Lama dei Peligni è un comune italiano di 1 057 abitanti[1] della provincia di Chieti in Abruzzo. Fa anche parte della Comunità montana Aventino-Medio Sangro e il territorio comunale è compreso nel Parco nazionale della Maiella. Il paese, noto ai naturalisti come il paese dei camosci, si trova in un'area florofaunistica di particolare interesse.
Situato a 669 metri di altitudine, il paese è situato tra il fiume Aventino e le falde meridionali del massiccio della Maiella. Per collegare le due sponde del fiume si sono costruiti vari ponti, che sono crollati tranne uno, che viene chiamato Ponte di ferro, costruito con i pezzi di legno che venivano usati nella costruzione delle rotaie. Vario si presenta l'ambiente di Lama dei Peligni: si va dalla zona a minor altitudine in cui prevalgono vasti querceti passando per le ripide balze rocciose abitate tra l'altro da scoiattoli, caprioli e cinghiali, sino ai territori pianeggianti posti in alta quota in cui vegetano ad esempio le stelle alpine appenniniche.
Il toponimo è di derivazione pre-latina, provenendo dalla parola lama che letteralmente significava lamatura, cioè terreno dove l'acqua ristagna[4]; successiva è da ritenersi l'aggiunta riferita al popolo italico, i Peligni appunto, che si sarebbe spinto sino al territorio del fiume Aventino[5][6], anche se quest'ultimo dato è controverso e si può sostenere che i Peligni non abbiano abitato realmente questi territori, essendo originari invece della valle di Sulmona.[7]
Il territorio fu abitato sin dall'epoca preistorica, come testimoniato ampiamente da una serie di pitture rupestri rinvenute nelle grotte della zona e dai resti di un villaggio di epoca neolitica. In Contrada Fonterossi, proprio nelle vicinanze del sito neolitico, fu rinvenuto, agli inizi del XX secolo, il cosiddetto "Uomo della Maiella", resto umano di una sepoltura preistorica risalente al 7000-5000 a.C.
In età romana, la zona fu abitata dalla tribù italica dei Carecini, di derivazione sannita, distribuita nei centri abitati principali di Cluviae e Juvanum. Il periodo del Medioevo si caratterizzò per la presenza di eremi, presso cui dimorarono asceti e santi; tra i tanti va menzionato il Beato Roberto da Salle, discepolo di Celestino V, alloggiato presso il locale Eremo di Sant'Angelo. Lo sviluppo del paese nel campo della produzione della lana si ebbe a partire dall'epoca rinascimentale.[6]
Il paese fu completamente distrutto da violenti terremoti e nella Seconda guerra mondiale; entrato a far parte della Brigata Maiella, il paese fu liberato dai tedeschi il 31 gennaio 1944. Nei pressi è sita la Grotta del Cavallone, grotta in cui Gabriele D'Annunzio ambientò La figlia di Iorio[8], e grotta naturale visitabile più alta d'Europa, a 1475 s.l.m.[9]
Lo stemma comunale e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 25 giugno 1981.[10]
«Di nero, al monte di tre cime alla tedesca d'argento, cimato da una lama d'oro. Ornamenti esteriori da Comune.»
Il gonfalone è un drappo di bianco.
Nella navata destra compaiono, nell'ordine, una nicchia con S. Sebastiano, un primo altare moderno con un'effigie della Divina Misericordia (allestito recentemente), che ospita il fonte battesimale, quest'ultimo coperto da un cassone in legno tardo-gotico risalente all'Ottocento. Successivamente vi è un altare con la Madonna Addolorata e il Cristo morto, poi un altare con S. Antonio da Padova e infine un ultimo con la raffigurazione del Sacro Cuore di Gesù. Nella navata di sinistra compaiono, nell'ordine, un primo altare con la Madonna del Rosario, poi un altare con un quadro della Madonna delle Grazie. Successivamente un altare con S. Cesidio, seguito da quello in onore di S. Giuseppe. Per finire vi è una nicchia con S. Gabriele dell'Addolorata. In fondo alla chiesa, sul portone di ingresso, è posto un soppalco sostenuto da quattro colonne, che ospita un organo a canne realizzato nel XVII secolo. In fondo a sinistra della navata centrale è situato un pulpito in legno, con rappresentazioni della vita di Gesù. L'altare maggiore è posto in fondo alla navata centrale, posto al centro del presbiterio ed è illuminato dalla luce della cupola. Dietro l'altare è posta l'urna del Santo Bambino, con al di sotto il tabernacolo.[11]
Presso il palazzo Verlengia in piazza Umberto I si trova la biblioteca comunale, dedicata al filologo e abruzzesista Francesco Verlengia, direttore anche della biblioteca provinciale di Chieti. La biblioteca contiene molti suoi manoscritti originali.
Il paese è confinante con il paese di Taranta Peligna che fu scelto da Gabriele D'Annunzio, assieme alla Grotta del Cavallone,(incidente nella Valle di Taranta) come scenario della sua tragedia La figlia di Iorio.
Il paese nella storia è abitato da pastori, tra i quali vi è la famiglia di Lazaro, proveniente da Roio del Sangro,che abita in una casa al di là del fiume Aventino, che sta per festeggiare il matrimonio del giovane Aligi, figlio del capofamiglia, con una popolana locale. Tuttavia Aligi rifiuta la sua amata, perché s'innamora della contadina Mila, che salva da un linciaggio di pastori, perché creduta una strega che porti male. Nell'opera d'Annunzio evidenzia molto l'aspetto del paese,della località "Acqua Viva",del Campanile di San Biagio e dei suoi abitanti, che fondano le loro certezze nelle credenze religiose del cristianesimo e del paganesimo, e che non esitano a considerare l'estraneo come un essere maligno che voglia portare la sventura nel paese.
Abitanti censiti[22]
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