La Biblioteca viscontea fu probabilmente ispirata da Francesco Petrarca durante il suo soggiorno presso Giovanni II Visconti e soprattutto sotto Galeazzo II.[1] Intorno al 1378 la raccolta libraria doveva essere già abbastanza consistente, dato che in quell'anno fu visitata da Geoffrey Chaucer, allora impegnato in una missione diplomatica presso le corti di Galeazzo II e di Bernabò[2][3]. Notizie più precise si hanno a partire dal governo di Gian Galeazzo che diede definitivo avvio alla biblioteca grazie alla progressiva acquisizione di vari fondi librari, inizialmente per eredità familiare, come i manoscritti di Azzone Visconti, di Giovanni Visconti[4], di Galeazzo II, quelli di Bianca di Savoia e, dopo il 1385, la biblioteca personale dello zio Bernabò, formata principalmente da codici miniati contenenti romanzi cavallereschi. A questo nucleo iniziale si aggiunsero i manoscritti requisiti a personaggi caduti in disgrazia, così infatti accadde al ricco patrimonio librario di Pasquino Cappelli, cancelliere e ambasciatore del signore, accusato di tradimento nel 1398 e poi giustiziato[5], o giunsero nella biblioteca come preda di guerra, come la raccolta di manoscritti dei Carraresi (nella quale vi erano anche circa trenta codici appartenuti a Francesco Petrarca), presa con la conquista di Padova del 1388[6].
Nel corso degli anni la biblioteca si arricchì inoltre di numerose opere, commissionate dai Visconti prima e dagli Sforza poi, sia per l’istruzione dei rampolli delle due casate, sia per la devozione privata o pubblica, come i tanti manoscritti miniati a tema religioso. Inoltre la necessità di disporre di testi necessari per il governo dello stato, in ogni suo aspetto, fece giungere nella biblioteca manoscritti giuridici, filosofici, geografici, di retorica e di arte militare, mentre, contemporaneamente, per interesse personale dei signori nella biblioteca arrivarono testi di medicina, caccia, danza, giochi e, soprattutto, romanzi cavallereschi e, grazie a Filippo Maria Visconti, ultimo duca di Milano della dinastia viscontea (1392 – 1447), classici latini, greci[5] e volgari, tra cui la Divina Commedia di Dante o il Canzoniere di Petrarca[7]. Negli anni di Filippo Maria la biblioteca arrivò a contare circa 1.000 volumi, superiore di oltre tre volte alle più consistenti raccolte librarie contemporanee di altre famiglie signorili italiane, come i Gonzaga o gli Estensi[8]. Intorno alla metà del Quattrocento, secondo Vespasiano da Bisticci, scrittore e umanista al servizio di Federico da Montefeltro, le biblioteche più famose e importanti del continente erano la Biblioteca Vaticana, la Laurenziana, la Visconteo-Sforzesca e quella dell'università di Oxford[9].
La biblioteca del Duca Ludovico Sforza detto il Moro
Particolare attenzione alla biblioteca fu riservata da Ludovico il Moro che non solo, nel 1491, incaricò Tristano Calco di riordinare la biblioteca e l'archivio, ma si preoccupò anche dell'incremento delle raccolte facendo affluire nella collezione le donazioni ricevute di pezzi singoli o di interi fondi (come per i 25 titoli di medicina e astrologia appartenuti a Sforza Secondo Sforza), e anche il frutto di qualche sequestro, come nel caso dei volumi di Cicco Simonetta. Durante il governo di Ludovico il Moro giunsero nella biblioteca anche i libri greci dell'umanista Giorgio Merula e altri, tra cui un gruppo di manoscritti nei quali erano trascritti autori latini arrivati, nel 1494, dall'abbazia di Bobbio. Ma Ludovico fu anche interprete di vere e proprie operazioni culturali, nel 1499 incaricò l'ebreo Salomone, dottore in arti e medicina, di tradurre in latino le opere ebraiche presenti nella biblioteca, permettendogli di risiedere nel castello Visconteo al fine di svolgere più comodamente il suo lavoro[10].
I duchi di Milano si avvalsero sempre di copisti e miniatori di grande qualità, capaci di realizzare opere non solo perfette nella tecnica e nella forma, ma anche preziose ed eleganti, vero riflesso, almeno nelle intenzioni dei committenti, del raffinato gusto della corte. Tra i tanti artisti che lavorarono per i Visconti e gli Sforza vanno annoverati Giovannino de' Grassi, Michelino da Besozzo e Belbello da Pavia, interpreti del gotico internazionale, e, nella seconda metà del Quattrocento, Cristoforo, Ambrogio de' Predis e Giovan Pietro Birago, le cui opere, ormai di gusto rinascimentale, furono influenzate dalla scuola ferrarese e dalla pittura di Vincenzo Foppa e Leonardo da Vinci.Va poi evidenziato che tali codici avevano anche una funzione di rappresentanza, dato che molto spesso erano esibiti ai cortigiani, agli intellettuali e a sovrani, signori, aristocratici e ambasciatori di altre corti in visita al castello. Per tale ragione, tali manoscritti furono sempre realizzati con sfarzo e ricercatezza, come i codici fatti predisporre da Ludovico il Moro per il figlio Massimiliano o i lussuosi esemplari della Sforziade. Grazie agli inventari, sappiamo inoltre che quasi tutti i volumi avevano preziose copertine in velluto colorato o cuoio dorato e molti di essi erano provvisti di borchie e chiavi d’argento[5].
La sede e l'organizzazione della biblioteca
La biblioteca era collocata in una grande stanza al primo piano della torre di sud-ovest del castello Visconteo, un locale molto luminoso, dotato di bifore di grandi dimensioni ed era dotata di armadi e casse (nelle quali, oltre ai codici era custodito anche l’archivio ducale) e banchi per la consultazione, sopra i quali si trovavano volumi di pregio, fissati al mobile da catenelle. Ma la biblioteca non ospitava solo i codici e i documenti dell’archivio: nell’ambiente venivano riposti anche oggetti preziosi o curiosi, come un dente di narvalo, all’epoca ritenuto un corno di unicorno, e l’astrario di Giovanni Dondi.
Data la preziosità dei manoscritti, la biblioteca era vigilata dal castellano, che era tenuto a redigere periodici inventari dei volumi e dei documenti conservati, verificare periodicamente il loro stato e permettere la consultazione ai membri della famiglia ducale, gli unici ai quali era permesso il libero accesso alla biblioteca e il prestito dei codici, operazioni che potevano essere concesse anche ad altri individui solo se provvisti dell’autorizzazione diretta del duca[5].
Gli inventari antichi
Conosciamo il patrimonio librario della biblioteca grazie a quattro inventari conservati[14], il più antico, risalente al 1426[15] (ora conservato nella biblioteca Trivulziana di Milano), fu fatto redigere da Filippo Maria Visconti ed elenca 988 codici. Grazie a tale inventario sappiamo che la biblioteca custodiva anche volumi precedenti alla sua fondazione: il codice più antico risaliva al IX secolo e conteneva le Opere di Agostino giunto, probabilmente come preda bellica, da Verona (ora conservato a Parigi: Ms. lat. 1924). Ma vi erano anche tre manoscritti del X secolo, nove del XI, 35 del XII e una cinquantina del XIII[8]. Nel 1459, Francesco Sforza fece predisporre un nuovo inventario (ora custodito nella Bibliothèque Nationale di Parigi), grazie al quale sappiamo che la biblioteca aveva subito, forse nei turbinosi anni seguiti la morte di Filippo Maria, un certo impoverimento, dato che erano annoverati 824 codici. Negli anni seguenti, Galeazzo Maria Sforza incrementò il patrimonio della biblioteca facendovi giungere 126 manoscritti. Gli ultimi due inventari (entrambi conservati nell’archivio di Stato di Pavia) risalgono al 1488 e al 1490[11] e in particolare nell’ultimo, voluto da Ludovico il Moro in previsione di un riordino della biblioteca, compito che il signore affidò a Tristano Calco, i 947 codici che la compongono sono ormai divisi, con un criterio più moderno, per materie e discipline. Non sono stati per ora ritrovati inventari successivi a quello del 1490 e quindi non è certo il numero di codici (ai quali verosimilmente si erano aggiunti anche degli incunaboli) presenti nella biblioteca dopo gli incrementi del patrimonio librario promossi Ludovico il Moro, come pure ignoriamo il numero esatto dei volumi custoditi quando essa venne smembrata nel 1500 da Luigi XII.
«È questo il caso della collezione di manoscritti dei Carraresi, incamerata alla conquista di Padova nel 1388, nella quale si trovava almeno una trentina di codici appartenuti in origine da Francesco Petrarca»
^L'interesse nei confronti della letteratura toscana del XIV secolo, in special modo delle "tre corone fiorentine" Dante, Petrarca e Boccaccio, si rivelò dagli studi di Guiniforte Barzizza il quale, oltre a possedere una copia del Canzoniere petrarchesco, iniziò nel 1438 un commento alla Divina Commedia, si veda Cappelli, p. 238.
^ab Ugo Rozzo, La Biblioteca Visconteo-Sforzesca di Pavia, in Storia di Pavia, III, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1990, p. 242.
^ Ugo Rozzo, La Biblioteca Visconteo-Sforzesca di Pavia, in Storia di Pavia, III, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1990, pp. 249-250.
^ Ugo Rozzo, La Biblioteca Visconteo-Sforzesca di Pavia, in Storia di Pavia, III, Milano, Banca del Monte di Lombardia, 1990, pp. 259- 261.
Marie-Pierre Laffitte, Da Pavia a Parigi, le alterne fortune dei manoscritti dei duchi di Milano, in Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell'Europa, catalogo della mostra, a cura di Mauro Natale e Serena Romano, Skira, Milano 2015, pp. 41–45.
Simona Gavinelli, Manoscritti a Pavia tra studium e biblioteca del Castello, in Almum Studium Papiense. Storia dell'Università di Pavia, a cura di Dario Mantovani, Volume 1, Tomo I, Cisalpino, Pavia 2012, pp. 713–730.
Simonetta Cerrini, Libri dei Visconti-Sforza. Schede per una nuova edizione degli inventari, in "Studi petrarcheschi", VIII, 1991, pp. 239–281.
Ugo Rozzo, La Biblioteca Visconteo-Sforzesca di Pavia, in Storia di Pavia, Volume 3, Tomo II, Banca del Monte di Lombardia, Milano 1990, pp. 235–266.
Edoardo Fumagalli, Appunti sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in "Studi petrarcheschi", VII, 1990, pp. 93–211.
Giuseppe Billanovich, La biblioteca viscontea e i preumanismi padovani: Seneca Tragico, Ausonio, Ps. Quintiliano, in "Studi petrarcheschi", VII, 1990, pp. 213–231.
Élisabeth Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan. Supplément, Olschki, Firenze 1969.
Élisabeth Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de Milan, au XVe siècle, CNRS, Paris 1955.
Girolamo D'Adda, Indagini storiche, artistiche e bibliografiche sulla Libreria Visconteo-Sforzesca del Castello di Pavia compilate ed illustrate con documenti inediti, I, Brigola, Milano 1875.