Ben presto Amedeo si scontrò con le rigide consegne imposte agli altri studenti: nessuno doveva rivolgersi per primo al principe e, se interpellato, doveva mettersi sull'attenti e rispondere esclusivamente: «Sì, Altezza reale» o «No, Altezza reale»; infastidito da tanta formalità, Amedeo permise ai propri compagni di dargli del tu e di omettere il titolo di Altezza reale[1].
Venne subito destinato alla prima linea, con il grado di caporale e servente d'artiglieria sul Carso, guadagnandosi sul campo prima il grado di tenente in s.p.e., per merito di guerra, e nel 1917 quello di capitano. Al termine del conflitto ottenne dai genitori il permesso di seguire lo zio Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi in Somalia, impegnato nell'esplorazione del fiume Uèbi Scebèli, allo scopo di stabilire una fattoria per la coltivazione di cotone, canna da zucchero e semi oleosi; insieme costruirono una ferrovia ed un villaggio, battezzato Villaggio Duca degli Abruzzi. Nel 1920 a Palermo conseguì la licenza liceale.
Nel 1921 Amedeo partì per il Congo Belga; il temporaneo allontanamento, secondo la cronaca scandalistica dell'epoca, derivò da una sua battuta sul re e sulla regina: durante un ricevimento a palazzo, all'apparire dei sovrani, si disse avesse detto: «Ecco Curtatone e Montanara»: Il riferimento alla battaglia risorgimentale era velatamente rivolto alla bassa statura di Vittorio Emanuele e alla nazione di provenienza della regina, il Montenegro. La battuta fu sentita e il giorno dopo il padre fu convocato dal re; ne scaturì l'allontanamento da corte. Amedeo si recò in Africa e si fece assumere sotto pseudonimo come operaio semplice in una fabbrica di sapone a Stanleyville (oggi Kisangani).
Nel 1923, rientrato in Italia, a Palermo riprese la carriera militare con il grado di maggiore e, successivamente, si laureò in giurisprudenza all'università di Palermo con una tesi in diritto coloniale, intitolata I concetti informatori dei rapporti giuridici fra gli stati moderni e le popolazioni indigene delle colonie, esaminando il problema coloniale sotto l'aspetto morale e sostenendo che l'imposizione della sovranità d'uno Stato straniero sugl'indigeni si giustifica moralmente solo col miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni colonizzate.
Intanto si parlava anche di proposte e intese per far diventare Amedeo re di qualche nazione europea: al termine della guerra civile spagnola, nel 1939, si era pensato di assegnargli il trono di Spagna, lasciato libero dai Borbone, ma la proposta decadde per l'opposizione di Francisco Franco[3].
In seguito ci furono incontri fra alti esponenti politici ungheresi ed italiani affinché Amedeo cingesse la corona d'Ungheria, rimasta vacante dopo la sconfitta degli Asburgo al termine della prima guerra mondiale (volendo mantenere la monarchia, dato che la corona rappresentava l'unità e l'indipendenza dello stato, al termine della prima guerra mondiale gli ungheresi trovarono una soluzione di compromesso, nominando un reggente nella persona dell'ammiraglio Miklós Horthy, in attesa della futura salita al trono di qualche re che non fosse un Asburgo, dinastia contro la quale le potenze vincitrici della guerra avevano posto il veto[3]. La morte di Amedeo nel 1942, però, fece sfumare il piano di mettere un Savoia sul trono di Budapest[4]).
Dopo la seconda guerra italo-abissina, il 21 dicembre 1937 Amedeo di Savoia si insediò come governatore generale dell'Africa Orientale Italiana e viceré d'Etiopia, rinnovando l'autorizzazione, fino al marzo del 1939, all'impiego dei gas nelle azioni repressive contro la resistenza etiope e le popolazioni civili[5]. In quegli anni contribuì alla realizzazione di rilevanti opere pubbliche[6].
Nel 1938, su ordine di Mussolini e sulla falsariga delle leggi razziali fasciste, Amedeo d'Aosta commissionò al colonnello degli alpini Giuseppe Adami (capo dell'Ufficio topografico dell'Impero) l'individuazione d'un territorio adatto a ospitare un numero iniziale di 1400 famiglie di religione ebraica. Tale valutazione preliminare si inseriva nell'ambito della progettata creazione d'una colonia ebraica in Etiopia, poi non concretatasi.
Amedeo s'asserragliò dal 17 aprile al 17 maggio 1941 sull'Amba Alagi con 7 000 uomini, una forza composta di carabinieri, avieri e marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d'assedio dalle forze del generale Alan Cunningham (39 000 uomini). I soldati italiani, inferiori sia per numero sia per mezzi, diedero prova di grande valore ma, stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni, acqua e legna, si dovettero arrendere ai britannici. Il giorno 14 maggio 1941 Amedeo ottenne da Mussolini l'autorizzazione alla resa e designò come negoziatore il generale Volpini, che però fu massacrato con la sua scorta dai ribelli etiopici che circondavano le linee italiane.
Poco prima della resa, Amedeo autorizzò gl'indigeni della sua truppa a tornare nei propri villaggi (e autorizzò i suoi ufficiali a fare lo stesso) ma, come risulta dai bollettini del 1941 del SIM, gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi, testimoniando il profondo legame che s'era instaurato fra lui, i suoi più giovani ufficiali e i loro àscari[1]. A mezzogiorno del 17 maggio le condizioni della resa vennero pattuite dai generali Trezzani e Cordero di Montezemolo per parte italiana, e dal colonnello Dudley Russel per parte britannica; i militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza da loro mostrata[8], resero gli onori delle armi ai superstiti, facendo conservare agli ufficiali la pistola d'ordinanza.
Lunedì 19 maggio 1941, all'ingresso della caverna-comando, comparve Amedeo d'Aosta, e da Forte Toselli il duca s'avviò scendendo con il generale inglese Maine alla sua sinistra, scortato da un sottufficiale sudafricano; su due colonne li seguivano i soldati del presidio, carichi d'armi leggere, zaini, valigie di cartone legate con lo spago, chitarre e fagotti; e Amedeo d'Aosta rese il saluto al picchetto d'onore e alla bandiera italiana che si ammainava[1].
Ferma restando la genealogia di Casa Savoia, il tema della successione a Umberto II come capo del casato è oggetto di controversia fra i sostenitori di Vittorio Emanuele e di Amedeo.
Il 7 luglio 2006, infatti, la Consulta dei Senatori del Regno ha emesso un comunicato] con il quale dichiara decaduto da ogni diritto dinastico Vittorio Emanuele e i suoi successori e indica come duca di Savoia e capo della casa il duca d'Aosta, Amedeo.
Amedeo, prigioniero di guerra numero 11590, venne trasferito in Kenia in aereo; durante il volo gli vennero ceduti per alcuni istanti i comandi, in modo da consentirgli di pilotare per l'ultima volta[1]. Arrivato in Kenia, venne tenuto prigioniero dagl'inglesi insieme al suo Ufficiale d'ordinanza (il tenente pilota Flavio Danieli) presso Dònyo Sàbouk, una località insalùbre e infestata dalla malaria situata a 70 chilometri da Nairobi. Nonostante Amedeo intercedesse presso le autorità inglesi affinché queste migliorassero le condizioni dei militari italiani e per il rimpatrio dei civili, il comando britannico non gli consentì di ricevere nessuno, né di visitare gli altri prigionieri.
Nel novembre 1941 Amedeo iniziò ad accusare alcuni malori: a dicembre una febbre alta lo costrinse a letto. Tre settimane dopo il comando britannico permise ad Amedeo di recarsi a visitare i prigionieri italiani (sarebbe stata l'ultima sua uscita), ma gli impedirono di salutarli personalmente: Amedeo ottenne solo che la sua vettura procedesse a passo d'uomo di fronte ai cancelli del campo di prigionia. Il 26 gennaio 1942 gli vennero diagnosticate malaria e tubercolosi[1]: tale responso medico, per le condizioni in cui il duca si trovava, significava morte certa.
Amedeo morì il 3 marzo 1942 nell'ospedale militare di Nairobi, dove fu da ultimo ricoverato; ; al suo funerale anche i generali britannici indossarono il lutto al braccio; per sua espressa volontà è sepolto al sacrario militare italiano di Nyeri, in Kenya, insieme con 676 suoi soldati. Poiché Amedeo aveva avuto solo figlie, nel titolo ducale gli succedette il fratello Aimone. Amedeo aveva fama di essere un gentiluomo: prima di lasciare la sua sede di Addis Abeba, scrisse una nota ai comandi britannici per ringraziarli in anticipo della futura protezione alle donne e ai bambini del luogo.
Discendenza
Dal matrimonio tra Amedeo di Savoia-Aosta ed Anna d'Orléans nacquero:
Margherita di Savoia-Aosta (Margherita Isabella Maria Vittoria Emanuela Elena Gennara, Napoli, 7 aprile 1930 - Basilea 10 gennaio 2022), coniugata dal 28 dicembre 1953 con Roberto d'Asburgo-Este; la coppia ha avuto tre figli e due figlie.
Maria Cristina di Savoia-Aosta (Trieste, 10 settembre 1933 - San Paolo del Brasile, 18 novembre 2023), coniugata dal 29 gennaio 1967 con Casimiro di Borbone-Due Sicilie; la coppia ha avuto due figli e due figlie.
Un altro monumento ad Amedeo si trova nel parco del castello di Miramare a Trieste, dove risiedette con la famiglia prima della partenza per l'Etiopia; questo castello è risultato funesto per chi vi ha abitato: Massimiliano d'Asburgo partì per cingere la corona imperiale del Messico e lì morì, mentre Amedeo partì per l'Impero d'Etiopia, di cui fu viceré, e morì in prigionia.
In questi anni molte vie e piazze sono state intitolate al viceré Amedeo: un suo busto di bronzo, dono della moglie Anna di Francia, si trova all'interno del castello di Miramare, e due stanze dello stesso sono a lui dedicate con interessante documentazione; Il portale internautico dell'Aeronautica Militare ha redatto una pagina, intitolata I grandi aviatori, dove vengono citate le maggiori personalità storiche dell'aviazione italiana, collocando tra di esse Amedeo di Savoia-Aosta.[10]
«Comandante superiore delle Forze Armate dell'Africa Orientale Italiana, durante undici mesi di asperrima lotta, isolato dalla Madre Patria, circondato da nemico soverchiante per mezzi e per forze, confermava la già sperimentata capacità di condottiero sagace ed eroico. Aviatore arditissimo, instancabile animatore delle proprie truppe le guidava ovunque, per terra, sul mare e nel cielo, in vittoriose offensive, in tenaci difese, impegnando rilevanti forze avversarie. Assediato nel ristretto ridotto dell'Amba Alagi, alla testa di una schiera di prodi, resisteva oltre i limiti delle umane possibilità, in un titanico sforzo che si imponeva all'ammirazione dello stesso nemico. Fedele continuatore delle tradizioni guerriere della stirpe sabauda e puro simbolo delle romane virtù dell'Italia imperiale e fascista. Africa Orientale Italiana, 10 giugno 1940-18 maggio 1941» — 1941[12]
«Prontamente intervenuto sul luogo dove un aereo si era abbattuto al suolo incendiandosi, appena intuito che il pilota era ancora tra i rottami, incurante del gravissimo pericolo derivante dallo scoppio del carburante, si lanciava incurante del pericolo per primo verso l'apparecchio avvolto da fiamme altissime, e benché ustionato dal fuoco, riusciva ad estrarre dalle lamiere il pilota che ancora dava segni di vita. Aeroporto di Gorizia» — 5 agosto 1936[13]
^Angelo Del Boca, La guerra d'Etiopia. L'ultima impresa del colonialismo. (Storia del ventennio fascista, 10). Longanesi & C., Milano, 2020, pp. 221-223.
^Non potrà essere dimenticato come, al fine di minare il morale delle truppe indigene italiane, queste fossero esplicitamente fatte oggetto di minacce verbali (ben presenti nei Bollettini del SIM del 1941, conservati nell'Archivio Centrale dello Stato a Roma) in cui si affermava che le loro famiglie sarebbero state massacrate in caso non avessero disertato, dopo aver sottoposto a stupro le loro donne.
^Si veda qui la didascalida della foto dei lavori di costruzione nel 1940.
^I grandi aviatori, su aeronautica.difesa.it. URL consultato il 31 maggio 2013.