Entrò a La Stampa nel 1910, assunto dal direttore Alfredo Frassati come stenografo e cronista[1]; nel 1912 fu nominato corrispondente dalla Svizzera. Nell'estate del 1914 realizzò uno scoop, descrivendo per primo la mobilitazione dell'esercito tedesco verso la Francia[2].
Dopo l'8 settembre 1943 De Benedetti fu costretto a riparare in Svizzera per sfuggire alla deportazione. Dopo la Liberazione fu vicedirettore del quotidiano liberale L'Opinione. Nel 1946 passò alla Stampa come caporedattore; nel gennaio 1948 ne divenne direttore, subentrando a Filippo Burzio e mantenne l'incarico per vent'anni, dal 1948 al 1968, dirigendo anche l'edizione pomeridiana Stampa Sera. Alla Stampa De Benedetti riuscì ad attuare il progetto di "quotidiano popolare". Nella gerarchia delle notizie, mise al primo posto la cronaca rispetto alla politica[5]. Portò la tiratura del quotidiano a 500 000 copie giornaliere (600.000 la domenica)[6], ponendolo come diretto concorrente del «Corriere della Sera».
La sua rubrica di dialogo coi lettori Specchio dei tempi ricevette in vent'anni quasi un milione di lettere. Sostenne inoltre che il successo di un quotidiano dipendesse dal mercato locale: due terzi delle vendite dovevano provenire dai lettori piemontesi[7]. Ciò non impedì a La Stampa di diventare un giornale di primo piano anche in ambito nazionale: alla metà degli anni sessanta il quotidiano torinese vendeva in media 375 000 copie giornaliere in Italia. De Benedetti firmò con il nome completo gli articoli di fondo e curò la rubrica di posta con i lettori Specchio dei tempi. Usava firmare i corsivi in prima pagina con la sigla «Gdb».
Ebbe una figlia, Simonetta (1921-2006), nata a Berlino, dove il padre lavorava come corrispondente, che nel 1950 si sposò con Eugenio Scalfari.
Giulio De Benedetti è sepolto nel cimitero di Rosta (TO)[8].