L'uniforme e l'equipaggiamento dei Savari venne definito dall'ordine del giorno del 24 dicembre 1912. Come per gli àscari eritrei, ciascun reparto si distinguevano dai colori e dai motivi della fascia-distintivo di stoffa portata in vita[4], che riproducevano quello dello stendardo. Seppur con varie modifiche nel corso del tempo, i tratti distintivi dell'uniforme Savari erano la tachia[5]) di feltro rosso granata con fiocco azzurro, sotto-tachia[5] bianca e la farmula[6]; questa era il tradizionale gilet con cordoncino, chiuso anteriormente da due alamari dello stesso cordoncino; il colore del panno e del cordoncino identificavano il reparto[7][4]. Il fregio della cavalleria coloniale sul fez era quello dei palafrenieri, con cornetta, lance incrociate e fiamma; nel tondino il numero dello squadrone. L'armamento era costituito dal moschetto Mod. 91 da cavalleria con bandoliere in cuoio naturale Mod. 07 e Mod. 97 e dalla sciabola da cavalleria Mod. 71.
Fino al 1937 la gerarchia dei gradi era quella comune a tutte le truppe coloniali italiane. Il personale libico poteva arrivare fino al grado di sciumbasci capo, corrispondente al maresciallo aiutante. Dal 1939, quando la colonia libica divenne a tutti gli effetti territorio nazionale, con le provincie di Tripoli e di Bengasi, il personale militare libico si fregiò delle stellette e la gerarchia venne equiparata a quella nazionale, con particolari galloni per i gradi compresi tra soldato scelto libico ad aiutante libico[8].
Curiosità
Amedeo Guillet comandò un gruppo di Savari, il 7º Squadrone Savari, nel 1937 e con essi partecipò alle celebrazioni[9] legate alla dichiarazione di Mussolini di essere la Spada dell'Islam[10] (ma, deluso dalla mancata promozione al grado di capitano promessagli dal generale Frusci al suo rientro dalla guerra di Spagna, chiese subito trasferimento in Eritrea).
^abFasce e farmule dei vari reparti, su museocavalleria.it, Museo della Cavalleria di Pinerolo (TO). URL consultato il 6 novembre 2018 (archiviato dall'url originale il 5 marzo 2016).
^abtachia, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 novembre 2018.