Dopo essere salito al trono, Sapore II iniziò una campagna contro l'Impero romano che lo portò sconfiggere le truppe dell'imperatore Costanzo II, senza però ottenere grandi guadagni territoriali. La campagna dovette essere interrotta per far fronte alla minaccia posta dalle popolazioni nomadi: dopo aver sconfitto gli Arabi a sud, Sapore riuscì a soggiogare (353-358) le popolazioni nomadiche orientali, tra le quali c'erano gli Unni, garantendosi la loro alleanza nella successiva campagna a occidente contro i Romani, iniziata nel 359.
Sapore penetrò in territorio romano, ottenendo la resa di diverse piazzeforti del nemico, ma dovette fermare la sua avanzata davanti alla fortezza di Amida, difesa dalle truppe di Ursicino e intenzionata a resistergli.
Assedio
I Sasanidi iniziarono un assedio che durò settantatré giorni, che venne descritto dallo storico Ammiano Marcellino, presente all'evento come collaboratore di Ursicino. Ecco come ci descrive Ammiano Marcellino l'arrivo del "Re dei Re" Sapore II, sotto le mura di Amida:
«[...] Al primo risplendere dell'aurora, tutto ciò che si poteva vedere era uno scintillio di armi rilucenti, con la cavalleria rivestita di ferro, che occupava le pianure e le colline circostanti [la città di Amida]. Più alto degli altri, a cavallo, il Re in persona, superbo, precedeva tutti i reparti, portando come diadema l'immagine aurea di una testa di ariete, tempestata di gemme. Era scortato da alti dignitari e da soldati di tante nazioni. [...] Cavalcava davanti alle porte [della città], accompagnato dalla corte reale. E mentre si avvicinava troppo audacemente, tanto da essere riconoscibile in volto, fu fatto bersaglio di frecce e altri dardi a causa delle bellissime insegne. E sarebbe stato ucciso, se non fosse riuscito a fuggire, coperto dalla polvere che offuscava la vista ai tiratori [...].»
Gli attacchi portati con le macchine di assedio vennero ripetutamente respinti, con gravi danni per le macchine stesse. Si racconta che dopo i primi scontri dove perse la vita il figlio di Grumbate, re dei Chioniti, l'armata sasanide tornò all'attacco, disponendo le sue truppe tutte intorno alla città:
«Dopo aver concesso due giorni di riposto, numerosi soldati furono inviati a devastare i ricchi campi coltivati [intorno alla città di Amida] [...], poi la città fu cinta d'assedio con cinque differenti reparti/armate. All'alba del terzo giorno, splendenti reparti di cavalleria riempirono tutto lo spazio che la vista umana poteva abbracciare ed avanzarono lentamente le schiere, occupando le postazioni prestabilite. I Persiani assediavano l'intera cerchia delle mura. La parte orientale, nella quale era morto il giovane principe [figlio di Grumbate], fu affidata ai Chioniti; i Gelani furono assegnati al lato meridionale; gli Albani occupavano il lato settentrionale; i Segestani, i combattenti più valorosi, furono posti di fronte alla porta occidentale. Con questi ultimi avanzavano reparti di elefanti da guerra, con corpi rugosi e mole gigantesca, carichi di uomini armati, spettacolo più di tutti spaventoso. [...] Dal sorgere del sole fino al tramonto, le schiere rimasero immobili, come piantate per terra, senza muovere un passo o senza che si sentisse il rumore del nitrito dei cavalli. Ritiratisi poi nella stessa formazione in cui erano avanzati, si sfamarono con del cibo e riposo. E verso la fine della notte, guidati dal suono delle trombe, cinsero d'assedio di nuovo l'intera città, convinti che sarebbe caduta a breve. Appena Grumbate scagliò una lancia insanguinata, secondo l'uso del suo popolo e anche quello dei feziali romani, l'esercito con grande fracasso si avventò contro le mura. La battaglia ben presto divampò per il rapido avanzare degli squadroni di cavalleria, che si gettarono nella battaglia con tutto l'ardore necessario, e dall'altra parte per la determinata resistenza dei Romani. Quindi molti Sasanidi ebbero la testa fracassata e furono schiacciati da grossi massi scagliati dagli scorpioni. Altri furono trapassati da frecce, altri da giavellotti, ingombrando il terreno con i loro corpi; altri feriti tornarono indietro in fuga, verso i loro commilitoni. Non erano minori in città le perdite, poiché una densa nube di frecce che in gran numero oscuravano il cielo, e le macchine da guerra , di cui i Persiani si erano impadroniti durante l'assedio di Singara, provocavano numerose ferite.»
Dal canto loro, i difensori dovettero subire una pestilenza, che finì dopo dieci giorni grazie ad una leggera pioggia.[2] La città cadde a seguito di un attacco notturno, portato simultaneamente da Sapore e Grumbates con torri d'assedio e frecce incendiarie come ci descrive Ammiano:[3]
«I Persiani, intanto senza tregua circondano la città di vinee e graticci, iniziando ad innalzare terrapieni; fabbricano altissime torri con la parte esterna coperta dal ferro, sulla sommità delle quali fu posta una balista per respingere i difensori dai bastioni. E non smettevano mai i combattimenti tra frombolieri ed arcieri.»
Ursicino, che riuscì a fuggire al nemico, venne considerato responsabile della caduta della fortezza e destituito.[4]
Sapore continuò la sua avanzata, fino alla conquista di Singara e Bezabde (360). La guerra venne ripresa con la campagna sasanide dell'imperatore Giuliano (363), che però fu disastrosa, in quanto Giuliano morì e il suo successore, Gioviano, accettò di cedere ai Sasanidi i territori dal Tigri a Nisibis.