La stagione è ciascuno dei periodi temporali in cui è suddiviso l'anno solare.
Esistono diversi modi di definire una stagione: quella più tradizionale è la suddivisione astronomica,[1][2] per la quale una stagione è l'intervallo di tempo che intercorre tra un equinozio e un solstizio. In tal caso si distinguono, almeno nelle zone temperate, quattro stagioni: primavera, estate, autunno, inverno; ciascuna di esse ha una durata costante di tre mesi e ben definita nel corso dell'anno, indipendentemente dalla latitudine e dalla collocazione geografica.
Esiste poi la suddivisione meteorologica, che invece tiene conto dei mutamenti climatici e ambientali che avvengono in un dato luogo nel corso dell'anno, e pertanto non coincide necessariamente con la suddivisione astronomica delle stagioni.
nelle zone temperate si distinguono in genere quattro stagioni meteorologiche più o meno simili a quelle astronomiche, ma la loro durata varia a seconda della latitudine e del microclima locale indotto dalla geografia circostante;
nelle regioni polari generalmente si distinguono due sole stagioni (spesso denominate sole di mezzanotte e notte polare, oppure semplicemente estate e inverno) determinate dalla presenza o meno del sole sopra l'orizzonte.
anche nelle zone tropicali, infine, si preferisce suddividere l'anno in due sole stagioni, definendole stagione delle piogge e stagione secca (anche se spesso sono presenti anche una stagione calda ed una fredda), determinate dai principali mutamenti climatici annuali.[3]
L'influsso dell'inclinazione della Terra sulle stagioni
Quando un emisfero si trova in inverno, questo è dovuto al fatto che i raggi solari colpiscono la superficie con una minore inclinazione rispetto all'orizzonte; come conseguenza si ha un minore grado di irraggiamento, l'atmosfera e la superficie assorbono meno calore e tutto l'emisfero risulta più freddo. Quando viceversa in un emisfero è estate, i raggi tendono al perpendicolo rispetto all'orizzonte e sia l'atmosfera sia la superficie assorbono maggior calore, con un conseguente aumento di temperatura.
L'effetto delle stagioni è sempre più evidente a mano a mano che dall'equatore ci si sposta verso i poli perché, a causa della diversa inclinazione della superficie terrestre rispetto ai raggi solari, la differenza di calore assorbito tra la condizione di massimo irraggiamento e quella di minimo irraggiamento diventa sempre più grande con l'aumentare della latitudine. Il ciclo delle stagioni di un emisfero è l'opposto di quello dell'altro. Quando è estate nell'emisfero boreale è inverno nell'emisfero australe e quando è primavera nell'emisfero boreale è autunno nell'emisfero australe.
L'inclinazione è di circa 23°27' rispetto alla perpendicolare al piano dell'eclittica.[4]
Se l'asse di rotazione fosse perfettamente perpendicolare al piano orbitale non esisterebbero le stagioni astronomiche, in quanto l'esposizione al calore e alla luce in una data porzione del pianeta sarebbe costante durante l'anno.
L'equatore, con il Sole perennemente allo zenit, avrebbe la massima insolazione, mentre i poli sarebbero sempre freddi, con il Sole costantemente sulla linea dell'orizzonte; non si parlerebbe di tropici (le latitudini più vicine all'equatore in cui il Sole può raggiungere lo zenit) e di circoli polari (le latitudini più vicine ai poli, in cui vi è almeno un giorno senza luce); il clima sarebbe di massima determinato solo dalla latitudine e non dal periodo dell'anno; la durata della notte sarebbe uguale a quello del dì in qualsiasi punto della Terra (in quanto non vi sarebbero solstizi, solo un perenne equinozio), eccezione fatta per i poli.
Eventuali variazioni climatiche sarebbero dovute a spostamenti di masse d'aria dalle regioni a diversa temperatura, benché non si potrebbe definirle "stagioni meteorologiche" in senso stretto.
A causa dell'inclinazione terrestre, l'emisfero boreale riceve il massimo dell'irraggiamento solare (in termini di calore) il giorno del solstizio d'estate mentre l'emisfero australe riceve il minimo irraggiamento solare nello stesso giorno e viceversa per il solstizio d'inverno. I solstizi però, nonostante rappresentino i massimi e i minimi in termini di irraggiamento solare, non coincidono, di solito, con il giorno più caldo o più freddo sulla Terra perché interviene l'azione termoregolatrice del mare che fa riscaldare o raffreddare più lentamente il pianeta, ritardando leggermente le varie stagioni grazie all'altissima capacità termica dell'acqua che costituisce il 70,8% della superficie terrestre.
Essendo inoltre l'orbita terrestre ellittica (con eccentricità pari a 0,0167), con il Sole in uno dei suoi fuochi, durante l'anno la Terra passa da una distanza minima dal Sole (perielio) a una massima (afelio).
Il perielio viene raggiunto approssimativamente all'inizio di gennaio, nell'inverno boreale; l'afelio è raggiunto all'inizio di luglio, nell'inverno australe.
Questa situazione è destinata a cambiare nel corso dei prossimi millenni a causa della lenta precessione dell'orbita terrestre (precessione anomalistica), che insieme a quella degli equinozi compie un ciclo completo in 25.800 anni (cicli di Milanković).[5]
Le stagioni astronomiche sono quelle comprese tra equinozi e solstizi, corrispondenti alle quattro zone in cui è divisibile l'ellisse tracciata dall'orbita della Terra intorno al Sole. Siccome queste non sono precisamente uguali, allora anche la durata della relativa stagione astronomica è differente:
La primavera boreale corrisponde all'autunno australe: dal 20 marzo al 20 o 21 giugno (93 giorni circa);
L'estate boreale corrisponde all'inverno australe: dal 20 o 21 giugno al 22 o 23 settembre (94 giorni circa);
L'autunno boreale corrisponde alla primavera australe: dal 22 o 23 settembre al 21 o 22 dicembre (90 giorni circa);
L'inverno boreale corrisponde all'estate australe: dal 21 o 22 dicembre al 20 marzo (89 giorni circa).
Le stagioni autunnale e primaverile cominciano con l'equinozio, mentre quelle estiva ed invernale hanno inizio con il solstizio. In occasione di un equinozio, le ore di luce e buio della giornata si equivalgono; nei solstizi prevarranno invece o il dì o la notte, rispettivamente in estate e inverno.[7]
Per la diversa distanza percorsa dalla Terra nell'arco delle stagioni, si ha che l'emisfero boreale beneficia di una maggiore durata dell'insolazione in primavera ed estate. Questo fenomeno è parzialmente compensato dal fatto che durante l'estate boreale la Terra si trova nel punto della sua orbita più lontano dal Sole (afelio), quindi l'irraggiamento complessivo ricevuto dal pianeta è leggermente minore rispetto al perielio, in cui è estate nell'emisfero australe.
Tenendo conto dei due effetti si stima che l'emisfero nord riceva circa il 7 per cento di insolazione in più rispetto all'emisfero sud, godendo quindi di inverni leggermente meno freddi e di estati leggermente meno calde.
Si osservi comunque che fenomeni climatici globali, tra i quali la maggiore estensione degli oceani nell'emisfero sud (che, cedendo calore durante l'inverno rendono gli inverni meno freddi e le estati meno torride) e lo scambio di calore dall'equatore ai poli contribuiscono non poco a mitigare la differenza nelle escursioni climatiche tra i due emisferi indotta dal diverso tasso di insolazione.
Le stagioni meteorologiche si basano invece su una convenzione umana di scienziati e climatologi, risultando così sfasate, in anticipo di circa venti giorni, rispetto all'effettiva data di equinozi e solstizi.[1] In ogni caso, nelle zone temperate delle medie latitudini comprendenti l'Europa centro-meridionale, la differenza fra le due tipologie di stagioni è minima.[2]
Secondo il criterio «meteorologico», l'inizio delle stagioni viene fatto coincidere col primo giorno dei mesi di passaggio contenenti i solstizi o gli equinozi, per la similiarità del clima con la stagione astronomica entrante.[8]
Mantenendo immutata la durata tipica di tre mesi, si ha quindi che:
La primavera interessa i mesi di marzo, aprile e maggio (1º marzo - 31 maggio)
L'estate interessa i mesi di giugno, luglio e agosto (1º giugno - 31 agosto)
I mesi statisticamente più freddi, più caldi e intermedi corrisponderebbero effettivamente a quelli identificati da tali periodi: ad esempio il freddo invernale inizia generalmente ai primi di dicembre, il tepore primaverile a marzo, e così via, mentre i mesi col clima più estremo (solitamente gennaio e luglio) vengono a cadere nel mezzo, diventando cioè i mesi centrali delle rispettive stagioni meteorologiche.
Tradizioni, miti e iconografia legati alle stagioni
Sin dall'antichità il succedersi delle stagioni era visto come il riflesso di impulsi cosmici che scandivano i ritmi della vita umana.[10] Il passare del tempo, oltre ad avere una mera funzione quantitativa, acquisiva così anche un significato qualitativo, portatore di archetipi espressi prevalentemente nei miti riguardanti le contese tra le forze della vita e della morte.[11]
Legate soprattutto all'attività agreste, le diverse proprietà delle stagioni rendevano manifesti dei princìpi ricorrenti che si potevano rivenire per analogia in altri aspetti della natura, quali ad esempio i punti cardinali, le età della vita, le ore del giorno, ecc.[12]
Anche in astrologia, i segni zodiacali influivano sugli esseri umani in base alla stagione, sicché era convinzione che il temperamento prevalente di ognuno risentisse delle condizioni temporali e climatiche in cui fosse nato.[18] Di seguito i segni appartenenti a ciascuna stagione:
La prima testimonianza di una suddivisione dell'anno in quattro stagioni sembra risalire al IV secolo a.C. presso gli antichi Greci, che le identificarono con le Horai,[4] ritraendole a partire dall'età ellenistica come figure dipensatrici di frutti e beni. Ma è soprattutto nel mondo romano che le stagioni ricevettero una vastissima iconografia con temi ben definiti:[4] così la primavera (Ver) venne raffigurata come una giovane donna agghindata con fiori, cornucopia, vincastropastorale e capretti; l'estate (Aestas) con fasci di spighe e falcemietitrice; l'autunno (Autumnus) coi frutti della vendemmia e rami d'olivo; l'inverno (Hiems) addobbato con abiti pesanti, recante cacciagione e uccelli acquatici.[4]
Il mito delle stagioni ebbe origine presso i Grandi Misteri Eleusini, durante i quali, in occasione delle cerimonie di iniziazione, il supremo ierofante invocava il Figlio della vergine Persefone, divenuta Proserpina tra i latini, la cui morte simboleggiava il grano seminato durante l'inverno, che avrebbe dato vita al frumento in primavera.[20] Sia Proserpina che sua madre, Demetra/Cerere, dea delle messi, sono in realtà entrambe metafore della Grande Madre che presiede ai cicli della natura, in cui il tema della verginità, della morte, e della nuova fecondità si riallaccia a quello delle stagioni.[21][22]
Secondo il mito, infatti, Cerere fece in modo che la terra non desse più alcun frutto, furente a seguito del rapimento di Proserpina da parte del re degli inferi, Ade/Plutone.
Per intervento di Giove si arrivò a un accordo, in base al quale Proserpina sarebbe rimasta con Plutone solo per un numero di mesi equivalente alla quantità di semi di melagrana da lei ingeriti nell'oltretomba, potendo così trascorrere con la madre il resto dell'anno. Cerere allora accoglieva con gioia il periodico ritorno di Proserpina sulla terra, facendo rifiorire la natura in primavera e in estate.[22][23] Analoghi significati sono rinvenibili nei miti della dea egiziana Iside.[21]