ancora avvenuta una presa di coscienza nazionale vera e propria, tant'è che per un breve periodo molti manifestanti italiani continuarono erroneamente a credere che la coccarda verde, bianca e rossa rappresentasse il tricolore francese: il loro obiettivo era infatti solo quello di manifestare l'adesione agli ideali della rivoluzione d'oltralpe[13]. Il verde, una volta chiarito l'errore, fu poi mantenuto dai giacobini italiani perché rappresentava la natura e quindi — metaforicamente — anche i diritti naturali, ovvero l'uguaglianza e la libertà[16].
Il verde, il bianco e il rosso applicati su una coccarda tricolore ricomparirono durante la fallita sommossa di Bologna contro lo Stato Pontificio del 13-14 novembre 1794 per opera di Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis[17][18]. Questa genesi è invero contestata da alcuni studiosi, che sostengono la tesi per la quale le coccarde di Zamboni e De Rolandis fossero in realtà bianche e rosse (associando invece questi colori allo stemma di Bologna), con inserti verdi non voluti[19], visto che furono aggiunti sotto forma di fodera[20].
Gli storici sono invece unanimi sul fatto che dopo gli eventi di Bologna la coccarda italiana tricolore sia apparsa nel 1796 a Milano: queste coccarde, aventi la tipica forma circolare, avevano il rosso all'esterno, il verde in posizione intermedia e il bianco al centro[21]; i colori nazionali italiani esordirono quindi su una coccarda[15].
Gli stendardi di Cherasco
La traccia documentata più antica che cita la bandiera tricolore italiana è legata alla prima discesa di Napoleone Bonaparte nella penisola italiana. Con l'avvio della prima campagna d'Italia, in molti luoghi i giacobini della penisola insorsero contribuendo, insieme ai soldati italiani inquadrati nell'esercito francese, alle vittorie transalpine[22][23].
Questo rinnovamento fu accettato dagli italiani nonostante fosse legato alle convenienze della Francia napoleonica, che aveva forti tendenze imperialistiche, perché la nuova situazione politica era migliore di quella precedente: il legame a doppio filo con la Francia era infatti molto più accettabile dei secoli passati nell'assolutismo[24].
Il primo territorio a essere conquistato da Napoleone fu il Piemonte; nell'archivio storico del comune piemontese di Cherasco è conservato un documento che attesta, il 13 maggio 1796, in occasione dell'omonimo armistizio tra Napoleone e le truppe austro-piemontesi (con cui Vittorio Emanuele I di Savoia cedette Nizza e la Savoia alla Francia per porre fine alla guerra[26]), il primo accenno al tricolore italiano, riferendosi a stendardi comunali issati su tre torri del centro storico[27]:
«[…] si è elevato uno stendardo, formato con tre tele di diverso colore, cioè Rosso, Bianco, Verde Bleu. […]»
(Documento conservato presso il comune di Cherasco)
Sul documento il termine «verde» è stato successivamente barrato e sostituito da «bleu», cioè dal colore che forma — insieme al bianco e al rosso — la bandiera francese[6].
Inizialmente, il tricolore francese fu innalzato da molte città: il nuovo conquistatore non era, come in tempi antichi, geloso dei propri colori, ma orgoglioso che essi fossero messi in mostra, essendo questi i simboli di un esercito conquistatore e di un popolo vittorioso[28]. È alla bandiera francese che i documenti, almeno fino all'ingresso dell'esercito napoleonico italiano a Milano nell'ottobre 1796, fanno riferimento quando usano il termine "tricolore"[28].
L'11 ottobre 1796 Napoleone comunicò al Direttorio la nascita della Legione Lombarda, un'unità militare costituita dall'Amministrazione generale della Lombardia[29][30], governo che faceva capo alla Repubblica Transpadana[31]. Su questo documento, in riferimento alla sua bandiera di guerra, che ricalcava il tricolore francese e che fu proposta a Napoleone dai patrioti milanesi[32], è riportato che[33]:
(FR)
«[…] les couleurs nationales qu'ils ont adopté sont le vert, le blanc et le rouge. […]»
(IT)
«[…] i colori nazionali adottati sono il verde, il bianco e il rosso. […]»
(Napoleone Bonaparte)
A tal proposito, uno dei patrioti milanesi filo-napoleonici, l'avvocato Giovanni Battista Sacco, dichiarò[32]:
«[…] Già il tricolore vessillo che da gran tempo ci lusinga di renderci liberi soggiace a riforma: il color nostro nazionale vi ha parte e in certo modo ci si assicura che presso è a spuntare l'aurora apportatrice della nostra rigenerazione […]»
(Giovanni Battista Sacco)
La Legione Lombarda fu quindi il primo reparto militare italiano a dotarsi d'un vessillo tricolore come insegna[31]. Secondo fonti più autorevoli, la scelta effettuata dai membri della Legione Lombarda di sostituire il blu della bandiera francese con il verde fu altresì legata al colore delle divise della Milizia cittadina milanese, i cui componenti, fin dal 1782, indossavano un'uniforme di questa tonalità, ovvero un abito verde con mostrine rosse e bianche; per siffatta ragione, in dialetto milanese, i membri di questa guardia comunale erano popolarmente chiamati remolazzit, ovvero «piccoli ravanelli», richiamando le rigogliose foglie verdi di questo ortaggio[34].
Il bianco e il rosso erano anche peculiari dell'antichissimo stemma comunale di Milano, e parimenti comuni sulle divise militari lombarde dell'epoca[7][34][35]. Non fu quindi un caso che il tricolore verde, bianco e rosso fosse scelto come insegna dalla Legione Lombarda[7].
La prima approvazione ufficiale della bandiera italiana da parte delle autorità fu quindi come insegna militare della Legione Lombarda e non ancora come bandiera nazionale di uno Stato italiano sovrano[36]. Il 6 novembre 1796 la prima coorte della Legione Lombarda ricevette il proprio vessillo tricolore nel corso di una solenne cerimonia alle ore cinque pomeridiane in piazza del Duomo a Milano[30][33][35]. La bandiera si presentava divisa in tre fasce verticali, riportando la scritta "Legione Lombarda" e il numero di coorte, mentre al centro si stagliava una corona di quercia racchiudente un berretto frigio e una squadra massonica con pendolo[37].
Bandiere della stessa foggia furono assegnate anche alle altre cinque coorti costituite[29]. Tutti e sei i vessilli sono ancora esistenti: cinque esposti all'Heeresgeschichtliches Museum di Vienna e uno al musée de l'Armée di Parigi[33][38]. Con il susseguirsi delle vittorie militari di Napoleone e la conseguente nascita delle repubbliche favorevoli agli ideali rivoluzionari, in molte città italiane si assunsero, sugli stendardi militari, il rosso, il bianco e il verde quali simbolo di innovazione sociale e politica[8].
La bandiera militare della Legione Italiana
Dal 16 al 18 ottobre 1796, a Modena, si tenne un congresso che, attraverso l'attiva partecipazione di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, decretò la nascita della Repubblica Cispadana, con l'avvocato Antonio Aldini in qualità di presidente.
Tra i vari provvedimenti presi, il congresso deliberò la costituzione di una Legione Italiana, poi ridenominata Legione Cispadana[31], che avrebbe dovuto partecipare insieme alla Francia a una guerra contro gli austriaci; il vessillo militare di questa unità militare era composto da un tricolore rosso, bianco e verde, probabilmente ispirato dall'analoga decisione della Legione Lombarda[32][33][39]:
«[…] Si decreta la costituzione della Confederazione Cispadana, e la formazione della Legione Italiana, le cui coorti debbono avere come bandiera il vessillo bianco, rosso e verde adorna degli emblemi della libertà. […]
[…] ART.VIII Ogni Coorte avrà la sua bandiera a tre colori Nazionali Italiani, distinte per numero, e adorne degli emblemi della Libertà. I numeri delle Coorti saranno estratti a sorte fra quelle formate delle quattro Provincie. […]»
(Decreto di costituzione della Legione Italiana)
Come già accennato, non si trattò ancora di una bandiera nazionale, ma nuovamente di una bandiera di guerra[37].
Il vessillo civico della congregazione di Bologna
Il 19 giugno 1796 Bologna fu occupata dalle truppe napoleoniche[38]. Di poco appresso, fu istituita una Guardia civica, che adottò una divisa identica a quella della Milizia cittadina milanese, ovvero un abito verde con mostrine rosse e bianche[38]. Il 18 ottobre 1796[35], contestualmente alla costituzione della Legione Italiana, la congregazione filo napoleonica dei magistrati e deputati aggiunti di Bologna, al terzo punto della discussione, deliberò la creazione di un vessillo civico tricolore, questa volta sganciato dall'uso militare. Su un documento conservato nell'archivio di Stato di Bologna si può leggere:
«[…] Bandiera coi colori Nazionali – Richiesto quali siano i colori Nazionali per formarne una Bandiera, si è risposto il Verde il Bianco ed il Rosso […]»
(Delibera della congregazione di Bologna[N 4][35])
Conseguentemente all'adozione da parte della congregazione bolognese, il tricolore diventò simbolo politico della lotta per l'indipendenza dell'Italia dalle potenze straniere, avvalorato dal suo utilizzo anche in ambito civile[35]. A questo vessillo bolognese, legato a una realtà comunale e quindi avente ancora respiro prettamente locale, e ai precedenti stendardi militari della Legione Lombarda e di quella Italiana, si ispirò poi la successiva adozione della bandiera italiana da parte di un organismo statale, la Repubblica Cispadana, che avvenne il 7 gennaio 1797[7][40].
A Reggio Emilia, il 27 dicembre 1796, in un'assemblea tenutasi in un salone del municipio della città (in seguito all'uopo ribattezzato Sala del Tricolore) 110 delegati presieduti da Carlo Facci approvarono la carta costituzionale della Repubblica Cispadana, comprendente i territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia[41].
In riunioni successive furono decretati e ufficializzati molti provvedimenti, tra cui la scelta dell'emblema della neonata repubblica[42]. Ad avanzare la proposta di adozione di una bandiera nazionale verde, bianca e rossa fu, in un'assemblea avvenuta il 7 gennaio, Giuseppe Compagnoni, che per questo è ricordato come il «padre del tricolore»[37][42][43]. Questo decreto di adozione recita[44][45]:
«[…] Dal verbale della Sessione XIV del Congresso Cispadano: Reggio Emilia, 7 gennaio 1797, ore 11. Sala Patriottica. Gli intervenuti sono 100, deputati delle popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Giuseppe Compagnoni di Lugo fa mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. Vien decretato. […]»
(Verbale della riunione del 7 gennaio 1797 del congresso della Repubblica Cispadana)
La decisione del congresso di adottare una bandiera tricolore verde, bianca e rossa fu poi salutata da un'atmosfera giubilante, tanto era l'entusiasmo dei delegati, e da scrosci di applausi[34]. La storica seduta del congresso non specificò le caratteristiche di questa bandiera con la determinazione della tonalità e della proporzione dei colori, e non precisò neppure la loro collocazione sul vessillo[46]. Sul verbale della riunione di sabato 7 gennaio 1797[35], avvenuta anch'essa nella futura Sala del Tricolore, si può leggere[47]:
«[…] Sempre Compagnoni fa mozione che lo stemma della Repubblica sia innalzato in tutti quei luoghi nei quali è solito che si tenga lo Stemma della Sovranità. […]
[…] Fa pure mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. […]
[…] Dietro ad altra mozione di Compagnoni dopo qualche discussione, si decreta che l'Era della Repubblica Cispadana incominci dal primo giorno di gennaio del corrente anno 1797, e che questo si chiami Anno I della Repubblica Cispadana da segnarsi in tutti gli atti pubblici, aggiungendo, se si vuole, l'anno dell'Era volgare. Vien decretato. […]»
(Verbale della riunione del 7 gennaio 1797 del congresso della Repubblica Cispadana[35])
Per la prima volta il tricolore diventò ufficialmente bandiera nazionale di uno Stato italiano sovrano, sganciandosi dal significato militare e civico locale: con questa adozione la bandiera italiana assunse pertanto un'importante valenza politica[47][48]. Nella seduta del 21 gennaio, tenutasi questa volta a Modena, dove nel frattempo erano stati spostati i lavori congressuali, la decisione fu resa esecutiva:
«[…] confermando le delibere di precedenti adunanze – decretò vessillo di Stato il Tricolore – per virtù d'uomini e di tempi – fatto simbolo dell'unità indissolubile della Nazione. […]»
(Verbale della riunione del 21 gennaio 1797 del congresso della Repubblica Cispadana)
Il vessillo che fu poi utilizzato dalla Repubblica Cispadana si presentava interzato in fascia con il rosso in alto, al centro l'emblema della repubblica e ai lati le lettere R e C, ovvero le iniziali delle due parole che formano il nome dell'organismo statale[37][46].
La bandiera italiana fu esposta per la prima volta al pubblico nella città di Modena il 12 febbraio 1797; per celebrarne l'avvenimento, fu organizzato un corteo attraversante le vie della città, che passò alla storia con il nome di "passeggiata patriottica"[49], con esponenti della Guardia civica e dell'esercito che le tributavano, solennemente, onore[46]. Da questa data il tricolore italiano si diffuse anche al di fuori dei confini emiliani, soprattutto in Lombardia, e iniziò a essere esibito sempre più sovente, come vessillo militare, dai soldati napoleonici che combattevano in Italia[46].
A Bergamo fu decretato l'obbligo da parte dei civili di portare una coccarda tricolore appuntata sui vestiti, coercizione che fu sancita, il 13 maggio 1797, anche a Modena e Reggio Emilia[50][51]. Anche senza bisogno di obblighi da parte delle autorità, la coccarda si diffuse sempre di più tra la popolazione, che la portava con fierezza, gettando le basi, insieme ad altri fattori, al Risorgimento[52].
La bandiera nazionale della Repubblica Cisalpina
Pochi mesi dopo, il 29 giugno 1797, con l'unione tra le repubbliche Cispadana e Transpadana, si costituì la Repubblica Cisalpina, un organismo statale filo napoleonico di vaste dimensioni avente come capitale Milano[24][53].
Alla celebrazione formale della nascita nella neonata repubblica, che avvenne il 9 luglio nel capoluogo meneghino, parteciparono 300 000 persone (considerando altre fonti, molte meno: 25 000 persone[18]), tra comuni cittadini, militari francesi e i rappresentanti dei maggiori comuni della repubblica[24]. La manifestazione, che ebbe luogo al Lazzaretto di Milano, fu caratterizzata da un tripudio di bandiere e coccarde tricolori[54]. Nell'occasione Napoleone diede solennemente ai reparti militari della neonata repubblica, dopo averli passati in rassegna, i loro vessilli tricolori[18].
Originariamente i colori della bandiera della Repubblica Cisalpina erano disposti orizzontalmente, con il verde collocato in alto[54], ma l'11 maggio 1798, il Gran Consiglio del neonato Stato scelse, come vessillo nazionale, un tricolore italiano con i colori disposti verticalmente[37][55][56]:
«[…] la Bandiera della Nazione Cisalpina è formata di tre bande parallele all'asta, verde, la successiva bianca, la terza rossa. L'Asta è similmente tricolorata a spirale, colla punta bianca […]»
(Delibera del Gran Consiglio della Repubblica Cisalpina)
In questo periodo nacque l'attaccamento della popolazione nei confronti della bandiera italiana, che iniziò a entrare nell'immaginario collettivo come simbolo del Paese[57].
Ciò valeva soprattutto nell'esercito, dove il vessillo militare tricolore era difeso a tutti i costi dalla cattura del nemico. Significativo fu un episodio che accadde il 16 gennaio 1801, durante la seconda Repubblica Cisalpina[58]: l'ufficiale napoleonico Teodoro Lechi, in uno scontro con gli austriaci a Trento durante il quale era conteso un ponte sul fiume Adige, ebbe la peggio, ma prima di arrendersi decise di bruciare le bandiere tricolori del reparto militare per evitare che finissero nelle mani del nemico[57].
La bandiera nazionale della Repubblica Italiana e quella del Regno d'Italia
Con la trasformazione della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana (1802-1805), ente statale che non comprendeva tutta la penisola italiana e che era anch'esso direttamente dipendente dalla Francia napoleonica, la disposizione dei colori sulla bandiera mutò in una composizione formata da un quadrato verde inserito in un rombo bianco[59] a sua volta incluso in un riquadro rosso: da questa bandiera ha tratto ispirazione lo stendardo presidenziale italiano in uso dal 14 ottobre 2000[60][61]. Il decreto di adozione della storica bandiera napoleonica, che è datato 20 agosto 1802, recita[62]:
«[…] [la bandiera della Repubblica Italiana è formata da] un quadrato a fondo rosso, in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde […]»
(Decreto di adozione della bandiera della Repubblica Italiana napoleonica)
Il vicepresidente della Repubblica Francesco Melzi d'Eril avrebbe voluto eliminare il verde dal vessillo ma, a causa dell'opposizione di Napoleone e delle «pressioni di forze morali massoniche democratiche»[N 5], tale colore fu mantenuto[63].
Con la trasformazione della Repubblica Italiana in Regno d'Italia (1805-1814), anch'esso non comprendente l'intera penisola italiana, la bandiera non subì modifiche sostanziali[63]. La spinta rivoluzionaria napoleonica subì nel frattempo un'involuzione, assumendo tinte più reazionarie: fu abolito, ad esempio, il calendario rivoluzionario francese, che fu sostituito dal ripristino dell'antico calendario gregoriano, e molti miti della Rivoluzione francese, come la presa della Bastiglia, furono messi in secondo piano[64].
Questo vento di cambiamento si ripercosse anche sull'uso delle bandiere e delle coccarde: il tricolore italiano fu sempre più sostituito da quello francese, con il blu della bandiera d'oltralpe che prese il posto del verde del vessillo italiano[59]. Questo cambiamento fu anche formale: le fasce dei sindaci ora erano costituite dal tricolore francese e non più da quello italiano[59].
Nonostante queste limitazioni il tricolore verde, bianco e rosso penetrò preponderantemente nell'immaginario collettivo degli italiani assurgendo, a tutti gli effetti, a simbolo inequivocabile di italianità[65][66]. In poco meno di vent'anni, la bandiera italiana, da semplice vessillo derivato da quello francese, aveva acquisito una sua peculiarità, divenendo assai celebre e conosciuta[65].
Il Risorgimento e l'Unità d'Italia
Dai moti del 1821 alle rivolte del 1848
Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione dei regimi monarchici assolutistici, il tricolore italiano entrò in clandestinità, diventando simbolo dei fermenti patriottici che iniziarono a serpeggiare in Italia, la cui stagione è conosciuta come Risorgimento[32][65]. Nel Regno Lombardo-Veneto, Stato dipendente dall'Impero austriaco nato dopo la caduta di Napoleone, per chi esponeva il tricolore italiano era prevista la pena di morte[67]. L'obiettivo degli austriaci era infatti, citando le testuali parole dell'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria, di "fare dimenticare di essere italiani"[68].
L'11 marzo 1821, durante i moti piemontesi, il tricolore italiano sventolò per la prima volta nella storia risorgimentale alla cittadella di Alessandria dopo l'oblio causato dalla Restaurazione[69][70].
«Innanzi a tutti, o nobile Piemonte, quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria diè a l'aure primo il tricolor, Santorre di Santarosa[N 6]»
(Piemonte, Giosuè Carducci)
Non tutte le fonti sono però concordi; alcune di esse documentano il fatto che la bandiera che garriva ad Alessandria fosse in realtà costituita da altri colori: il vessillo del Regno di Sardegna oppure il tricolore nero, rosso e blu della carboneria[72].
Nel 1834 fu adottato dai rivoltosi che tentarono di invadere la Savoia[77][79], mentre un vessillo tricolore della Giovine Italia fu portato nel 1835 in America meridionale da Giuseppe Garibaldi durante il proprio esilio[80]. La bandiera italiana si diffuse anche tra gli esiliati politici, divenendone il simbolo della lotta per l'indipendenza e della pretesa di avere costituzioni più liberali[80].
«Raccolgaci un'unica Bandiera, una speme: di fonderci insieme, già l'ora suonò.»
(Il Canto degli Italiani, Goffredo Mameli, vv. 16-17[4])
Questo passaggio, che si legge nella seconda strofa, richiama alla speranza ("la speme") che l'Italia, ancora divisa negli Stati preunitari, si fonda finalmente in un'unica nazione raccogliendosi sotto una sola bandiera: il tricolore[82].
«[…] Facciamola finita una volta con qualunque dominazione straniera in Italia. Abbracciate questa bandiera tricolore che pel valor vostro sventola sul Paese e giurate di non lasciarvela strappare mai più […]»
Il giorno successivo il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia assicurò al Governo provvisorio della città lombarda che le sue truppe, pronte a venirgli in aiuto, avrebbero utilizzato come bandiera militare un tricolore con lo stemma sabaudo sovrapposto sul bianco[86][87]. In particolare, il proclama del re del 23 marzo 1848 ai lombardi e ai veneti, avente decisi connotati politici, recitava:
«[…] e per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana, vogliamo che le nostre truppe, entrando nel territorio della Lombardia e della Venezia, portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana […]»
Il processo di trasformazione della bandiera d'Italia in uno dei simboli patri italiani fu completato, consolidandosi definitivamente, durante i moti milanesi[79]. Un tricolore di fortuna formato da camicie rosse, mostre verdi e un lenzuolo bianco, fu issato sul pennone della nave che riportava Giuseppe Garibaldi in Italia dall'America meridionale poco dopo l'inizio della prima guerra d'indipendenza[89].
Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, granduca di Toscana, nell'atto di concessione della costituzione (17 febbraio 1848) non cambiò il vessillo nazionale ("[…] Lo Stato conserva la sua bandiera e i suoi colori […]") ma accordò in seguito alle milizie toscane, tramite decreto, l'utilizzo di una sciarpa tricolore accanto ai simboli del Granducato (25 marzo 1848)[92]. Il granduca, in seguito alle pressioni dei patrioti toscani, adottò poi la bandiera tricolore anche come vessillo di Stato e come stendardo militare per le truppe mandate in aiuto a Carlo Alberto di Savoia[89][93]. Analoghi provvedimenti furono adottati dal Ducato di Parma e Piacenza e dal Ducato di Modena e Reggio[94].
Questa svolta durò fino alla fine della prima guerra d'indipendenza (1849), che terminò con la sconfitta dell'esercito piemontese di Carlo Alberto di Savoia: dopo di essa furono ripristinate le antiche bandiere[95], anche se il comune di Viareggio scelse di includere il tricolore nel suo stemma[96]. Solo il Regno di Sardegna confermò il tricolore italiano come bandiera nazionale di Stato anche a primo conflitto risorgimentale terminato[95].
La prima fase del pontificato di papa Pio IX fu caratterizzata da una progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione[97]: all'inizio del 1848, in questo contesto, il sommo pontefice concesse l'utilizzo di cravatte tricolori annodate sui vessilli militari dell'esercito dello Stato della Chiesa[98][99]. Successivamente, a causa delle proteste dei cattolici di lingua tedesca[100], papa Pio IX cambiò atteggiamento, mettendosi contro i fermenti patriottici che pervadevano la penisola italiana[101]. La Repubblica Romana, costituitasi il 9 febbraio 1849 in seguito alla rivolta contro lo Stato Pontificio che detronizzò il papa, che nel frattempo aveva cambiato atteggiamento nei confronti dei patrioti, il 12 febbraio adottò come vessillo nazionale una bandiera verde, bianca e rossa con un'aquila romana repubblicana sulla punta dell'asta[102][103][104].
Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, poco dopo lo scoppio delle rivolte, concesse prima la costituzione (10 febbraio 1848) e poi accordò (23 febbraio) l'utilizzo di sciarpe tricolore come ornamento della bandiera nazionale[105]. Il tricolore, nel Regno delle Due Sicilie, iniziò a sventolare il 12 gennaio nel corso della rivolta di Palermo contro il governo borbonico, che diede poi origine all'auto-proclamatosi Regno di Sicilia, durante la cui effimera esistenza i patrioti solevano cantare, in lingua siciliana, il brano popolare Lu dudici jnnaru 1848 (it. "Il dodici gennaio 1848")[98][102][106].
Le rivolte però non si placarono[107] e il Regno di Sicilia, nel frattempo, decretò come bandiera nazionale un vessillo verde, bianco e rosso con una trinacria al centro[108][109]. In seguito ai tumulti scoppiati fuori dal neo insediato Parlamento napoletano (15 maggio), Ferdinando II decise di spedire le truppe borboniche a sedare le rivolte in tutto il Regno delle Due Sicilie, ritrattando nel contempo tutte le concessioni fatte poco tempo prima, costituzione e istituzione del parlamento compresi[107].
Questa diffusione lungo tutta la penisola italiana fu la dimostrazione che la bandiera tricolore aveva ormai assunto un simbolismo consolidato e valido su tutto il territorio nazionale[114]. In precedenza erano comuni, tra i patrioti, anche i colori della carboneria, ovvero il rosso, l'azzurro e il nero, ma dal 1848 il ruolo di simbolo identificativo della lotta per l'indipendenza fu assunto univocamente dal tricolore verde, bianco e rosso[115]. L'iconografia della bandiera italiana iniziò poi a diffondersi, oltre che in ambito vessillologico e militare, anche in alcuni oggetti quotidiani come sciarpe e tessuti per abiti[116].
Dalla guerra di Crimea all'Unità d'Italia
Il 14 aprile 1855, prima della partenza per la guerra di Crimea, le bandiere tricolori italiane furono affidate solennemente ai soldati da re Vittorio Emanuele II di Savoia, succeduto nel 1849 al padre Carlo Alberto, con la seguente frase di commiato "[…] Difendetele e riportatele coronate di nuova gloria […]"[117][118][119]. Nel 1857 una bandiera italiana con l'asta sormontata da un berretto frigio e con archipendolo, simbolo di equilibrio sociale, fu protagonista della spedizione di Sapri, fallito tentativo di innescare una rivolta nel Regno delle Due Sicilie perpetrato da Carlo Pisacane[108][120]; questi, per non farsi catturare, si suicidò – secondo la leggenda – fasciato con una bandiera tricolore[121][122].
Durante la seconda guerra d'indipendenza le città che man mano venivano conquistate dal "re eletto"[N 7] Vittorio Emanuele II di Savoia e da Napoleone III di Francia salutavano i due sovrani come liberatori in un tripudio di bandiere e coccarde tricolori; anche i centri in procinto di chiedere l'annessione al Regno di Sardegna tramite plebisciti sottolineavano la loro volontà di far parte di un'Italia unita con lo sventolio del tricolore[123]. La bandiera italiana rifulgeva infatti in Toscana, in Emilia, nelle Marche e in Umbria, ma anche in città che avrebbero dovuto aspettare qualche tempo prima di essere annesse, come Roma e Napoli[124][125].
È proprio di questi anni il grande entusiasmo della popolazione nei confronti del tricolore: oltre che dall'esercito del Regno di Sardegna e dalle truppe di volontari che parteciparono alla seconda guerra d'indipendenza[114], la bandiera verde, bianca e rossa si diffuse capillarmente nelle regioni appena conquistate o annesse tramite plebiscito, comparendo sulle finestre delle case, nelle vetrine dei negozi e all'interno di locali pubblici come alberghi, taverne, osterie, eccetera[126].
Il tricolore accompagnò, sebbene non ufficialmente[127], anche i volontari della spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi[128]; l'Eroe dei due Mondi, in particolare, aveva una deferenza e un ossequio assoluto nei confronti della bandiera italiana[129]. Dopo un'iniziale prudenza[130], man mano che Garibaldi conquistava le città dell'Italia meridionale durante la sua risalita lungo la penisola, l'entusiasmo patriottico cresceva sempre di più, con le file dell'Esercito meridionale che si ingrossavano costantemente e con le bandiere tricolori che sventolavano ovunque[131][132].
A Palermo i cantastorie cantavano in lingua siciliana "Li tri colura spinci pr'ogni via", ovvero "alza il tricolore in ogni via"[133]. Poco dopo la perdita della Sicilia, il 25 giugno 1860, re Francesco II di Borbone, tentando di limitare i danni vista la crescente partecipazione della popolazione all'impresa di Garibaldi, decretò che la bandiera verde, bianca e rossa fosse anche il vessillo ufficiale del suo Regno, con lo stemma delle Due Sicilie sovrapposto sul bianco[134][135]. Per ironia della sorte, nella fase finale della spedizione dei Mille, il tricolore del Regno delle Due Sicilie garrì in antagonismo alla bandiera tricolore del Regno di Sardegna[136].
«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d'Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861»
(Testo della legge n. 4671 del 17 marzo 1861 del Regno di Sardegna[137])
Nel periodo del brigantaggio postunitario, Fulco Salvatore Ruffo di Calabria, IX principe di Scilla, uno dei membri della corte in esilio di Francesco II di Borbone, in una lettera raccomandò al generale spagnolo José Borjes, inviato nell'Italia meridionale per guadagnare alla causa legittimista i briganti, l'uso della bandiera tricolore[143].
Il tricolore, in questo contesto, aveva un significato universale, trasversale, condiviso sia da monarchici sia da repubblicani, dai progressisti e dai conservatori e dai guelfi come dai ghibellini: fu scelto come bandiera dell'Italia unita anche per tale motivo[134].
Dalla terza guerra d'indipendenza alla presa di Roma
Durante la battaglia di Custoza (24 giugno 1866), durante la terza guerra d'indipendenza italiana, i militari del 44º reggimento della brigata "Forlì" salvarono una bandiera tricolore dalla cattura delle truppe austriache. Per non consegnare al nemico il loro stendardo militare, stracciarono il drappo della bandiera tricolore in tredici pezzi, suddivisi tra i presenti, e nascosero quei brandelli di stoffa sotto la giubba. Terminata la guerra fu possibile recuperare undici delle tredici porzioni del drappo e ricostruire così la bandiera originaria, che passò alla storia con il nome di "Tricolore di Oliosi"[144].
A seguito della terza guerra d'indipendenza il Veneto fu annesso al Regno d'Italia; l'ingresso delle truppe italiane a Venezia, avvenuto il 19 ottobre 1866, fu salutato da un'invasione di bandiere tricolori[145][146]. Dal momento della promulgazione di una delibera del suo consiglio comunale, datata 5 novembre 1866, Vicenza è l'unica città d'Italia ad aver adottato come proprio vessillo cittadino, in luogo del gonfalone civico, la bandiera tricolore, caricata dello stemma del comune[147]. La città veneta decise di cambiare patriotticamente la natura della propria insegna poco prima della visita di re Vittorio Emanuele II, giunto in città per il conferimento della medaglia d'oro al valor militare guadagnata dalla municipalità veneta con la battaglia di Monte Berico, combattuta il 10 giugno 1848 nei dintorni della città: in occasione della visita del sovrano, Vicenza non presentò a Vittorio Emanuele II il proprio gonfalone ma, decisione dalla quale sarà originata la sua successiva delibera, il tricolore italiano[147].
Bandiere tricolori salutarono poi il Regio Esercito durante la marcia verso Roma, che si concluse con la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 e l'annessione del Lazio al Regno d'Italia[139][148][149]. Roma divenne ufficialmente capitale d'Italia il 1º gennaio 1871, mentre l'insediamento della corte reale e del governo sabaudo ebbe luogo il 6 luglio dello stesso anno: da questa data il tricolore italiano sventola dal pennone più alto del Palazzo del Quirinale[150].
Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale
Dopo l'Unità d'Italia l'uso del tricolore si diffuse sempre di più tra la popolazione[151]: la bandiera, e i suoi colori, cominciarono a essere riportati sulle etichette dei prodotti commerciali, sui quaderni scolastici, sulle prime automobili, sulle confezioni di sigari, ecc.[151] Anche tra gli aristocratici ebbe successo: le famiglie più importanti facevano sovente installare sulla facciata principale dei loro palazzi signorili un portabandiera dove collocavano il tricolore italiano[151]. Iniziò poi a comparire fuori dagli edifici pubblici, dalle scuole, dagli uffici giudiziari e dagli uffici postali[151]. È di questo periodo l'introduzione dell'uso della fascia tricolore per i sindaci e per i giurati delle corti di assise[151].
L'unica città dove l'attaccamento alla bandiera non era sentito da tutta la popolazione era Roma: nella capitale era infatti presente un buon numero di cittadini ancora fedele al papato[152]. A Roma il clero era ostile al neonato stato italiano in modo molto marcato, tanto da rifiutarsi di benedire il tricolore e da impedire alle bandiere italiane di entrare nelle chiese anche in occasione di funerali o di cerimonie pubbliche[153][154].
È di questi anni la fondazione della prima colonia italiana, la baia di Assab, che diventò il primigenio avamposto della futura Eritrea italiana: nel 1882, per la prima volta, il tricolore sventolò in un possedimento italiano in Africa[155]. Non tutti erano favorevoli all'avventura coloniale: il deputato socialistaAndrea Costa dichiarò che il tricolore non doveva garrire in una terra lontana, ma solo in Italia:
«[…] [Il tricolore deve sventolare] nelle imprese civili che fanno risalire sempre più la nazione verso le altezze dell'ideale […]"»
I detrattori dell'impresa coloniale obiettavano che non andasse fatta confusione tra patriottismo e colonialismo[156]. Nel 1885 fu introdotta la maglia tricolore per il ciclista che si laurea campione d'Italia[157]. Concettualmente, questo riconoscimento è simile al collocamento di uno scudetto tricolore sulle maglie della squadra campione d'Italia nel calcio, nel rugby, nella pallavolo, nella pallacanestro, ecc.[157]; l'idea di apporre uno scudetto sulle maglie delle squadre sportive vincitrici dei rispettivi campionati nazionali fu di Gabriele D'Annunzio[158]. Nel calcio, primo sport a farne uso, fu introdotto nel 1924[158].
Nel 1897 la bandiera italiana compì cent'anni. La celebrazione fu molto sentita dalla popolazione, tant'è che l'Italia fu invasa da tricolori; la manifestazione più importante avvenne a Reggio Emilia, dove il 7 gennaio di cento anni prima era nato il tricolore italiano[159]. Nel giorno della celebrazione nella città emiliana Giosuè Carducci definì la bandiera "benedetta" e la baciò alla fine del discorso[47][159][160].
Di questi anni è l'inizio dell'emigrazione italiana, soprattutto verso il continente americano: il tricolore, spesso portato nelle valigie dei migranti, iniziò a sventolare al di fuori dei confini nazionali, soprattutto nelle Little Italy che stavano formandosi nel mondo[161]. Molte altre volte il sentimento di italianità e il legame con i suoi simboli — tricolore compreso — nacque o si rinforzò solo dopo che i migranti ebbero lasciato l'Italia[162]. Questo legame con la terra d'origine non si sbiadiva con il passare delle generazioni: molto spesso era ancora vivo alla terza o quarta generazione[162]. Qualche anno prima, nel 1861, il presidente degli Stati Uniti d'AmericaAbraham Lincoln passò in rassegna alcuni reparti militari che stavano partecipando alla guerra di secessione americana: tra essi c'era una Garibaldi Guard, formata da immigrati italiani, che aveva come vessillo militare la bandiera tricolore della Giovine Italia[161].
Con le prime lotte sindacali di fine XIX secolo, la bandiera italiana iniziò a sventolare tra le mani dei manifestanti durante gli scioperi[163]. Anche durante le lotte perpetrate dai fasci siciliani tra il 1892 e il 1894 vi fu una profusione di bandiere italiane[164]: a esse erano contrapposti i tricolori delle forze dell'ordine mandate dal governo a sedare le rivolte sindacali[163].
A cavallo tra il XIX e il XX secolo il patriottismo iniziò gradualmente a trasformarsi in nazionalismo; dal fervore patriottico ottocentesco che propugnava il voto popolare e la libertà, si passò a un acceso nazionalismo che avrebbe poi condotto, qualche decennio dopo, alla nascita di movimenti politici come il fascismo di Benito Mussolini[167]; quest'ultimo, tuttavia, all'inizio della sua carriera politica nelle file del socialismo rivoluzionario, aveva una forte avversione nei confronti del tricolore, tanto che lo definì, in occasione della guerra italo-turca del 1911, "uno straccio da piantare su un mucchio di letame"[168]. Questo indirizzamento verso il nazionalismo si ripercosse anche sui simboli dell'Italia: per quanto riguarda la bandiera, significative sono alcune cartoline illustrate che iniziarono a diffondersi all'epoca e che riportano alcuni versi di Francesco Dall'Ongaro:
«[…] E gli dirò che il verde, il rosso e il bianco / gli stanno bene colla spada al fianco […]»
Protagonista assoluta, sia nelle trincee sia in ambito civile, fu la bandiera tricolore[170]. I colori verde, bianco e rosso furono utilizzati diffusamente come stimolo alla mobilitazione generale e al sostentamento morale della popolazione civile, che si stava inerpicando in un percorso che l'avrebbe portata in una situazione assai difficile, caratterizzata da moltissime privazioni[169]. In altre parole, nelle trincee il tricolore era un simbolo fondamentale per spronare i soldati, mentre nel fronte interno era importantissimo per compattare e corroborare la società civile[169]. A questo scopo, re Vittorio Emanuele III comparve su una copertina de La Domenica del Corriere affacciato dal balcone del Palazzo del Quirinale mentre sventolava il tricolore gridando "Viva l'Italia"[169]. Il re fece poi un proclama ufficiale, poco prima di partire per il fronte di guerra, che recitava, nella sua parte finale:
«[…] A noi la gloria di piantare il tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della patria nostra […]»
Uno degli episodi più famosi che coinvolsero la bandiera italiana nella prima guerra mondiale fu il volo su Vienna, un volantinaggio aereo che Gabriele D'Annunzio fece sui cieli della capitale asburgica: il 9 agosto 1918 il Vate lanciò su Vienna migliaia di volantini tricolori con cui esortava il nemico ad arrendersi e a porre fine alla guerra[173][174]. Le truppe italiane entrarono poi a Trieste nel novembre del 1918, in seguito alla vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto, che concluse il conflitto con la ritirata e la sconfitta definitiva degli austriaci: il tricolore che fu issato sul campanile della cattedrale di San Giusto proveniva dal cacciatorpediniereAudace, ancorato nel porto di Trieste[175]. La bandiera italiana fu anche protagonista dell'impresa di Fiume, capitanata da D'Annunzio, al grido: "alzate la bandiera: sventolate il tricolore!"[176].
Con la marcia su Roma e l'instaurarsi della dittatura fascista la bandiera italiana perse la sua unicità simbolica venendo in parte oscurata dall'iconografia di regime[177][178]. Quando veniva utilizzata, come all'interno del simbolo del Partito Nazionale Fascista, ne era snaturata la storia, dato che il tricolore nacque come simbolo di libertà e di diritti civili[173], mentre nelle cerimonie ufficiali iniziò a essere accostata ai vessilli neri fascisti, perdendo il ruolo di protagonista assoluta[179]. Nonostante questo ruolo da comprimario, con regio decreto nº 2072 del 24 settembre 1923 e successivamente con la legge nº 2264 del 24 dicembre 1925, il tricolore diventò ufficialmente bandiera nazionale del Regno d'Italia[176][180]:
«La bandiera nazionale è formata da un drappo di forma rettangolare interzato in palo, di verde, di bianco, di rosso, col bianco coronato dallo stemma Reale bordato di azzurro. […]»
La bandiera ad Addis Abeba verrà poi ammainata nel novembre del 1941 alla fine della campagna dell'Africa Orientale Italiana, combattuta durante la seconda guerra mondiale[184]. L'Italia entrò nel secondo conflitto mondiale il 10 giugno 1940 con il celebre discorso di Benito Mussolini proferito dal balcone principale di Palazzo Venezia a Roma; il clima era però molto differente da quello che caratterizzò l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale[185]: il re non si presentò sul balcone del Palazzo del Quirinale sventolando la bandiera così come avvenne nel 1915; l'Italia non era poi attraversata da quel garrire di bandiere tricolori che aveva salutato l'entrata del Paese nella prima guerra mondiale — ancorché opera di una minoranza[185].
Poco prima dell'ufficializzazione della bandiera nella costituzione, il 7 gennaio 1947, il tricolore compì 150 anni[198]: il ruolo da cerimoniere che cinquant'anni prima fu di Giosuè Carducci fu adempiuto da Luigi Salvatorelli, il cui discorso, proferito durante i festeggiamenti ufficiali di Reggio Emilia alla presenza di Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, alluse alla fase delicata che stava attraversando l'Italia postbellica[198] con particolare riferimento alle umiliazioni subite dal Paese nella seconda guerra mondiale[199][200]:
«[…] Il tricolore non è abbassato, non sarà abbassato. Esso è stato ribenedetto, riconsacrato dalla insurrezione dei patrioti, dal sangue dei partigiani e dei soldati d'Italia combattenti contro il nazi-fascismo nella nuova lotta di liberazione. […]»
Il 31 dicembre 1996, con la medesima legge che istituiva la Festa del Tricolore, celebrazione che si tiene il 7 gennaio di ogni anno in ricordo dell'adozione della bandiera rossa, bianca e verde da parte della Repubblica Cispadana (7 gennaio 1797), fu costituito un comitato nazionale di venti membri che avrebbe avuto l'obiettivo di organizzare la prima commemorazione solenne della nascita della bandiera italiana, che l'anno successivo avrebbe compiuto duecento anni[205]. Il comitato era composto da personalità istituzionali, tra cui i presidenti delle camere e membri provenienti dalla società civile, particolarmente dall'ambito storico e culturale[205]. All'epoca fu anche proposto di non festeggiare la data, se non addirittura di modificare la bandiera stessa, ipotesi scarsamente accolte dai membri del parlamento[206].
«[…] Adoperiamoci perché ogni famiglia, in ogni casa, ci sia un tricolore a testimoniare i sentimenti che ci uniscono fin dai giorni del glorioso Risorgimento. Il tricolore non è una semplice insegna di Stato, è un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza, di giustizia. Nei valori della propria storia e della propria civiltà. […]»
(Carlo Azeglio Ciampi)
L'iniziativa di Ciampi è stata ripresa e continuata anche dal suo successore, Giorgio Napolitano, con particolare risalto durante le celebrazioni del 150º anniversario dell'Unità d'Italia[208]. La legge n. 222 del 23 novembre 2012, avente per oggetto "Norme sull'acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole", prescrive lo studio nelle scuole della bandiera italiana e degli altri simboli patri italiani[209][210].
«[…] La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. […]»
(Articolo 12 della Costituzione della Repubblica Italiana)
Se la bandiera è esposta orizzontalmente la parte di colore verde va disposta vicino all'asta, con quella bianca in posizione centrale e quella rossa all'esterno, mentre se il vessillo è esposto verticalmente la sezione verde va collocata superiormente[212].
La definizione cromatica
L'esigenza di definire con precisione le tonalità dei colori nacque da un evento che accadde presso il Palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio dell'Unione europea, del Consiglio europeo e del loro Segretariato, quando un europarlamentare italiano, nel 2002, notò che i colori della bandiera italiana fossero irriconoscibili con il rosso, ad esempio, che aveva una tonalità che virava verso l'arancione: per tale motivo il governo, in seguito alla segnalazione di questo eurodeputato, decise di definire specificatamente i colori della bandiera nazionale italiana[213].
Le tonalità del verde, del bianco e del rosso sono state specificate per la prima volta da questi documenti ufficiali[213][214]:
decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 14 aprile 2006, "Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche":
I toni cromatici dei tre colori succitati, su tessuto stamina (fiocco) di poliestere, sono sanciti nel comma nº 1, dell'articolo nº 31 "Definizione cromatica dei colori della bandiera della Repubblica"[N 9], della Sezione V "Bandiera della Repubblica, Inno nazionale, Feste nazionali e Esequie di Stato", del Capo II "Delle disposizioni generali in materia di cerimoniale", dell'allegato "Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento del Cerimoniale di Stato", al decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 14 aprile 2006 "Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nº 174 del 28 luglio 2006.
Altre congetture, meno probabili, spiegano l'adozione del verde ipotizzando un tributo che Napoleone avrebbe voluto dare alla Corsica, sua terra natia, oppure a un possibile richiamo al verdeggiante paesaggio italiano[34]. Per l'adozione del verde esiste anche la cosiddetta «ipotesi massonica»: anche per la Massoneria il verde era il colore della natura, emblema quindi tanto dei diritti dell'uomo, che sono infatti naturalmente insiti nell'essere umano[35], quanto del florido paesaggio italiano; tale interpretazione, tuttavia, è osteggiata da chi sostiene che la massoneria, in quanto società segreta, non avesse all'epoca un'influenza tale da ispirare i colori nazionali italiani[216].
Altra ipotesi che tenta di spiegare il significato dei tre colori nazionali italiani vorrebbe, senza basi storiche, che il verde sia legato al colore dei prati e della macchia mediterranea, il bianco a quello delle nevi delle montagne italiane e il rosso al sangue versato dai soldati italiani nelle molte guerre a cui hanno preso parte[217][218].
Giosuè Carducci, in occasione delle celebrazioni per il centenario della bandiera d'Italia nel 1897, descrisse il verde, il bianco, e il rosso come[160]:
«[…] i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all'Etna; le nevi delle Alpi, l'aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de' poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi. […]»
L'alzabandiera
L'alzabandiera del tricolore avviene alle prime luci dell'alba, con il vessillo che viene fatto scorrere velocemente e con risolutezza fino al termine del pennone[219]. In ambito militare è preannunciato da squilli di tromba ed è effettuato sulle note de Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, inno nazionale italiano dal 1946[219].
L'ammainabandiera, che avviene alla sera, è invece più lento e solenne in modo tale da non farlo sembrare un rapido abbassamento[219]. Il tricolore può essere esposto anche durante la notte solo se il luogo dove sventola è convenientemente illuminato[220].
In presenza di altre bandiere, oltre che ricevere la posizione di più alto onore, va issato per primo e ammainato per ultimo[213].
Normativa
Obbligo di esposizione
Ai fini dell'applicazione dell'articolo 6 del decreto presidenziale nº 121 del 7 aprile 2000 («Regolamento recante disciplina dell'uso delle bandiere della Repubblica italiana e dell'Unione europea da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici»), che riprende la legge nº 22 del 5 febbraio 1998 («Disposizioni generali sull'uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell'Unione europea»), negli edifici pubblici la bandiera della Repubblica Italiana, la bandiera dell'Unione europea e il ritratto del Presidente della Repubblica Italiana devono essere esposte negli uffici delle seguenti cariche istituzionali[221][222]:
b) dirigenti titolari delle direzioni generali o Servizio postale equiparati nelle amministrazioni centrali dello Stato nonché dei dirigenti preposti a uffici periferici dello Stato aventi una circoscrizione territoriale non inferiore alla provincia;
c) titolari della massima carica istituzionale degli enti pubblici di dimensione nazionale, e titolari degli uffici dirigenziali corrispondenti a quelli di cui alla lettera b);
d) titolari della massima carica istituzionale delle autorità indipendenti;
e) dirigenti degli uffici giudiziari;
f) capi delle rappresentanze diplomatiche, degli uffici consolari e degli istituti italiani di cultura all'estero. Per i consoli onorari l'esposizione è facoltativa.
Il tricolore è spesso accompagnato dalla bandiera dell'Unione europea e dai vessilli degli enti locali. Nel caso di due bandiere esposte, il vessillo nazionale va posto a destra (sinistra per chi guarda, ossia la posizione d'onore), mentre se le bandiere sono in numero dispari, il tricolore deve essere issato al centro[213][223]. Quest'ultima disposizione viene meno nel caso in cui venga esposta la bandiera di un altro Paese appartenente all'Unione europea: in questa circostanza la bandiera italiana cede il posto centrale alla bandiera dell'UE[224][225].
Di norma, su ciascun pennone non può essere applicato più di un vessillo[226]. Fa eccezione lo stendardo presidenziale, che viene issato sul Torrino del Quirinale, sotto al tricolore, quando la terza asta risulta occupata dal vessillo di un Paese ospite[227]. Se i pennoni disponibili sono tre ma le bandiere da esporre sono solo due, deve essere lasciato libero il pennone centrale e rispettato l'ordine di importanza dei vessilli[228].
Ad esempio, le bandiere esposte sugli edifici pubblici devono apparire, dall'esterno, nei seguenti ordini[229]:
, alla presenza di un Paese ospite (non appartenente all'UE);
, alla presenza di un Paese ospite (appartenente all'UE);
, nelle sedi regionali, provinciali e comunali con tre pennoni;
, nelle sedi regionali, provinciali e comunali con quattro pennoni;
, nelle sedi regionali, provinciali e comunali alla presenza di un Paese ospite[N 10];
, nelle sedi regionali, provinciali e comunali alla presenza di un Paese ospite[N 11].
La legge ne regolamenta anche le dimensioni[223]: ferme restando le proporzioni di 2:3, che devono essere sempre rispettate, le bandiere tricolori esposte internamente agli edifici devono essere grandi 100×150 cm, con l'asta lunga 250 cm, mentre quelle che sventolano all'esterno devono essere di 2×3 m oppure di 3×4,5 m, con l'asta alta 4 o 8 m a seconda se sia installata, rispettivamente, su un balcone oppure a terra[212][230]. In caso di presenza di bandiere di altri Stati, come in occasione di visite ufficiali di personalità straniere, gli stendardi esteri non devono essere più grandi del tricolore[220].
I vessilli tricolori esposti devono essere sempre in ottimo stato, interamente distesi e non devono mai toccare acqua o terra[212][220]. In nessun caso, sul drappo, si possono scrivere o stampare figure e scritte[231]. Inoltre, la bandiera italiana non può essere mai utilizzata come semplice drappeggio o come tessuto di uso comune (es. per ricoprire tavoli o come tendaggio)[212].
In caso di lutto pubblico il vessillo può essere alzato a mezz'asta e sul drappo si possono apporre due strisce di velluto nero; queste ultime sono invece obbligatorie[232] quando il tricolore partecipa a cerimonie funebri[231]. Nelle cerimonie pubbliche il tricolore deve sfilare sempre per primo[231][233].
Modalità per ripiegare la bandiera
Esiste una precisa modalità per il ripiegare il tricolore in modo corretto, con la messa in conto delle tre bande verticali cui il vessillo è composto[234].
La bandiera deve essere piegata secondo i confini delle bande di colore: prima la banda rossa e poi la banda verde devono essere piegate su quella bianca in modo da lasciare visibili solamente gli ultimi due colori citati; solo successivamente va piegata ulteriormente in modo da coprire totalmente il rosso e il bianco con il verde, unico colore a dover essere visibile al momento della fine della chiusura del drappo[234][235][236].
Tutela giuridica
L'articolo 292 del codice penale italiano ("Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato") tutela la bandiera italiana prevedendo il reato di vilipendio della stessa, o di altri vessilli riportanti i colori nazionali, così disponendo[237][238]:
«Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1 000 a euro 5 000. La pena è aumentata da euro 5 000 a euro 10 000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.
Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni.
Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali.»
(Art. 292 del codice penale italiano)
In riferimento al vilipendio della bandiera italiana, destò scalpore la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione inflitta al politico Umberto Bossi poi convertita, grazie alla modifica di alcune norme sul reato d'opinione e del già citato articolo 292 del codice penale, in una sanzione di 3 000 euro (in seguito condonata per indulto) per aver affermato, nel 1997, durante alcuni comizi, "Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo", "Il tricolore lo metta al cesso, signora" e "Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore"[239][240]. In seguito Bossi dichiarò "Oggi non mi riconosco più in quell'affermazione"[241].
Per ricordare la nascita della bandiera italiana il 31 dicembre 1996 è stata istituita la Giornata nazionale della bandiera, che è meglio conosciuta come Festa del Tricolore[205]. Si festeggia ogni anno il 7 gennaio, con le celebrazioni ufficiali che sono organizzate a Reggio Emilia, città dove fu decretata la prima adozione ufficiale del tricolore come bandiera nazionale da parte di uno Stato italiano, la Repubblica Cispadana, che avvenne il 7 gennaio 1797[7].
Lo spazio espositivo più importante che ospita bandiere tricolori italiane si trova nel complesso architettonico dell'Altare della Patria a Roma[247][248]. All'interno del Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano, questo il suo nome, si possono trovare circa settecento bandiere storiche appartenenti ai reparti dell'Esercito Italiano, della Marina e dell'Aeronautica Militare, nonché il vessillo tricolore con cui fu avvolta nel 1921 la bara del Milite Ignoto durante il suo viaggio verso l'Altare della Patria[247]. Il tricolore più antico conservato all'interno del Museo centrale del Risorgimento risale al 1860[247]: è uno dei tricolori originali che sventolava sul piroscafoLombardo che partecipò, insieme al Piemonte, alla spedizione dei Mille[249]. Il Vittoriano ospita anche il Sacrario delle Bandiere, il museo che raccoglie e custodisce le bandiere di guerra italiane dismesse[250].
Di particolare rilevanza è il Museo del tricolore di Reggio Emilia, città che vide la nascita della bandiera italiana nel 1797. Fondato nel 2004, è situato all'interno del municipio della città emiliana, adiacente alla Sala del Tricolore: sono conservati documenti e cimeli la cui datazione è ascrivibile a un periodo compreso tra l'arrivo di Napoleone Bonaparte a Reggio (1796) e il 1897, anno del primo centenario della bandiera italiana[252].
Bandiera di stato del Regno di Sardegna (1851-1861) e del Regno d'Italia (1861-1946) per le residenze dei sovrani, sedi parlamentari, uffici e rappresentanze diplomatiche
Bandiera della Colonna Italiana, nota anche come Centuria Giustizia e Libertà (1936-1945)
Celebri dipinti risorgimentali il cui soggetto ruota intorno al tricolore sono Pasquale Sottocorno all'assalto del Palazzo del Genio durante le Cinque Giornate di Milano (1860) di Pietro Bouvier[83], Carlo Alberto di Savoia al balcone di palazzo Greppi (1848) di Carlo Bossoli[278], Piccoli patrioti (1862), di Gioacchino Toma[279], Garibaldi sbarca a Marsala (fine XIX secolo)[280], La partenza dei volontari (1877-1878)[281], La partenza del Garibaldino (1860)[79], La partenza dei coscritti nel 1866 (1878)[282]Il ritorno del soldato ferito (1854)[114], tutti di Gerolamo Induno, La prima bandiera italiana portata in Firenze (1859) di Francesco Saverio Altamura[283], Il soldato ferito (1865-1870) di Angelo Trezzini[284], Episodio delle Cinque Giornate in Piazza Sant'Alessandro di Carlo Stragliati (fine XIX secolo)[282], Combattimento a Palazzo Litta (metà XIX secolo) di Baldassare Verazzi[285], I fratelli sono al campo! Ricordo di Venezia (1869) di Mosè Bianchi[286], La breccia di Porta Pia (1880) di Carlo Ademollo[287], Il 26 aprile 1859 (1861) di Odoardo Borrani[288], e Sepoltura garibaldina (1862-64) di Filippo Liardo.
Il tricolore ricorre spesso nei quadri dei pittori italiani aderenti al futurismo. In particolare Giacomo Balla ha sovente utilizzato il simbolo della bandiera italiana in alcune opere di carattere patriottico quali Sventolio di bandiere, Dimostrazione interventista e Dimostrazione XX settembre[289].
Nella musica
I primi brani musicali sul tricolore iniziarono a essere composti poco dopo la sua adozione ufficiale del 7 gennaio 1797[52]. Il più famoso componimento musicale popolare scritto in questo periodo e dedicato alla bandiera italiana è Al tricolore, che recita[290]:
«Tricolor le Insegne e il Vessillo novo foco ci destano in cor! Delle trombe foriero è lo squillo di vittorie, trionfi e valor»
(Al tricolore, autore ignoto)
La maggior parte dei brani musicali dedicati al tricolore italiano sono stati però scritti durante il Risorgimento[291]. Il più famoso è La bandiera dei tre colori, cantata in tutte le scuole primarie italiane per decenni[291][292]:
«La bandiera dei tre colori è sempre stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliam la libertà. E la bandiera gialla e nera qui ha finito di regnar! La bandiera gialla e nera qui ha finito di regnar! Tutti uniti in un sol patto stretti intorno alla bandiera, griderem mattina e sera: viva, viva i tre color!»
(La bandiera dei tre colori, autore ignoto)
Durante il giornata dell'Aspromonte (29 agosto 1862) risuonavano la note de La bandiera tricolore, di autore ignoto[293]; la bandiera è anche citata nell'Inno di Garibaldi, brano musicale del 1859 di Luigi Mercantini, che accompagnò la spedizione dei Mille[294][295]. Altri brani risorgimentali celebranti il tricolore sono Liberazione di Milano di Giuseppe Bertoldi[291], O giovani ardenti di autore anonimo[291] e Inno di guerra del 1848-49 di Luigi Mercantini[291].
Al tricolore fu anche dedicata la canzone del 1961 La bandiera di Domenico Modugno[297]. Nel 1965 il cantante Ivan Della Mea richiamò il tricolore come simbolo dell'unità nazionale nella canzone Nove Maggio: il brano si riferisce alla manifestazione organizzata il 9 maggio 1965 a ricordo del ventesimo anniversario della liberazione d'Italia (1943-1945)[298].
Nel marzo 2007 il cantautore reggiano Graziano Romani ha pubblicato l'album Tre colori, ispirato alla bandiera italiana e alla circostanza in cui il tricolore fu adottato nella sua città[299].
«Dall'Alpi allo Stretto fratelli siam tutti! Su i limiti schiusi, su i troni distrutti piantiamo i comuni tre nostri color! Il verde la speme tant'anni pasciuta, il rosso la gioia d'averla compiuta, il bianco la fede fraterna d'amor.»
«Noi pure l'abbiamo la nostra bandiera non più come un giorno sì gialla, sì nera; sul candido lino del nostro stendardo ondeggia una verde ghirlanda d'allor: de' nostri tiranni nel sangue codardo è tinta la zona del terzo color.»
«I tre colori della tua bandiera non son tre regni ma l'Italia intera: il bianco l'Alpi, il rosso i due vulcani, il verde l'erba dei lombardi piani.»
(Francesco Dall'Ongaro, Garibaldi in Sicilia, maggio 1860)
«Sii benedetta! benedetta nell'immacolata origine, benedetta nella via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli! Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all'Etna; le nevi delle alpi,l'aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de' poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi. E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch'ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà!»
(Giosuè Carducci, Discorso tenuto per celebrare il 1º Centenario della nascita del Tricolore, Reggio Emilia, 7 gennaio 1897)
«[…] Il tricolore! Bravo, il tricolore! Si riempiono la bocca con questa parola i bricconi. E cosa significa questo segnacolo geometrico, questa scimmiottatura dei francesi, così brutta in confronto alla nostra bandiera candida con l'oro gigliato dello stemma? E che cosa può far loro sperare quest'accozzaglia di colori stridenti? […]»
Per via della disposizione comune dei colori, a prima vista, sembra che l'unica differenza tra la bandiera italiana e quella messicana sia soltanto lo stemma azteco presente nella seconda; in realtà il tricolore italiano utilizza tonalità più chiare di verde e rosso, e ha proporzioni diverse rispetto alla bandiera messicana: quelle del vessillo italiano sono pari a 2:3, mentre le proporzioni della bandiera messicana sono 4:7[301]. La somiglianza fra le due bandiere pose un serio problema nei trasporti marittimi, dato che in origine la bandiera mercantile messicana era priva di stemmi e quindi era conseguentemente identica al tricolore repubblicano italiano del 1946; per ovviare all'inconveniente, su richiesta delle autorità marittime internazionali, sia l'Italia sia il Messico adottarono bandiere navali con stemmi differenti[242].
Sempre per via della disposizione tricolore, la bandiera italiana risulta piuttosto simile anche alla bandiera dell'Irlanda, a eccezione dell'arancione al posto del rosso (sebbene le tonalità impiegate per i due colori si rassomiglino molto[302]) e delle proporzioni (2:3 contro 1:2)[303].
La bandiera dell'Ungheria ha gli stessi colori di quella italiana, ma ciò non crea confusione tra i vessilli: sulla bandiera magiara il tricolore rosso, bianco e verde è disposto orizzontalmente[302]. Altre bandiere che presentano il verde, il bianco e il rosso a fasce orizzontali sono quelle di Bulgaria[302], Iran[304], Oman[304] e Tagikistan[304].
^Questi versi, che si leggono nella seconda strofa de Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, inno nazionale italiano dal 1946, richiamano alla speranza ("la speme") che l'Italia, ancora divisa negli stati preunitari, si fonda finalmente in un'unica nazione raccogliendosi sotto una sola bandiera: il tricolore.
^abLa terminologia utilizzata nel testo costituzionale è araldicamente impropria: la "banda", per definizione, è quel tipo di partizione che divide la bandiera diagonalmente. La definizione corretta sarebbe dovuta essere "interzata in palo". Cfr. manuale ragionato di araldica su "manuali.lamoneta.it".
^Archivio di Stato di Bologna, Archivio napoleonico, I, Senato provvisorio, Atti dell'Assunteria di magistrati, b. 5, c. 542 “Bandiera coi colori nazionali” e sgg., 10 maggio 1796 - 30 ottobre 1796.
^Il verde è infatti anche il colore della massoneria.
^Quella che oggi è chiamata pizza Margherita era tuttavia già stata preparata nel 1866, prima della dedica alla regina d'Italia, come attesta Francesco De Bourcard in: Usi e costumi di Napoli, riedizione in copia anastatica, tiratura limitata a 999 copie, Napoli, Alberto Marotta, 1965 [1866] p.124.
^1. I toni cromatici dei colori della bandiera della Repubblica, indicati dall'art. 12 della Costituzione, sono definiti dalla circolare della presidenza del Consiglio dei ministri del 2 giugno 2004, UCE 3.3.1/14545/1, con i seguenti codici Pantone tessile, su tessuto stamina (fiocco) di poliestere: ·verde: Pantone tessile 17-6153; ·bianco: Pantone tessile 11-0601; ·rosso: Pantone tessile 18-1662. 2. L'utilizzazione di altri tessuti deve produrre lo stesso risultato cromatico ottenuto sull'esemplare custodito presso il dipartimento del cerimoniale di Stato della presidenza del Consiglio dei ministri, nonché presso ogni prefettura e ogni rappresentanza diplomatica italiana all'estero.
Articolo nº 31 "Definizione cromatica dei colori della bandiera della Repubblica", della Sezione V "Bandiera della Repubblica, Inno nazionale, Feste nazionali e Esequie di Stato", del capo II "Delle disposizioni generali in materia di cerimoniale", dell'allegato "Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento del Cerimoniale di Stato", al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 aprile 2006 "Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche", pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana nº 174 del 28 luglio 2006.
^Se il rango dell'ospite è uguale o superiore a quello dell'ospitante si applica questo ordine.
^Se il rango dell'ospite è inferiore a quello dell'ospitante si applica questo ordine.
^La bandiera della Repubblica Italiana in uso dal 1946 al 2003 non aveva però una definizione cromatica precisa, definizione cromatica che fu poi specificata per la prima volta nel 2003.
^Michel Vovelle, La Révolution française (1789-1799), Armand Colin, 2011, p. 117.
^ab Nicola Ferorelli, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, vol. XII, fasc. III, 1925, p. 668. URL consultato il 13 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 1º aprile 2019).
^ab Nicola Ferorelli, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, vol. XII, fasc. III, 1925, p. 666. URL consultato il 13 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 31 marzo 2019).
^ab Nicola Ferorelli, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, vol. XII, fasc. III, 1925, p. 662. URL consultato il 13 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 31 marzo 2019).
^abc Francesco Frasca, L'Esercito del primo Tricolore (PDF), su difesa.it. URL consultato l'8 marzo 2017 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2017).
^Legge23 novembre 2012, n. 222, articolo 1, in materia di "Norme sull'acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole"
Giovanni Battista Bronzini e Luigi Dal Mestre, La restaurazione austriaca a Milano nel 1814, in Lares, vol. 52, n. 3, Casa Editrice Leo S. Olschki, luglio-settembre 1986, pp. 425-464.
Augusta Busico, Il tricolore: il simbolo la storia, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 2005, SBNIT\ICCU\UBO\2771748.
Giovanni Francesco Damilano, Libro familiare di me sacerdote ed avvocato Giovanni Francesco Damilano 1775-1802, Cherasco, Fondo Adriani, Archivio Storico Città di Cherasco, 1803.
Ito De Rolandis, Origine del tricolore – Da Bologna a Torino capitale d'Italia, Torino, Il Punto - Piemonte in Bancarella, 1996, ISBN88-86425-30-9.
Nicola Ferorelli, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, vol. XII, fasc. III, 1925, pp. 654-680, SBNIT\ICCU\PUV\0630850. URL consultato il 13 febbraio 2017 (archiviato dall'url originale il 28 settembre 2013).
Tarquinio Maiorino, Giuseppe Marchetti Tricamo e Andrea Zagami, Il tricolore degli italiani. Storia avventurosa della nostra bandiera, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2002, ISBN978-88-04-50946-2.
Emiliano Pagano, Delle origini della bandiera tricolore italiana. Ricordi storici, Roma, Tipografia agostiniana, 1895, SBNIT\ICCU\TO0\0740687.
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