Nell'ambito della fisica aristotelica e dell'astronomia greca, le sfere del mondo sublunare indicano la regione del cosmo situata al di sotto del cielo della Luna, e costituita dai quattro elementi classici, ovvero: terra, acqua, aria e fuoco,[2] da intendere più che altro come espressioni tangibili di archetipi spirituali, di cui il loro aspetto fisico è la manifestazione più evidente.
Il mondo o la sfera sublunare è quindi il regno della natura soggetto al divenire e alla corruzione, a differenza del mondo astrale che, a partire dalla Luna salendo fino ai limiti dell'universo, è regolato da leggi permanenti e immutabili.[2]
Per comprendere la dimensione terrena, dominata dai quattro elementi, occorreva rifarsi alla realtà spiritualetrascendente, superiore alla prima sia spazialmente che ontologicamente,[4] e costituita da un solo componente, purissimo e cristallino, chiamato «etere» o quintessenza. I Greci in particolare spiegavano lo spostamento dei pianeti ritenendo che il cielo fosse fatto a strati, cioè che i vari pianeti fossero collocati su delle rispettive sfere in movimento, simili ad orbite, ognuno incastonato in una di esse come una gemma: era il movimento di queste sfere a farli muovere, trascinandoli con sé.[5]
Si trattava di sfere o cieli fatti appunto di etere incorruttibile, racchiusi uno dentro l'altro in maniera concentrica, i quali prendevano il nome dal pianeta che trasportavano: vi erano quindi, dall'interno verso l'esterno, il cielo della Luna (), di Mercurio (), di Venere (), del Sole (), di Marte (), di Giove (), di Saturno (), delle Stelle fisse, contenente lo zodiaco, e infine di un «primo mobile».[6] Quest'ultimo, cercando di imitare la perfetta immobilità di Dio (detto perciò «motore immobile»), era contraddistinto dal moto più regolare e uniforme che ci fosse, quello circolare, trasmettendolo a sua volta a tutti gli altri cieli.[5]
Il movimento tendeva tuttavia a corrompersi progressivamente dalla sfera più esterna verso quella sublunare, trasformandosi da circolare-uniforme in rettilineo. In tal modo la dottrina aristotelica poteva fornire un fondamento metafisico all'astrologia, poiché riconduceva tutti i mutamenti del mondo al movimento del primo cielo: il divenire terrestre cioè poteva essere previsto e spiegato astrologicamente, con cause non solamente meccaniche, ma soprattutto finalistiche, dotate di senso e destino.
Aristotele descrive il mondo sublunare in base alla dottrina dei quattro «luoghi naturali», nei quali dimora ciascuno degli elementi:[8] essi hanno cioè la tendenza a tornare nel loro rispettivo ambiente originario, se da questo vengono separati, come dimostra un sasso gettato nell'acqua che affondando tende ad andare verso la sua sfera, quella della terra, mentre le bolle d'aria che si liberano nell'acqua tendono ad andare verso l'alto, ossia la sfera dell'aria.[10] Al di sopra di tutti vi è il cerchio del fuoco, limite estremo oltre il quale la materia si rarefà ulteriormente nell'etere celeste, secondo una suddivisione in strati descritta ad esempio da Dante nella Divina Commedia.[11]
Dall'alto verso il basso si hanno dunque le seguenti sfere sublunari, il cui ordine riflette la scala naturae:
Il movimento naturale del fuoco e dell'aria tende verso l'alto, quello dell'acqua e della terra verso il basso.[8] Aristotele distingue pertanto il movimento naturale da quello violento, causato da un essere animato, che allontani con la forza uno dei quattro elementi dal suo ambiente naturale.[8]
Un terzo tipo di movimento è quello perfetto, proprio degli astri più elevati, i quali sospinti dalle sfere di etere conoscono solo il moto circolare, privo della contrapposizione bipolare tra alto e basso responsabile viceversa dei continui fenomeni di generazione e corruzione, nascita e morte.[8]
L'arabo Avicenna rielaborò la concezione aristotelica dei movimenti di generazione e corruzione confinandoli unicamente entro le sfere sublunari.[16] Gli scolastici medievali come Tommaso d'Aquino nella sua opera Summa Theologica, o Roberto Grossatesta nel De Luce, tracciarono sulle orme di Aristotele una netta separazione ontologica tra la natura delle sfere celesti e quella delle sfere sublunarie.[17]
Dante immaginava che il monte del Purgatorio fosse così alto da riuscire a raggiungere il limite estremo della sfera sublunare, sicché
«libero è qui da ogne alterazione: di quel che 'l ciel da sé in sé riceve esser ci puote, e non d'altro, cagione»,[18]
ovvero esso non risente dei fenomeni elementari atmosferici, perché ogni evento è causato unicamente dall'influsso celeste.
La concezione implicita nella struttura delle sfere sublunari continuò tuttavia a permeare la storia della filosofia, quale indicatore di un'irriducibile differenza ontologica tra la dimensione trascendente dell'Essere e quella degli enti sensibili, oppure venne riformulata in ambito esoterico, ad esempio nella cosmologia antroposofica promossa da Rudolf Steiner, che seppur sostituendo l'antica nozione di fuoco con quella di calore, distingueva quattro tipologie di etere, progressivamente condensatesi in forma fisica: si hanno così quattro strati che circondano la Terra, denominati da Steiner etere-calore, matrice del fuoco, etere-luce, da cui si origina l'aria, etere-chimico, da cui ha origine l'acqua, ed etere-vitale da cui ha origine la terra.[20] I primi tre compenetrano poi in ordine inverso l'interno della Terra, il nucleo della quale risulta dunque pervaso da un estremo calore.[21]
^Dettaglio da un'illustrazione di Andreas Cellarius da Harmonia Macrocosmica, riedita nel 1708.
^abPasquale Porro, Costantino Esposito, I mondi della filosofia, vol. I, Dalle origini alla Scolastica, § 5.19, Laterza, 2016.
^C. C. Gillespie, The Edge of Objectivity, pp. 13-15, Princeton University Press, 2016.
^Giovanni Reale e Abraham P. Bos, De mundo, pag. 341, nota 323, Vita e Pensiero, 1995.
^abAristotele, Fisica, libro VIII. Cfr. anche di Aristotele il De Coelo.
^Si deve a Claudio Tolomeo l'aggiunta di una nona sfera situata oltre il cielo stellato, chiamata appunto «primo mobile», che era il nome dato invece da Aristotele al cielo delle stelle fisse.
^Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Atlante della filosofia: gli autori e le scuole, le parole, le opere, pag. 515, Hoepli editore, 2006, ISBN 88-203-3620-0.
^Si trattava di proprietà che erano state dedotte da Aristotele in accordo anche con la fisiologia umana: «Ai tempi del filosofo greco non era minimamente possibile percepire un sasso che cade come qualcosa di completamente esterno all'uomo. L'esperienza era a quei tempi tale per cui l'uomo sentiva interiormente come doveva lui stesso sforzarsi e spronarsi per muoversi alla stessa velocità del sasso che cadeva» (Pietro Archiati, Dalla mia vita, pag. 28, Archiati Verlag, 2002).
«Ne l'ordine ch'io dico sono accline tutte nature, per diverse sorti, più al principio loro e men vicine; onde si muovono a diversi porti per lo gran mar de l'essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. Questi ne porta il foco inver' la luna; questi ne' cor mortali è permotore; questi la terra in sé stringe e aduna.» (Dante Alighieri, Paradiso, canto I, vv. 109-117)
Tutti gli elementi del creato sono portati cioè per istinto al principio naturale da cui provengono: quelli del fuoco verso la Luna, gli enti caduchi verso la Terra.
^Allan J. Stover, Nature's Magic, pag. 64, Theosophical University Press, 1948.