Verso la metà del settembre 1911, quando si era appena messo in luce dirigendo il partito vincente nelle grandi manovre estive, fu prescelto a comandare il Corpo d'armata speciale incaricato di occupare la Tripolitania e la Cirenaica (il conferimento ufficiale dei pieni poteri militari e civili porta la data dell'8 ottobre). Data la repentinità con cui il governo Giolitti aveva deciso di ricorrere alle armi, i piani e le predisposizioni relative dovettero essere improvvisati da lui e dal generale Alberto Pollio, Capo di stato maggiore del Regio Esercito, in pieno accordo, del resto, con le autorità governative e gli ambienti che avevano appoggiato l'espansione italiana in Africa settentrionale. Si deve quindi attribuire a lui solo una responsabilità minore nella sottovalutazione delle difficoltà dell'impresa.
Poiché infatti si calcolava che le truppe turche in Tripolitania e Cirenaica (meno di 5.000 uomini) non avrebbero avuto l'appoggio delle popolazioni arabe, fu ritenuta sufficiente per il corpo di spedizione italiano una forza totale di 34.500 uomini, 6.300 quadrupedi e 72 pezzi d'artiglieria. Con queste truppe furono occupati tra il 4 e il 21 ott. 1911 i centri di Tobruk, Tripoli, Derna, Bengasi, Homs; ma i violenti combattimenti di Sciara Sciat e Bu Meliana (oasi di Tripoli, 23 e 26 ottobre) dimostrarono che i turchi avevano dietro a sé tutta la popolazione ed erano quindi in grado di impedire ogni progresso italiano nell'interno e addirittura di esercitare una seria minaccia per i presidi delle città occupate. Essa appare in alcune fotografie scattate dal corrispondente di guerra francese Gaston Chérau, che cita anche il comportamento nelle lettere scambiate con la moglie[1].
La strategia italiana fu perciò sottoposta a revisione, sulla linea di una sua relazione al Ministro della guerra del 6 novembre. Prima della fine dell'anno vennero sbarcati in Tripolitania e Cirenaica altri 67.000 uomini, 8.300 quadrupedi e 154 pezzi d'artiglieria, con i quali fu consolidata l'occupazione italiana dei centri costieri e iniziati grossi lavori di fortificazione. La proclamazione della legge marziale, da lui fortemente voluta, in tutta la regione (23 ottobre) segnò inoltre l'inizio di una politica più dura verso la popolazione. Attraverso perquisizioni, processi ed esecuzioni sommarie, distruzioni di case e di coltivazioni e il blocco economico tra le oasi costiere e l'interno, i comandi italiani miravano a stroncare la resistenza araba dando la misura della loro potenza e decisione.
Questa linea d'azione metteva le truppe italiane al sicuro da rovesci parziali (e infatti tutti gli attacchi turco-arabi alle fortificazioni italiane nel corso dell'inverno vennero respinti con successo), ma allontanava nel tempo l'estensione del dominio italiano a tutto il territorio libico. Ne derivava un grave ostacolo all'azione diplomatica per il riconoscimento internazionale della sovranità italiana sulla Tripolitania e la Cirenaica, proclamata unilateralmente il 5 novembre 1911. Giolitti e il Ministro degli esteriMarchese di San Giuliano richiesero quindi a più riprese e con energia una più dinamica condotta della guerra, ma lui, sempre più convinto delle difficoltà della situazione, fu sostenuto da Pollio e dal Ministro della guerra Spingardi, decisi a evitare ogni rischio di insuccesso anche parziale che riaprisse le ferite di Adua. Anche le proteste della stampa nazionalista, che accusava lo accusavano di inerzia, contribuirono a scuoterne la posizione.
L'espansione del dominio italiano in terra libica fu quindi proseguita con cautela, più che altro con l'ampliamento dei campi trincerati attorno ai centri costieri. Nel corso dell'inverno fu esteso il controllo italiano a tutta l'oasi di Tripoli. Poi la primavera del 1912 vide lo sviluppo di offensive a medio raggio: nell'aprile ebbero inizio le operazioni nella zona di Zuara (occupata in agosto) e del confine tunisino, in giugno fu attaccata Zanzur, tra giugno e luglio conquistata Misurata. Alla fine d'agosto le truppe italiane avevano esteso il proprio dominio a tutta la fascia costiera della Tripolitania; assai minori i progressi in Cirenaica, sempre limitati ai dintorni dei centri occupati. Tutto l'interno restava saldamente nelle mani degli arabo-turchi, tanto che il governo italiano fu costretto a cercare una soluzione del conflitto colpendo la Turchia nell'Egeo.
A fine agosto egli fu richiamato a Roma e il 2 settembre 1912 esonerato dal comando, che fu ripartito tra il generale Ottavio Ragni, per la Tripolitania, e il generale Briccola, per la Cirenaica. Con questo provvedimento il governo voleva dare l'impressione che la situazione si andasse normalizzando, tanto da non richiedere più un comando unico (e infatti erano a buon punto le trattative diplomatiche col governo turco). Per evitare che il suo esonero assumesse un significato punitivo, egli fu promosso generale d'esercito (19 settembre 1912), il più alto grado della gerarchia militare conferibile solo a chi avesse comandato un'armata in battaglia. Un anno e mezzo più tardi, nel maggio 1914, lasciò il servizio attivo per raggiunti limiti di età.
Durante la prima guerra mondiale non fu richiamato in servizio, a causa dell'età ormai avanzata e del grado superiore a quello di Cadorna. Furono proprio il suo alto grado e l'estraneità al conflitto in corso a farlo designare come presidente della Commissione nominata dal presidente del Consiglio Orlando il 12 gennaio 1918 per indagare sulle cause e le responsabilità del disastro di Caporetto. La Commissione d'inchiesta sul ripiegamento dall'Isonzo al Piave era composta, oltre che da lui, da sei membri: il generale Ragni, il viceammiraglioCanevaro, l'avvocato generale militare Tommasi, il senatore Bensa e gli onorevoli Raimondo e Stoppato. I poteri della commissione erano ampi e il suo lavoro fu minuto e scrupoloso, anche se non immune da critiche. Sembra infatti ormai accertato (sulla base della testimonianza del senatore Paratore, allora assai legato al presidente del Consiglio) che fu un intervento di Orlando (sollecitato a sua volta da Diaz) a indurre la commissione a sorvolare sulle responsabilità di Badoglio, per evitare una crisi del Comando Supremo nel momento di maggiore pericolo. Ad un invito del genere non poteva certo sottrarsi il Caneva, sempre compenetrato di profondo rispetto per l'autorità.
La relazione della commissione d'inchiesta, consegnata al presidente del Consiglio Nitti il 24 luglio 1919 e subito resa nota nella sua parte essenziale, fu oggetto di immediate violente polemiche e poi progressivamente sepolta sotto un silenzio disdegnoso perché aveva mosso documentate accuse ai comandi italiani. Effettivamente la relazione rigettava la responsabilità del crollo del fronte italiano sulle autorità militari e particolarmente su Cadorna e Capello, che avevano chiesto alle truppe già logore sforzi sanguinosissimi e sempre nuovi, portandole sull'orlo del collasso. Di questo malgoverno dei soldati erano fornite prove numerose ed efficaci, che diedero esca alle critiche socialiste e giolittiane al momento della pubblicazione della relazione. Le destre rimproverarono alla commissione di aver insistito solo su questo aspetto della sconfitta, lasciando in ombra sia i combattimenti (in modo da non dover chiamare in causa Badoglio) sia soprattutto le responsabilità del governo e delle sinistre. Questi rimproveri non sono privi di fondamento. Va però considerato che Cadorna e la propaganda d'ispirazione militare e nazionale avevano ributtato ogni colpa sul crollo morale dei soldati, cioè in ultima analisi sul governo e sul disfattismo, coinvolgendo socialisti, giolittiani, Parlamento e Orlando in un'unica condanna.
La commissione, a sua volta, capovolgeva queste accuse, addossando ogni responsabilità ad alcuni generali, ma salvando l'organismo militare nel suo complesso, il Parlamento e i partiti; accertava quindi responsabilità innegabili, ma non conduceva a fondo la sua analisi politica. La relazione offriva così a Nitti la possibilità di chiudere il dibattito sulle responsabilità di Caporetto con il sacrificio di alcuni generali (Cadorna, Capello, Porro e Cavaciocchi, messi in congedo all'inizio del settembre) e con l'assoluzione di tutte le altre forze in questione, dall'esercito ai partiti. Calmatasi l'eco delle polemiche, Caneva fu fatto membro della commissione consultiva creata il 25 luglio 1920 dal ministro della Guerra Bonomi per aiutarlo nel riordinamento dell'esercito.
Nel 1911, dopo aver avuto i comandi di divisione e di corpo d'armata, e dopo essersi distinto nelle manovre estive di quell'anno, venne prescelto quale comandante del Corpo d'Armata Speciale (che comprendeva le forze destinate a occupare la Tripolitania e la Cirenaica allo scoppio della Guerra italo-turca). Fu lui quindi a comandare le operazioni contro l'Impero ottomano e la guerriglia senussita guidata da Omar al-Mukhtar fino all'anno dopo.
Seguì le operazioni per l'occupazione dell'oasi di Ain Zara che si protrassero fin nel pomeriggio inoltrato e videro la completa vittoria italiana e la rotta dell'avversario. Essendo sopraggiunta la sera il generale Caneva ritenne opportuno non comandare l'inseguimento del nemico sconfitto. La decisione nuovamente di non inseguire il nemico attirò nuove dure critiche al generale Caneva e il giornalista Corrado Zoli ne imputò la decisione a un suo crollo di nervi[3].
In realtà Caneva era ben conscio dei pericoli del deserto e sapendo di avere truppe in grado di attaccare una posizione nemica stabile ma probabilmente inesperte per uno scontro notturno contro un nemico mobile che conosce bene il territorio[4].
In ogni caso l'indubbia vittoria suscitò soddisfazione in Italia; il generale Alberto Pollio, capo di Stato Maggiore ritenne che "l'operazione fu ben combinata, ben condotta e ben eseguita" e in Libia eliminò la pressione su Tripoli permettendo di occuparne definitivamente le oasi. L'oasi di Ain Zara fu fortificata e dotata di artiglieria e una ferrovia la collegò a Tripoli[4]. Sidney Sonnino lo definì al tempo dell'impresa libica: "un uomo usato che soffre di stomaco da otto anni a questa parte". Luigi Barzini ne diede un ritratto impietoso: "Parola d'onore, se non sapessi che al tavolino vale qualche cosa (così dicono) lo prenderei per il più completo campione dell'imbecillità gallonata". Giovanni Giolitti, una fonte comunque non serena né mai obiettiva, rimarcò come Caneva mancasse di iniziativa e non si rendesse conto delle implicazioni di politica internazionale della sua condotta. Fu aspramente criticato per aver ignorato, suppostamente per ignavia e ristrettezza di vedute, nelle prime settimane dello sbarco italiano i notabili arabi locali; e per la sua condotta lenta, convenzionale, priva di iniziativa e passiva delle successive operazioni belliche. Gli addetti militari stranieri sul posto notarono con stupore il suo inesistente utilizzo della cavalleria in un terreno ad essa congeniale ed il fatto che non prendesse in considerazione di chiederne ulteriori contingenti oltre a quelli limitati già a sua disposizione[5].
Venne richiamato a fine agosto 1912 in Italia, e, anche per evitare che il suo richiamo venisse inteso come una punizione, venne promosso Generale d'Esercito (19 settembre 1912). Raggiunti i limiti d'età, Caneva lasciò il servizio attivo nel maggio 1914; durante la prima guerra mondiale non venne richiamato in servizio (anche a causa del fatto che era tecnicamente superiore per anzianità al generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore), ma nel 1918 fu nominato dal capo del governo Vittorio Emanuele Orlando presidente della Commissione d'Inchiesta nominata per far luce sul disastro di Caporetto.
^Pierre Schill, Réveiller l'archive d'une guerre coloniale. Photographies et écrits de Gaston Chérau, correspondant de guerre lors du conflit italo-turc pour la Libye (1911-1912), Créaphis, 2018 ISBN 978-2-35428-141-0.
^Sergio Romano, La quarta sponda. La guerra italo-turca, 1911/1912, Casa Editrice Bompiani, 1977, p. 270.
^Giordano Gamberini, Mille volti di massoni, Roma, Ed. Erasmo, 1975, p. 167.
Bibliografia
Bruce Vandervort, Verso la quarta sponda. La guerra italiana per la Libia (1911-1912), Roma, Stato maggiore dell'esercito, 2012.
Pierre Schill, Réveiller l'archive d'une guerre coloniale. Photographies et écrits de Gaston Chérau, correspondant de guerre lors du conflit italo-turc pour la Libye (1911-1912), Créaphis, 2018 ISBN 978-2-35428-141-0.
tc=Governatore della Tripolitania e della Cirenaica. v=Vicegovernatori della Cirenaica (dipendente dal g. della Tripolitania). o=dal 1-1-1934 titolo onorifico