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Questa voce o sezione tratta di un conflitto in corso.
Nel gennaio 2024, nel contesto di un ricorso presentato dal Sudafrica,[5] la Corte internazionale di giustizia (CIG) delle Nazioni Unite ha chiesto a Israele di fare quanto in suo potere per «prevenire possibili atti genocidari».[6] Altri 14 Paesi hanno poi dichiarato la loro intenzione d'intervenire presso la CIG al fianco del Sudafrica; tra essi: Irlanda, Belgio, Spagna, Cile e Bolivia.[7] La commissione speciale ONU incaricata di studiare il caso ha conchiuso nel rapporto A/79/363 del 20 settembre 2024 che le pratiche di guerra d'Israele «presentano elementi caratteristici del genocidio».[8][9]
Le accuse sono controverse e oggetto di dibattito nella geopolitica internazionale. Il governo d'Israele nega qualsiasi ipotesi di genocidio, accusando a sua volta la CPI e la CIG di antisemitismo[10][11] e affermando di stare intraprendendo un conflitto armato al solo scopo di neutralizzare i terroristi di Hamas, colpevoli dell'attacco a Israele del 7 ottobre 2023 e di servirsi dei civili palestinesi come scudo.[12]
Prodromi
Il fallimento del vertice di Camp David del 2000, e la visita alla spianata delle moschee di Ariel Sharon scatenarono nuove rivolte di massa in Palestina, caratterizzate stavolta dalla presenza di numerosi attacchi kamikaze. Nel 2006 il conflitto interno tra l'OLP e Hamas ha visto quest'ultimo prendere il potere nella Striscia di Gaza, mentre Fatah, la fazione politica fedele all'OLP ha mantenuto il controllo in Cisgiordania. Ciò si è tradotto in un peggioramento della situazione per l'exclave di Gaza, giacché le autorità di Tel Aviv emanarono un embargo nei confronti del suo territorio, decretandone il tracollo economico.[13] Gli anni seguenti videro il lancio dell'Operazione piombo fuso, una campagna militare israeliana volta a liberare Gaza dalla presenza di Hamas. Ciò avrebbe tuttavia causato un elevato numero di vittime civili e la devastazione delle infrastrutture locali, aprendo la strada a quello che fu poi il Conflitto Israele-Striscia di Gaza del 2014 e alla Marcia del Ritorno indetta da Hamas a partire dal 2016, costata la vita a molti civili palestinesi. Netanyahu ha difatti adottato misure severe nei confronti di Hamas: sotto la sua leadership, Israele ha implementato una strategia di contenimento, combinata con attacchi militari mirati contro i leader terroristici e le infrastrutture di lancio di razzi. Netanyahu ha anche cercato di isolare Hamas politicamente e finanziariamente dalla comunità internazionale, trovando talvolta supporto da quei Paesi musulmani che considerano Hamas un avversario in quanto vicino al governo iraniano, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Con Emirati Arabi e Bahrein nel 2020 Israele ha ratificato una serie di trattati di normalizzazione, rinominati Accordi di Abramo, allo scopo di stabilizzare la sicurezza dei Paesi coinvolti e promuovere legami economici proficui.[14]
Il 7 ottobre 2023 un attacco significativo è stato lanciato da Hamas contro Israele, segnando un'escalation notevole nel conflitto israelo-palestinese. Hamas ha effettuato un attacco coordinato che ha coinvolto razzi, infiltrazioni di combattenti attraverso il confine e raid in diverse località israeliane, causando centinaia di vittime e rapimenti tra i civili e le forze di sicurezza israeliane.[15]
In risposta a questo violento attacco, Israele ha avviato operazioni militari su vasta scala nella Striscia di Gaza, con il dichiarato obiettivo di librare gli ostaggi rapiti da Hamas[16], intensificando i bombardamenti e affrontando rappresaglie da parte delle forze di Hamas. Questi fatti hanno portato a un alto bilancio di morti e feriti, sia tra gli israeliani che tra i palestinesi. Ci sono stati infatti scambi di fuoco diretto tra Hamas e le forze israeliane; Hamas ha lanciato razzi verso il territorio israeliano, mentre Israele ha risposto con attacchi aerei mirati contro obiettivi militari strategici a Gaza. Questo ciclo di violenza ha causato ulteriori vittime e distruzioni.
Nel dettaglio le prime ripercussioni sulla questione palestinese hanno incluso un aumento della tensione nelle relazioni geopolitiche globali. La comunità internazionale ha espresso preoccupazione per la violenza e il potenziale di una crisi umanitaria. In molte parti del mondo, ci sono state manifestazioni di solidarietà con i palestinesi, così come proteste in sostegno di Israele. L'attacco ha anche suscitato dibattiti su come gestire la questione della sicurezza e dei diritti umani nella regione, con richieste di una revisione delle politiche nei confronti di Israele e di Hamas. La popolazione di Gaza continua a manifestare contro le difficili condizioni di vita, aggravate dal blocco israeliano e dalla crisi socio-economica. Le manifestazioni, intensificatesi, stanno tuttora portando a scontri con le forze di sicurezza. Da ambo le parti la violenza è aumentata in risposta a provocazioni, come attacchi a luogo di culto. Gli attacchi sui civili sia a Gaza che in Israele hanno contribuito a un clima di paura e incertezza. Ad alimentare il conflitto gioca un ruolo fondamentale il coinvolgimento di Hezbollah, gruppo militante islamista libanese che come Hamas è impegnato nella lotta contro Israele. La principale differenza tra le due fazioni risiede nel fatto che Hezbollah sia prevalentemente sciita, mentre Hamas è sunnita.
Altro caso che ha ulteriormente allontanato la pace in Medioriente, è stata la crisi Iran-Israele del 2024, innescata dal bombardamento di un complesso consolare iraniano a Damasco, in cui sono rimasti uccisi alcuni funzionari della Repubblica islamica.
Il governo di Netanyahu ha mantenuto una linea dura nei confronti di Hamas, giustificando le operazioni militari come una legittima forma di difesa necessaria per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani e negando qualunque accusa di genocidio, pulizia etnica e attacchi deliberati a strutture sanitarie.[17][18]
Infatti i civili israeliani, specialmente quelli che vivono nei pressi della Striscia di Gaza, esprimono paura e insoddisfazione per l'insicurezza causata dagli attacchi missilistici. Molti risultano assuefatti dall’uso della forza come unico metodo di risoluzione e supportano le azioni del governo per garantire la sicurezza, ma ci sono anche voci critiche che chiedono un approccio più diplomatico e meno militarista. La società israeliana è ormai stanca e divisa, la sua economia è in crisi e decine di migliaia di cittadini stanno lasciando il paese in cerca di un'esistenza più tranquilla. Nella Striscia di Gaza, la maggioranza dei civili palestinesi vive in condizioni critiche e precarie, con tassi di disoccupazione elevati, carenza di elettricità, acqua potabile e generi alimentari. Molti cittadini sono frustrati dalla leadership di Hamas, incapace di trovare una soluzione efficace per garantire stabilità e migliori condizioni di vita. Alcuni sostengono la resistenza armata contro Israele, altri chiedono vie politiche diplomatiche per risolvere la crisi e fermare quello che ritengono essere un vero e proprio genocidio ai danni della popolazione palestinese.[19]
Negli ultimi anni numerose organizzazioni internazionali, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno denunciato gravi violazioni dei diritti umani sia da parte di Israele che dei gruppi armati palestinesi. Le violazioni includerebbero bombardamenti e attacchi aerei sui civili, oltre al blocco nel rifornimento di beni fondamentali, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria. Anche Hamas è stata accusata di perpetrate violazioni, comprese esecuzioni sommarie e uso di scudi umani. Tuttavia è bene ricordare che la parola "genocidio" è utilizzata in modo controverso nel contesto della Striscia di Gaza. Alcuni attivisti e osservatori sostengono che le azioni israeliane, in particolare i bombardamenti indiscriminati e il blocco che contribuisce alla crisi umanitaria, possono essere considerate come atti di genocidio o quantomeno di pulizia etnica. Al contrario, altri avvertono che usare questo termine in modo improprio può minare la serietà delle questioni legate al fenomeno. In ogni caso la maggior parte degli organi internazionali e dei governi concordano su quanto sia fondamentale intervenire per promuovere un dialogo autentico e cercare soluzioni sostenibili per la pace e la giustizia, ribadendo che le violazioni dei diritti umani debbano essere affrontate con urgenza, lavorando verso una risoluzione del conflitto che tenga conto dei diritti e delle aspirazioni di entrambe le parti.[20]
Azioni giudiziarie
Organi internazionali
L'ONU ha spesso espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e le perdite civili presso la Striscia di Gaza, i rapporti dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno menzionato potenziali crimini di guerra, ma l'uso del termine "genocidio" è più delicato e meno frequentemente utilizzato senza una precisa indagine e documentazione.
Il 29 dicembre 2023 il governo del Sudafrica ha formalmente accusato Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia di genocidio del popolo palestinese, richiedendo alla CPI un intervento immediato per fermare "la distruzione di una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese" in violazione della convenzione sul genocidio. Il ministero degli Esteri israeliano ha immediatamente accusato il Sudafrica di collaborare con i terroristi, replicando che l'IDF ha messo in atto ogni ragionevole sforzo per limitare le morti di civili durante l'azione militare contro il gruppo di Hamas e gli altri gruppi armati.[21] In seguito, il 2 di gennaio del 2024, i media israeliani riportano la decisione del governo israeliano di non opporsi al procedimento e di presentarsi di fronte alla Corte internazionale di giustizia, così da confutare "questa assurda accusa che equivale a una diffamazione di sangue".[22]
Il 26 gennaio 2024 la Corte internazionale di Giustizia ritiene plausibile l'accusa di Genocidio nei confronti di Israele e impone delle misure temporanee vincolanti:
«La Corte, sulla base delle considerazioni che precedono, conclude che sussistono le condizioni richieste dal suo Statuto per poter adottare misure provvisorie. È quindi necessario, in attesa della decisione finale, che la Corte indichi alcune misure per tutelare i diritti rivendicati dal Sudafrica che la Corte ha ritenuto plausibili. Nel caso di specie, considerati i termini delle misure provvisorie richieste dal Sudafrica e le circostanze del caso di specie, la Corte constata che non è necessario che le misure da indicare siano identiche a quelle richieste.
La Corte ritiene che, per quanto riguarda la situazione sopra descritta, Israele deve, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, nei confronti dei palestinesi di Gaza, adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell'ambito di applicazione della L'articolo II della presente Convenzione, in particolare: a) l'uccisione di membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale; e (d) imporre misure intese a prevenire le nascite all'interno del gruppo. La Corte ricorda che questi atti rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo II della Convenzione quando sono commessi con l'intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo in quanto tale. La Corte ritiene inoltre che Israele debba garantire con effetto immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti sopra descritti.
La Corte è inoltre del parere che Israele debba adottare tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l'incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza.
La Corte ritiene inoltre che Israele debba adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell'assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza.
Israele deve inoltre adottare misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti nell'ambito dell'articolo II e dell'articolo III della Convenzione sul genocidio contro membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza.
Infine, alla luce delle specifiche misure provvisorie che ha deciso di indicare, la Corte ritiene che Israele debba presentare alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare effetto a quest'ordinanza entro un mese, a partire dalla data di quest'ordinanza. La relazione così fornita sarà poi trasmessa al Sudafrica, al quale sarà data l'opportunità di presentare alla Corte le sue osservazioni al riguardo.[23]»
(Corte dell'AIA)
Jeremy Laurence, portavoce dell'ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha dichiarato: "Centinaia di palestinesi, molti dei quali civili, sarebbero stati uccisi e feriti. Inoltre, tenendo ostaggi in aree così densamente popolate, i gruppi armati stanno mettendo a ulteriore rischio la vita dei civili palestinesi, così come quella degli ostaggi stessi, a causa delle ostilità. Tutte queste azioni, da entrambe le parti, possono equivalere a crimini di guerra"[16].
Reazioni dei Paesi
Turchia: ha accusato Israele di genocidio in diverse occasioni.
Iran: ha utilizzato il termine "genocidio" per descrivere le azioni israeliane contro i palestinesi.
Stati Uniti: supportano Israele e tendono a rimanere scettici riguardo alle accuse di genocidio, sostenendo che le azioni israeliane sono in risposta a minacce di sicurezza.
Arabia Saudita: ha sollevato preoccupazioni per le violenze, cercando di mantenere relazioni diplomatiche sia con Israele che con i palestinesi.
Unione europea: pur sollevando preoccupazioni per la violenza, hanno generalmente evitato di usare il termine "genocidio", adottando una posizione di mediazione ed esprimendo preoccupazione per entrambe le parti. Chiede tregua e negoziati di pace, senza però utilizzare esplicitamente il termine "genocidio".
Cina, India e Russia: a loro volta coinvolti in dispute internazionali, questi stati hanno preferito non esprimersi direttamente poiché consapevoli che prendere posizione in un caso così delicato recherebbe loro pochi vantaggi e potrebbe turbare irreversibilmente le loro relazioni nella regione.
Brasile: ha intimato esplicitamente Israele a cessare immediatamente tutti gli atti e le misure che potrebbero costituire genocidio.
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