C. Desimoni lo considerava figlio o fratello di un Percivalle Doria, da non confondere con l'omonimo Percivalle Doria, anche trovatore e probabilmente suo cugino, mentre O. Schultz, sulla scorta di due documenti pubblicati dal Belgrano, lo ritiene figlio di Martino Doria e padre di Ezzellino Doria, signore di San Remo e Ceriana[1]. Così appare all'infeudazione della signoria di Varazze ai Malocelli nel 1290, firmandosi «Symon Aurie quondam Martini»[2].
È molto più probabile che il trovatore fosse il Simone Doria, riportato come ambasciatore a Ceuta in un trattato del 6 settembre del 1262. È podestà di Savona nel 1265–1266, uno dei tanti esempi di podestà-trovatori forniti dal XIII secolo, molti dei quali di Genova. Il 13 gennaio del 1265 tale Simone veniva mandato come ambasciatore a Genova per richiedere Tommaso Malocello come futuro podestà di Savona. Nel 1267 è di nuovo a Genova, e l'8 luglio firma un documento di ratifica della pace tra i genovesi e i cavalieri templari sotto Thomas Bérard. Nel 1290 era uno dei due"consiliatores" insieme a Ottobono Delfini all'infeudazione e divisione della Riviera di Ponente tra i Malocelli[2]. Questo Simone è l'ultimo menzionato nel 1293, allorché veniva nominato podestà di Albenga.
Omonimi
Un Simone Doria viene per la prima volta documentato nel 1253 a Tunisi, dove trasporta denaro e tessuti d'oro. Nel 1254 e 1256 viene riportato come marito di una Contessina, sorella di Giacomino, della casa dei margravi di Gavi. Nel 1257 accetta del denaro in mutuum. Nel 1267 è assente da Genova e ivi rappresentato da un procuratore. Il 13 marzo 1275 risulta morto. Ovviamente, banchiere o mercante che fosse, questo Simone è difficile da identificare con il trovatore.
Un certo Simone Doria era in possesso di una galera a Genova nel 1311. Costui probabilmente non era il trovatore, ma piuttosto lo stesso Simone che fu ambasciatore per il papa nel 1271 o 1281. Ci sono probabilmente tre Simone della famiglia Doria. È impossibile distinguerli perfettamente, ma la tenso con Alberto deve essere stata scritta prima del 1250, in base a un riferimento all'imperatore Federico II nel verso 40, sì che diventa più verosimile l'identificazione con l'ambasciatore-podestà della metà del secolo, mentre è quasi impossibile quella dell'armatore del 1311.
Opere
La tenso con Jacme Grils è conservata in due manoscritti: MS trobadorico "O", un'opera italiana del XIV secolo su pergamena, adesso "Latino 3208" nella Biblioteca Vaticana a Roma; e a1, un manoscritto italiano su carta del 1589, adesso alla Biblioteca Estense di Modena. L'inizio è di Simone:
(OC)
«Segne'n Iacme Grils, e.us deman, car vos vei larc e ben istan e qar per ric pretz sobeiran e per saver es mentaubutz, qe me digatz per q'es perdutz solatz e domneis mal volgutz.»
(IT)
«Signor Jacme Grils, vi domando, voi sì prodigo e benestante, ed in valore a tutti sovrastante, e per sapienza conosciuto, perché, dite, si è perduto il riso e il garbo è mal voluto?»
La tenso con Albert (identificado dal Schultz come Albertet de Sisteron[1]), N'Albert, chauçeç la cal mais vos plaira, si trova solo nel canzoniere chiamato "manoscritto trobadorico T", numerato 15211 nella Biblioteca nazionale di Francia, dove oggi si conserva. È in origine un'opera italiana del XIII secolo. Questa tenso è il solo lavoro databile nell'opera di Simon, grazie alla sua stanza V:
«testes e consiliatores Symon Aurie quondam Martini, Ottobonus de Varagine Dalfinus oo Ottobonus Dalfinus de Varagine»
Bibliografia
(IT) Bertoni, Giulio. I Trovatori d'Italia: Biografie, testi, tradizioni, note. Rome: Società Multigrafica Editrice Somu, 1967 [1915].
(EN) Meneghetti, Maria Luisa. "Intertextuality and dialogism in the troubadours." The Troubadours: An Introduction. Simon Gaunt and Sarah Kay, edd. Cambridge: Cambridge University Press, 1999. ISBN 0 521 574730.