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Motivo: voce incentrata fin dall'incipit sulla funzione di resistenza della musica e sulla musica originale composta dai perseguitati. I rapporti tra musica e Olocausto sono però molto più complessi, come ben illustra la più accurata fonte online (Holocaust Music) parlando della musica in funzione di abuso, a maggior ragione se significativa per i prigionieri (v.), e della stessa «arte degenerata» che sopravvive nei lager con la tolleranza e a volte l'apprezzamento, consapevole o no, dei persecutori (v.).
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La musica dell'Olocausto fu composta nei ghetti, nei campi di concentramento, negli accampamenti dei partigiani, tra i rifugiati o in clandestinità per ribellarsi ai tedeschi, tra il 1933 e il 1945. Dopo la fine della seconda guerra mondiale la musica è diventata uno strumento della memoria per i superstiti dell'Olocausto e le generazioni successive, in una lunga serie di opere musicali ispirate all'Olocausto. Secondo Francesco Lotoro, fino al 2022 sono state recuperate circa 5000 composizioni scritte nel periodo dell'Olocausto dalle varie categorie di internati[1].
Introduzione
Molti musicisti e compositori furono coinvolti nell'Olocausto a causa della loro appartenenza "razziale" o in conseguenze delle loro idee politiche e del loro orientamento sessuale.[2] La musica stessa divenne terreno di scontro, facendosi il nazismo promotore di un proprio distintivo stile musicale che veniva chiamata "arte degenerata" il jazz, la dissonanza e ogni tendenza musicale anti-conformista.[3]Le basi teoriche delle teorie naziste sulla musica furono fornite dal saggio di Richard Wagner, "Il giudaismo nella musica" (Das Judentum in der Musik) (apparso sulla rivista Neue Zeitschrift für Musik il 3 e 6 settembre 1850) in cui il celeberrimo compositore contrapponeva la musica "tedesca" a quella "ebraica".[4][affermazione molto impegnativa: l'articolo, reperibile via Wikipedia Library, non ne reca traccia; del libro non è citata neanche la pagina]
I musicisti perseguitati reagirono usando la loro arte come una forma di resistenza spirituale e uno strumento di denuncia dell'oppressione. Già negli anni Trenta si materializza una strenua opposizione da parte di musicisti tedeschi nei campi di concentramento nazisti o dalle terre d'esilio, come nel caso di Hanns Eisler e Kurt Weill. La loro protesta presto coinvolse anche musicisti di altri paesi. Il compositore inglese Michael Tippett, un pacifista impegnato, concepì l'oratorio A Child of Our Time dopo aver appreso del pogrom della Kristallnacht (Night of Broken Glass) del novembre 1938 in Germania e Austria.[9] Desideroso di comunicare un messaggio universale di tolleranza, Tippett ha tuttavia omesso qualsiasi riferimento specifico agli eventi contemporanei nel suo libretto. La composizione, ispirata ai compositori dell'epoca barocca Bach e Handel e agli spirituals afroamericani, fu completata nel 1941 ed eseguita per la prima volta a Londra nel marzo del 1944.
Negli Stati Uniti degli anni '40 tra i numerosi rifugiati ci sono famosi musicisti e direttori d'orchestra europei, fuggiti per motivi politici o razziali, da Arthur Rubinstein a Mario Castelnuovo-Tedesco, da Erich Itor Kahn a Vittorio Rieti. Essi non mancarono di farsi portavoce delle sofferenze delle milioni di vittime dell'Olocausto ed a incitare la lotta di liberazione antifascista. Il 31 gennaio 1944 un adattamento dell'Inno delle Nazioni di Giuseppe Verdi ad opera di Arturo Toscanini fu radiotrasmesso con voce solista del tenore ebreo americano Jan Peerce.
Non tutti i compositori si trovarono nella condizione di poter far sentire liberamente la propria voce. Per gli artisti vissuti in clandestinità sotto l'occupazione nazista (come Joseph Beer in Francia,[10] o Guido Alberto Fano in Italia), la produzione musicale si svolge nell'ansia continua dell'arresto e della deportazione; la loro arte si preserva solo grazie al supporto e alla complicità di amici ed estimatori.
Anche nei ghetti e nei campi di internamento la musica continua tenacemente a esistere. C'è una musica "ufficiale", che i prigionieri sono costretti a eseguire nelle orchestre e nelle bande che le autorità naziste costituiscono anche nei campi di concentramento e di sterminio.[11] Ad essa si contrappone la musica clandestina dei deportati, i canti di protesta.[12] Nei ghetti (a Varsavia, Łódź, Łódź, Cracovia, Vilnius) i consigli di autogoverno ebraico continuano ad organizzare nei teatri spettacoli musicali e a offrire concerti. Ma si esegue musica anche nelle case private o, come a Varsavia organizzati da Adam Furmanski, nei caffè e nelle mense. La musica diventa una forma di resistenza spirituale per i musicisti e il loro pubblico. Musicisti di strada come Yankele Hershkowitz al ghetto di Łódź creano popolari canzoni.[13]
Coscienti dell'importanza della loro testimonianza per le generazioni future, i compositori si preoccupano di lasciare le loro opere in nascondigli di fortuna, quando anche per loro giunga il momento della deportazione finale nei campi di sterminio o di lavoro coatto. Ci si affida altrimenti alla memoria dei superstiti, come Aleksander Kulisiewicz o David Botwinik, che permetterà nel dopoguerra di ricostruire molti dei brani perduti.
Dopo la liberazione la musica diviene strumento di memoria e di compianto di fronte alla tragedia vissuta. Già nel 1947 appaiono composizioni originali, come Un sopravvissuto a Varsavia di Arnold Schönberg, mentre David Botwinik raccoglie dalla memoria orale i numerosi canti dei deportati.
Il tema dell'Olocausto penetra ben presto anche nella musica popolare. Woody Guthrie è negli Stati Uniti il primo cantautore a comporre una canzone ispirata ai campi di concentramento.
Gli anni sessanta, settanta e ottanta, ripropongono con ancora maggiore enfasi il binomio tra composizioni classiche e popolari. Da un lato, sulla line aperta da Arnold Schönberg abbiamo famosi compositori come Dmitrij Šostakovič, Luigi Nono, Krzysztof Penderecki, e Henryk Górecki. Dall'altro, troviamo cantautori di successo attraverso i quali le nuove generazioni si appropriano della memoria dell'Olocausto, vedendo in esso l'occasione di una riflessione più generale sui temi della pace e della tolleranza tra i popoli. Così è per Bob Dylan, Captain Beefheart e Leonard Cohen in Nord America, e Francesco Guccini e Jean Ferrat in Europa.
La musica da sempre gioca un ruolo importante nei film sull'Olocausto. Negli anni novanta John Williams e Nicola Piovani, compositori delle colonne sonore di due tra i celeberrimi film dedicati al soggetto, sono entrambi premiati con il premio Oscar.
Accanto all'attività di composizione di nuovi brani ispirati alla shoah, si sviluppa sin dai primi anni del dopoguerra la ricerca musicologica volta alla preservazione e all'esecuzione della musica composta al tempo delle persecuzioni. Vi si dedicano all'inizio alcuni musicisti superstiti dell'Olocausto, come Aleksander Kulisiewicz[16] o David Botwinik,[17] i quali si affidano alle loro memorie personali e intervistano altri sopravvissuti. Si giunge così alla redazione delle prime raccolte, alcune delle quali vengono già pubblicate alla fine degli anni quaranta.
In Italia il musicologo che ha dedicato la ricerca alla musica concentrazionaria e ai diversi "strumenti" impiegati per eseguirla è Francesco Lotoro che insieme ad altri collaboratori italiani nel 2014 ha costituito la Fondazione Istituto internazionale di Letteratura Musicale Concentrazionaria con sede a Barletta, ente che cura l'archivio della musica concentrazionaria recuperata da Lotoro in circa trent'anni[22] e a cui fa capo anche il progetto Cittadella della Musica Concentrazionaria, l'hub dedicato alla musica scritta nei lager, destinato a sorgere nella stessa città presso le rinnovate strutture dell'Ex Distilleria[23]. Dal 2022 l'archivio della Fondazione è sottoposto a vincolo del Ministero della Cultura per il "notevole interesse storico" dei suoi contenuti. [24]. Tra il 2022 e il 2023 nell'archivio sono confluite anche acquisizioni di opere d'arte legate alla Shoah e alla deportazione nei campi di concentramento, nonché due violini storici: il primo appartenuto al violinista polacco Jan Stanislaw Hillenbrand e da egli utilizzato nel campo di sterminio di Auschwitz e il secondo al militare italiano Cesare Savino, che lo suonò durante il suo internamento nel campo militare britannico di Huyton. [25][26].
Musica e Olocausto in Italia
All'inizio del Novecento, i molti musicisti e compositori italiani di origine ebraica erano perfettamente integrati nella vita musicale italiana. Niente cambiò inizialmente con l'avvento del fascismo. Gli ebrei italiani, come il resto della popolazione italiana, si divisero tra fascisti e antifascisti senza alcuna particolare distinzione. Per i più le leggi razziali fasciste del 1938 furono un trauma inatteso che improvvisamente e "inspiegabilmente" li isolava in un mondo nel quale fino a qual momento non avevano conosciuto alcuna forma di discriminazione.
Leone Sinigaglia e Alberto Franchetti erano già anziani (Franchetti morirà nel 1942). Per coloro che erano ancora nel pieno delle loro attività, rimanere in Italia significò adattarsi ad una vita precaria, dove era impedito loro di lavorare, insegnare, eseguire le loro composizioni. È il caso di Guido Alberto Fano e Alberto Gentili, che perdono il posto di insegnante rispettivamente al conservatorio di Milano e all'Università di Torino. Vittore Veneziani, direttore dal 1921 del coro della Scala di Milano, è costretto alle dimissioni, per assumere la direzione del coro nella sinagoga di Milano. La promettente carriera pianistica del giovane Mario Finzi è stroncata sul nascere. Come forma estrema di protesta Angelo Fortunato Formiggini, editore di molti volumi di critica musicale, si suicida gettandosi dalla torre del Duomo di Modena.
Il peggio doveva ancora venire. Con l'inizio delle deportazioni dopo l'8 settembre 1943, cominciò anche per gli ebrei italiani la drammatica lotta per la sopravvivenza. Leone Sinigaglia evitò la deportazione ma solo perché morì colpito da infarto al momento dell'arresto. Mario Finzi e il librario musicale Renato Levi perirono ad Auschwitz. Cesare Ferraresi e il cantante lirico Emilio Jani conobbero l'esperienza dei campi di concentramento. Vittore Veneziani fuggì in Svizzera. Guido Alberto Fano sopravvisse con la famiglia nascosto prima a Fossombrone e quindi ad Assisi, mentre Alberto Gentili riuscì a sfuggire ai nazi-fascisti nascondendosi in Val d’Aosta.
Tra i non ebrei Alfredo Casella, pur legato al regime fascista, visse il dramma personale di dover proteggere la moglie e la figlia ebree. Il baritono Titta Ruffo conobbe invece l'arresto per le sue idee socialiste. Il tenore Nicola Ugo Stame, direttamente coinvolto nella Resistenza, fu nel 1944 tra le vittime dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine. Dal suo esilio americano Arturo Toscanini divenne uno dei simboli internazionali della resistenza italiana al nazifascismo; il suo primo impegno di ritorno alla Scala nel 1945 sarà quello di reintegrare Vittore Veneziani nel suo ruolo di direttore del Coro del teatro.
La memoria dell'Olocausto ha ispirato nel dopoguerra anche in Italia celebri composizioni di musicisti come Luigi Nono e Nicola Piovani, nonché di cantautori come Francesco Guccini, Francesco De Gregori e Franco Battiato. In particolare da quando è stato istituito il Giorno della memoria nel 2000, si sono moltiplicate le manifestazioni che vedono al loro centro l'esecuzione di brani musicali composti al tempo dell'Olocausto o in sua memoria.
Canto di protesta in tedesco, fu composto nell'agosto 1933 su liriche di Johann Esser and Wolfgang Langhoff nel campo di concentramento di Börgermoor. Divenne immediatamente popolare tra i prigionieri. Tradotto in inglese e spagnolo conobbe un successo internazionale tra i militanti antifascisti. Goguel sopravviverà a oltre 10 anni di detenzione in vari campi di concentramento.[27]
Il compositore completò i primi due movimenti della sinfonia-cantata nell'estate del 1936 a Londra dove si era rifugiato dopo la presa del potere di Hitler. Continuò a lavorare alla composizione negli anni successive per completarla quindi nel dopoguerra.
L'opera-oratorio, di ispirazione sionistica su testo di Franz Werfel, fu rappresentata per la prima volta al Manhattan Opera House il 7 gennaio 1937 (per un totale di 153 rappresentazioni), nella versione inglese di Ludwig Lewisohn.
1938
Undzer shtetl brent (La nostra città sta bruciando)
Canto di protesta in yiddish, fu composto a Cracovia come risposta ad un pogrom avvenuto nel 1936 nella città polacca di Przytyk.[28] La resistenza ebraica sceglierà il canto come proprio inno durante l'Olocausto. Gebirtig viene assassinato dai nazisti nel giugno 1942 nel ghetto di Cracovia.
Il compositore compose il canto di protesta (in tedesco) nel settembre 1938 su liriche di un altro prigioniero politico, Jura Soyfer. Entrambi erano stati arrestati dalla Gestapo, dopo l'annessione dell'Austria al Reich. Dapprima eseguito in segreto, il canto divenne popolare tra i prigionieri. Al contrario di Soyfer (morto a Buchenwald), Zipper fu liberato per intervento della sua famiglia attraverso il pagamento di un'ingente cauzione. Fuggì a Parigi e quindi nelle Filippine dove fu direttore dell'Orchestra sinfonica di Manila. Dopo la guerra emigrò negli Stati Uniti.[30]
Una delle canzoni più popolari composte dal musicista di strada del ghetto di Łódź.[31] Hershkowitz fu l'autore di molte canzoni che documentano la vita nel ghetto e che dopo la guerra saranno raccolte dai sopravvissuti.
Il compositore, un pacifista impegnato, concepì l'oratorio come risposta agli eventi della Notte dei cristalli. L'opera fu eseguita la prima volta al teatro Adelphi, Londra, il 19 marzo 1944.
1941
Baym Geto Toyerl
Avrom Akselrod
(...-1944)
Avrom Akselrod, un ebreo polacco rifugiatosi in Lithuania allo scoppio della seconda guerra mondiale, scrisse il testo di questo canto nel settembre 1941 su una melodia popolare di Mark Warshawsky (Oyfn pripetshik). Il canto tratta del tema del contrabbando di cibo nel ghetto di Kovno. Akselrod morì nel luglio 1944 nel corso della liquidazione del ghetto.[32]
Il compositore, testimone di Geova, compose questo inno nel 1942 mentre era imprigionato nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Frost sopravvisse alla prigionia e l'inno - tradotto anche in inglese (Forward, You Witnesses) - divenne uno dei più popolari nella tradizione dei Testimoni di Geova.[33]
Il compositore mise in musica nel ghetto di Vilnius un testo in yiddish che Shmerke Kaczerginski aveva composto dopo aver saputo che la figlia dell'educatrice Rakhele Pupko-Krinski era riuscita ad affidare la propria figlioletta Sarah alle cure di un'amica polacca, Wiktoria Rodziewicz. Krimski morirà in un campo di concentramento in Estonia. Sia Kaczerginski che Pupko-Krinski (e la figlia Sarah) sopravviveranno all'Olocausto.[34]
Il compositore aveva allora solo 11 anni quando nell'aprile 1943 al ghetto di Vilnius compose, su testo di Shmerke Kaczerginski, questo canto in yiddish, destinato a diventare uno dei più popolari dell'Olocausto. È una lamentazione-denuncia del massacro di Ponary.
Ancora una canzone dal ghetto di Vilnius composta nell'aprile del 1943 sempre su testo di Shmerke Kaczerginski. Deportato nel settembre 1943 in un campo di concentramento in Estonia, il compositore vi troverà la morte.[35][36]
L'opera per bambini, su libretto di Adolf Hoffmeister, fu originariamente composta nel 1938 ma poi adattata dal compositore per la sua rappresentazione al campo di concentramento di Theresienstadt il 23 settembre 1943 (per un totale di 55 repliche fino al settembre 1944). Ne fu protagonista indiscusso il piccolo Honza Treichlinger, che, come il compositore e la maggioranza del pubblico e del cast, troverà la morte ad Auschwitz.
Benché Kahn riuscisse ad emigrare nel 1941 dalla Francia negli Stati Uniti, la sua vita e la sua opera restarono profondamente segnate dall'esperienza dell'Olocausto.
L'opera, composta a Theresienstadt, non vi fu mai rappresentata, perché la censura nazista vide in essa una critica troppo scoperta dei regimi totalitari. L'opera sarà eseguita per la prima volta ad Amsterdam nel 1975.
Assieme a Pavel Haas, Hans Krása, e Viktor Ullmann, Klein fu tra i maggiori compositori operanti a Terezin. Deportato ad Auschwitz e quindi a Fürstengrube, vi morì nel 1945.
"Oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra". In stile dodecafonico, è uno dei primi e più celebri brani musicali ispirati all'Olocausto. L'opera fu presentata per la prima volta il 4 novembre 1948 ad Albuquerque (New Mexico) dalla locale Civic Symphony Orchestra sotto la direzione di Kurt Frederick.
Composizione musicale "per viola e orchestra". Il compositore e violista, nato e cresciuto in Ungheria e già membro dell'orchestra sinfonica di Budapest, era emigrato in Palestina nel 1938, unendosi all'Orchestra filarmonica d'Israele.
1948
Lider fun di getos un lagern / Canti dei ghetti e dei lager
Nato a Vilna, il giovane compositore ebreo collaborò con il poeta Shmerke Kaczerginski alla raccolta di centinaia di canti inediti in yiddish intervistando i superstiti dei ghetti e dei lager. La pubblicazione uscì a cura del poeta Halpern Leivick.
Il cantautore americano scrisse questa canzone l'8 ottobre 1948, traendo ispirazione dal caso di Ilse Koch, "la strega di Buchenwald", criminale di guerra tedesca, il cui caso aveva avuto grande eco nell'opinione pubblica americana.
La musica del compositore austriaco Hanns Eisler contribuisce alla suggestione del documentario di Alain Resnais, prima rivisitazione critica cinematografica dell'Olocausto.
1956
Dem tog tsu gedenken / Il Giorno della memoria [I ed.]
Paul Dessau invitò un gruppo di musicisti della Germania Est e Ovest a collaborare alla realizzazione di questa cantata intesa come denuncia dell'antisemitismo passato e presente.
Il testo della cantata fu composto nel 1949 da Stephan Hermlin durante una visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Pubblicato nel 1951, fu musicato da Kochan nel 1965 ed eseguito per la prima volta il 25 maggio 1966 dalla Berlin Symphony Orchestra diretta da Kurt Masur a Berlino.
Celeberrima canzone del cantautore italiano e il brano musicale sull'Olocausto di maggiore popolarità in Italia. Il brano uscì dapprima nel settembre del 1966 dall'Equipe 84 nel singolo Bang bang/Auschwitz.[37] e fu quindi registrata l'anno successivo da Francesco Guccini nella raccolta Folk beat n. 1.[38]
l'autore ebreo, cresciuto negli Stati Uniti, confronta i propri ricordi dell'infanzia con quelli dei propri coetanei cresciuti in Europa durante l'Olocausto.
Il film di Steven Spielberg è il film di maggior successo sull'Olocausto, premiato con numerosi Oscar. Anche la colonna sonora del film riceve la statuetta.
La colonna sonora del film di Roberto Benigni, vincitore dell'Oscar come miglior film straniero, contribuisce in maniera determinante al successo internazionale della pellicola ed è premiata anch'essa con un premio Oscar.
Anche questa canzone del celebre cantautore italiano utilizza l'immagine dei treni dei deportati per porre l'interrogativo di come fosse possibile che nessuno vedesse quanto avveniva.
2008
Dem tog tsu gedenken / Il Giorno della memoria [II ed.]
Seconda versione, dopo quella del 1956, della composizione corale, su testo di Ida Massey. Presentata in prima esecuzione nell'aprile 2012 da The Chamber Singers of Haverfors and Bryn Mawr Colleges, sotto la direzione di Thomas Lloyd, con Lisa Willson (soprano).
Questa canzone di un altro celebre cantautore italiano si concentra sulla vicenda di Edith Stein, la filosofa e suora carmelitana uccisa ad Auschwitz per le sue origini ebraiche.
Nel 1948, il giovane Botwinik aveva pubblicato una raccolta di canti dei ghetti e dei lager. La nuova collezione presenta 56 canti originali del compositore ispirati alla memoria dell'Olocausto.
Una rievocazione del Ghetto di Varsavia, registrata dal vivo dal complesso con Moni Ovadia come voce recitante in occasione di uno spettacolo il 20 aprile 2013 al Teatro Ariosto di Reggio Emilia (Italia).
Note
^ Francesco Lotoro, Antologia musicale concentrazionaria - opere musicali scritte in cattività civile e militare durante la Seconda guerra mondiale, Barletta, Rotas editrice, 2015, ried. 2022, ISBN978-88-9498-366-1.
^M. Meyer, The Politics of Music in the Third Reich, New York: Peter Lang, 1993; M.H. Kater, The Twisted Muse: Musicians and their Music in the Third Reich, Oxford: Oxford University Press, 1997.
^Jens Malte Fischer, Richard Wagners 'Das Judentum in der Musik', Frankfurt: Insel Verlag, 2000. ISBN 978-3-458-34317-2
^The Music of Terezin (PDF), su windsorsymphony.com. URL consultato il 24 dicembre 2015 (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2015).
^Fania Fénelon, with Marcelle Routier, Playing For Time, Syracuse, NY: Syracuse University Press, 1997; Szymon Laks, Music of Another World, Evanston, IL: Northwestern University Press, 1989.
^Shoshana Kalisch, Yes, We Sang!: Songs of the Ghettos and Concentration Camps, New York: Harper & Row, 1985; Eleanor Mlotek, and Malke Gottlie, We Are Here: Songs of the Holocaust, New York: Workmen's Circle, 1983.
Francesco Lotoro, Un canto salverà il mondo. 1933-1953: la musica sopravvissuta alla deportazione, Milano, Feltrinelli, 2022, ISBN978-88-0749-317-1.
Francesco Lotoro, Antologia musicale concentrazionaria - opere musicali scritte in cattività civile e militare durante la Seconda guerra mondiale, Barletta, Rotas editrice, 2015 (riedizione 2021), ISBN978-88-9498-366-1.
(EN) Ruth Rubin, "The Struggle to Survive", in Voices of a People, Philadelphia: Jewish Publication Society, 1979.
(EN) Eleanor Mlotek, and Malke Gottlie, We Are Here: Songs of the Holocaust, New York: Workmen's Circle, 1983.
(EN) Shoshana Kalisch, Yes, We Sang!: Songs of the Ghettos and Concentration Camps, New York: Harper & Row, 1985.
(EN) Joza Karas, Music in Terezín 1941-1945, New York: 1985.
(EN) Moshe Hoch, et al., "Music, the Holocaust in". In Encyclopedia of the Holocaust, New York: Macmillan, 1990.
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