Nasce ufficialmente nel febbraio del 1944 in seguito al radicamento e alla crescita del BattaglioneSpartaco Lavagnini, dietro indicazioni di Celso Ghini nome di battaglia di "Naso"[4], inviato del CLN per il PCI[5] come ispettore delle Brigate Garibaldi nel Lazio, in Umbria e nelle Marche. In quest'ultima regione è stato anche membro del comitato insurrezionale.
Il propulsore, prima commissario politico e poi comandante militare, fu Alfredo Filipponi nome di battaglia "Pasquale", dirigente comunista di Terni, che guidò il gruppo fin dal primo nucleo costituitosi immediatamente dopo l'armistizio dell'8 settembre.
La Brigata era prevalentemente costituita da operai, contadini, militari sbandati, renitenti alla leva, ex prigionieri di guerra alleati e sovietici, nonché - di fondamentale importanza - da un importante nucleo di prigionieri jugoslavi evasi nel settembre 1943 dal carcere di Spoleto: Svetozar Lakovic "Toso"[6] fu a lungo comandante militare nella Brigata, che arrivò a essere composta da un migliaio di partigiani, divisi nei battaglioni Spartaco Lavagnini, Giovanni Manni, Guglielmo Morbidoni, PaoloCalcagnetti, Tito 1 e Tito 2[7][8], Germinal Cimarelli[9][10][11].
Il Battaglione Giovanni Manni'[13] era operativo sui Monti San Pancrazio[14] e Monte Cosce tra i comuni di Calvi dell'Umbria, Otricoli, Stroncone, Narni, Configni, Vacone, Torri in Sabina, Montebuono.[15] Il Battaglione Manni fu coinvolto insieme alla Banda Strale autonoma[16] nel rastrellamento nazifascista operazione "Osterei" 12 -15 Aprile 1944 nell'area geografica del Monte San Pancrazio – Monte Cosce, subappennino a ridosso della valle del Tevere tra Lazio e Umbria dove vennero trucidate dai nazifascisti 38 persone.[17]
Il periodo di maggiore efficacia della formazione partigiana è compreso tra il febbraio e la fine di marzo 1944: in quel periodo i sei battaglioni della Brigata riuscirono a liberare, controllare e costituire ufficialmente una delle prime Repubbliche partigiane la prima zona libera d'Italia, che si estendeva tra Visso, la Valnerina fino a Ferentillo, Piediluco, i comuni di Cascia, Monteleone di Spoleto, Norcia, Leonessa e Poggio Bustone, altre squadre volanti agivano fino a Posta, sulla Salaria e nello Spoletino.
L'obiettivo strategico era di creare una sorta di diaframma tra la Flaminia e la Salaria, per disturbare gli approvvigionamenti tedeschi verso l'Adriatico in un momento della guerra (la primavera del 1944) in cui l'offensiva degli Alleati si concentrava tra Ortona e Cassino. Tra il 1° e l'12 aprile del 1944 la zona libera e l'area operativa della Brigata fu sottoposta a un feroce rastrellamento da parte di reparti italo-tedeschi. La Brigata subì un duro colpo: rischiò il completo sbandamento e dovette abbandonare tutti i maggiori centri abitati da essa occupati.
Territori liberati
Molte sono le zone dell'Italia centrale liberate dall'occupazione nazifascista, dai partigiani dalla Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci", le cosiddette Repubbliche Partigiane il primo esperimento di autogoverno attuato da partigiani[19][20].
Il 16 marzo 1944 il Comando della Brigata Garibaldi "Antonio Gramsci" [...] emana il seguente, nuovo proclama, da affiggere a mezzo di "200 manifesti murali": Il testo[1] roportato di seguito è di questa fonte, mentre una versione ridotta appare in A.Fi.[21] 1976.
Con la liberazione di Cascia, Monteleone, Aruscio, Norcia, Leonessa, Albaneto, Poggio Bustone e le rispettive frazioni dei Comuni sopra citati, nonché i Comuni della Valnerina Alta, la Brigata Garibaldina a tutt'oggi ha liberato circa mille chilometri quadrati di territorio. Migliaia e migliaia di lavoratori sono stati liberati dalla schiavitu' nazifascista. Questo Comando mentre invita i cittadini a collaborare con i partigiani per le necessita' delle popolazioni liberate, rende noto che da oggi 16 marzo 1944 il territorio sopra descritto compreso [tra] S. Pancrazio (Narni) [e] l'Alta Valnerina, con limiti: La Valle di Ferentillo, Castiglioni di Arrone, Rivodutri e Albaneto, è considerato staccato dalle Province di Terni, Perugia e Rieti, città ancora sotto il dominio nazifascista, e legato alla città di Cascia, da questo momento considerata capoluogo di tale territorio. Perciò la Brigata Garibaldina Gramsci, è l'unica autorita' operante in detto territorio, che degnamente rappresenta l'Italia democratica. Da oggi il Comando di Brigata in collaborazione con i Comitati di Liberazione assume le responsabilita' militari, politiche e amministrative di fronte a tutti gli abitanti della zona. Pertanto i cittadini per le loro necessita' sono invitati a rivolgersi, oltre che ai rispettivi Comuni, al Comando di Brigata, sito all'albergo Italia di Cascia. Il Comando.[2]
La riorganizzazione
Successivamente ai grandi rastrellamenti nazifascisti della primavera del 1944 nell'Appennino centrale, avvenne la difficile riorganizzazione della Brigata, si dovette procedere alla divisione operativa dei reparti: I due battaglioni prevalentemente jugoslavi Tito 1 e Tito 2, che tra l'altro erano quelli che avevano meglio retto l'urto del rastrellamento grazie a una ritirata verso Norcia e Visso, continuarono ad agire autonomamente sul confine marchigiano, al comando di Svetozar Lakovic "Toso"[22]; i battaglioni sotto il diretto comando di Alfredo Filipponi, andarono riorganizzandosi faticosamente sui monti più vicino a Terni, nei dintorni di Polino.
Controversie
Fortemente colpita nelle sue capacità militari durante brutali rastrellamenti nazifascisti che hanno causato per rappresaglia diverse stragi di civili, la Brigata è sta oggetto di controversie legati alle vicende di Jolanda Dobrilla[23] giovane intreprete e spia della Wermach rifugiata a Lugnola frazione del comune di Configni, la maestra Pia Lamponi Liberati a Miranda, sopra Terni, del possidente terriero Alverino Urbani, del dirigente d'azienda Alessandro Corradi. Episodio di interesse storico riveste anche l'uccisione del sindacalista fascista Maceo Carloni[24][25], avvenuta il 4 maggio 1944: quest'ultimo caso, in specie, fu oggetto di molte controversie nel dopoguerra sulla sua giustificabilità o meno come atto di guerra[26]. Considerato una spia dei nazifascisti, Maceo Carloni fu condannato a morte dal Tribunale militare straordinario della Brigata garibaldina 'Antonio Gramsci', come dichiarato nel processo presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Terni il 09.07.1952 dal comandante partigiano Alfredo Filipponi, fu prelevato e giustiziato nella notte del 4 maggio 1944 a Casteldilago frazione del comune di Arrone, dai partigiani della Brigata garibaldina 'Antonio Gramsci', il fatto costituisce un atto di guerra partigiana, inquadrato nel contesto storico della lotta contro il fascismo, durante il regime fascista e come tale compreso nell'aministia per i reati politici antifascisti, decreto legislativo 17.11.1945 n.719.[27][28]
Liberazione di Terni
Con lo sfondamento delle difese tedesche in Lazio e Abruzzo, avvenuto nella seconda metà di maggio 1944, anche la Brigata Gramsci riuscì a riprendere fiato; il 13 giugno 1944 le forze partigiane parteciparono alla liberazione di Terni entrando nella città martoriata dai bombardamenti da nord, in contemporanea alle truppe inglesi che vinsero le ultime resistenze nemiche e passarono il Nera da sud. Sulla questione della liberazione di Terni, ovvero della partecipazione o meno delle truppe partigiane sono in corso approfondimenti storici.
Don Concezio Chiaretti, parroco di Leonessa, collaboratore dei partigiani e presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Leonessa, trucidato assieme a 50 parrocchiani a Leonessa durante il rastrellamento, al quale la città ha dedicato un busto bronzeo nel 1996.[30][31]
"Dopo l'8 settembre fu tra i primi a insorgere contro l'invasore. Comandante di un distaccamento partigiano, durante un potente rastrellamento tedesco, allo scopo di evitare la distruzione del suo reparto in procinto di essere accerchiato, ne ordinava il ripiegamento che proteggeva, rimanendo solo sul posto, col fuoco di una mitragliatrice diretto contro i tedeschi incalzanti. Quale sfida al nemico issava il tricolore e dopo lunga ed impari lotta, crivellato di colpi, cadeva da eroe sull'arma salvando così con il suo cosciente sacrificio tutti i suoi compagni. Umbria, 20 gennaio 1944."
Canzone partigiana e inno della Brigata Garibaldina "Antonio Gramsci". La musica è tratta da "Po šumama i gorama", un canto partigiano jugoslavo. Canzone tratta dal disco "La Valnerina ternana", dei Dischi del Sole. Secondo le memorie del comandante della brigata Alfredo Filipponi, sarebbe stato insegnato loro da un disertore, noto come "Pietro l'Albanese". Autore del testo, il partigiano poeta Dante Bartolini 1943.[35]
^Svetozar Lakovic "Toso" nasce a Berane, in Montenegro, il 1º giugno 1915. Con l'invasione nazifascista del suo Paese. iniziata nell'aprile 1941, è subito attivamente impegnato nella Resistenza locale. E arrestato l'anno successivo dalle autorità del regno d'Italia fascista d'occupazione e processato dal Tribunale militare di Guerra di Cetinje, che lo condanna a venti anni di reclusione per attentato alle Forze armate del regno d'Italia fascista. Trasportato in Italia finisce poi alla Rocca di Spoleto, da dove fugge il 13 ottobre 1943, dando inizio al suo impegno nella Resistenza in Umbria che lo avrebbe portato al ruolo di comandante della brigata garibaldina "A. Gramsci", operante sulla dorsale appenninica umbro-laziale-marchigiana. Completata la liberazione della zona, rientra in Patria e prosegue la lotta contro i tedeschi. Nel dopoguerra lavora come ingegnere presso l'Istituto tecnico militare di Belgrado. Proprio in questa città muore il 28 febbraio 1984. [1]
^Intervista con Guglielmo Vannozzi, Cassette / ID Audio files: GCA017 Data: 13/08/1981: La fondazione del gruppo partigiano "Stella Rossa", pag 27 [2]
^Spartaco Lavagnini fu dirigente del Sindacato Ferrovieri Italiani (SFI) e redattore del periodico socialista La Difesa. Divenuto dopo il congresso di Livorno segretario della federazione fiorentina del Partito Comunista d'Italia e direttore de L'Azione Comunista, fu assassinato da un gruppo di squadristifascisti nella sede dell'SFI.
^Giovanni Manni operaio comunista accoltellato ventenne nel 1921 da un fascista sepolto a Terni. Operai antifascisti e partigiani a terni, pag 372
Non qui sotto/questa nera zolla/dovevi finire la tua gioventu/straziata da ferro omicida/
^Paolo Calcagnetti, originario di Arrone in provincia di Terni, antifascista e artista non violento, prima assegnato al confino, poi picchiato selvaggiamente dai fascisti, che gli fecero così scontare l'esultanza dimostrata al momento della caduta del fascismo nei giorni successivi all'arresto di Mussolini, Calcagnetti morì in Arrone il 4 ottobre 1943 a seguito delle gravi percosse subite
^10 marzo 1944 - Battaglia di Poggio Bustone - Sotto la guida del questore Bruno Pennaria, su ordine del federale della provincia Ermanno Di Marsciano, 200 tra militi della Gnr e soldati dell'esercito iniziano un rastrellamento, durante il quale uccidono tre uomini e feriscono altre cinque persone. Una squadra partigiana di 24 uomini della Brigata Garibaldi A.Gramsci, btg. "Paolo Calcagnetti" capeggiata da Emo Battisti, attacca di sorpresa i militi e, sostenuta dalla ribellione della popolazione, riesce a scacciarli distruggendone gli automezzi e provocando 14 morti (tra i quali lo stesso questore), circa 30 feriti e 2 civili uccisi dai nazifascisti. (cit. in Cronologia della Resistenza nel Lazio)
^Don Concezio Chiaretti, cappellano della Divisione Julia, pur di simpatie antifasciste non era organico alla Brigata Gramsci, né ad altre formazioni. Il 9 dicembre 2014 il cugino, Giuseppe Chiaretti, ne ricostruisce la vicenda in Leonessa, la strage del Venerdì Santo articolo pubblicato su Avvenire.