I Savoia-Genova sono un ramo cadetto di Casa Savoia, originato nel 1831 dai Savoia-Carignano. L'ultimo duca di Genova, Eugenio, morì nel 1996; egli ebbe una sola figlia femmina e, poiché in Casa Savoia i titoli non sono trasmissibili per via femminile, con la sua morte si estinse anche il ramo. Il capo della casa aveva il titolo di duca di Genova e il trattamento di altezza reale.
Dopo la morte di Ferdinando la vedova condusse vita ritirata, e, il 4 ottobre 1856, si risposò morganaticamente con il maggiore Nicolò Rapallo.[2] Elisabetta aveva ottenuto l'assenso al nuovo matrimonio dal padre, Giovanni di Sassonia, ma non aveva chiesto quello di Vittorio Emanuele II, che se ne risentì e che minacciò di privarla della sua posizione nella famiglia reale. Le cose, però, poi si appianarono e Vittorio Emanuele II creò marchese Nicolò Rapallo, nominandolo anche capo della Casa Civile della duchessa.
Tommaso di Savoia-Genova
Nel 1870 fu offerta la corona spagnola a Tommaso Alberto: non essendo maggiorenne, però, la decisione spettò alla madre Elisabetta, che rifiutò per via della giovane età del designato e per l'incertezza dell'avventura. Dal 1915 al 1919 fu luogotenente del Regno d'Italia.
Eugenio, duca di Ancona, poi quinto duca di Genova (1906-1996).
Ferdinando, Filiberto ed Eugenio di Savoia-Genova
Quest'ultima generazione, pur vivendo in anni così importanti per la storia dell'Italia, si tenne sempre lontana dalla mondanità e dalla corte, conducendo una vita abbastanza anonima, soprattutto se paragonata a quella dei cugini del ramo Savoia-Aosta.[4] In ambito militare i membri del ramo Savoia-Genova svolsero i loro doveri di ufficiali, sia pure senza particolare risalto.[4] Fra i maschi solamente Eugenio ebbe una figlia, Maria Isabella di Savoia-Genova, nata a Roma il 23 giugno 1943 e sposata nel 1971 con Alberto Frioli. Il matrimonio fu autorizzato da Umberto II, che creò Guido Frioli, padre di Alberto, conte di Rezzano.[5]
I Savoia-Genova non godettero di particolare stima, se si tiene presente che Galeazzo Ciano, alla data del 24 agosto 1939, riportò nel suo diario un commento sprezzante di Vittorio Emanuele III, il quale lamentava il fatto che Mussolini avesse appositamente messo in forzata inattività militare suo figlio Umberto, escludendolo così non solo dalla possibilità di prendere decisioni, ma anche dal poter ricevere gloria militare: «Hanno il comando quei due imbecilli di Bergamo e di Pistoia, ben può averlo anche mio figlio».[6] Allo stesso modo, ai tempi del referendum del 1946, nel diario di Falcone Lucifero si trovano alcuni riferimenti poco lusinghieri nei confronti di questi principi con riguardo al loro acume, non già al loro stile di vita, che fu sempre improntato al riserbo e alla semplicità.[7]
Dopo il mutamento istituzionale del 1946 il duca Ferdinando visse a Bordighera, in Liguria, dove condusse vita ritirata e dove morì nel 1963. Adalberto e Filiberto vissero per trent'anni in un albergo di Torino, mentre l'ultimogenito Eugenio si trasferì in Brasile, dove aprì un'industria agraria e dove morì nel 1996. Poiché aveva avuto una figlia femmina e poiché in Casa Savoia i titoli non sono trasmissibili per via femminile, si estinse il titolo di duca di Genova.[8]
Carlo Casalegno, La Regina Margherita, Torino, Il Mulino, 2001, ISBN88-15-08355-3.
Giulio Vignoli, Il sovrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia, Milano, Mursia, 2006, ISBN88-425-3583-4.
Galeazzo Ciano, Diari, volume I, 1939-1940, Milano, Rizzoli, 1963.
Massimo de Leonardis, Monarchia, Famiglia Reale e Forze Armate nell'Italia unita, in Rassegna Storica del Risorgimento, LXXXV, ottobre-dicembre 1998, ISSN 0033-9873 (WC · ACNP).