Tra le prime esperienze giornalistiche di Scalfari c'è Roma Fascista[7], organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza. Negli anni successivi Scalfari continua a collaborare con riviste e periodici legati al fascismo, come Nuovo Occidente, diretto dall'ex squadrista e fascista cattolico Giuseppe Attilio Fanelli. Nel 1942 Scalfari sarà nominato caporedattore di Roma Fascista.[8]
All'inizio del 1943[9] scrive una serie di corsivi non firmati sulla prima pagina di Roma Fascista in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell'EUR. Questi articoli portarono alla sua espulsione dai GUF e dal Partito per opera di Carlo Scorza, allora vicesegretario del PNF. Di fronte al gerarca, intenzionato a perseguire i presunti speculatori, il giovane Scalfari aveva ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Il gerarca lo accusò poi di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il bavero, strappandogli le mostrine dalla divisa del partito.[9]
Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale, di cui è vicesegretario fino allo scioglimento nel 1961. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: Scalfari è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.
Nel 1963 somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che Scalfari continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa.
Sempre nel 1967, pubblica insieme a Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di Stato chiamato piano Solo. Il generaleDe Lorenzo li querela e i due giornalisti vengono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico MinisteroVittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato.[11]
Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare offerta loro dal Partito Socialista Italiano:[12] alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Scalfari, che era stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato fino al 1972.[13] Nel 1968, dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso.
In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'Eni e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi.[15] Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.
Nel 1976, dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che ne aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata,[16] Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.
L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Silvio Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il Lodo Mondadori, resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per avere un pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da Giulio Andreotti, grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di Scalfari, "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite".
Contro Bettino Craxi, a differenza che con Giovanni Spadolini e successivamente con Ciriaco De Mita, Scalfari si era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale[17] , contro cui si scagliava l'anima della sinistra, rappresentata da Enrico Berlinguer, del quale invece elogiò lo "strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente", candidandovi il governatore della Banca d'ItaliaCarlo Azeglio Ciampi, già negli anni ottanta; indica al presidente Oscar Luigi Scalfaro il commissario PSI a Milano Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier nel 1992; apprezza Guido Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. Il 27 gennaio 1994 incomincia, dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi.[18] Sconfitto Vittorio Sgarbi,[19] il 7 maggio 2008 è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la potenziale discesa in politica di Beppe Grillo.[20][21] Il 9 gennaio 2018 rompe definitivamente con il suo ex editore Carlo De Benedetti.[22]
Ritiro dalla direzione di Repubblica
Dopo vent'anni di direzione del quotidiano, nel 1996 Scalfari si ritirò da tale posizione, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti; il suo successore fu Ezio Mauro, ma Scalfari mantenne il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali entrarono nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominati - anche per la loro lunghezza - "la messa cantata della domenica".[23]
Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato). Il 6 luglio 2007 sul Venerdì di Repubblica (il magazine settimanale che esce dal 1987), annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra.
Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici con Giovanni Floris.
Morte
Dopo aver lasciato anche la sua rubrica domenicale su la Repubblica (il suo ultimo editoriale, datato 6 marzo 2022, aveva come tema il conflitto russo-ucraino), Eugenio Scalfari muore a Roma il 14 luglio 2022, all'età di 98 anni.[24] La camera ardente si è tenuta il 15 luglio e il funerale laico il 16 luglio, entrambi nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma. Le ceneri, per espressa volontà testamentaria, riposano nel cimitero di Rosta (TO), accanto alla prima moglie.
L'ultima sua intervista televisiva risale al 20 settembre 2020.[25]
Vita privata
Nel 1950 si sposò con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, dalla quale ebbe le due figlie Enrica e Donata.
Dalla fine degli anni settanta, Scalfari era sentimentalmente legato a Serena Rossetti, già segretaria di redazione dell'Espresso (e poi di Repubblica), che avrebbe sposato dopo la scomparsa della moglie Simonetta, avvenuta nel 2006.[26]
Scalfari, pur essendo un laico dal punto di vista religioso, si è sempre interessato di tematiche spirituali e non si è mai definito ateo, dal momento che credeva nell'esistenza di un "essere" che nel momento della morte riceveva energia per poi cederla creando altre forme di vita[27]. Inoltre negli ultimi anni della sua vita nacque un'amicizia con Papa Francesco, che intervistava periodicamente su tematiche religiose.
Controversie
Nel 2013 e nel 2014, le sue "interviste" con Papa Francesco[28] hanno causato per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole attribuite da Scalfari al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni.[29][30] Il 29 marzo 2018 il Vaticano ha smentito un'altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando che il Papa gli avesse rilasciato un’intervista, e sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua ricostruzione.[31][32] Scalfari ha ammesso di aver manipolato il contenuto degli articoli, dichiarando: «Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite, il Papa non le condivida, ma credo anche che ritenga che, dette da un non-credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge».[33]
Nel 2019 il Vaticano ha smentito nuovamente un'intervista di Scalfari a Papa Francesco, affermando che i contenuti dell'articolo "non possono essere considerati come un resoconto fedele di quanto effettivamente detto, ma rappresentano piuttosto una personale e libera interpretazione di ciò che ha ascoltato". In seguito a ciò, il Pontefice non ha rilasciato più interviste a Scalfari.[34]
Come andremo a incominciare?, con Enzo Biagi, Milano, Rizzoli, 1981.
L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano, Mondadori, 1984.
La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1986; Collana Super ET, Torino, Einaudi, 2009, ISBN 978-88-061-9916-6.
Incontro con Io, Milano, Rizzoli, 1994; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2011, ISBN 978-88-062-0074-9.
Denis Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa di Eugenio Scalfari, Collana La memoria, Palermo, Sellerio, 1994. - II ed. accresciuta, nuova Introduzione di E. Scalfari, Palermo, Sellerio, 2018, ISBN 978-88-389-3809-2.
Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, 1995; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2019, ISBN 978-88-062-4057-8.
Il labirinto, Milano, Rizzoli, 1998; Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2016, ISBN 978-88-062-3011-1.
Attualità dell'Illuminismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, 2001.
La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, 2001; Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 2010, ISBN 978-88-062-0075-6.
Articoli, 5 voll., Roma, la Repubblica, 2004.
Dibattito sul laicismo, a cura di E. Scalfari, Roma, La Biblioteca di Repubblica, 2005.
^Sull'amicizia tra Scalfari e Calvino leggiamo: "Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi tempi."(...) Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 2010, p. 105.
^Copia archiviata (PDF), su pasqualericcio.it. URL consultato il 28 marzo 2009 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2013).
^Nel corso dell'inchiesta Scalfari riferisce di un colloquio avuto col generale Aurigo: "Mi disse che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (...) gli ordini dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: Angelo Cannatà, "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis, 2010, p. 42.
^Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo, 2016 e Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva, 2017
^Scrive Scalfari: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? (...) "Belzebù è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di quella inamovibilità". Fonte: Eugenio Scalfari e il suo tempo, di Angelo Cannatà, Mimesis, 2010, p. 61. L'articolo di Scalfari, Caro Craxi tu lo sai chi è Belzebù, è apparso su Repubblica il 5 giugno 1981.
Claudio Mauri, Il cittadino Scalfari, prefazione di Ruggero Guarini, Milano, SugarCo, 1983, SBNRAV0062015.
Giancarlo Perna, Eugenio Scalfari, una vita per il potere, Milano, Leonardo Editore, 1990, ISBN88-355-0049-4.
Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, 2010, ISBN978-88-575-0027-0.
Francesco Bucci, Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2013, ISBN978-88-534-3750-1.
Giampaolo Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri, 2013. ISBN 978-88-17-06446-0.
Giovanni Valentini, La Repubblica tradita, Roma, PaperFirst, 2016. ISBN 978-88-99784-08-9
Franco Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza - La nascita de la Repubblica: storia di un miracolo editoriale, prefazione di Eugenio Scalfari, Milano, Cairo Editore, 2016. ISBN 978-88-6052-740-0.
Alberto Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, 2017. ISBN 978-8873818496.
Simone Viola (a cura di), 100 volte Scalfari - La Repubblica di Eugenio nelle testimonianze di cento amici raccolte dal nipote Simone Viola, Torino, Gedi News Network, 2024. ISBN 9788836152575