Il 7 febbraio 1991 fu nominato vescovo di Città di Castello. Il suo episcopato in terra altotiberina fu caratterizzato da importanti scelte pastorali: la centralità della festa dei santi patroni, Florido e Amanzio, la celebrazione annuale dell'assemblea ecclesiale diocesana, la riorganizzazione della Scuola diocesana di Formazione teologica "Mons. Cesare Pagani", l'attenzione ai beni culturali attraverso il potenziamento del Museo diocesano del Duomo, dell'Archivio Storico Diocesano e della Biblioteca diocesana Storti-Guerri. Importanti anche le scelte nell'ambito della carità: casa di accoglienza e mensa della Caritas diocesana, casa di accoglienza per donne in difficoltà, sostegno al negozio del commercio equo e solidale. Sette i preti diocesani da lui ordinati e quattro i diaconi permanenti. Tra i momenti più significativi del suo episcopato a Città di Castello si ricordano la visita pastorale e la beatificazione del vescovo Carlo Liviero il 27 maggio 2007. Il suo stile pastorale fu caratterizzato da una frequente presenza nelle comunità parrocchiali e religiose, un rapporto personale aperto e gioviale, il contatto diretto con preti e laici, la capacità di ascolto e di inserimento nella comunità locale.
Nonostante gli impegni, monsignor Ronchi rimase legato alla sua terra: si recò spesso a Riolo Terme per celebrare le cresime, per presiedere la processione della Madonna nel mese di maggio, o per stare vicino ai familiari. Continuò ad essere legato al convento dei cappuccini di Faenza e, in particolare, a padre Gattiani, suo direttore spirituale[2].
Il 23 settembre 2007 rinunciò alla carica episcopale per raggiunti limiti di età; divenne vescovo emerito della medesima diocesi.
Nel 2017 il suo archivio personale fu donato all'Archivio storico diocesano di Città di Castello.
Ricoverato presso l'infermeria dei Frati cappuccini di Perugia, ivi morì il 24 ottobre 2018 all'età di 88 anni[1].