Sorta, forse sopra una precedente chiesa del VI secolo[2], all'inizio del VIII secolo in piena epoca longobarda[3] è menzionata per la prima volta dallo storico Paolo Diacono (720-799).[4][5] La basilica fu ricostruita in stile romanico tra l'XI e il XII secolo. La basilica paleocristiana originale, chiamata San Pietro in Ciel d'Oro per via delle volte dorate, era sorta sul luogo ove era sepolto san Severino Boezio, filosofo e senatore romano fatto uccidere dal re ostrogotoTeodorico il Grande nel 525.[6] Alcuni scavi archeologici, effettuati nel 2018/19 dietro l'abside della basilica, hanno portato alla luce murature riferibili all'abside del precedente edificio[7].
Insigne esempio di architettura romanica lombarda e generalmente considerato, insieme alla basilica di San Michele Maggiore, il più importante monumento religioso medievale della città di Pavia, la chiesa venne riconsacrata da papa Innocenzo II nel 1132 al termine dei lavori di ricostruzione.[8] Vanta grande prestigio e notorietà nel mondo cattolico in quanto ospita le spoglie di sant'Agostino d'Ippona (354-430) e di san Severino Boezio (475-525).
Viene citata da Dante nella Divina Commedia (Paradiso - Canto decimo vv. 124-128[9]) in quanto sacra depositaria delle spoglie di Boezio[10] e da Petrarca (Descriptio Urbis Ticinensis in Lettera del Petrarca a Giovanni Boccaccio, Seniles, Lib. V, Lett. 1a, e nel trattato De avaritia vitanda, Opera, ed. di Basilea 1554, vol. I, p. 607 e segg.).[11] Inoltre appare in una delle ultime novelle del Decameron (Torello e il Saladino, Novella IX, Giornata X[12]) del Boccaccio.
Caduta in uno stato di rovinoso abbandono dopo le spoliazioni sacrileghe napoleoniche, la basilica venne restaurata fra il 1875 e il 1899.
La basilica fu fondata dal re longobardo Liutprando[3][13], su una precedente chiesa del VI secolo[14], per ospitare le spoglie di sant'Agostino che erano state custodite fino al 722 a Cagliari nella omonima cripta, ove erano giunte nel 504 dalla città di Ippona, attualmente in Algeria, al seguito di Fulgenzio di Ruspe, esiliato assieme ad altri vescovi del Nord Africa dal re vandaloTrasamondo. Il re Liutprando, infatti, temeva che i saraceni potessero trafugare una così importante reliquia nel corso delle loro frequenti scorrerie sulle coste del Mediterraneo.
(LA)
«Liuthbrandus audiens quod Saraceni depopulata Sardinia etiam loca foedarent illa ubi ossa S.Augustini episcopi propter vastationem Barbarorum olim translata et honorifice fuerant condita, misit et dato magno precio accepit, et transtulit ea in Ticini inique cum debito tanto patri honore recondit.»
(IT)
«Liutbrando, avendo saputo che i Saraceni avevano spogliato la Sardegna, e avevano profanato anche i luoghi dove un tempo erano state trasportate e venerate le ossa del vescovo Sant'Agostino, per sfuggire alla devastazione dei Barbari le riscatto a caro prezzo, le trasferì in Ticinum (Pavia, ndr) e le conservò con l'onore dovuto al padre.»
Il monastero fu per un breve periodo affidato ai monaci colombaniani[15]. Da giovane vi studiò e si formò come monaco Paolo Diacono, storico e poeta dei Longobardi. Nel monastero sorse nel IX secolo anche un importante scriptorium e una scuola, guidata dal monaco irlandese Dungal di Bobbio[16], presso la quale, come ordinato nel capitolare olonense, emanato dall'imperatore Lotario nel palazzo reale di Corteolona nell'825, dovevano recarsi a studiare gli studenti provenienti da Milano, Brescia, Bergamo, Lodi, Novara, Vercelli, Tortona, Asti, Acqui, Genova e Como[17]. Da X secolo il monastero godette di numerosi privilegi, tra i quali quello di essere soggetto solo all'autorità del papa. Nel 987 Maiolo di Cluny soggiornò nel monastero e ne riformò i costumi monastici, mentre, non molti anni dopo, nel 1004, l'imperatore Enrico II trovò riparo nel recinto fortificato del monastero (l'area della basilica fu inserita all'interno delle mura di Pavia solo nel tardo XII secolo) dalla furia dei pavesi, che non volevano che il sovrano fosse incoronato.
Nel 1022 nella basilica si tenne un importante concilio (nel quale vennero prese decisioni sul celibato dei religiosi) presieduto da papa Benedetto VIII[18] e al quale partecipò anche l'imperatore Enrico II. Durante il concilio fu fatta anche un'ostensione delle reliquie di Sant'Agostino, al termine della quale un braccio del santo, grazie a cospicua donazione al monastero, fu concessa a Egelnoto arcivescovo di Canterbury (ora conservato nell'abbazia di Gladstone), mentre altri piccoli frammenti delle ossa di Agostino finirono ad altri presuli presenti al concilio, come quelli di Montalcino, Piacenza, Ragusa, Valencia e Lisbona[19].
A partire dal secolo XI, i monaci di San Pietro in Ciel d'Oro, che almeno dal 974 possedevano vigneti e torchi presso San Damiano al Colle, estesero la cultura della vite nell'Oltrepò Pavese, producendo vini che, grazie al Po e al Ticino, venivano poi trasportati a Pavia, dove la parte non assorbita dal consumo dei monaci era destinata al commercio[20].
La ricchezza e i privilegi del monastero, spesso furono all'origine di dissidi con i vescovi di Pavia, scontri che furono particolarmente accesi durante gli anni dei vescovi Guglielmo d'Este e Guido II (1102- 1106)[21].
Tra il 1169 e il 1180, per volontà dell'abate Ulrico, vennero trasferiti nella basilica i resti di re Liutprando e del padre Ansprando, che prima erano collocati nel mausoleo dinastico di Sant'Adriano presso la chiesa di Santa Maria alle Pertiche[23].
Nel 1221 l'abate del monastero fu ucciso da alcuni monaci, a causa dell’omicidio il papa Onorio III decise di trasformare il monastero in canonica e di affidarla ai canonici regolari di Santa Croce di Mortara[13]. Nel 1327[24] il papa Giovanni XXII affiancò a questi i padri eremitani di Sant'Agostino, o agostiniani, dato che la basilica erano conservate le reliquie di Sant’Agostino[25]. Inizialmente i canonici regolari e gli agostiniani vissero nello stesso edificio, ma successivamente, per sanare i contrasti che questa situazione provocava, gli agostiniani eressero un loro convento dal lato opposto della basilica (1332), affacciato sul lato orientale della piazza omonima, mentre i lateranensi realizzarono un nuovo convento. Figura di spicco tra gli agostiniani fu Iacopo Bussolari che nel 1356 capeggiò la rivolta che scacciò da Pavia i Beccaria e instaurò in città un governo popolare che seppe resistere per quasi tre anni alle operazioni militari scatenate dai Visconti contro Pavia[26][27].
Galeazzo II stesso, per sua volontà, fu sepolto in San Pietro in Ciel d'Oro. Inoltre i monaci erano in stretti rapporti con la corte (il priore degli eremitani Bonifacio Bottigella fu confessore di Bianca di Savoia, mentre Dionigi da Cermenate, l’abate dei canonici regolari, fu cappellano e confessore di Gian Galeazzo). La basilica rimase la principale chiesa sepolcrale della corte viscontea a Pavia sino alla fondazione della Certosa: tra il 1384 e l’inizio del secolo XV vi furono infatti sepolti Francesco d’Este, la figlia primogenita di Gian Galeazzo e Caterina Visconti, Violante Visconti e il condottiero ducale Facino Cane. Lo stesso prima duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, dopo il funerale, che si svolse a Milano nel 1402, fu tumulato nella basilica, dove i suoi resti mortali rimasero fino al 1474, quando, in ottemperanza delle sue volontà testamentarie, furono trasportati nella Certosa di Pavia[29]. Sempre negli stessi anni, la basilica fu visitata da diplomatici e ambasciatori in visita alla corte di Galeazzo II, come Geoffrey Chaucer nel 1378[30][31].
Nel corso del Quattrocento, la chiesa fu sottoposta a una campagna di ristrutturazioni affidata ai fratelli Candia, ai quali si deve la realizzazione della copertura a volte della navata centrale.[10]
Nel 1465 la carica di abate della canonica fu dato in commenda e nel 1509 i canonici regolari furono uniti all'ordine Lateranense. Nel 1522 Francesco II Sforza, duca di Milano, istituì una cappellania ducale presso l'altare di Sant'Agostino[32].
Nel frattempo, tra lateranensi e agostiniani esistevano ancora dei dissapori circa l'uso e l'officiatura della basilica: solo nel 1635 si giunse alla convenzione che gli agostiniani utilizzassero la navata destra, i lateranensi quella sinistra, mentre l'altare maggiore e il coro rimanevano in comune, alternandosi, mensilmente, i due ordini.
Negli anni '70 del Cinquecento, in ottemperanza dei dettami del concilio di Trento, furono rimossi i numerosi sarcofagi e monumenti funebri che affollavano la basilica, creando anche un certo impaccio durante le funzioni liturgiche. Con l'esclusione dei resti di Liutprando, gran parte dei resti mortali rinvenuti durante i restauri ottocenteschi vennero tumulati al di sotto della navata maggiore, presso il penultimo pilastro prima della cripta, come ricorda un'epigrafe inserita nel pavimento[34].
Durante dei lavori di restauro della chiesa il 1 ottobre 1695 furono ritrovate nella cripta della Chiesa le ossa del santo di cui si era perso traccia e che probabilmente erano state nascoste per evitare che venissero trafugate[35].
I canonici lateranensi furono soppressi nel 1781[36] e per alcuni anni la canonica, posta alla sinistra della basilica, fu affidata ai francescani, ma nel 1799 il locale fu confiscato, destinato ad usi diversi. A loro volta gli agostiniani (nel 1780 erano rimasti solo sette frati e sette conversi[24]) furono allontanati dal loro convento nel 1785, e vi subentrarono i domenicani, ma anche questo stabile nel 1799 fu confiscato[21].
La rovina napoleonica
Nel 1796 le truppe al seguito di Napoleone Bonaparte entrarono in città e spogliarono la chiesa, che fu sconsacrata e usata come stalla o deposito, mentre i frati vennero cacciati e i conventi affidati ai militari. L'Ottocento fu deleterio per l'edificio ormai all'abbandono: la navata destra e la prima campata della navata centrale crollarono e l'aula rimase aperta all'esterno, con gravissimi danni per gli affreschi sopravvissuti. Di fronte a questo stato, la "Società Conservatrice de' monumenti pavesi dell'arte cristiana", sotto la presidenza di Carlo dell'Acqua, trattò con l'esercito il riacquisto della basilica e dell'antico convento degli agostiniani, avvenuto nel 1884.
Restauro e riapertura al culto nel 1896
I lavori di restauro, affidati alla direzione dell'architetto pavese Angelo Savoldi, professore al Politecnico di Milano e Regio ispettore dei monumenti di Pavia,[8] furono eseguiti fra il 1875 e il 1896[37] e riportarono il prestigioso complesso romanico all'antico splendore, salvandolo dall'imminente totale rovina ricostruendone la navata mancante, la cripta ed eliminando altre manomissioni che nei secoli precedenti si erano susseguite sull'impianto medievale della basilica. Le opere si conclusero dopo la solenne riapertura al culto della basilica, avvenuta il 15 giugno 1896.[8] Le spoglie di sant'Agostino, che erano state trasferite nel Duomo, furono riportate nella chiesa, assieme all'arca trecentesca destinata ad accoglierle.
La chiesa è officiata dai monaci agostiniani, che sono tornati ad occupare l'antico convento.
Architettura
Della chiesa longobarda rimangono pochissimi resti, nascosti sotto la ricostruzione romanica terminata intorno al 1132[10]. San Pietro in Ciel d'Oro si presenta, così, come molte altre chiese pavesi dell'epoca: un edificio in mattoni, a tre navate con transetto, abside e cripta.
Facciata
La facciata a capanna è scandita da due contrafforti che la dividono in tre zone, corrispondenti alle navate interne; il contrafforte di destra, più spesso, ospita una scala interna che permette di accedere al tetto. La sommità è coronata da una loggetta cieca e da un motivo ad archi intrecciati[10]. La pietra (arenaria) è usata solo per le parti più importanti, come il portale, le finestrelle e gli occhi di bue. Il portale, in arenaria e marmo, reca, entro il timpano, la figura di San Michele al centro, affiancato, ai lati, dalle immagini di due oranti[10]. Queste sculture sono tra le più antiche della basilica e sono datate al 1050-1090[38]. Lungo i contrafforti si notano le tracce di un antico nartece,[10] o forse di un quadriportico, che precedeva l'ingresso alla chiesa[39].
Interno
L'interno è scandito da cinque campate, rettangolari nella navata centrale e quadrate nelle navate laterali. Rispetto alla basilica di San Michele Maggiore si percepiscono immediatamente le diverse proporzioni della navata centrale, più larga, più lunga e meno slanciata, la più rigorosa successione dei pilastri, tutti grossolanamente a medesima sezione anziché alternati come nell'altra chiesa, e l'assenza dei matronei. Le campate dalla seconda alla quinta sono coperte da volte a crociera; la prima, più alta, in funzione quasi di atrio interno (endonartece) o addirittura di falso transetto, è coperta da volta a botte. Essa svolge anche funzioni statiche poiché serve come appoggio per la facciata. Il diverso schema di coperture è percepibile anche all'esterno, osservando il differente andamento delle falde. Le prime due campate della navata sinistra sono decorate da interessanti affreschi cinquecenteschi. Dopo l'arco trionfale, si apre il transetto, che, contrariamente a quello di San Michele Maggiore non sporge rispetto al corpo principale, ma occupa la profondità delle tre navate. Le tre navate sono chiuse, ad est, da absidi decorate esternamente con una loggetta cieca, similmente alla facciata, come d'uso nell'architettura romanica; il catino di quella centrale, più grande delle altre due, è decorato da un affresco di Ponziano Loverini (1900) che riprende un antico mosaico, distrutto nel 1796. All'incrocio tra la navata centrale e il transetto si eleva la cupola ottagonale su pennacchi di tipo lombardo, racchiusa esternamente dal tiburio in cotto.
Nel transetto settentrionale si trova un piccolo portale, profilato con sculture romaniche più arcaiche rispetto alle altre della basilica, tramite il quale si accede a un piccolo ambiente, un tempo destinato a oratorio e ora utilizzato come bookshop. Tale piccolo oratorio, che ancora nel XVI secolo era separato dal resto della basilica da una porta di ferro, era originariamente destinato ad accogliere le reliquie di Sant'Agostino e degli altri Santi portati a Pavia in età longobarda dalla Sardegna e verosimilmente ricalca le forme del precedente oratorio altomedioevale[40].
Cripta
La cripta, parzialmente ricostruita durante i restauri ottocenteschi sulle tracce esistenti, occupa lo spazio del presbiterio e del coro ed è collegata alla navata principale ed alle due laterali da quattro scale; chiusa ad est da un'abside, è spartita in cinque navate da ventiquattro colonne che reggono volte a crociera, le quali sostengono, a loro volta, il pavimento dei due ambienti superiori. La cripta ospita le spoglie di Severino Boezio. Addossato alla parete di fondo, si nota l'antico pozzo, di cui si narravano proprietà curative, già esistente nel XII secolo e ripristinato nel corso dei restauri di fine Ottocento.
Sacrestia e organo
Dalla navata sinistra si accede alla Sacrestia Nuova, ampio ed arioso ambiente rettangolare in schietto stile rinascimentale, con volte a vela ottimamente affrescate;
Nel presbiterio, prima del coro, si trova l'Arca di Sant'Agostino, un capolavoro marmoreo del Trecento, scolpito da Giovanni di Balduccio[28].
Si tratta di un'opera gotica divisa in tre fasce: in basso, uno zoccolo contenente l'urna con i resti del santo; al centro, una fascia aperta, con la statua di Sant'Agostino dormiente e, in alto, l'ultima fascia, poggiata su pilastrini e coronata da cuspidi triangolari. L'intera opera è decorata da più di 150 statue, che raffigurano angeli, santi, e vescovi, e da formelle con la vita del santo.
Nella cripta della chiesa di san Pietro in Ciel d'oro sono ospitate le ossa di san Severino Boezio (475-525), il filosofo autore del De Consolatione Philosophiae, opera da lui scritta durante i due anni di esilio pavese. Venne fatto uccidere nell’anno 525 d.C. dal re ostrogoto Teodorico, di cui era stato ministro.
Di tale sepoltura parla anche Dante nella Commedia, nel canto X del Paradiso: Boezio si trova infatti nel cielo del Sole, fra gli spiriti beati della prima corona, che in terra hanno brillato per la loro sapienza cristiana, accanto a filosofi, letterati, scienziati e uomini d’azione. Dante lo indica attraverso la perifrasi “anima santa” e cita espressamente la tomba in "Cieldauro":
«Per vedere ogne ben dentro vi gode
l’anima santa che ‘l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode
Lo corpo ond'ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace»
Le ossa di Boezio sono collocate in una piccola urna di stile ravennate (eseguita da Antonio Cassi su disegno dell’architetto Brusconi). Dietro l’altare su una lastra di marmo è riportato un epitaffio che celebra la sapienza di Severino Boezio e che è attribuito a Gerberto di Aurillac, poi papa Silvestro II. La lapide originaria di Boezio, risalente al VI secolo, è invece conservata nei Musei Civici.
Secondo una tradizione locale, vi è sepolto anche il re longobardo Liutprando (circa 690-744), alla base dell'ultimo pilastro della navata destra. Alcune ossa furono rinvenute e riconosciute il 6 agosto 1895 dal conservatore del museo civico di Pavia Rodolfo Majocchi e da Carlo dell'Acqua, Presidente della Società conservatrice de' Monumenti pavesi dell'arte cristiana. Sul ritrovamento delle ossa tradizionalmente attribuite al re il Majocchi scrisse la monografia Le ossa di Re Liutprando scoperte in S. Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, Milano, 1896.[45] Al momento della morte, Liutprando fu sepolto inizialmente nella chiesa di Sant'Adriano di Pavia (che si trovava vicino a Santa Maria alle Pertiche). Tra il 1169 e il 1180, i suoi resti, insieme a quelli del padre Ansprando, furono trasportati per volontà dell'abate Ulrico nella basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, dove fu eretto un monumento funebre formato da un sarcofago marmoreo, sopraelevato su colonne, sul quale era scolpita l'effige del re. Nel XVI secolo, tuttavia, a causa delle prescrizioni adottate con il concilio di Trento, il monumento (insieme a tutti gli altri presenti all'interno della basilica) fu smantellato e i presunti resti del sovrano sepolti nel pavimento della chiesa[46]. Nel 2018 i resti scheletrici attribuiti a Liutprando e sono stati oggetto di un'indagine bioarcheologica e genetica[47]. Le analisi hanno dimostrato che le ossa appartenevano a tre individui di ceto elevato, dotati di una robusta muscolatura e che assumevano proteine, provenienti principalmente da carne e pesce, in misura maggiore rispetto al resto della popolazione, come hanno evidenziati i confronti con i reperti ossei provenienti da alcune necropoli di età longobarda rinvenute nell'Italia settentrionale. Di questi tre individui, due (un uomo di mezza età e uno più giovane) risalgono al VI secolo, mentre il terzo soggetto, morto intorno ai 40/50 anni (il re morì intorno ai cinquant'anni), era contemporaneo di Liutprando.[48][49]
Altri fatti notevoli
Il 29 giugno 743 papa Zaccaria tenne presso la basilica una funzione con l'intento di giungere a un pacifico componimento con il re longobardo Liutprando.
^"Per vedere ogni ben dentro vi gode/l'anima santa che 'l mondo fallace/fa manifesto a chi di lei ben ode:/lo corpo ond'ella fu cacciata giace/giuso in Cieldauro;..."
^ Maria Teresa Mazzilli Savini, Sepolture di Santi e di re in San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Architetture, momenti, devozioni, in Saverio Lomartire e Maria Teresa Mazzilli Savini (a cura di), Sepolture di re longobardi e monasteri imperiali a Pavia. Studi, restauri, scavi, Milano, Cisalpino, 2021, pp. 35-37, ISBN978-88-205-1136-4.
^ Luciano Maffi, Storia di un territorio rurale. Vigne e vini nell'Oltrepò Pavese. Ambiente, società, economia, Milano, Franco Angeli, 2010, pp. 51-68, ISBN9788856817621.
^ Piero Majocchi, Piero Majocchi, Il re fondatore. Memoria, politica e mito nell’identità del monasteri imperiali pavesi,, in Sepolture di re longobardi e monasteri imperiali a Pavia. Studi, restauri, scavi, ed. S. Lomartire, M.T. Mazzilli Savini, C. Pagani, Atti del Convegno “Pavia, i monasteri imperiali. Un anno di indagini, scoperte, progetti” (Pavia, 27 aprile 2018), Cisalpino, Milano, 2021, pp. 3-16.. URL consultato il 13 novembre 2022.
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^ Maria Teresa Mazzilli Savini e Saverio Lomartire, Sepolture di Santi e di re in San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Architetture, momenti, devozioni, in Sepolture di re longobardi e monasteri imperiali a Pavia. Studi, restauri, scavi, Milano, Cisalpino, 2021, p. 60, ISBN978-88-205-1136-4.
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^ Maria Teresa Mazzilli Savini, Sepolture di Santi e di re in San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Architetture, momenti, devozioni, in Saverio Lomartire e Maria Teresa Mazzilli Savini (a cura di), Sepolture di re longobardi e monasteri imperiali a Pavia. Studi, restauri, scavi, Milano, Cisalpino, 2021, pp. 32-35, ISBN978-88-205-1136-4.
^ Maria Teresa Mazzilli Savini, Sepolture di Santi e di re in San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Architetture, momenti, devozioni, in Saverio Lomartire e Maria Teresa Mazzilli Savini (a cura di), Sepolture di re longobardi e monasteri imperiali a Pavia. Studi, restauri, scavi, Milano, Cisalpino, 2021, p. 60, ISBN978-88-205-1136-4.
^Le ossa di Liutprando, su Pavia e i monasteri imperiali. URL consultato il 20 gennaio 2023.
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