L'assedio nell'antica Roma fu una delle tecniche utilizzate dall'esercito romano per ottenere la vittoria finale, sebbene le battaglie campali fossero ritenute l'unica vera forma di guerra. Ciò nonostante, non si deve cadere nella tentazione di sottovalutare l'importanza che l'azione d'assedio poteva avere nel quadro bellico di quell'epoca. Annibale non riuscì a debellare la potenza di Roma perché, pur avendo sconfitto gli eserciti romani in campo aperto, era risultato incapace di assaltare la città di Roma. Con l'andare del tempo gli eserciti della tarda Repubblica romana ed Imperiale divennero particolarmente propensi anche nella guerra d'assedio: la conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare fu la combinazione di tutta una serie di battaglie campali e di lunghi assedi, che culminò con quello di Alesia del 52 a.C. Impadronirsi del centro principale di un popolo nemico, sembrò essere la soluzione migliore per portare a termine un conflitto, come accadde anche al tempo di Traiano, durante la conquista della Dacia, quando la capitale nemica, Sarmizegetusa Regia, fu cinta d'assedio e occupata.[1] Allo scopo furono, pertanto, necessarie numerose opere (un agger sormontato da una palizzata, con fossati intorno, oltre a rampe e trabocchetti di varia natura) e macchine d'assedio per varietà e funzionalità, impegnando i soldati nella realizzazione di importanti lavori di ingegneria militare.
«Gneo Domizio Corbulone usava dire che il nemico si vinceva con la zappa, cioè con le opere di costruzione.»
I Romani utilizzarono tre principali tecniche d'assedio per impadronirsi delle città nemiche:
per fame (occorreva più tempo, ma minor perdite di vite umane da parte degli assalitori), creando tutto intorno alla città assediata una serie di fortificazioni (una controvallazione interna[2] e, a volte, una circonvallazione esterna,[3] come nel caso di Alesia[4]) che impedissero al nemico di approvvigionarsi (di viveri ed anche di acqua, deviando gli stessi corsi dei fiumi) o peggio di scappare, sottraendosi all'assedio, nella speranza di condurre gli assediati alla resa. Il sito attaccato veniva poi circondato da numerose postazioni, dove la principale ospitava il quartier generale, oltre ad una serie di altri fortini collegati.[5]
con un massiccio attacco frontale, impiegando una grande quantità di armati, artiglieria, rampe e torri d'assedio. L'esito finale era normalmente più veloce ma con un alto prezzo in perdite di armati da parte dell'assalitore romano. In questo caso si effettuava un'azione preparatoria all'assalto, di artiglieria, per provocare danni alle mura, produrre perdite di vite umane tra gli assediati ed indebolire il morale dei sopravvissuti. Subito dopo i legionari si avvicinavano alle mura della città in formazione a testuggine, mentre arcieri e frombolieri lanciavano una "pioggia" di dardi (anche infuocati) contro gli assediati, a "copertura" dei fanti romani. Scale, torri mobili e arieti si avvicinavano anch'essi, fino a quando legioni e auxilia, raggiunta la sommità delle mura, ingaggiano una serie di duelli "corpo a corpo". Seguiva il saccheggio della città, ormai in balia delle armate romane.[6]
con un attacco improvviso ed inatteso, che non desse al nemico assediato il tempo di ragionare.
Con il tempo le varie tecniche d'assedio si perfezionarono nell'antica Roma, grazie anche all'apporto della cultura ellenica proveniente dalle città della Magna Grecia, degli Etruschi e dal confronto con il nemico cartaginese nel corso delle tre guerre puniche.[7]
Epoca repubblicana: primo periodo (509 - 201 a.C.)
Il primo impiego di macchine da guerra da parte dei Romani risalirebbe a quest'anno secondo Tito Livio, in occasione dell'assedio di Suessa Pometia, condotto con vineae ed altre strutture non ben definite.[10] Da ciò se ne deduce che in quella circostanza già vi fossero dei tecnici militari per la costruzioni dei primi strumenti di poliorcetica.
La città di Fidene venne espugnata dai Romani con una nuova tecnica: mentre gli Etruschi si barricarono all'interno della città, i Romani con falsi attacchi da quattro diverse direzioni in quattro momenti diversi, coprirono il rumore degli scavi e arrivarono alla rocca attraverso una lunga galleria che passò sotto le mura nemiche.[11]
Anche la città di Veio cadde pochi anni più tardi con la stessa tecnica della galleria scavata sotto le mura. La caduta della città etrusca ebbe luogo secondo la leggenda, dopo dieci lunghi anni d'assedio[12] (parimenti a quanto era accaduto con la città di Troia).
Durante il lungo assedio di Siracusa operato dal console Marco Claudio Marcello, i Romani avevano un sufficiente bagaglio di esperienze negli assedi sia di mare che di terra, sebbene si scontrassero con le tecniche innovative difensive adottate da Archimede.[19] Si racconta infatti che, quando:
«i Siracusani, quando videro i Romani investire la città dai due fronti, di terra e di mare, rimasero storditi e ammutolirono di timore. Pensarono che nulla avrebbe potuto contrastare l'impeto di un attacco in forze di tali proporzioni.»
Ma Archimede preparò la difesa della città, lungo i 27 km di mura difensive, con nuovi mezzi d'artiglieria. Si trattava di baliste, catapulte e scorpioni, oltre ad altri mezzi come la manus ferrea e gli specchi ustori, con cui mise in seria difficoltà gli attacchi romani per mare e per terra. I romani dal canto loro continuarono i loro assalti dal mare con le quinqueremi e per terra dando l'assalto con ogni mezzo a loro disposizione (dalle torri d'assedio, agli arieti, alle vinae, fino alle sambuche).
«I Romani, allestiti questi mezzi, pensavano di dare l'assalto alle torri, ma Archimede, avendo preparato macchine per lanciare dardi a ogni distanza, mirando agli assalitori con le baliste e con catapulte che colpivano più lontano e sicuro, ferì molti soldati e diffuse grave scompiglio e disordine in tutto l'esercito; quando poi le macchine lanciavano troppo lontano, ricorreva ad altre meno potenti che colpissero alla distanza richiesta. [...] Quando i Romani furono entro il tiro dei dardi, Archimede architettò un'altra macchina contro i soldati imbarcati sulle navi: dalla parte interna del muro fece aprire frequenti feritoie dell'altezza di un uomo, larghe circa un palmo dalla parte esterna: presso di queste fece disporre arcieri e scorpioncini e colpendoli attraverso le feritoie metteva fuori combattimento i soldati imbarcati. [...] Quando essi tentavano di sollevare le sambuche, ricorreva a macchine che aveva fatto preparare lungo il muro e che, di solito invisibili, al momento del bisogno si legavano minacciose al di sopra del muro e sporgevano per gran tratto con le corna fuori dai merli: queste potevano sollevare pietre del peso di dieci talenti e anche blocchi di piombo. Quando le sambuche si avvicinavano, facevano girare con una corda nella direzione richiesta l'estremità della macchina e mediante una molla scagliavano una pietra: ne seguiva che non soltanto la sambuca veniva infranta ma pure la nave che la trasportava e i marinai correvano estremo pericolo.»
Marcello decise allora di mantenere l'assedio, provando a stritolare la città per fame. L'assedio si protrasse per ben 18 mesi, un tempo tanto lungo da far esplodere notevoli contrasti in Siracusa tra il popolo, tanto che la parte filoromana architettò il tradimento, permettendo ai Romani di fare irruzione in piena notte, quando furono aperti i cancelli della zona nord della città. Siracusa cadde e fu saccheggiata, non però la vicina isola di Ortigia, ben protetta da altre mura, che resistette ancora per poco. In quell'occasione trovò la morte anche il grande scienziato siracusano Archimede, che fu ucciso per errore da un soldato.
«I Romani che erano assediati da Annibale e a loro volta assediavano Capua, disposero con decreto che l'esercito mantenesse quella posizione, fin quando la città non fosse stata espugnata.»
E così Annibale, constatato che le difese di Roma erano assai forti e gli assedianti romani di Capua non "rompevano l'assedio", abbandonò la città campana, che cadde poco dopo in mano romana.
Fu inviato ad assediare Numanzia, dopo tanti insuccessi romani, il console Publio Cornelio Scipione Emiliano, eroe della terza guerra punica. Costui, dopo aver saccheggiato il paese dei Vaccei, cinse d'assedio la città. L'armata comandata da Scipione era integrata da un nutrito contingente di cavalleria numidica, fornita dall'alleato Micipsa, al cui comando si trovava il giovane nipote del re, Giugurta. Per prima cosa, Scipione si adoperò per rincuorare e riorganizzare l'esercito scoraggiato dall'ostinata ed efficace resistenza della città ribelle; poi, nella certezza che la cittadella poteva essere presa solo per fame, fece costruire una circonvallazione (un muro di 10 chilometri tutto intorno) atta a isolare Numanzia e a privarla di qualsiasi aiuto esterno. Il console si adoperò poi a scoraggiare gli Iberi dal portare aiuto alla città ribelle, presentandosi con l'esercito alle porte della città di Lutia e obbligandola alla sottomissione e alla consegna di ostaggi. Dopo quasi un anno di assedio, i numantini, ormai ridotti alla fame, cercarono un abboccamento con Scipione, ma, saputo che questi non avrebbe accettato altro che una resa incondizionata, i pochi uomini in condizione di combattere preferirono gettarsi in un ultimo, disperato assalto contro le fortificazioni romane. Il fallimento della sortita spinse i superstiti, secondo la leggenda, a bruciare la città e a gettarsi fra le fiamme. I resti dell'oppidum furono rasi al suolo come Cartagine pochi anni prima.
Lucio Licinio Lucullo provvedette ad assediare alcune città del re del Ponto, Mitridate VI, tra cui Themiscyra, che si trovava sul fiume Termodonte. Qui Appiano di Alessandria racconta che i Romani costruirono grandi torri, alti tumuli e scavarono gallerie talmente larghe da poterci combattere intere grandi battaglie sotterranee. Gli abitanti della città allora, aprirono alcune galleria che accedessero a questi tunnel dei Romani, e vi gettarono dentro orsi ed altri animali feroci, oltre a sciami di api, contro coloro che vi stavano lavorando.[26] Contemporaneamente i Romani assediarono anche Amisus, utilizzando altre modalità di assedio. Qui gli abitanti li respinsero con coraggio, facendo frequenti sortite, sfidandoli anche in campo aperto, grazie anche agli ingenti aiuti che Mitridate inviò loro, tra armi e soldati, provenienti da Cabira.[26]
«Il grande Tempio si trovava su un'altura ed era difeso da mura che lo cingevano tutto intorno. E se gli Ebrei lo avessero difeso con la stessa costanza tutti i giorni, Pompeo non sarebbe riuscito a conquistarlo. Invece questi lo trascurarono nel giorno di Crono, durante il quale nessuno lavora. Così i Romani trovarono l'occasione per espugnarlo.»
Nel corso della conquista della Gallia, Cesare, prima che i Belgi si riprendessero dal terrore suscitato dalla recente strage occorsa loro presso il fiume Axona,[31] condusse l'esercito nelle terre dei Suessioni, giungendo dinanzi al loro principale oppidum, Noviodunum (presso le odierne Soissons e Pommiers). La città fu cinta d'assedio, ma il loro re Galba, spaventato dalla grandezza delle opere d'assedio che il generale romano era riuscito ad approntare in così poco tempo, offrì la resa del suo popolo. La capitolazione, favorita anche dall'intercessione dei vicini Remi, fu suggellata dalla consegna di ostaggi (tra cui due figli dello stesso re Galba) e di tutte le armi che tenevano nella loro capitale.[32] E sempre questo stesso anno, dopo aver conseguito una nuova vittoria nella battaglia del fiume Sabis, il proconsole romano, decise di marciare contro gli Atuatuci, che si erano riuniti tutti in un'unica roccaforte la cui notevole fortificazione era aiutata dalla natura stessa dei luoghi.[33] Così Cesare descrive l'assedio della città (probabilmente Namur):
«Avendo questa città tutto intorno altissime rupi [...] restava solo da una parte un accesso in leggera pendenza largo non più di 200 piedi [circa 65 metri]; in questo luogo gli Atuatuci avevano costruito un altissimo muro duplice e vi collocarono massi molto pesanti e travi appuntite [...] e appena l'esercito romano arrivò, gli Atuatuci fecero frequenti sortite dalla città e si scontavano in piccole battaglie con i nostri. Più oltre quando furono circonvallati da un bastione che girava intorno per 15.000 piedi [circa 4,5 km] e da numerosi fortini, rimasero dentro le mura della loro città. Quando videro che, avvicinate le vinee, innalzato il terrapieno, veniva costruita una torre d'assedio, al principio irridevano i Romani dalle loro mura, perché una macchina tanto grande fosse stata costruita così lontana [...] Ma quando videro che si muoveva e si avvicinava alle loro mura, cosa nuova ed insolita per loro, mandarono a Cesare ambasciatori a trattare la pace [...] Cesare disse loro che avrebbe salvato la loro nazione più per consuetudine che per merito, se si fossero arresi prima che l'ariete toccasse le loro mura, ma che dovevano consegnare le armi [...] gettata dalle mura una grande quantità di armi, tanto che le armi accatastate erano alte quanto la cima delle mura e del terrapieno, ma di una parte fu nascosta nella città la terza parte [...] e per quel giorno rimasero in pace [...] Al calare della notte Cesare ordinò ai suoi soldati di uscire dalla città perché di notte gli abitanti non ricevessero ingiustizie dai soldati. Gli Atuatici, seguendo un piano precedentemente stabilito [...] fecero improvvisamente una sortita dopo la mezzanotte dalla città con tutte le truppe nel punto dove risulta più agevole la salita alle fortificazioni romane [...] ma segnalato il fatto rapidamente per mezzo di fuochi, come Cesare aveva in precedenza ordinato, le truppe romane accorsero dai castelli vicini. I nemici combatterono tanto valorosamente e duramente [...] contro i nostri che dal vallo e dalle torri tiravano i dardi [...] uccisi circa 4.000 nemici, gli altri furono ricacciati nella città. Il giorno seguente, forzate le porte [...] ed introdottisi i nostri soldati, Cesare mise in vendita tutto il bottino della città: [...] 53.000 persone.»
Le legioni che erano ancora acquartierate nei loro rispettivi hiberna, furono attaccate dal popolo celtico degli Eburoni (regione delle Ardenne). Tale rivolta era guidata da Ambiorige e Catuvolco. L'accampamento romano dei legati Quinto Titurio Sabino e Lucio Aurunculeio Cotta, posto con ogni probabilità presso Atuatuca, fu attaccato e completamente circondato.[34] Ambiorige avendo però constatato che l'assedio al castrum romano era difficilmente attaccabile e che comunque sarebbe caduto solo a prezzo di ingenti perdite tra i suoi, decise di cambiare tattica, riuscedno a convincere con l'inganno i Romani ad uscire dall'accampamento. Quando le truppe romane si trovarono allo scoperto, al centro di una vallata boscosa,[35] l'esercito degli Eburoni le attaccò in massa e massacrò quasi completamente una legione,[36] cinque coorti romane ed i loro comandanti. Solo pochi superstiti riuscirono a raggiungere il campo di Labieno ed avvertirlo dell'accaduto.[37]
Dopo questa vittoria, Ambiorige riuscì ad ottenere l'appoggio degli Atuatuci, dei Nervi e di numerosi popoli minori come i Ceutroni, i Grudi, i Levaci, i Pleumossi ed i Geidunni, per assediare il campo di Quinto Cicerone e della sua legione (attestati presso l'oppidum di Namur). L'assedio durò un paio di settimane, fino all'arrivo dello stesso Cesare. Nel corso di questo assedio, particolarmente difficile per la legione romana, i Galli riuscirono a mettere in atto tecniche e strumenti di assedio simili a quelle dei Romani, dai quali le avevano ormai in parte appresi (anche grazie ai prigionieri romani ed ai disertori). Anche questa volta Ambiorige tentò di convincere il legato ad abbandonare il campo, promettendogli di proteggere la sua ritirata. Ma Quinto Cicerone, a differenza di Sabino, non cadde nel tranello del capo degli Eburoni, pur non sapendo che poco prima ben quindici coorti erano state massacrate, e riuscì a resistere, tra enormi sforzi e numerose perdite umane, fino all'arrivo di Cesare.[38] Frattanto Cesare, a capo di due legioni che era riuscito a reperire dopo essersi ricongiunto con Gaio Fabio e Marco Crasso, giunto in prossimità di Cicerone, seppe dallo stesso Cicerone che la grande massa di assedianti (circa sessantamila Galli) si stava dirigendo contro lo stesso Cesare. Il proconsole, costruito un campo con grande rapidità, riuscì a battere gli aggressori ed a metterli in fuga, liberando così e definitivamente Cicerone dall'assedio,[39] attuando un espediente:
«...proprio mentre i nemici Galli gli si facevano incontro, [Cesare] finse di avere paura e trattenne le sue truppe nell'accampamento fatto costruire più piccolo dell'usuale. I Galli che ormai pensavano di avere la vittoria in pugno, mossero per depredare il castrum romano, e iniziarono a colmare il fossato e a distruggere gli steccati, ma proprio quando non erano pronti a combattere, Cesare fece uscire i legionari da ogni parte del campo e li fece a pezzi.»
Ad Avarico, poiché la natura del luogo impediva di cingere la città con una linea fortificata continua, come invece fu poi possibile ad Alesia, Cesare dovette costruire una gigantesca rampa d'assedio (larga quasi 100 metri e alta 24 metri), con grande dispendio di energie e perdite di uomini a causa delle continue sortite che gli assediati compivano mentre i Romani erano intenti a costruire, come ci racconta lo stesso Cesare:
«Al grandissimo valore dei soldati romani venivano opposti espedienti di ogni genere da parte dei Galli [...] Essi, infatti, con delle corde deviavano le falci murali e dopo averle assicurate le tiravano dentro [...] toglievano la terra sotto il terrapieno con gallerie, con grande abilità poiché nel loro paese esistevano grandi miniere di ferro [...] avevano inoltre costruito delle torri in legno a diversi piani lungo tutte le mura e le avevano coperte di pelli [...] e con frequenti sortite di giorno e di notte davano fuoco al terrapieno o assalivano i legionari impegnati a costruire [...] le loro torri le sopraelevavano per eguagliare le torri dei Romani, tanto quanto il terrapieno era innalzato giornalmente [...] con legni induriti dal fuoco, con pece bollente o sassi pesantissimi ritardavano lo scavo delle gallerie e impedivano di avvicinarle alle mura.»
Alla fine però i Romani riuscirono a superare le difese nemiche dopo 27 giorni d'assedio, quando Cesare approfittò di un temporale per avvicinare una delle torri d'assedio alle mura della città, nascondendo molti dei soldati all'interno delle vineae, ed al segnale convenuto riuscendo ad irrompere con grande velocità sugli spalti della città.[40]
Ad Alesia, Cesare, per garantire un perfetto blocco degli assediati, ordinò la costruzione di una serie di fortificazioni, chiamate "controvallazione" (interna) e "circonvallazione" (esterna), attorno all'oppidumgallico.[4] Tali opere furono realizzate a tempo record in tre settimane, la prima "controvallazione" di quindici chilometri tutto intorno all'oppidum nemico (pari a dieci miglia romane[2]) e, all'esterno di questo, per altri quasi ventun chilometri (pari a quattordici miglia).[3] Le opere comprendevano anche due valli (uno esterno ed uno interno) sormontati da una palizzata; due fosse, la più vicina delle quali alla fortificazione, fu riempita con l'acqua dei fiumi circostanti;[41] tutta una serie di trappole e profonde buche, dal "cervus" sul fronte del vallo sotto la palizzata, a cinque ordini di "cippi", otto di "gigli" e numerosi "stimoli";[42] quasi un migliaio di torri di guardia presidiate dall'artiglieria romana,[41] ventitré fortini ("castella"), quattro grandi campi per le legioni (due per ciascun castrum) e quattro campi per la cavalleria, legionaria, ausiliaria e germanica.[43]
Sappiamo da Cesare che durante l'assedio di Brindisi stabilì di bloccare le uscite dal porto. All'imboccatura del porto che è più stretta, fece gettare un terrapieno lungo entrambe le rive, in quanto il mare in quel punto era poco profondo. Poco più avanti, a causa della profondità crescente, face inserire sul prolungamento della diga coppie di zattere, il cui lato era di trenta piedi. Dopo averle posizionate per bene, ne aggiunse altre di eguale grandezza, coprendole di come se fosse il prolungamento naturale del terrapieno, in modo da potervi accedere facilmente in caso di loro difesa. Sulla parte esterna e lungo i due lati furono protette da graticci e plutei, mentre ogni quattro zattere vennero innalzate delle torri a due piani, per difendere meglio l'opera di fortificazione da eventuali assalti delle navi nemiche e dagli incendi.[44]
Durante il successivo assedio di Marsiglia furono impiegati alcuni muscoli, le cui dimensioni erano di circa 60 piedi di lunghezza (pari a circa 18 metri).[45]
Epoca alto imperiale: fase offensiva (30 a.C.-211 d.C.)
La spedizione romana in Arabia Felix portò un'armata romana, sotto il comando del governatore d'Egitto, Elio Gallo, lungo le rotte per l'India, fino allo Yemen. Al termine di un lungo viaggio durato sei mesi,[46] Gallo raggiunse la città chiamata Marsiaba o Mariaba (l'attuale Ma'rib nello Yemen), che apparteneva alla tribù dei Rhammanitae, il cui re era un certo Ilasarus.[46] La città fu assediata per sei giorni, ma riuscì a resistere, favorita dalla mancanza d'acqua da parte degli assedianti romani. Gallo fu così costretto a fermarsi a soli due giorni di marcia dal paese che produceva spezie ed a riportare i resti della sua malconcia armata, provata da sete, fame e malattie, in Egitto.[46]
Nel corso della guerra civile scoppiata dopo la morte di Nerone per succedergli, la città di Cremona fu assediata per ben due volte: la prima, senza successo, dai Vitelliani ai danni dei sostenitori di Otone (mese marzo);[49] la seconda dai Flaviani ai danni dei Vitelliani (fine ottobre), portando le stesse legioni fedeli al futuro imperatore, Vespasiano, ad un saccheggio sfrenato della città per ben quattro giorni.[50]
«Quarantamila armati fecero irruzione in Cremona, con un numero di servi e portatori anche maggiore, gente assai portata alla crudeltà ed ai disordini. Nessuno era protetto dall'età o dal grado. Si consumarono stupri e uccisioni. Uomini e donne vecchissimi erano trascinati come oggetto di ludibrio... Se capitava tra le mani qualche giovane fanciulla di particolare bellezza, veniva fatta a pezzi... Qualcuno che portava via denaro o doni votivi d'oro dai templi, fu ucciso da un altro più forte di lui... altri disseppellirono tesori, battendo con verghe e torturando i padroni... soldati provvisti di torce, dopo aver rubato la preda le lanciavano per divertimento dentro le case...»
La prima guerra giudaica ebbe nell'assedio di Gerusalemme l'operazione "chiave" della vittoria romana.[51] Si racconta che il futuro imperatore Tito, per prima cosa costruì intorno alla città assediata oltre ad un grande campo, utilizzato come quartier generale, tredici forti collegati tra loro[52] da una controvallazione di quasi 8 km[53] e ben 5 rampe d'assedio.[54] Egli poi tentò di ridurre le riserve di cibo ed acqua degli assediati, permettendo ai pellegrini di entrare in città per la consueta visita al tempio in occasione di Pesach, ma impedendo loro di uscire. A metà maggio, Tito riuscì a distruggere la terza cinta muraria con gli arieti e poi a sfondare anche la seconda cinta. L'obiettivo successivo fu la Fortezza Antonia, posta a nord della Monte del Tempio, costringendo i Romani a combattere strada per strada contro gli Zeloti. E dopo un iniziale tentativo di negoziare la pace, gli assediati riuscirono a impedire la costruzione di torri d'assedio nei pressi della fortezza Antonia, ma cibo ed acqua iniziarono a scarseggiare. Fu così che piccoli gruppi di rifornitori riuscirono a penetrare tra le linee romane degli assedianti, ed a portare di nascosto in città alcune provviste. Per fermare in modo definitivo i rifornimenti provenienti dall'esterno, Tito decise di erigere un muro tutto intorno alla città e, contemporaneamente, di riprendere la costruzione delle torri d'assedio. Finalmente dopo altri tentativi falliti di scalare e penetrare le mura della Fortezza Antonia, i Romani riuscirono ad irrompere di nascosto, sorprendendo le guardie zelote immerse nel sonno, permettendo loro di conquistare la fortezza, che forniva una piattaforma perfetta per attaccare il tempio stesso. Gli arieti sembra che ebbero poco successo, ma i combattimenti successivi riuscirono ad appiccare il fuoco alle mura. Le fiamme si diffusero rapidamente e presto il Tempio fu distrutto, mentre l'incendio si propagò nei quartieri residenziali vicini, tanto che le legioni romane furono in grado di annientare la residua resistenza ebraica, anche se dopo la costruzione di nuove torri d'assedio. Era il 7 settembre e Gerusalemme era caduta in mano ai Romani.[55]
L'assedio di Masada si racconta che durò per molto tempo, nel corso del quale furono adottate tutte le tecniche possibili per ottenere la vittoria finale, a partire dalla costruzione di otto forti intorno alla fortezza giudaica (sei piccoli e due grandi[56]), collegati tra loro da una controvallazione di 3,6 km,[57] oltre ad una gigantesca rampa (alta 200 cubiti tra terra e pietre, oltre a 50 cubiti di una piattaforma in legno[58]) sormontata da una torre alta 60 cubiti, tutta ricoperta di ferro, dall'alto della quale i Romani posero catapulte e baliste ed un grande ariete.[59] Alla fine il capo zelota Eleazar Ben Yair, parlò alla sua gente inducendola ad un suicidio collettivo, considerata la situazione ormai disperata. I Romani raggiunsero la sommità della fortezza e trovarono gli assediati tutti morti.[60]
Una delle maggiori città dell'Impero romano, Aquileia, fu costretta a subire un assedio da parte di una massa di barbari mai vista prima d'allora (soprattutto Quadi, Marcomanni e VandaliAsdingi), che si era riversata in modo devastante nell'Italia settentrionale, nel cuore della Venetia. Enorme fu l'impressione provocata: era dai tempi di Mario (102-101 a.C.) che una popolazione barbarica non assediava dei centri del nord Italia.[67]
Settimio Severo nel corso delle sue campagne partiche riuscì ad assediare ed espugnare la loro capitale, Ctesifonte.[68] Le armate di Severo dopo aver varcato l'Eufrate per la seconda volta, presso Zeugma, si diressero con grandi macchine d'assedio alla volta di Edessa, che gli spalancò le porte, inviandogli alti dignitari e vessilli quale atto di sottomissione. Severo continuò la sua avanzata con una grande flotta lungo l'Eufrate, dove raggiunse e sottomise prima Dura Europos, poi Seleucia, mettendo in fuga la cavalleria catafratta dei Parti. L'avanzata proseguì con la cattura di Babilonia che poco prima era stata abbandonata dalle forze nemiche e, verso la fine dell'anno, anche la stessa capitale dei Parti, Ctesifonte, fu posta sotto assedio. La città ormai circondata, tentò inutilmente di resistere all'impressionante macchina militare che l'imperatore romano era riuscito a mettere insieme (circa 150.000 armati). Quando ormai era prossima alla capitolazione, il re Vologase V abbandonò i suoi e fuggì verso l'interno dei suoi territori. La città fu saccheggiata come era successo in passato ai tempi di Traiano (nel 116) e Lucio Vero (nel 165).[69]
Epoca alto imperiale: fase difensiva (211-285 d.C.)
L'imperatore Massimino Trace, giunto ad Aquileia, posta all'incrocio di importanti vie di comunicazione e deposito dei viveri e dell'equipaggiamento necessari ai soldati, fu costretto a porre la città sotto assedio, poiché aveva chiuso le sue porte all'imperatore (dopo aver ricostruito parte delle sue antiche mura[71]), dietro il volere del Senato di Roma.[72] Ciò permise ai suoi avversari di organizzarsi, come fece Pupieno raggiungendo la città di Ravenna, da cui diresse la difesa della città assediata. Sebbene il rapporto di forze fosse ancora a vantaggio di Massimino, il prolungato assedio,[73] la penuria di viveri e la rigida disciplina imposta dall'imperatore causarono l'ostilità delle truppe verso l'imperatore, tanto che i soldati della Legio II Parthica, prima strapparono le sue immagini dalle insegne militari, per segnalarne la deposizione, poi lo assassinarono nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo (10 maggio).[74]
Con il III secolo, le continue invasioni barbariche del III secolo, portarono l'Impero romano ad essere ora posto, egli stesso, "sotto assedio". Nel corso del 248 una nuova incursione di Goti, ai quali era stato rifiutato il contributo annuale promesso da Gordiano III, e di Carpi loro associati, portò ancora una volta devastazione nella provincia di Mesia inferiore.[84] L'invasione fu fermata da un generale di Filippo l'Arabo, Decio Traiano, futuro imperatore, presso la città di Marcianopoli, che era rimasta sotto assedio per lungo tempo. La resa fu anche possibile grazie all'ignoranza dei Germani in fatto di macchine d'assedio e probabilmente, come suggerisce Giordane, «dalla somma versata loro dagli abitanti».[85] L'anno successivo (nel 249) una nuova invasione di Goti si spinse in Tracia fino a Filippopoli (l'odierna Plovdiv), dove assediarono il governatore Tito Giulio Prisco[86] Nel 250 l'imperatore Decio, riuscì a sorprendere ed a battere i Goti di Cniva mentre questi stava assediando da alcuni mesi la città mesica di Nicopoli.
I Goti compirono una nuova incursioni via mare lungo le coste del Mar Nero, riuscendo ad assediare e saccheggiare Bisanzio, l'antica Ilio ed Efeso.[98]
«Poiché gli Sciti [ovvero i Goti, ndr] avevano portato grande distruzione all'Ellade ed assediata la stessa Atene, Gallieno cercò di combattere contro di loro, che ormai avevano occupato la Tracia.»
[99] Una nuova ed immensa invasione da parte dei Goti, unitamente a Peucini, agli "ultimi arrivati" nella regione dell'attuale mar d'Azov, gli Eruli, ed a numerosi altri popoli prese corpo dalla foce del fiume Tyras (presso l'omonima città) e diede inizio alla più sorprendente invasione di questo terzo secolo, che sconvolse le coste e l'entroterra delle province romane di Asia Minore, Tracia e Acaia affacciate sul Ponto Eusino e sul Mar Egeo.[100][101] Essi riuscirono a porre sotto assedio numerose città imperiali, cominciando con Cizico, pur senza successo,[102] ma occupando in seguito la futura città di Crisopoli (di fronte a Bisanzio), e ponendo nuovi assedi alla città di Cassandreia e di Tessalonica,[103] e portando devastazione anche nell'entroterra della provincia di Macedonia.[104]
L'imperatore Aureliano pose fine al regno di Zenobia, quando dopo aver liberato la città di Antiochia, sconfisse l'esercito palmireno prima ad Immae e poi ad Emesa, arrivando ad assediare la stessa Palmira, che in breve fu conquistata. La regina fu raggiunta sulle rive dell'Eufrate e catturata insieme al figlio.[108]
L'imperatore Probo, si recò, al termine di quell'anno, in Isauria per domare una rivolta di briganti (con assedio finale presso la loro roccaforte di Cremna, in Pisidia).[109]
Ancora Sapore II, riuscì dopo un assedio durato settantatré giorni, a occupare la città di Amida, sebbene numerosi attacchi portati con le grandi macchine di assedio, fossero stati ripetutamente respinti, con gravi danni per i Persiani e le macchine stesse. I Romani capitolarono quando si trovarono a combattere oltre al nemico sasanide, anche una pestilenza. La città ormai stremata, alla fine cadde a seguito di un attacco notturno, portato simultaneamente da Sapore e Grumbates con torri d'assedio e frecce incendiarie.[112]
Nel corso della campagna sasanide di Giuliano, poiché i Romani mancavano delle necessarie macchine d'assedio, e non era, pertanto, possibile prendere Ctesifonte in tempi ragionevoli, Giuliano, per evitare di essere circondato da Sapore II, decise di "rompere l'assedio" e di muovere verso il nord della Mesopotamia, per riunirsi con il contingente di Procopio.[113]
Il re visigotoAlarico, pose l'assedio alla città di Roma per ben tre volte in questi anni, fino a quando non riuscì a saccheggiarla nel 410, dopo circa ottocento anni dal precedente sacco gallico del 390/386 a.C. Si racconta che i Visigoti bloccarono prima tutte le vie d'accesso, compreso il Tevere e i rifornimenti dal porto di Ostia, contemporaneamente l'assedio durò senza sosta per cinque mesi, costringendo la popolazione affamata a cibarsi addirittura di gatti, topi, cani. Le malattie infettive mieterono molte vittime (le fonti parlano di peste, ma si trattò più verosimilmente di colera) e sono citati anche episodi di cannibalismo. L'assedio colpì soprattutto le fasce più povere della popolazione, e fu probabilmente di un disperato gruppo di affamati la decisione di far terminare l'assedio. Nella notte del 24 agosto del 410, la Porta Salaria venne aperta agli assedianti (che evidentemente non avevano macchine d'assedio adeguate), e Roma fu saccheggiata.[115]
L'usurpatore Costantino fu assediato ad Arles da Geronzio, dove però giunse anche un altro generale di Onorio, l'energico Flavio Costanzo (il futuro imperatore Costanzo III). Sebbene Geronzio fosse stato sconfitto e messo in fuga, Costanzo proseguì l'assedio fino a quando Costantino fu obbligato ad arrendersi. L'usurpatore sconfitto, però, non giunse vivo alla corte di Onorio.[116]
Le armate unne di Attila volsero la loro attenzione all'Impero romano d'Oriente, compiendo razzie lungo il Danubio, fino ad occupare le importanti fortezze romane di Ratiaria e Naissus (oggi Niš), utilizzando i barbari stessi macchine d'assedio come arieti e alte torri. Si racconta che quando Attila attaccò e devastò Naissus, le rive del fiume della città si coprirono di un numero impressionante di cadaveri.[117]
Ancora i barbari riuscirono a porre sotto assedio e poi saccheggiare la città di Roma. Si trattava dei Vandali di Genserico, allora in guerra con l'ImperatorePetronio Massimo. Si racconta che Genserico salpò con la sua potente flotta da Cartagine, risalì il Tevere, riuscendo poi a saccheggiarla. All'arrivo dei VandaliPapa Leone I implorò il re barbaro di non distruggere la città antica o di uccidere i suoi abitanti. Genserico acconsentì. Entrò dalla Porta Portuense e razziò una grande quantità di oro, argento e molti altri valori con un impeto maggiore di quello dei visigoti di Alarico di quarantacinque anni prima.[118]
^Si tratta forse dell'oppidum di Namur, oppure dell'altura di Falhize-sur-Meuse, davanti a Huy, ma sono state proposte dagli studiosi anche altre località.
^La vallata dello scontro tra gli Eburoni ed i Romani guidati da Cotta e Sabino è identificabile con la valle del fiume Geer, 24 km sud-ovest di Tongeren, come sostiene L.A.Constans (in Guide Illustré des Campagnes de César en Gaule, Classical Journal, Vol. 25, No.9, Jun., 1930, p.57).
^Lawrence Keppie (The making of the roman army, from Republic to Empire, Oklahoma 1998, p.97 e seg.) sostiene che la legione andata perduta, anche se subito dopo riformata era la legio XIIII.
^Cesare, De bello Gallico, V, 28-37. Il fatto ricorda ciò che successe sessant'anni più tardi in Germania nella foresta di Teutoburgo, quando tre intere legioni ed il suo comandante, Publio Quintilio Varo, furono trucidate barbaramente dai Germani guidati da Arminio.
^Supplementum Epigraphicum Graecum 7, Berlin 1934, 743b (da Dura Europos): Il tredicesimo giorno del mese di Xandikus dell'anno 550 [20 aprile del 239] i Persiani scesero verso di noi.
^F.Millar, The Roman near East (31 BC - AD 337), Cambridge Massachusetts & London 1993, p.150.
^X.Loriot, Les premières années de la grande crise du III siècle: de l'avènement de Maximin Thrace (235) à la mort de Gordian III (244), Aufstieg Niedergang Römischen Welt, II.2 (1975), p.657.
^abPat Southern, The Roman Empire: from Severus to Constantine, p. 70.
^Giorgio Sincello, Selezione di cronografia , p.715-716 (dal Corpus Scriptorum Historiae Byzantine); Girolamo, Cronaca, anni 258-260; Res gestae divi Saporis, riga 25-34 da The American journal of Semitic languages and literatures, University of Chicago, 1940, vol. 57-58, p. 379.
Giuseppe Cascarino, L'esercito romano. Armamento e organizzazione, Vol. II - Da Augusto ai Severi, Rimini, Il Cerchio, 2008, ISBN88-8474-173-4.
Giuseppe Cascarino, Carlo Sansilvestri, L'esercito romano. Armamento e organizzazione, Vol. III - Dal III secolo alla fine dell'Impero d'Occidente, Rimini, Il Cerchio, 2009, ISBN88-8474-215-3.
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