Esordì fra i professionisti nel 1961 (primo direttore sportivo Alfredo Sivocci)[3] e raccolse nella sua carriera importanti risultati agonistici. Al primo anno da pro vinse il Giro di Lombardia, che percorreva quell'anno il muro di Sormano, mentre nel 1962 giunse quarto nella classifica generale del Giro d'Italia, miglior risultato della sua carriera. Nel 1963 fu nuovamente protagonista della "corsa rosa", vincendo complessivamente, appena ventitreenne, ben cinque tappe, di cui quattro consecutive. Nel 1961 e nel 1963, sempre al Giro d'Italia, fece sua la maglia verde del Gran Premio della Montagna.
Per il suo carattere impulsivo fu spesso al centro di polemiche con altri ciclisti. Durante il Tour de France 1964 fu accusato di aver causato diverse cadute negli arrivi in volata per i suoi scatti scomposti; la tensione con gli altri atleti culminò in una scazzottata con il collega spagnolo Fernando Manzaneque, con annesso commento: «Chi mi accusa? Devi essere tu, Fernando Manzaneque, con quei connotati da delatore che ti ritrovi».[1] Dopo quell'episodio Taccone rifiutò di prendere parte alle successive edizioni della Grande Boucle.[2]
Nel 1965 si aggiudicò la prestigiosa Milano-Torino; l'anno dopo, vincendo la prima tappa del Giro d'Italia 1966, indossò la prima maglia rosa di quel Giro, che mantenne però per un solo giorno. Negli stessi anni partecipava regolarmente come commentatore ne Il processo alla tappa di Sergio Zavoli: di quella trasmissione televisiva divenne uno dei personaggi più amati.[1] Nel 1968 fu quindi quinto nel campionato mondiale di Imola vinto dall'altro azzurro Vittorio Adorni.
Lasciata l'attività agonistica al termine della stagione 1970, intraprese varie attività, tra cui quelle di presidente della società di hockey su prato, Avezzano Hockey,[4] e di imprenditore di liquori, produsse già a cominciare dal 1966 l'Amaro Taccone,[2] rimanendo un personaggio molto popolare nella sua regione d'origine. Fu per due volte candidato alle elezioni locali della provincia dell'Aquila e del comune di Avezzano per il Partito Repubblicano e con liste civiche.[2] Poi, nel giugno 2007, quando era titolare di un'azienda di abbigliamento sportivo, fu arrestato con altre undici persone in seguito ad un'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza, con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al commercio di capi di abbigliamento con marchi contraffatti o provenienti da furti.[1][5] Taccone si era sempre proclamato innocente chiedendo (anche con iniziative clamorose come incatenarsi davanti al tribunale di Avezzano) un processo in tempi brevi.[1][2]
Morì per un infarto nella sua casa di Avezzano il 15 ottobre 2007, all'età di 67 anni. Secondo il figlio Cristiano, il deteriorarsi delle sue condizioni di salute fu accentuato dallo stress subito in conseguenza delle vicende giudiziarie.[2]
Il 18 ottobre 2012 il comune di Avezzano ha dedicato a Vito Taccone una statua in bronzo posta sul valico del monte Salviano. Il monumento, opera dell'artista Bruno Morelli, fu inaugurato alla presenza dei giornalisti Sergio Zavoli, Giorgio Martino e Sergio Neri.[6] La statua venne rubata la notte del 26 giugno 2014. L'opera fu ritrovata gravemente danneggiata pochi giorni dopo.[7] Il 5 maggio 2023 la statua, restaurata da Bruno ed Eleonora Morelli, è stata ricollocata su una base in marmo in piazza Cavour, nel quartiere avezzanese dove l'atleta nacque. Alla cerimonia hanno partecipato Francesco Moser, Luigi Sgarbozza e Davide Cassani.[8][9]
In occasione della tappa Avezzano-Napoli del Giro d'Italia 2024 i ciclisti, partecipanti alla corsa rosa, hanno omaggiato il "camoscio d'Abruzzo" percorrendo la strada di piazza Cavour, in pedalata lenta sotto la statua bronzea a lui dedicata.[13]