Abbazia di Santa Maria del Sagittario
L'abbazia di Santa Maria del Sagittario fu un antico monastero cistercense italiano, costruito nel XII secolo nel territorio del comune di Chiaromonte, in provincia di Potenza. Ad oggi, sono visibili solo alcuni ruderi.
Storia
Durante il X secolo con la presenza Bizantina nei territori compresi tra il Latinianon (esteso tra il medio corso del Sinni e Lagonegro) e il Mercurion (a ovest del monte Pollino ai confini con la Calabria) si sviluppò un movimento monastico di origine greco. Pertanto la Basilicata monastica nel XII secolo appariva distinta in due aree: una latinizzata che si estende tra Melfi e Montescaglioso, l’altra greca, in cui il monachesimo latino non riuscì ad imporsi.
In questo particolare contesto, nel 1152, si fissa la fondazione del monastero benedettino, tramandata dall'abate Gregorio De Lauro[1] ampliando un'antica chiesetta edificata nel 1061 da Tancredi Murrino[2]. Una leggenda narra di due cacciatori che imbattutisi in una cerva in quei luoghi ove ora sorge il monastero, tentarono più volte di colpire l'animale con delle frecce (sagittae) non riuscirono però nel loro intento. Durante la loro battuta di caccia, nella zona in cui sorse poi il monastero, ritrovarono nel cavo di castagno, il simulacro ligneo della vergine Madre di Dio[1]. Verso la fine del XII secolo nella zona venne favorito uno stanziamento di ordine cistercense, spinti in quella zona non solo per disboscare, dissodare e coltivare le aree a densissima sylva e gli incolti o per rimuovere le ragioni sottese alla crisi del monachesimo latino, ma anche per decantare, la conflittualità con le fondazioni e le popolazioni greche, evitando abusi dottrinari e liturgici capaci di suscitare fermenti ereticali già avvertite in Calabria[3]. Il primo abate fu Palumbo che nell'anno 1200 giunse con dodici monaci dall'Abbazia di Casamari, insediando così nel monastero l'ordine cistercense[4]. Nel 1222 si attesta il secondo abate Guglielmo, confermando che il monastero fondato intorno al 1152 dai Benedettini, dopo essere stato danneggiato dal terremoto del 1184, fu incorporato nell’Ordine cistercense di Casamari soltanto nel 1200[4].
Il luogo dove l'abbazia venne edificata fu donato da Ugo I Chiaromonte e dalla figlia Alibreda Chiaromonte, durante il pontificato di papa Eugenio III. La famiglia Chiaromonte, che ha dato il nome al paese, giunse dalla Francia e secondo l'abate De Lauro discendeva da Carlo Magno con il capostipite Verlando che con un ramo parallelo si stabilì a Chiaramonte Gulfi in Sicilia. L'abbazia del Sagittario ha svolto nel corso dei secoli un ruolo autonomo e fondamentale in virtù dei poteri feudali e dei vasti domini di cui disponeva sovvenzionandosi grazie alle numerose piante fruttifere e erbe officinali che circondavano il territorio monastico[3]. L’espansione territoriale del monastero del Sagittario e il potenziamento della sua struttura economica coincisero con l’abbaziato dei monaci Palumbo (?-1222) e Guglielmo (1222-1246) come riporta la bolla papale del 18 settembre 1216 di Onorio III[5]. In particolare nel 1203 Rinaldo del Guasto, conte di San Marco, la moglie Agnese e il fratello Riccardo, figli di Ugo Chiaromonte, fecero costruire a favore del Sagittario la chiesa di Santa Maria di Buonavalle con le relative pertinenze mobili ed immobili[6]. Durante l’abbaziato di Palumbo, le proprietà fondiarie del Sagittario si estesero lungo il versante ionico soprattutto tra Policoro e Scanzano Jonico[7]. Questa cospicua estensione di terre nel 1221, venne confermata all’abate Palumbo da Federico II di Svevia[8] e incrementata dall’apporto di altre terre demaniali incolte e boscose situate presso il monastero[9].
Nell'intorno vi erano dei mulini che assicuravano alla mensa abbaziale la disponibilità dei cereali per il generale fabbisogno monastico, oltre che una buona rendita proveniente dal pagamento del diritto di macinato. Uno dei mulini di proprietà del Sagittario era ubicato in località Ventrile, il cui meccanismo a ruote orizzontali veniva attivato dall’acqua del Frida. L’altro, sorgeva sul confine orientale del tenimento della Grancia del Ventrile (attualmente si conservano alcuni ruderi), anch’esso con ruote orizzontali attivate dall’acqua del fiume Sinni.
Per favorire il popolamento delle terre monastiche, in prevalenza dominate dal bosco e dall’incolto, e per consentire una certa vita comunitaria nelle compagne, Federico II concesse agli abitanti numerose libertà e privilegi fiscali e con diploma del 24 aprile 1221, concesse altresì all’abate Palumbo poteri di giurisdizione civile da esercitarsi nell’ambito della propria terra[10], e il diritto di "castigare", "correggere" e "condannare"[11]. L’abate poteva così imporre e riscuotere tributi da tutti gli homines extranei che conducessero i loro greggi nei pascoli del monastero. Invece ai greggi del monastero era garantito il libero pascolo su tutte le terre del demanio regio con l’uso altrettanto libero delle acque e degli ovili senza il pagamento di gabelle[12]. La cospicua dotazione di beni, il conferimento di poteri giurisdizionali sulle terre del monastero, la protezione apostolica e quella imperiale configurarono, una struttura signorile in cui l’autorità dell’abate venne assimilata a quella di un feudatario laico con poteri pubblici legati al possesso della terra[13].
Il monastero del Sagittario sembrava dipendere direttamente dal papa, e non dalla diocesi di appartenenza, infatti proprio il papa aveva accordato all’abate del Sagittario l’uso della mitra, dell’anello e delle altre insegne episcopali[14]. Tra il 1269 ed il 1274, durante l’abbaziato del monaco Roberto, Leonardo ex monaco del Sagittario divenne vescovo di Anglona.
Nei primi anni del Trecento visse come eremita nei pressi del Sagittario, il beato Giovanni da Caramola di Tolosa, il quale alla soglia della vecchiaia chiese all'abate Ruggero di Senise l'abito monastico: egli lo accolse nell'abbazia e lo ascrisse nel novero dei conversi. Il beato Giovanni da Caramola morì al Sagittario il 26 agosto 1339. Le sue spoglie furono conservate nell'abbazia in un sarcofago ligneo che attualmente è situato nella chiesa di San Giovanni Battista a Chiaromonte. Proprio in quegli anni Margherita di Chiaromonte, moglie di Giacomo Sanseverino, restituì all’abate Guglielmo II terre e beni sottratti in precedenza da alcuni filii iniquitatis e lo esentò dal pagamento alla sede apostolica della tassa relativa al comune servizio propter paupertatem. Nei primi anni del XV secolo, l’abbazia del Sagittario, sotto gli auspici dei Sanseverino, aveva realizzato una solida struttura economica, tanto da consentire un potenziamento della mensa e la ripresa della tassa del comune servizio alla sede apostolica (1399-1444).
Nel 1807 cominciò a decadere nella struttura architettonica, difatti l'anno successivo, nel 1808, il sarcofago ligneo che custodisce le spoglie del beato Giovanni venne spostato nella chiesa madre San Giovanni Battista di Chiaromonte, mentre l'altare di stile barocco nella chiesa di San Tommaso, dove giace tuttora.
Le architetture
L'abbazia è dedicata alla vergine Maria, la statua lignea venerata risale al XIV secolo e raffigura la Madonna col Bambino ed è attualmente conservata nella pinacoteca provinciale di Bari[15].
Il centro dell’abbazia è l’unico chiostro quadrato, intorno al quale si distribuiscono tutti gli ambienti. Sul lato settentrionale, a sinistra, si impostava la chiesa ad aula unica con l’aggiunta di una cappella laterale dedicata al Beato Giovanni. Al livello del chiostro, allineata al transetto destro si incontra la sala capitolare, con accanto la scala che portava al piano superiore, interamente occupato dal dormitorio comune dei monaci. Nella pianta del 1707 vi era la presenza di un loggiato parallelo e adiacente alla sala del capitolo, da cui si poteva vedere il centro di Chiaromonte[16]. Attualmente sono visibili solo pochi ruderi, il campanile, la torre di fortificazione ottagonale, parte dell’ingresso in muratura, porzioni di quello che era il refettorio e parte del recinto fortificato lungo il lato est del complesso. Il campanile, discretamente conservato, è localizzato nell’angolo a Nord-Ovest della chiesa. I paramenti murari sono costruiti con blocchi spaccati, mattoni cotti e rinzeppature in laterizio, sono ancora evidenti le due cornici marcapiano costruite con materiale lapideo modonato[16]. Elementi rifiniti sono anche gli archi delle aperture ancora presenti, i quali sono costituiti anch’essi da blocchi di arenaria lavorati e modanati. Lo spessore murario della torre campanaria raggiunge circa un metro, con un’altezza complessiva stimabile in circa 13 metri. Tutti e tre i lati presentano incassi per travi e numerose buche pontaie[16]. La torre ottagonale, in discreto stato di conservazione, è posizionata nell’angolo Sud-Est dell’abbazia e conserva interamente la copertura con volta ribassata e costruita esclusivamente con lastre di arenaria. Tecnica costruttiva e materiali impiegati risultano gli stessi del campanile, come anche gli spessori murari[16].
Di seguito, tratto dal codice, apprendiamo la struttura e la forma del monastero:
«Il sacro tempio della Vergine non supera, in lunghezza, i 75 palmi, in larghezza i 30 ed in altezza i 32. Vi è contigua la chiesetta dedicata a San Giovanni da Caramola che misura 64 palmi di lunghezza, 22 di larghezza e 26 di altezza. In questa chiesa, dall’altra parte dell’altare in una custodia di cristallo, ben custodita e adorna con gusto sia all’interno che all’esterno, si ammira il corpo incorrotto dello stesso beatissimo personaggio di straordinaria soavità e di profumo fragrante; ed insieme è la testa del martire Sant'Apollonio, un braccio di San Cornelio, il ginocchio di San Zenone martire, le ossa di San Vitale e di San Vincenzo ed anche un ufficio scritto su pergamena della Beata Vergine Maria col quale lo stesso beatissimo Giovani da Caramola era solito rendere omaggio alla Deipara, un pugnale con cui scavava erbe per procurarsi il cibo e si fabbricava canestri quando conduceva vita eremitica, e un anello del laccio delle scarpe; vi è anche un altro altare dedicato a Sant'Antonio da Padova. Nell'angusto tempio della Vergine, oltre l’altare maggiore dov’è la grande icona dell’Assunzione della Deipara, che dipinse il pittore fiorentino Giovan Battista Fusco, nel 1555, ornato da quattro colonne e da altri elementi architettonici, alla base di una colonna posta all’estremità dell’altare c’è la lapide che ricorda la data di fondazione del monastero del Sagittario, del seguente tenore: "questo monastero venne fondato nell'anno 1202". Il sacello è elegantemente scolpito, colorato ed ornato d’oro; in esso si trova, restaurata, la sacrosanta immagine della Vergine Maria rinvenuta dal cacciatore sagittariense. La storia di questo rinvenimento, prima che fosse eretto il sacello, venne affrescata con vari colori sulla parete a destra del celebrante. Le sue mura superano in altezza 32 palmi ed in lunghezza 171, mentre il chiostro è alto 30 palmi e lungo 66. In esso vi sono quattro corridoi: il più grande è fatto di travertino e guarda la porta che è a settentrione; alla destra di chi entra c’è la bottega del falegname. Alla fine di questo primo corridoio vi è la porta grande che trattiene la moltitudine dei laici, quindi il forno, la dispensa del pane, la cucina dov’è una fonte da cui zampilla acqua limpida e fresca e poi si entra nel refettorio attraverso una porta più piccola; questa è fatta in maniera tale da guardare, in linea retta il grande ingresso del monastero. Nell'altro corridoio del chiostro, alla destra di chi entra, c’è la porta più grande del refettorio sulla cui volta è raffigurato l’albero di San Benedetto, opera non completa del pittore Fabio Nucio; accanto c’è una grande dispensa, con due porte, di cui la più piccola comunica col refettorio. Nell’altro corridoio c'è la piccola porta del carcere dove scontano le pene quelli che hanno commesso dei reati; poi la scala cha porta al dormitorio; seguono i magazzini dove sono custoditi frumento, orzo e lardo per condire i cibi; poi segue il capitolo delle colpe e quindi il locale per la lavorazione del latte. Ai limiti di questo corridoio, sempre sulla destra, v’è la porticina per la quale si accede al sacro tempio. Ad est s’incontra un altro corridoio del chiostro e per chi entra, ancora sulla destra, c’è il deposito dell’olio e, dopo questo, c’è un locale in cui si ammassa l’orzo che quotidianamente viene dato agli animali; e l’officina dove il fabbro ferraio custodisce gli arnesi necessari al suo mestiere che però svolge in un altro locale situato fuori dal monastero per non turbare i Padri raccolti in preghiera e in contemplazione. Lungo la scala che porta ai dormitori ci sono sette stanzette da letto e, oltre la dispensa, di nuovo il refettorio. In queste parti abitano l’abate e quattro monaci; quindi c’è un altro brevissimo corridoio che porta alla fonte d’acqua perenne, a destra sono ricavate cinque celle a mo’ di barriera, rivolte a settentrione, non abitate dai Padri né utilizzate come depositi. Alla destra di chi entra vi sono altri due dormitori contenenti ciascuno cinque stanze: uno guarda il chiostro ad occidente e l’altro ad oriente; il primo destinato ai conversi e agli oblati, il secondo al maestro dei novizi e ai recenti professi. Dispongono di uno spazio lungo 83 palmi e largo 10, dove il maestro esercita ed istruisce novizi e professi; di qua osservano bene, come da un posto di vedetta, la Valle del Sinni per ventimila passi e, ancor più in lontananza, i centri di Chiaromonte e di Colobraro. Accanto a questo spazio ve n’è un altro più piccolo, lungo e largo 10 palmi, dove d’estate convengono i Padri. Alla fine del corridoio di questi dormitori, c’è la porticina attraverso cui i Sagittariensi scendono al piano della chiesa, davanti all’altare maggiore, mediante sedici gradini. In seguito un terzo corridoio avente sulla destra un’altra porticina attraverso cui l’organista scende in chiesa per raggiungere l’organo situato a destra, all’estremità del coro; alla sinistra quattro camere da letto per gli oblati. Oltre il soffitto del sacro tempio e dei citati dormitori degli oblati s’innalza una sacra torre quadrangolare, avente cacumen peractum rodis quatuor concordantibus ornata. Infine il quarto corridoio che anch'esso dà verso il chiostro: alla destra ha due grandi stanze da letto per ospiti e pellegrini, una delle quali ha due finestre a settentrione e a occidente; ed un magazzino grande per preservare dall’umidità il grano ed uno piccolo per gli altri prodotti dei campi, con finestre che guardano ad occidente. La libreria e l’armadio delle scritture vengono conservati in un locale fuori dalle tre stanze da letto dell’abate claustrale e così le armi che servono a proteggere la sostanza del monastero dai malintenzionati. Attraverso una porticina della cucina si accede in un gran cortile, detto vaglium, in cui vengono allevati porci e galline. L’edificio è poco lontano dal monastero, esso misura 129 palmi in lunghezza, 27 in larghezza e 30 in altezza. Nella parte inferiore è stata ricavata una grande stalla per i cavalli, i muli e gli asini. Nella parte superiore, dell’edificio, vi è una grande sala destinata ad accogliere gli ospiti autorevoli, e due stanze da letto di qua e due di là; a settentrione, vi è una fonte d’acqua perenne della stessa qualità di quella della cucina. Nei pressi è ubicato il mulino. Nelle terre di Bollita, Chiaromonte, Episcopia, Castelluccio Inferiore e Superiore, Laino e Rotondella il Sagittario possiede delle grancie per le quali l’abate e altri beni.»
Erbario del Sagittario
Di seguito elecate le erbe officinali appartenenti alla flora del Sagittario[17]:
Note
- ^ a b L.Giustiniani, p. 7.
- ^ A Sagittario venatore eius est denominatio derivata. Hic (ut fama per manus ducta transmisit ad posteros) Sagittarium theca succinctus et gravi ballista instructus, dum per saltus, lustraque sylvae istius feras persequerentur et teso arcu sagittam usque terbio in cervam emisisset, semperque ad eum fuisset sagitta riversa tangens et non offendens: ad castaneae arboris concavum advertens, quorsum cerva venusto et faceto pede gradum faciebat, intemeratae et sempre gloriosae Virgins, sinistra Filium Dei Uniganitus gestantis, ligneum simulacrum praspexit; Deiparam Virginem devotissime salutavit; et salutari, tamqua praeco, clero et universo populo revelavit; nec dum vixit Mariae Virgini, quo intus et foris urebat amore, inserire desiit, heud sacri simulacri inventionem narrare cessavit. Clerus et populos in longissimam producti seriem, devozione ineffabili inde Clarummontem asportare curavere et in eo Phano reponere, unde discesserat, peccatis populi absentiam eius et indignationem exigentibus: at frustra, nam seguenti mane in castaneae concavo reperiere simulacrum sacrosanctum. Quando et a quibus sacra domus edificata non constat. Ante autem annum millesimum sexagesimum primum institutam convincit privilegium Honorii pape tertii sub datum Laterani per manus Guillelmi Sanctae Romanae Ecclesiae notarii quarto kalendas octobris, indictione quarta, Incarnationis Dominicae anno millesimo ducentesimo decimo sexto, pontificatus vero Domini Honorii Papae tertii, anno primo. In quo versus principium, haec continentur: Ea propter dilecti in Cristo filii (loquitur ad abbatem et fratres Beatae Mariae de Sagittario) iustis petitionibus annuentes, Beatae Mariae de Sagittario monasterium, quod nobilis vir Tancredus Murrinus iure proprietatis Romanae Ecclesiae obtulit, ad Ezemplar praedecessorum nostrum Apostolicae memoriae Alexandri secondi, Gregorii septimi, Urbani secondi et Callisti secondi speciali Apostolicae sedis authoritate protegimus et libertatis privilegio communimus et reliquia”. “Verum ne lector meus modernum Sagittari monasterium cui terius Honoris praecitatum privilegium concessit, cum altero a nobili Tancredo Romanae Ecclesiae oblatum, confundat, scire debet. Quod nobilis iste vir et divitiis praepotens Deiparae Virgini studiosissimus, videns, quod hyberno tempore, nive praesertim incruente, ad sacram domum accessus impediebatur; immensis sumptibus ad ermi radices, inter Signi et Fridi amnes, a moderno Sagittario ad tertium lapidem dissitum, monasterium extruxit et Benedectini Ordinis Patribus excolendum dedit. (Barb. Lat. 3274, ff. 2r-2v).
- ^ a b B.A.V., Codice Barberino Latino 3274 (d’ora innanzi: Barb. Lat. 3274), f. 2r. Nella densissima sylva che circondava il monastero crescevano insieme abietibus, castaneis, quercubus, illicibus, nucibus, avellanis, pyris, pomis, allisque fructiferis; nec salutiferis herbis ac hypericone, quam vulgus perforatam, sive Divi Ioannis herbam vocitat, testicolo vulpis, saxzofragia, angelica, lupatoria, valeriana, peucedamo, lunaria, … ecc.
- ^ a b Anno 1200. Miraculosae fondata est condita haec Abbatia Sanctae Mariae de Sagittario Ordinis Cisterciensis in Diocesis Anglonensis, in Provincia Basilicatae iuxta oppidum Claromontis G. De Lauro, Cap. V
- ^ Barb. Lat. 3274, f. 18v.
- ^ Barb. Lat. 3274, f. 15 v.
- ^ Barb. Lat. 3274, f. 15 v. ab oriente ubi est via publica, quae venit a molendino Curiae et vadit per caput terrae Hospitalis et vertit ad viam publicam, quae venit a Pantano et vadit per ipsam viam et per caput terrae Sancti Basilii usque ad vallonem Sancti Gregorii et vadit per Gigonem Gigonem usque ad terram, quam tenebat Constantius Camerarius et vadit per Gigonem usque ad Petram Latam. A meridie est aquarium molendinorum Curiae et Pantanum. Et a septentrione est praedictus vallus Sancti Gregorii
- ^ Barb. Lat. 3274, f. 15 v. cum iuribus, honoribus et pertinentiis suis
- ^ Barb. Lat. 3274, f. 15 v. liberae et quitae
- ^ Pro excellentia et libertate dicte ecclesie volumus et (…) concedimus et espresse mandamus dictum abbatem et qui pro tempore fuerit nullum alium superiorem habere in omnibus causis tam civilibus quam criminalibus J.L.A. Huillard-Bréholles, pag. 176
- ^ Nolumus enim ut de ullo banno teneatur fratres, oblati, domestici et homines et ceteri vasalli et subditi ac servientes predicto monasterio ubicumque commorati fuerint, nisi imperio et excellentie dignitatis nostre, nec ab aliquo domino quacumque auctoritate prefulgeat molestentur aliqua rottone vel causa, castigentur, corrigantur, astringantur aut condemnentur tam civiliter quam criminaliter nisi a prefato domino abbate J.L.A. Huillard-Bréholles, pag. 176
- ^ Et animalia dicti monasterii que fuerint in custodiam ejus necton animalia hominum et pastorum et servientium ipsius monasterii per totum tenimentum Ordeoli, Roseti et per totum demanium nostrum et ubicumque fuerint libere inde pascant, commorentur, capiant et habeant quecumque necessaria, aquas sive glandagia et herbagia, caulas J.L.A. Huillard-Bréholles, pag. 176
- ^ J.L.A. Huillard-Bréholles, pp. 174-175.
- ^ Usumque mitrae et anuli, caeterorumque episcopalium insignum abbati indulsit (Barb. Lat. 3247, f. 16 v.).
- ^ Abbazia di Santa Maria del Sagittario - cenni storici [collegamento interrotto], su consiglio.basilicata.it. URL consultato il 9 maggio 2009.
- ^ a b c d Barb. Lat. 3247, ff. 9r, 10r, 10v.
- ^ Il Monastero del Sagittario Vita severa del Beato Giovanni nel Monastero. Capitolo V, su lucania1.altervista.org. URL consultato il 29 novembre 2017 (archiviato il 1º dicembre 2017).
Bibliografia
Fonti primarie
- Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice vaticano barberiniano latino 3247, F. 40V-6V
- Il codice, conservato presso la biblioteca apostolica vaticana con la segnatura Barb. Lat. 3247, è un manoscritto cartaceo composto di cc. 1+68+1 suddivise in 17 binomi. È opera di un'unica mano, l’inchiostro è databile alla prima metà del XVII secolo (alla carta 68 si legge la data 12 iulij anno 1633). Il testo si interrompe improvvisamente al foglio 68v con la parola abbates e, cronologicamente, in corrispondenza dell’abbaziato del De Lauro. In base agli argomenti trattati, il codice può essere diviso in tre parti: la prima, riguardante la storia del monastero dalle origini fino ai suoi tempi; la seconda, la cronotassi degli abati (dal 1200 al 1606 e cioè da Palumbo a Hieronimo Bragallito); la terza, l’elenco dei priori claustrali con carica triennale e dei priori con carica quadriennale a partire da Silvestro da Grizzo (?/1573) fino a Teodosio Caymo (1623/1627).
Fonti secondarie
- Catalogo degli abati del monastero del Sagittario dell'abate Gregorio De Lauro, traduzione di Carlo Caterini, Moliterno, ed. Porfidio, 2014.
- Il Beato Giovanni da Caramola nella narrazione di un anonimo trecentesco e dell'abate Gregorio De Lauro, traduzione di Luigi Branco, Lagonegro, Grafiche Zaccara, 2003.
- Balduino Gustavo Bedini, Abbazie Cistercensi d'Italia, Tipografia di Casamari, 1964.
- Giovanni Lunardi, Hubert Houben, Giovanni Spinelli (a cura di), Monasticon Italiae III: Puglia e Basilicata, prefazione di Cosimo Damiano Fonseca, Cesena, 1986.
- Gregorio De Lauro, Vita Beati Joannis a Caramola tolosani conversi Sagittariensis monasterii collecta, Napoli, 1660.
- A. Giganti, Le pergamene del monastero di San Nicola in Valle di Chiaromonte (1359-1439), Potenza, Deputazione di Storia Patria per la Lucania, 1978.
- Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, IV, Napoli, 1802.
- Jean Louis Alphonse Huillard-Bréholles, Historia Diplomatica, II, 1857.
- Giuseppe Russo, Il monastero cistercense di Santa Maria del Sagittario di Chiaromonte dalla fondazione alla commenda e le sue più antiche pergamene (1320-1472), in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», LXXXIII, 2017, pp. 39-148+tavv. I-IX.
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