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I ruoli interpretati fino ad allora non erano, tuttavia, di primo piano e l'attore stentava ad affermarsi presso il grande pubblico. L'incontro col regista Alessandro Blasetti, attorno alla metà degli anni trenta, fu determinante per la sua carriera artistica. Blasetti, infatti, gli affidò un ruolo di un certo spessore in Contessa di Parma (1937), cui fece seguito quello del capitano francese Guy de la Motte in Ettore Fieramosca (1938), che ne sancì l'affermazione presso critica e pubblico italiani. Tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni quaranta, Blasetti e Mario Camerini erano considerati i migliori cineasti italiani del tempo. Valenti era uno degli attori più ricercati e pagati. Grazie anche alla direzione di Blasetti, l'attore raccolse altri tre successi: Un'avventura di Salvator Rosa (1939), in cui recitò per la prima volta con Luisa Ferida, La corona di ferro (1941) e La cena delle beffe (1942).
Nell'estate del 1943, con il crollo del regime fascista e i bombardamenti aerei degli Alleati sulla capitale a seguito dei tumulti della guerra, l'attività cinematografica nazionale subì un durissimo contraccolpo. Alla costituzione della Repubblica di Salò, Valenti, seguito dalla sua compagna di vita e di lavoro Luisa Ferida, scelse di trasferirsi nel Nord Italia, a Venezia, rinunciando così a un vantaggioso contratto per due film da girarsi in Spagna agli inizi del 1944[1].
Riprese dunque l'attività cinematografica, lavorando presso il costituendo Cinevillaggio, sorto nel capoluogo veneto subito dopo la proclamazione della RSI per volere del ministro Ferdinando Mezzasoma. Qui, insieme alla Ferida, girò Fatto di cronaca (1944), film diretto da Piero Ballerini, che fu il suo ultimo lungometraggio. Si stabilì successivamente a Bologna per alcuni giorni con la Ferida, che aspettava un figlio da lui. Nell'albergo Brues, l'attrice ebbe un aborto spontaneo. Valenti ne fu sconvolto e scrisse a un amico: «Non voglio più sentir parlare di arte e di cinema, e non mi voglio più recare nella Spagna dove pur ho un contratto vantaggiosissimo. Io sento che il mio dovere sarebbe di fare qualcosa di positivo per questo pezzo di terra che ancora ci rimane»[2].
L'arruolamento nella Xª Flottiglia MAS
Nel marzo del 1944 fu contattato da Mezzasoma, che intendeva affidargli l'incarico di Commissario Nazionale per lo spettacolo, ma Valenti rifiutò essendosi, all'insaputa di tutti, arruolato nella Xª Flottiglia MAS, comandata dal principe Junio Valerio Borghese. La sua adesione alla Repubblica Sociale, quantomeno stando alle considerazioni di Steno, sarebbe stata da ricercarsi sia in un suo certo disprezzo per tutti coloro che, al crollo del regime mussoliniano, s'erano prontamente riciclati come antifascisti dell'ultim'ora, sia per «una necessità di droga, perché Valenti, fin dall'epoca in cui era un noto divo, si drogava e frequentava un giro di gerarchi fascisti che facevano largo consumo di stupefacenti, dispensandoli a destra e a manca». Si trasferì dunque a Milano con la Ferida, dove gli fu riconosciuto il grado di tenente, e fu dislocato presso il Distaccamento "Milano". Nel capoluogo lombardo divenne, inoltre, ufficiale di collegamento con il Comando della Kriegsmarine in Italia, riscuotendone l'apprezzamento[4].
Entrò a far parte anche del Battaglione "Vega"[5][6][7] che, costituito nel maggio del 1944, era un'emanazione degli NP (battaglioni Nuotatori e Paracadutisti) che facevano parte del Servizio Informazioni della Marina Nazionale Repubblicana. D'altronde, Valenti aveva sottoscritto l'arruolamento al capitano Nino Buttazzoni, comandante degli NP. A partire dal maggio dello stesso anno, per conto della Xª Flottiglia MAS, prese parte ad alcune operazioni segrete di contrabbando verso la Svizzera, finalizzate, previa cessione di merci pregiate, a rimpinguare le esauste casse della Xª e della RSI[6][8], il tutto però all'insaputa degli alleati nazisti. L'operazione fu denominata "Missione Manzini", dal nome del tenente colonnello che la dirigeva.
Fu appositamente costituito a Lanzo d'Intelvi, presso il confine elvetico, all'interno di un convalescenziario della Marina, un supporto logistico gestito dal battaglione Nuotatori Paracadutisti.
In tutto, furono distaccati una ventina di uomini sotto il comando di Valenti[9], scelto per la dimestichezza con la lingua tedesca e francese. In queste operazioni fu affiancato dalla Ferida seppure priva di alcuna veste ufficiale[6].
Sulla sua scelta di inviare Valenti a Lanzo d'Intelvi, Nino Buttazzoni scrisse più tardi:
«Valenti mi sembra abbia un carattere impulsivo, con una buona dose di egocentrismo, ma è dotato di grande entusiasmo e approfitta della sua notorietà anche per facilitare la fuga in Svizzera di ebrei suoi conoscenti o di chi glielo chiede...Si accolla ogni spesa, comprese le mance ai doganieri elvetici.»
Quando poi gli NP lasciarono Lanzo d'Intelvi per necessità di guerra, le operazioni continuarono sotto il comando congiunto di Valenti e Manzini[10].
Nell'estate del 1944 entrò in contatto con Pietro Koch, che era a capo di una banda denominata "Squadra Speciale di Polizia Repubblicana", nota sia per le torture e le brutali uccisioni di partigiani e altri oppositori del regime, sia per le attività criminali in cui era coinvolta clandestinamente (fra cui, tra le altre cose, anche il traffico di cocaina[11]). L'attore era stato visto, talvolta, aggirarsi nel loro quartier generale di Villa Triste durante gli interrogatori effettuati da Koch e dalla sua «famigerata banda»[12]. La Banda Koch fu poi smantellata il 25 settembre dello stesso anno da una compagnia della Legione Muti, su ordine del questore di Milano, e per intervento diretto di Mussolini[13], che procedette all'arresto dei componenti del reparto, traducendoli al Carcere di San Vittore. Pietro Koch, quel giorno non presente al reparto, sfuggì momentaneamente all'arresto per essere poi catturato nell'autunno del 1944.
Il 28 settembre 1944, a seguito di una fortunata azione partigiana, che portò al disarmo di una intera compagnia del Battaglione Vega a Porlezza, Valenti fu richiamato da Lanzo d'Intelvi e inviato nella cittadina a condurre le trattative con i resistenti. Qui entrò in contatto con il capitano Ugo Ricci, comandante del distaccamento "Sozzi" della 52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici" in Val d'Intelvi, con il quale stabilì una tregua. La Decima si impegnò, in cambio della restituzione delle armi, a non molestare i partigiani[14]. Nel corso delle trattative si arrivò a progettare la proiezione del film Enrico IV in cui recitava lo stesso Valenti[14].
Processo sommario e morte
Il 20 aprile 1945, con la disfatta delle forze nazifasciste ormai imminente, Valenti decise di consegnarsi spontaneamente ad alcuni membri della Divisione partigiana Pasubio, confidando di poter avviarvi delle trattative per un suo salvacondotto. Fu poi raggiunto anche da Luisa Ferida. Da quel momento in poi, furono spostati varie volte in diverse prigioni segrete finché, in un processo sommario con un interrogatorio grottesco, fu decisa per loro la pena di morte, imposta da Giuseppe Marozin, a suo dire su diretto ordine di Sandro Pertini[15]; anche il saggista Aldo Lualdi e altri confermano tale versione.[16][17]
La coppia fu accusata di crimini di guerra. Il 28 aprile era stata pubblicata la falsa notizia dell'avvenuta fucilazione: in realtà vennero processati e condannati a morte il 29, dopo esser stati depredati di gioielli e denaro che portavano con loro[18], la sentenza fu eseguita: Valenti e Ferida furono uccisi con una raffica di mitra nella sera inoltrata del 30 aprile 1945.[17]
Oltre all'accusa a Valenti di tenere i contatti con il tenente Pietro Koch, per cui svolgeva un ruolo di collegamento con la Decima del principe Borghese, fu accusato di aver partecipato alle sevizie inflitte dalla Banda Koch in Villa Triste, fatto che poi risultò non sussistere; la Corte d'appello di Milano sancì l'innocenza di Luisa Ferida, seppure la sua presenza a Villa Triste fosse stata confermata da dichiarazioni di alcuni partigiani, torturati in quei giorni a Milano: ma l'attrice, in quel periodo incriminato, stava in ospedale per curarsi dopo un incidente automobilistico.[17][19] Negli anni sessanta il Ministero del Tesoro accolse la richiesta di Luisa Pansini, madre della Ferida, di poter riscuotere una pensione con i relativi arretrati, spettantele in quanto la figlia era morta per cause di guerra: non le sarebbe mai stata corrisposta, se la Ferida fosse stata ritenuta responsabile di crimini di guerra[20].
Valenti è sepolto assieme a Luisa Ferida, sua compagna di vita e lavoro, nel Campo X del Cimitero Maggiore di Milano, luogo dove hanno trovato sepoltura molti aderenti alla RSI.
L'arte di Valenti e la memoria
Osvaldo Valenti fu un attore dall'indubbio fascino e uno degli interpreti più significativi della cinematografia italiana del ventennio fascista. La sua recitazione apparve particolarmente adatta alle rievocazioni storiche di maniera e a una narrazione filmica tesa a sollecitare i sentimenti di adesione e compartecipazione dello spettatore. Il volto espressivo, dalle grandi capacità mimiche, gli occhi cerulei e ardenti, l'espressione vagamente melanconica, fecero di lui uno degli idoli perversi del grande pubblico, incarnazione, anche nella vita reale, degli eroi negativi che molto spesso interpretò sul grande schermo.[17]
Osvaldo Valenti fu doppiato in circa una ventina dei film che girò poiché la sua voce, sottile e dalla dizione non sempre inappuntabile, non era particolarmente gradita.
Tra gli attori che gli prestarono la voce:
Giulio Panicali in Il fornaretto di Venezia, Fanfulla da Lodi, Boccaccio, Giuliano de' Medici, Fedora
Augusto Marcacci in Capitan Fracassa, Beatrice Cenci, Idillio a Budapest, Enrico IV, La locandiera
^Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, Gennaio 1998, Pinerolo, p. 39
^Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, Gennaio 1998, Pinerolo, p. 40
^Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, Gennaio 1998, Pinerolo, p. 45
^Luigi Cazzadori, Osvaldo Valenti-Luisa Ferida, Novantico Editore, 1998, Pinerolo, p. 45 Il conte von Bossi: "Se tutti gli ufficiali italiani fedeli al patto di alleanza avessero la dignità del Valenti, le probabilità di vincere in questo settore aumenterebbero in proporzione geometrica"
^Pierpaolo Battistelli, Andrea Molinari, Luca Pastori, Stefano Rossi, Soldati e battaglie della seconda guerra mondiale - Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, Edizioni Hobby & work, 1999, pag.43
^abAldo Bertucci, Guerra segreta oltre le linee, Mursia, 1995, Milano, p. 167
^Giuseppe Marozin, Odissea Partigiana: I 19 della Pasubio, Milano, Azione Comune, 1965 pag 69
^Riferisce Lualdi: «Marozin e Faida si sono incontrati al mattino: il primo ha già avuto l'ordine di fucilare i prigionieri direttamente da Sandro Pertini, e con la raccomandazione di obbedire alla svelta. Faini ha ribadito lo stesso ordine, però vuole che prima sia fatto un processo. Ma dev'essere una semplice formalità, tanto per salvare la regolarità della fucilazione già decretata e "Vero", pseudonimo di Giuseppe Marozin, non può che ubbidire» cit. da Aldo Lualdi, Morire a Salò, La vera storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, Milano, 1975, pagg. 65-69) riportato in Italia settimanale nº 23 anno II - 9 giugno 1993 pag 54
Romano Bracalini, Celebri e dannati, Milano, Longanesi & C., 1985
Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, vol.II (Il cinema del regime 1929-1945), Roma (I ed. 1979, II ed. rivista e accresciuta 1993), Editori Riuniti, 1993 (ed. rivista e accresciuta; la I ed. è del 1979)
Claudio Carabba, Il Cinema del ventennio nero, Firenze, Vallecchi, 1974
Daniele Carozzi, Milano 1944: Villa Triste – La famigerata banda Koch, Milano, Meravigli edizioni, 2014