Le opere e la poetica di Carmelo Bene sono assai ricche e prolifiche, e abbracciano quasi quarant'anni di attività dell'autore, dal 1959 fino al 2002.
La sua discussa e controversa figura, spesso oggetto di clamorose polemiche, ha diviso critica e pubblico fin dagli esordi: considerato da alcuni un affabulante ingannatore e un presuntuoso "massacratore" di testi[1], per altri Bene è stato uno dei più grandi attori del Novecento. Dalle dichiarazioni di Bene risulta evidente il suo disprezzo per certa critica teatrale, da lui ritenuta "piena di parvenus". Tra i primi a rendergli omaggio si ricordano alcuni tra i più illustri esponenti del mondo intellettuale dell'epoca, come, ad esempio, Eugenio Montale, Alberto Moravia, Ennio Flaiano e Pier Paolo Pasolini. Bene ebbe poi modo di collaborare, tra gli altri, con Pierre Klossowski e Gilles Deleuze, i quali scrissero alcuni saggi sul modo di fare teatro dell'artista italiano. La lotta di Bene si rivolge contro il naturalismo e la drammaturgia borghese, contro le classiche visioni del teatro. Rivendica l'arte attoriale innalzando l'attore da mera maestranza (così definita da Silvio D'Amico) ad artista-personificazione assoluta del complesso teatrale. Il testo, poiché nato dalla penna di uno scrittore spesso avulso dal problema del linguaggio scenico, non può essere interpretato[2]: esso deve necessariamente essere ricreato dall'attore.
Carmelo Bene è contro il teatro di testo, per un teatro da lui definito "scrittura di scena"[3], un teatro del dire e non del detto. Fare "teatro del già detto" sarebbe un ripetere a memoria le parole di altri senza creatività, quello che Artaud definiva un "teatro di invertiti, droghieri, imbecilli, finocchi: in una parola di Occidentali". È l'attore, con la scrittura di scena, a fare teatro hic et nunc. Il testo viene considerato come "spazzatura", perché lo spettacolo va visto nella sua totalità. Il testo ha il medesimo valore di altri elementi come le luci, le musiche, le quinte. Il teatro di testo, di immedesimazione, viene definito da Bene come un teatro cabarettistico. Gli attori che si calano in dei ruoli, che interpretano, sono per lui degli intrattenitori, degli imbonitori, dei "trovarobe". Nel suo teatro, l'attore è l'Artefice. Il testo non viene più messo in risalto come nel teatro di testo, viene anzi martoriato, continuando un discorso iniziato da Artaud, che già aveva iniziato la distruzione del linguaggio, ma che per Bene fallì sulle scene, perché cadde nella interpretazione[2].
Bene distrugge l'Io sulla scena, l'immedesimazione in un ruolo[4], a favore di un teatro del soggetto-attore. Bene è stato definito Attore Artifex, cioè attore artefice di tutto, e lui stesso preferiva definirsi, con un neologismo, una "macchina attoriale": autore, regista, attore, scenografo, costumista.[5] Buona parte delle opere letterarie di Carmelo Bene le possiamo trovare raccolte in un volume unico, dal titolo Opere, con l'Autografia di un ritratto, nella collana dei Classici Bompiani. Inoltre La Fondazione Immemoriale di Carmelo Bene si preoccupa della "conservazione, divulgazione e promozione nazionale ed estera dell'opera totale di Carmelo Bene, concertistica, cinematografica, televisiva, teatrale, letteraria, poetica, teorica, ..."
Influenze sull'opera beniana
Sarebbe fuorviante parlare di "influenza" tout court sull'opera beniana, considerata l'impossibilità di trovare raffronti e/o filiazioni storico-geografiche, e come scrive Piergiorgio Giacchè, "chi conosce Bene e il suo teatro, sa che la sua singolarità è assoluta".[6] Bisogna considerare inoltre il fatto che già dagli esordi Bene si è dichiarato una volta per tutte "allievo di sé stesso".[7]
Fuori dal campo dell'arte e della filosofia, hanno contribuito alla sua formazione (oltre alla famiglia e all'ambiente nativo salentino naturalmente), le influenze sospese tra una probabile storia e l'immaginario come San Giuseppe da Copertino, Lorenzaccio, la non-storia dei Santi.[11] Decisive furono inoltre le esperienze delle migliaia di messe servite, dove l'infante Carmelo incominciò quasi inconsapevole ad avere a che fare con "il teatro come incomprensibilità e come incomprensione tra officianti e spettatori"[12]. Altra esperienza indimenticabile fu il mesetto, poi ridotto a due settimane, di permanenza in manicomio dove incominciò a rendersi conto del "linguaggio istituzionale normale" e quello "'scombinato o impeccabile" dei pazzi, delle vere "macchine demolitrici"[13].
Il Grande Teatro
Il linguaggio e la terminologia usati per spiegare il suo modo di concepire e "dis-fare" il teatro sono unici e inequivocabili, mai tentati prima, perciò Carmelo Bene si sente sempre necessitato a precisare, dicendo che il Grande Teatro, o altrimenti detto teatro senza spettacolo[14], è:
«... un non-luogo soprattutto; quindi è al riparo da qualsivoglia storia. È intestimoniabile. Cioè, lo spettatore per quanto Martire, testimone, nell'etimo [da martyr], per quanti sforzi possa compiere lo spettatore, dovrebbe non poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro.[15]»
In questo Grande Teatro agisce, o meglio, viene agito il non-attore o la macchina attoriale (conseguenza del grande attore), non vi è rappresentazione[16] e rappresentanza, divisione dei ruoli, messaggio più o meno sociale, psicodrammaticità. In questa utopia o "non-luogo", viene a imporsi l'osceno (fuori scena e fuori di sé) e l'assenza, il porno (l'aldilà del desiderio): tutti "concetti" di cui Bene ha dimostrato la sussistenza sperimentandoli in prima persona. Per questo sentiamo Bene sempre parlare di dis-fare e non di fare (teatro o altro), di di-scrivere e non di scrivere o descrivere, di non-attore e non di attore[17], di non-luogo, di assenza e non di presenza, di irrappresentabile e non di rappresentabile o rappresentazione, di porno e non di eros, di assenza di ruoli, di togliere di scena e non di mettere in scena, di essere agiti e non di agire, di esser detti e non di dire, ecc. La maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che questa revisione totale del teatro (riferita al suo linguaggio, al modo, alla forma e alla sua stessa essenza), consente a Bene di essere annoverato fra gli "attori" di genio e non di talento.
La macchina attoriale
La macchina attoriale (o C.B.) è la conseguenza del grande attore[17] che si è svestito delle umane capacità espressive corporee (vocalità, espressione del viso, gestualità, ecc.), per indossare una veste amplificata sia sonora che visiva. Quest'ultima sempre vincolata e soggiacente alla phoné comunque. Prima di tutto è importante l'amplificazione della voce, che permette all'attore di ricondurre l'emissione sonora al proprio interno. La voce della cosiddetta macchina attoriale non è una mera e semplice amplificazione ma è un'estensione del ventaglio timbrico e tonale, che, in questo caso, diventa un sistema unico e inscindibile, che ingloba corde vocali, cavità orale, contrazioni diaframmatiche, equalizzazione, amplificazione, ecc. La macchina attoriale è una fusione tra macchina e attore; l'amplificazione non è dunque una mera protesi ma un'estensione organica ulteriore dove la voce ormai non è più caratterizzata dalla sua fisicità, ma prevalentemente, diciamo così, dal meccanismo sonoro. Così come non si possiede un corpo ma si è il corpo, allo stesso modo si è o si diventa amplificazione, equalizzazione, ecc.
Bene facendo un esempio dice che:
«L'amplificazione non è assolutamente un gonflage, un ingrandimento, ma come guardare questa pagina: se io la guardo in questo modo, ecco, così, io vedo e così sento; ma se io avvicino questo [foglio], più l'avvicino, più i contorni vaniscono. I contorni vaniscono e non vedo più un bel niente.»
E inoltre aggiunge che la macchina attoriale è:
«... lettura intanto, come nella poesia, nella concertistica,... (Io) ho bisogno sempre [...] di leggere, di essere detto, non di riferire la cosa... [...] non per ricordare, o nella presunzione che lo scritto corrisponda all'orale. [...] Lo faccio per dimenticare. La lettura come oblio. La lettura paradossalmente come non ricordo[18].»
Nel seminario del 1984 Carmelo Bene spiega molto chiaramente il perché di una "lettura come non ricordo": il grande attore o la macchina attoriale è obbligata a stornare l'attenzione dal ricordo onde controllare quella che in musica viene detta fascia (che comprende timbri e toni), laddove è racchiuso tutto il "delirio [della voce], della concentrazione", dal cui limite non si può uscire. "Questa è la ragione fondamentale perché", nonostante C.B. conosca "a memoria Leopardi come pochi", è costretto a leggere onde "controllare questa fascia e al tempo stesso verificare "l'idiosincrasia" tra quanto si sta leggendo e quanto sta divenendo di lui.[19] Stornare completamente l'attenzione dalla "cadaverina mnemonica" è conditio sine qua non per far funzionare la macchina attoriale, dato che vi è una notevole mole di lavoro e concentrazione da dedicare altrove.
«I foniatri spiegherebbero benissimo l'immane fatica che bisogna fare a tirare una nota alta, mettiamo un SI, e poi scendere, scalare d'ottava, quindi andare due tonalità sotto, una sopra, senza uscire da questa fascia [...] Le corde vocali giocano nel palato... viene un gran mal di testa dopo un po'... e bisogna stare molto attenti perché si perde la voce con nulla.[19]»
Per quanto riguarda la parte visiva della macchina attoriale, Carmelo Bene ricorda che, non solo l'orecchio, ma anche.
«... l'occhio è ascolto. [...] Un'appoggiatura del capo, una frantumazione del gesto, uno due tre. ecc. e una disarticolazione del corpo...[20]»
Scrittura di scena, testo a monte e teatro di regia
La scrittura di scena, come il grande attore, precede l'ulteriore sviluppo rappresentato dalla macchina attoriale C.B.
«Io ho ripreso il discorso di Artaud, [...] la scrittura di scena è tutto quanto non è il testo a monte, è il testo sulla scena.[21]»
Precisando poi che l'importanza del testo nella scrittura di scena è del tutto uguale a qualsiasi altro oggetto che si trova sulla scena, che sia più o meno significativo poco importa, come per esempio il parco lampade, un tavolo, un pezzo di stoffa, ecc. Il testo a monte, invece, non è nient'altro che il testo originale, riproposto così in maniera più o meno fedele. Il teatro di regia rappresenta dunque un progetto, una direzione, contrariamente al campo minato e allo sprogettare della scrittura di scena.[22]
La phoné
Il fatto paradossale è che il suo teatro così incomprensibile abbia avuto infine, in modo prodigioso, un successo di vasta portata popolare. Questo equivoco lo spiega lo stesso Bene, dicendo che il linguaggio del Grande Teatro, incomprensibile per definizione, è comprensibile tout court su un piano d'ascolto diverso, essendo tutto affidato ai significanti e non al senso o al significato. Quindi, come succede per la musica, il Grande Teatro è fruibile, comprensibile anche da persone che parlano lingue diverse, come per esempio eschimesi, o cinesi, poiché la babelelinguistica viene risolta tutta nella phoné, e non nel senso. La phoné viene espressamente definita da Bene come rumore, che comprende anche la musica e il dire.[22]
La phoné è pur sempre un mezzo e non un fine, e a questo proposito Carmelo Bene fa una precisazione essenziale:
«Se qualcuno ha potuto definire la phonè una dialettica del pensiero, nego di aver qualcosa a che fare con la phonè. Io cerco il vuoto, che è la fine di ogni arte, di ogni storia, di ogni mondo.[23]»
Atto e azione, chronos e aion
L'altro pilastro su cui si basa il tipico modo di dis-fare il teatro di Bene è quello dell'impossibilità di una qualunque azione di realizzare appieno uno scopo, se non si smarrisce nell'atto. L'atto è ciò che tenta di negare, di ostacolare, ovvero sgambetta l'azione, restando orfana del suo artefice[24]. Anche in questo caso abbiamo a che fare con significanti e non con significati. Perciò Carmelo Bene scaglia anatemi ed improperi contro il teatro dell'azione o del "moto a luogo", che viene a svolgersi nel tempo Kronos, contro gli "spazzini del proscenio" (così definisce gli attori) del teatro di regia a cui contrappone quello della scrittura di scena (e in seguito quello della macchina attoriale) che accade nel tempo Aion. Sulla dicotomia Kronos/Aion è forte l'influenza di Gilles Deleuze che in Logica del senso (1969) ne sviluppò la teorizzazione a partire dal pensiero degli Stoici.
L'osceno, il porno, l'eros
Carmelo Bene dice che.
"...osceno vuol dire appunto, fuori dalla scena, cioè visibilmente invisibile di sé"[25]
Mentre cercando di definire la differenza tra eros e porno afferma che.
«L'erotismo è quanto di romanticamente stupido ci possa [essere]... appartiene all'io... [...] ...il plagio reciproco nella irreciprocità assoluta. [...] Il porno invece ... non è più il soggetto in quanto oggetto squalificato ma [...] è starsi da oggetto a oggetto, non da soggetto a soggetto.[26]»
Inoltre, Carmelo Bene definisce il porno come l'eccesso del desiderio, e più precisamente l'annullamento del soggetto nell'oggetto, quindi senza più la possibilità di un io desiderante. Nel porno c'è incantamento, smarrimento, dissolvimento, assenza; nell'Eros (l'amor facchino), c'è desiderio, e la conseguente ricerca febbrile del suo sempre frustrato e reiterato appagamento. Ancora Bene dà qualche ulteriore definizione dicendo che.
«... il porno si instaura dopo la morte del desiderio... - morto sacrificato eros - l'aldilà del desiderio.[27] Quando tu fai qualcosa al di là della voglia, la voglia della voglia, questo è il porno. È una svogliatezza.[28] [...] il porno è il manque, è quanto non è, è quanto ha superato se stesso, è quanto non ha voglia...[29]»
Il teatro di Carmelo Bene è specificamente nel porno e nell'osceno, non vi è possibilità di comprensione, poiché si è compresi, come del resto non ci può essere rappresentazione, poiché essa appartiene al teatro di regia, e non alla scrittura di scena. In questo caso la perdita del senso (non essendoci né rappresentazione né comprensione) è il presupposto fondamentale dell'osceno e dell'assenza. Si è nel porno, da non confondersi con la pornografia nel senso usuale del termine. L'osceno, o meglio l'o-sceno, è l'altrove, non essere dove si è, un superamento spazio-temporale, il non essere in scena; e Bene dice paradossalmente, appunto, di togliere e togliersi di scena, smarrire così anche e soprattutto l'identità, lo scopo per cui si è agiti, il senso e la direzione. Smarrirsi per non più ritrovarsi. C'è tutta questa passiva attività, questo scacco all'arroganza dell'io e del suo teatrino occidentale.
Sospensione del tragico
Carmelo Bene ne parla in questi termini.
«Un'azione fermata nell'atto è quanto m'è piaciuta definire sospensione del tragico. È così che, grazie all'interferenza d'un accidentaccio, la surgelata lama del comico si torce lancinante nella piaga inventata tra le pieghe risibili-velate della rappresentazione nel teatro senza spettacolo.[30]»
Il teatro della rappresentazione cerca di rendere la tragedia attendibile, credibile, con mezzi modi e maniere; mentre per Bene si tratta di minarne il suo senso dalle fondamenta. Sono fondamentali perciò tutta una serie di handicap appositamente creati sulla scena che consentono di trasgredire quanto prescritto e consolidato dalla tradizione. Ecco allora, per esempio, Riccardo III deformarsi con protesi, che scivola malamente, imprevedibilmente; Amleto che rifugge completamente (sebbene ne sia invischiato fino al collo) dal suo ruolo tragico con diversi e astuti sotterfugi. Anche sul piano dei monologhi e dialoghi monologati c'è questo sgambettarsi, questo cortocircuitarsi del linguaggio, tale da rendere inattendibile l'evento. La tragedia viene ecceduta dal comico, o diversamente detto: esiste una continuità tra il tragico e il comico e non un'effettiva apparente dissonanza; più che due facce della stessa medaglia, si tratta di una gradazione di infiniti doppi. Non c'è un margine che possa arginare il comico dal tragico o viceversa: si è in balia della trasgressione. Perciò, nel teatro di Carmelo Bene, il soggetto soltanto può essere assoggettato a questa variabilità, perturbabilità fondante e non l'Io che è rappresentativo, svolgendo un ruolo istituzionale e di controllo, anche quando sembra voglia trasgredire.
Il comico
Carmelo Bene descrive il comico, o meglio, il così da lui definito ipercomico, come "quanto di più asociale e libertino si possa concepire, se mai fosse concepibile", affermando che...
«Il comico è cianuro. Si libera nel corpo del tragico, lo cadaverizza e lo sfinisce in ghigno sospeso.[31]»
Perciò Bene considera gli attori come Benigni, Dario Fo, Charlie Chaplin, lo stesso Totò e persino il tanto da lui apprezzato Peppino De Filippo, ben lontani dalla gelida lama e dal freddo cadaverico del comico, poiché essi sono, chi in un modo chi in un altro, invischiati nella socialità, nell'intrattenimento, nell'attendibilità. Sono dei buffi, delle macchiette, contrariamente a quanto avviene per esempio nella sprezzante ironia di un Ettore Petrolini. Il comico, secondo Bene, permane nel porno ed è in definitiva nient'altro che la spalla o stampella del tragico.
Il femminile e l'avvento della donna a teatro
In età elisabettiana i ruoli femminili venivano recitati da maschi, e Carmelo Bene depreca l'abbandono di questa consuetudine, a favore dell'avvento, fatale, della donna sulla scena; e qui ora uomini e donne sono relegati ai loro ruoli specifici, smarrendo entrambi il femminile. Non si è più nel porno; resta il rapporto duale maschio-femmina, la caratterizzazione del loro genere e sessualità. Non c'è più il gioco, la trasgressione. E così si fa sul serio o si scherza, ma non si gioca più (in inglese recitare si dice to play e in francese jouer). Carmelo Bene inoltre considera la donna poco o nulla femminile[32], e si vede così costretto ad accollarsi il femminile che alla donna manca.
Spesso Carmelo Bene è stato accusato dalle femministe di maltrattare le donne a teatro[33], alle quali ribatte fornendo l'esempio dell'Otello che è il suo più grande omaggio fatto alla donna, in quanto assente.
Il degenere
Il degenere ("destabilizzazione di ogni genere"[19]) nel teatro beniano sta a significare, oltre all'impossibilità di un'identificazione precisa ed univoca del genere teatrale (farsa, commedia, tragedia, ecc.), anche la mancata o impossibile identificazione dell'attore o dell'artefice intercalato nei ruoli che gli dovrebbero competere, e ciò implica una completa revisione e trasgressione del testo a monte, attuate nella scrittura di scena. In senso lato, il degenere è tutto ciò che contraddice e non rispetta i luoghi comuni del teatro convenzionale, e in questo caso le acquisizioni accademiche essenziali del bagaglio di formazione attoriale, possono servire, se minate e disattese, alla macchina attoriale, per crearsi handicap irrinunciabili.
Oltre i modi
Gilles Deleuze definisce Carmelo Bene come colui che ha vinto la sfida del modale, e quindi il suo teatro viene di conseguenza ad essere considerato, e ormai accettato dagli studiosi più seri e preparati, non un modo di fare teatro, ma un superamento dei modi. I suoi presupposti si possono rintracciare nel suo decennale lavoro ossessivo-maniacale di attivo destrutturatore dei linguaggio teatrale, cinematografico, prosodico, ecc. È lo stesso Bene a fornire questo bilancio:
squartamento del linguaggio e del senso nella discrittura scenica…
disarticolazione del discorso succube del significante
togliere di scena (contro la confezione cultuale della “messa in…”)
demolizione della finzione scenica…
sartoria e scenotecnica-linguaggio
rinnovamento radicale del poema sinfonico (s)drammatizzato
la lettura attoriale come non ricordo del morto orale pre-scritto.
superamento d'Artaud e della “lingua degli angeli” mistico-espressionista (Blumner)
la sospensione del tragico
il cinema come immagine acustica…
neotecnica televisiva, discografica e radiofonia/determinante premessa alla strumentazione fonica amplificata
campionatura dei suoni e ri-conversione della voce
l'amplificazione a teatro (finalmente)
la macchina attoriale (tritalinguaggio-rappresentazione-soggetto-oggetto-Storia)[34]
Il depensamento e il problema del linguaggio
Il depensamento è, semplificando, l'opposto del pensare, non riconoscer-si (simile al neti neti dello yoga) né a questo né a quello. Il depensamento può essere considerato come forma di meditazione oppure come un lavorio interno, che conduce ad una non scelta tra gli infiniti doppi. Questo prodursi può paragonarsi al flusso di coscienza (stream of consciousness). Il depensamento comunque non appartiene categoricamente a un metodo colto e aristocratico di sperimentazione e conoscenza, ma fa parte anche e soprattutto della tipica indolenza del Sud, della classe per così dire ignorante, dei santi come San Giuseppe da Copertino, verso il quale Carmelo Bene nutre un'empatia e una profonda attrazione.
Qui subentra ovviamente anche il discorso dell'interferenza del potere del linguaggio e del linguaggio del potere costituito a cui si è assoggettati. Così come non si è nati per propria volontà[35], similmente si è succubi del linguaggio che dispone di noi, e di cui non ne disponiamo attivamente; infatti Carmelo Bene dice, facendo proprio quanto già ribadito da Lacan[36]: "quando crediamo di essere noi a dire, siamo detti". Contrariamente alla grammatica della lingua, nel linguaggio il soggetto è colui che subisce, che è assoggettato.
Il linguaggio così istituito e sedimentato, come un coacervo tirannico di luoghi comuni, è visto come una costante ed implicita minaccia che va debellata a tutti i costi. Per tutta la sua vita, il lavorio di Carmelo Bene è stato quello di dedicarsi a una pratica certosina di destrutturazione del linguaggio, alla ricerca dei suoi buchi neri, scardinando così la sua istituzionalizzazione e normalizzazione. Per quanto riguarda il lato artistico, lo scopo di tutto ciò è dare adito alla possibilità della realizzazione del Grande Teatro, o, in altri termini, del teatro senza spettacolo. Ciò rende chiara l'idea di come il depensamento e il lavorio intentato per la destrutturazione del linguaggio vadano di pari passo. Carmelo Bene non s'illude e, come per il linguaggio costituito a priori, al di là della volontà[35] del soggetto, si rende perfettamente conto che non si può evitare l'arroganza del potere del teatro, istituzionalizzato, il cui referente è sempre il teatro del potere, quello da lui definito di Stato, della rappresentazione. Nella memorabile trasmissione del MCS del 1994 Bene con veemenza proferisce parole significative riguardo al linguaggio e al suo potere che va ben al di là del soggetto e della volontà[35].
«È ora di cominciare a capire, a prendere confidenza con le parole. Non dico con la Parola, non col Verbo, ma con le parole; invece il linguaggio vi fotte. Vi trafora. Vi trapassa e voi non ve ne accorgete»
Il senso; significante e significato
Anche le parti dialogate nel teatro di Carmelo Bene si svolgono in forma di monologo, con la conseguente perdita del senso del dialogo o del discorso. Si perde altresì il senso della direzione. Spesso notiamo nelle performance di C.B., per esempio, che un urlo lanciato con veemenza invece di spaventare si autospaventa, come se trovasse di fronte un muro di gomma che lo restituisse al mittente; uno dei tanti altri esempi può essere quando Riccardo III si sputa allo specchio dove si sta mirando, pensando o facendo credere di essere sputato. C'è in più questa perdita del senso di identità, senso di causa ed effetto, di agente e agito, fino a sfociare alla perdita dell'identità del ruolo, come in Amleto che non gradisce proprio la sua parte così come scritta nel copione. In una scena del Macbeth, C.B. lancia un urlo e poi dice quasi rassicurato: "No, chi di voi ha fatto questo?.. Posso dire sono stato io?..." Nel teatro di C.B. è del tutto inutile e poco proficuo cercare il senso, la direzione, il significato o ancor peggio il messaggio, poiché si è sempre in balia dei significanti.
Essere e non-essere
Bene avverte nella coscienza dell'essere e dell'esserci una forma di strabismo che ci identifica in ciò che in effetti non siamo e non possiamo mai essere. Essere cosa? se tutto è in divenire? Carmelo Bene ripropone i tre assiomi di Gorgia:
- Nulla esiste
- E ammesso che qualcosa esista, non potremo mai conoscerlo
- E pur ammettendo che fossimo in grado di conoscerlo, non avremmo alcuna possibilità di poterlo comunicare.
In questi tre paradossi gorgiani è facile rintracciare i concetti di assenza, irrappresentabile, incomunicabilità, che caratterizzano il teatro e la pragmatica filosofia di C.B.
Il motto di Bene a tale proposito potrebbe essere, parafrasando la massima cartesiana, "non esisto: dunque sono"[37]. Oltre che sui giornali, riviste e opere letterarie, non è affatto raro che anche nelle sue apparizioni televisive l'artista salentino affronti il problema dell'essere, dell'esserci e del non-essere, trovando addirittura offensivo (più che fastidioso) questo rivolgersi a lui in modo ontologico[38].
La coscienza, la cultura
La "coscienza" [non la coscienza in sé o il noumeno kantiano], o "conoscenza", è ciò che si è sedimentato culturalmente e socialmente, che Bene aggredisce senza ripensamenti, specialmente se la "coscienza"' stessa diventa o si identifica nel civile. I suoi strali sono lanciati con rabbia anche contro la cultura (che per definizione è di Stato), il museo o il mausoleo, l'imbellettamento dei classici, le commemorazioni, la famiglia, ecc. L'elenco completo del resto sarebbe troppo esteso. Bene nella sua lettura derridiana, fa derivare etimologicamente "cultura" (nemica giurata dell'abbandono e della "divina stupidità") da colo, colonizzare.
L'immagine
Il rapporto che Carmelo Bene ha con l'immagine non è espressamente di iconoclastia, sebbene a volte possa sembrare il contrario[39]. Anzi, Bene afferma che l'immagine è volgare.
Questa destrutturazione, più che distruzione, dell'immagine gli serve per portare l'ascolto su un diverso piano, talché anche l'immagine diventi funzionale e, comunque, sempre subordinata alla phoné, accentuandone o caratterizzandone l'espressione, valorizzandola allo stesso modo della gestualità di un direttore d'orchestra. Carmelo Bene "crede molto nei volti", e nelle posture, più o meno cangianti, tanto che lo sfondo delle sue messe in scena è sovente, e quasi del tutto, monocolore, preferibilmente nero o a volte bianco. Lo spazio scenico, o dell'inquadratura, specialmente per quanto riguarda i volti in primo o primissimo piano e le figure, spesso è illuminato con un forte chiaroscuro.[40]
La "parentesi cinematografica"
La prima apparizione sul set cinematografico di Carmelo Bene come attore è nell'Edipo re di Pier Paolo Pasolini risalente al 1967. La parentesi cosiddetta cinematografica va dal '67 al '72 e sarà quella che gli darà notorietà e risonanza internazionale, e in Italia non senza scandali e attacchi feroci, non solo dalla critica dei detrattori ma anche dagli spettatori comuni, che causarono devastazioni selvagge e incendi nelle sale in cui avvenivano le proiezioni. Hermitage è il suo primo cortometraggio. Viene creata così la produzione C.B. che alla fine del quinquennio cinematografico subirà un rovinoso tracollo finanziario.
Le sue preferenze fin dagli esordi per Buster Keaton[9], e il totale disinteresse, se non disprezzo, per Charlie Chaplin[42], sono significativi per capire la matrice da cui evolverà il suo personale stile e il suo modo (oltre i modi) di fare cinema. Questo quinquennio gli è servito per demolire il cinema, infatti Nostra Signora dei Turchi viene oltretutto definito dallo stesso Bene una parodia spietata e feroce del cinema. E lo stesso immoderato trattamento è ravvisabile in altre produzioni di questo periodo.
Considerazioni sul mezzo cinematografico
Secondo Carmelo Bene il cinema, ultimo arrivato, è la pattumiera di tutte le arti (tranne i rari casi in cui il film filma se stesso). Apprezza così João César Monteiro, oltre a Buster Keaton[9] e pochi altri[43], coloro cioè che hanno superato il cinema stesso, "poiché non si può fare cinema col cinema, poesia con la poesia, pittura con la pittura, bisogna sempre fare altro...".[44] Ritroviamo nel cinema, comunque, lo stesso furore iconoclasta e le posizioni estreme che caratterizzano la sua produzione teatrale.
Per Carmelo Bene l'opera d'arte (il capolavoro) deve rappresentare l'arte ecceduta e non un semplice decorativismo o confezione infiocchettata, ovvero l'arte come superamento di se stessa; in altri termini, riprendendo quando già detto da Nietzsche, fuori dell'opera d'arte "si è dei capolavori". Bene era solito affermare che nei cosiddetti film d'azione non si "muove un bel niente", contrariamente a certi capolavori come le tele di Francis Bacon o alcune opere del Bernini (come la Beata Ludovica Albertoni) che possiedono una forma di "energia dinamica sospesa".
Carmelo Bene detesta gli effetti speciali; per esempio, trova il rallentatore e lo zoom oltremodo volgari. Se un torero d'arte[45], come tenta di definirsi lui stesso, "mette in gioco la pelle", "il cinema invece non rischia la pellicola", non si mette in gioco, non sente il bisogno contingente di "essere di qua e di là dalla macchina da presa", di essere nell'immediato. In Nostra Signora dei Turchi proprio la pellicola fu variamente calpestata, bruciacchiata, rovinata in modo metodico. Bene ricordando quell'esperienza dice:
«La mia frequentazione cinematografica è ossessionata dalla necessità continua di frantumare, maltrattare il visivo, fino talvolta a bruciare e calpestare la pellicola. M'è riuscito filmare una musicalità delle immagini che non si vedono, per di più seviziate da un montaggio frenetico.[46]»
Opere
Teatro
Dove non altrimenti specificato, autore, regista e interprete[2] è Carmelo Bene
1959, Caligola, di Albert Camus. Versione italiana di Alberto Ruggiero e Carmelo Bene. Regia di Alberto Ruggiero. Con Antonio Salines, Flavia Milanta (La Spezia 1934 - Perugia 2010). Scene e costumi di Titus Vossberg. Roma, Teatro delle Arti
Faust o Margherita, di Carmelo Bene e Franco Cuomo. Con L. Mancinelli, M. Tempesta, P. Vida, A. Angelucci, M. Kustermann, V. Nardone, R. Vadacea. Costumi di Carmelo Bene. Scene di S. Vendittelli. Roma, Teatro dei Satiri
Pinocchio, da Carlo Collodi (II edizione). Con L.Mancinelli, L.Mezzanotte, E.Florio, P.Vida. Roma, Teatro Centrale
Salomè, di Oscar Wilde (II edizione). Con L.Mancinelli, R.B.Scerrino, M. Nevastri, S.Siniscalchi, P.Prete. Roma, Teatro Beat 72--81.208.107.249 (msg) 17:48, 13 giu 2012 (CEST)
1973, Nostra Signora dei Turchi (II edizione). Con I. Marani, I. Russo, A. Vincenti, B. Baratti, F. Lombardo, G. Scala. Scene G. Marotta. Roma, Teatro delle Arti
1974
La cena delle beffe, da Sem Benelli. Con G. Proietti, L. Mancinelli, M. Fedele, A. Haber, F. Leo, A. B. Dakar, R. Lattanzio, C. Colombo, R. Caporali, S. Ranieri, I. Russo, C. Cassola, S. Nelli. Compagnia del Teatro Stabile dell'Aquila. Scene e costumi di Carmelo Bene. Musiche di V. Gelmetti. Firenze, Teatro La Pergola
Romeo e Giulietta, storia di William Shakespeare. Collaboratori al testo e alla traduzione italiana: Roberto Lerici e Franco Cuomo. Con L. Mezzanotte, L. Mancinelli, E. Florio, F. Branciaroli, P. Baroni, M. Brancaccio, A. Vincenti, M. Bronchi, L. Bosisio, R. Lerici, B. Lerici, L. D'Angelo. Musiche originali di Luigi Zito. Scene e costumi di Carmelo Bene. Maestro d'armi: E. Musumeci Greco. Prato, Teatro Metastasio
Riccardo III, da Shakespeare. Con L. Mancinelli, M. G. Grassini, D. Silverio, S. Javicoli, L. Morante, M. Boccucci. Musiche originali di Luigi Zito. Scene e costumi di Carmelo Bene. Cesena, Teatro Bonci
Manfred, poema drammatico di George Gordon Byron. Traduzione di Carmelo Bene. Con L. Mancinelli. Musiche di R. Schumann. Direttore d'orchestra: Piero Bellugi. Orchestra e coro dell'Accademia di S. Cecilia. Roma, Auditorium di Santa Cecilia / Milano, Teatro alla Scala
1980
Spettacolo-concerto Majakovskij (V edizione). Musiche di G. Giani Luporini. Percussioni dal vivo: A. Striano. Perugia, Teatro Morlacchi, XXXV Sagra Musicale Umbra
Hyperion, suite dall'opera per flauto e oboe di Bruno Maderna, con testo di Friedrich Hölderlin. Traduzione di Carmelo Bene.Direttore d'orchestra: Marcello Panni. Orchestra e coro dell'Accademia di S. Cecilia. Solisti: A. Persichilli (flauto), A. Loppi (oboe). Roma, Auditorium di Santa Cecilia
1982, Canti Orfici, poesia e musica per Dino Campana. Chitarra solista: Flavio Cucchi. Milano, Palazzo dello Sport
1983
Macbeth, due tempi, da W. Shakespeare. Con S. Javicoli. Musiche di Giuseppe Verdi. Orchestrazione e direzione: F. Zito. Scene e costumi di Carmelo Bene. Strumentazione fonica: R. Maenza. Milano, Teatro Lirico
Egmont, un ritratto di Goethe. Elaborazione per concerto e voce solista. Con B. Lerici. Musiche di Beethoven. Direttore d'orchestra: Marc Albrecht. Orchestra e coro dell'Accademia di Santa Cecilia. Roma, Accademia di Santa Cecilia
1984, L'Adelchi di Alessandro Manzoni in forma di concerto, uno studio di Carmelo Bene e Giuseppe Di Leva. Nel bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni. Con A. Perino. Musiche di G. Giani Luporini. Direttore d'orchestra: E. Collina. Orchestra e coro della RAI di Milano. Percussioni dal vivo: A. Striano. Milano, Teatro Lirico
1985, Otello, da William Shakespeare (II edizione). Con C. Borgognoni, V. De Margheriti, B. Fazzini, Isaac George, F. Mascherra, A. Perino, M. Polla De Luca. Musiche: Luigi Zito. Scene e costumi di Carmelo Bene. Pisa, Teatro Verdi
Hommelette for Hamlet, operetta inqualificabile da Jules Laforgue (IV edizione). Con U. Trama, M. Polla De Luca, A, Brugnini, S. De Santis, O, Cattaneo, W. Esposito, F. Felici, L. Fiaschi, D. Riboli, A. Zuccolo. Musiche adattate e dirette da Luigi Zito. Scene e costumi di G. Marotta. Sculture: G. Gianese. Bari, Teatro Piccinni
1989
La cena delle beffe, da Sem Benelli (II edizione). Con D. Zed, R. Baracchi, A. Brugnini, S. De Santis, D. Riboli. Voce di Ginevra S. Javicoli. Musiche di L. Ferrero. Scene e costumi di Carmelo Bene. Milano, Teatro Carcano
Hamlet suite, spettacolo concerto da Jules Laforgue (V edizione). Con M. Chiarabelli, P. Boschi. Arrangiamenti musicali: Carmelo Bene. Scene: Carmelo Bene. Costumi: L. Viglietti. Luci: D. Ronchieri. Verona, Teatro Romano, XXXVI Festival Shakesperiano
1996, Macbeth - horror suite, da Shakespeare (II edizione). Nel centenario della nascita di Antonin Artaud. Con S. Pasello. Musiche di Giuseppe Verdi. Arrangiamenti musicali: Carmelo Bene. Scene: T. Fario. Costumi: L. Viglietti.Luci: D. Ronchieri. Roma, Festival d'Autunno, Teatro Argentina
1997
Adelchi di Alessandro Manzoni, spettacolo in forma di concerto (II edizione). In memoria di Antonio Striano. Con E. Pozzi. Musiche di G. Giani Luporini. Luci: D. Ronchieri. Costumi: L. Viglietti. Roma, Teatro Quirino
1999, Gabriele D'Annunzio – concerto d'autore, poesia da “La figlia di Iorio”. Musiche di G. Giani Luporini. Scene: T. Fario. Luci: D. Ronchieri. Costumi: L. Viglietti. Roma, Teatro dell'Angelo
Il rosa e il nero, in F. Quadri, L'avanguardia teatrale in Italia, Einaudi, Torino, 1977.
Dramaturgie (contiene la traduzione in lingua francese di S.A.D.E. curata da J. P. Manganaro e D. Dubroca, e scritti di J. Guinot e F. Quadri), Garnier, Sarcelles, 1977.
Opere,con l'Autografia d'un ritratto, Bompiani, Milano 1995. (contiene l'opera omnia di Bene, selezionata e revisionata dall'autore, più un'antologia critica).
S.A.D.E. (Extrait), Travail Theatral, n. 27, Lausanne, 1977.
Fragments pour un auto-portrait, «Les Nouvelles Littéraires», Paris, 22 settembre 1977.
La Salomè di Oscar Wilde, Edizioni della Rai per il XXIX Premio Italia, Roma, settembre 1977.
Non fate il mio nome invano, «Paese Sera», Roma, 28 maggio 1978.
Discorso sull'attore – L'avvento della donna; «Paese Sera», Roma, 7 luglio 1978.
Discorso sull'attore, «Paese Sera», Roma, 10 luglio 1978.
Piccola storia dell'attore – Tra cerimonia e verità, «Paese Sera» 20 luglio 1978
Caro critico ma tu credi il mio teatro educativo?, «La Stampa», Torino, 16 febbraio 1979.
Niente scuole (a cura di S. Colomba), «Sipario degli attori», anno XXXV, n.405, pp. 54–55, II trimestre 1980,
Macbeth. Libretto e versione da Shakespeare di Carmelo Bene, in «Macbeth» (Programma di sala), 1983.
Brutti matti, «Dove sta Zazà, Rivista di cultura meridionale», nn.3-4, Pironti ed., Napoli, 1994.
Carmelo Bene, frammenti dal «Maurizio Costanzo Show» del 27 giugno 1994, selezionati e rielaborati da Sergio Fava, «Panta» – Conversazioni, n. 15, pp. 57–63, 1997.
Lezioni sull'arte, «Lo Straniero», anno VI, n.22, aprile 2002.
Volumi su Carmelo Bene
Alberto Arbasino, Grazie per le magnifiche rose, Feltrinelli, Milano, 1965.
Giuseppe Bartolucci, Carmelo Bene o della sovversione, in: La scrittura scenica, Lerici, Roma, 1968.
M. Moretti, Carmelo Bene Story, «Le théâtre», 1970, I, Bourgois ed., Paris, 1970.
Goffredo Fofi, Il cinema italiano: servi e padroni, Feltrinelli, Milano, 1972.
Franco Quadri, L'avanguardia teatrale in Italia (materiali 1960-1976), Einaudi, Torino, 1977.
F. Quadri, Il teatro di Carmelo Bene, in: Il teatro degli anni sessanta. Tradizione e ricerca, pp. 309–327, Einaudi, Torino, 1982.
L. Caffo, Flatus Vocis. Breve invito all'agire animale, Novalogos, Aprilia, 2012.
Maurizio Grande, L'uso della strumentazione elettronica nell'ultimo Bene, in: R. Tomassino (a cura di), Il suono del teatro, Acquario ed., Palermo, 1982.
Maurizio Grande, La riscossa di lucifero, Bulzoni, Roma, 1985.
M. Grande, La lettera mancata (uno studio su La cena delle beffe di Carmelo Bene), Marchesi ed., Roma, 1988.
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G. Bartalotta, Amleto in Italia nel Novecento, Adriatica ed., Bari, 1986.
G. Bartalotta, Carmelo Bene e Shakespeare, Bulzoni, Roma, 2000.
Sergio Colomba, Assolutamente moderni (figure, temi e incontri nello spettacolo del Novecento), introduzione di Claudio Meldolesi, Nuova Alfa ed., Bologna, 1994.
A. Attisani, Scena Occidentale, Cafoscarina, Venezia, 1995.
AA. VV., Per C. B. (con scritti di A. Aprà, A. Attisani, R. Castellucci, C. Cecchi, V. Dini, G. Fofi, P. Giacché, G. Giani Luporini, M. Grande, S. Lombardi, J.-P. Manganaro, N. Savarese, E. Tadini, G. Turchetta), Linea d'ombra ed., Milano, 1995.
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J.-P. Manganaro, Portrait sans corps – prefazione a: C. Bene, Théâtre. Oeuvres completes II suivi de Autographie d'un portrait, traduzione di J.-P. Manganaro, P.O.L., Paris, 2004.
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Giuseppe Leone, "Montale, Carmelo Bene e le Paralimpiadi 2016 di Rio, Pomezia-Notizie, Roma, Novembre 2016, pp.1-3.
Giuseppe Leone, "Ho sognato di vivere! Ovvero la cultura del doppio nelle poesie inedite di Carmelo Bene", Pomezia-Notizie, Roma, aprile 2021, pp. 5-7.
A proposito di "Arden of Feversham" (1968), mediometraggio (20'). Con Carmelo Bene, Giovanni Davoli, Manlio Nevastri. Irreperibile. Presso la Cineteca Nazionale è stato individuato il negativo privo di colonna sonora.
Nostra Signora dei Turchi (1968), lungometraggio (124'). Con Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Ornella Ferrari, Anita Masini, Salvatore Siniscalchi, Vincenzo Musso. Premio speciale della giuria al XXIX Festival di Venezia (“per la totale libertà con cui ha espresso la sua forza creativa mediante il mezzo cinematografico”). Musiche: Čajkovskij, 'Capriccio italiano'; Donizetti, 'Lucia di Lammermoor'; Musorgksij, 'Una notte sul Monte Calvo', 'Quadri di un'esposizione'; Gounod, Faust; Puccini, 'Manon Lescaut', 'La fanciulla del West'; Rachmaninov, 'Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra'; Rossini, 'La gazza ladra'; Stravinskij, 'Petrouchkà; Verdi, 'Un ballo in maschera', 'La Traviatà; Jarre, tema da 'Lawrence d'Arabià; Karas, tema da 'Il terzo uomo'.
Capricci (1969), lungometraggio (89'). Con Carmelo Bene, Anne Wiazemsky, Tonino Caputo, Giovanni Davoli, Ornella Ferrari, Gian Carlo Fusco, Poldo Bendandi. Presentato al XXII Festival di Cannes 1969, Quinzaine des Realisateurs. Musiche: Čajkovskij, 'Capriccio italiano'; Puccini, 'La Bohéme'; Verdi, 'Macbeth', 'La Traviata'.
Don Giovanni (1970), lungometraggio (90'). Musiche: Bizet, 'Carmen'; Donizetti, 'Don Pasquale'; Mozart, 'Don Giovanni'; Musorgskij, 'Quadri di un'esposizione'; Prokof'ev, 'Aleksandr Nevskij'; Verdi, 'Simon Boccanegra'.
Un Amleto di meno (1973), lungometraggio (70'). Con Carmelo Bene, Luciana Cante, Sergio di Giulio, Franco Leo, Lydia Mancinelli, Luigi Mezzanotte, Isabella Russo, Giuseppe Tuminelli, Alfiero Vincenti. Soggetto liberamente tratto da: Jules Laforgue, “Hamlet, ou les suites de le pitié filiale” (1877). Musiche: Musorgksij, 'Quadri di un'esposizione'; Rossini, 'La gazza ladra', 'Il turco in Italià, 'L'italiana in Algeri'; Stravinskij, 'L'histoire du soldat'; Wagner, 'Tannhauser', 'Tristano e Isotta'.
Partecipazioni
Un'ora prima di Amleto + Pinocchio di Paolo Brunatto, 1965
Bene! Quattro diversi modi di morire in versi. Blok-Majakovskij-Esènin-Pasternak; adattamento testi di C.B. e R. Lerici; traduzioni di: I. Ambrogio, R. Poggioli, A. M. Ripellino, B. Carnevali; riduzione, adattamento, regia e voce recitante C.B.; scene M. Fiorespino; direttore della fotografia G. Abballe; musiche di V. Gelmetti; voce solista C: B.; assistente alla regia C. Tempestini; mixer video A. Lepore; operatori RVM: m: Nicoletti, E. Piccirilli; produzione RAI; durata 1h 20', trasmesso in due parti il 27 e 28/10/1977, Rai 2.
Amleto, di Carmelo Bene (da Shakespeare a Laforgue); regia, scene, costumi e interprete[2] principale C.B.; direttore della fotografia G. Abballe; montaggio RVM G. Marguccio; musiche L. Zito; altri interpreti: A. Vincenti, J. P. Boucher, F. Leo, P. Baroni, L. Mezzanotte, D. Silverio, S. Javicoli, L. Bosisio, M. A. Nobencourt, L. Morante, L. Mancinelli, C. Cinieri; delegato alla produzione R. Carlotto; produzione RAI; durata 63'; trasmesso il 22/4/1978, Rai 2.
1977 Riccardo III (da Shakespeare) secondo Carmelo Bene; regia, scene, costumi e interprete[2] principale C.B.; direttore della fotografia G. Abballe; montaggio RVM S. Spini; musiche L. Zito; altri interpreti: L. Mancinelli, M. G. Grassini, D. Silverio, S. Javicoli, L. Morante, L. Dotti; assistente alla regia A.M. Angeli; tecnico audio B. Severo; mixer video G. Casalinuovi; elaborazione elettronica per il colore G. Virgili; delegato al programma R. Carlotto; produzione RAI; durata 76'; trasmesso il 7/12/1981, Rai 2 (e il 5/1/1984)
1979 Manfred versione per concerto in forma d'oratorio; regia e interprete[2] principale C.B.; direttore della fotografia G. Abballe; aiuto regia M. Fogliatti; montaggio RVM F. Biccari; elaborazione elettronica per il colore M. Taruffi; direttore di scena M. Contini; mixer video M. Agrestini, S. Di Paolis; mixage audio A. Bianchi; altri interpreti: Astarte - L. Mancinelli, (soprano) A. Tammaro, (contralto) S. Mukhametova, (tenore) D. Di Domenico, (bassi) F. Tasin, B. Ferracchiato, A. Picciau, A. Santi; Orchestra e coro comunale di Bologna; direttore d'orchestra P. Bellugi; maestro del coro L. Magiera; registrazione in esterni, realizzazione e produzione RAI; coordinamento per l'edizione L. Stefanucci; trasmesso il 12/9/1983, Rai 2
1984 L'Adelchi, di Alessandro Manzoni in forma di concerto; da uno studio di C.B. e Giuseppe Di Leva “L'Adelchi o la volgarità del politico”; regia e interprete[2] principale C.B.;regia televisiva C. Battistoni; musiche G. G. Luporini; altri interpreti: Ermengarda – A. Perino; percussioni live A. Striano; registrato al Teatro Lirico di Milano 1984; trasmesso il 9/9/1985, Rai 2
1987
Carmelo Bene e i canti di Giacomo Leopardi; intervista introduttiva con M. Grande e Vanni Leopardi e lettura dei Canti di C.B.; riprese in diretta da Villa Leopardi e in piazza Leopardi a Recanati; regia televisiva F. Di Rosa; trasmesso il 12/9/1985, Rai 3.
Hommelette for Hamlet, operetta inqualificabile (da J. Laforgue); regia e interprete[2] principale C.B.; scene e costumi G. Marotta; direttore della fotografia G. Abballe; musiche originali adattate e dirette da L. Zito;sculture G. Gianese; direttore di scena M. Contini; fonico mixer S. Santori; fonico recordista M. Corazzini; altri interpreti: il Re – U. Trama, Kate - Marina Polla De Luca, Orazio - A. Brugnini, Gertrude - S. De Santis, Will - V. Waiman, gli angeli – O. Cattaneo, W. Esposito, F. Felice, L. Fiaschi, D. Riboli, A. Zuccolo; produzione Nostra Signora S.r.l. – RAI; durata 62'; trasmesso il 25/11/1990, Rai 3.
1996
Macbeth horror suite di Carmelo Bene da William Shakespeare; regia e interprete[2] principale C.B. musica da G. Verdi; montaggio P. Centomani; altri interpreti: Lady Macbeth – S. Pasello; scene T. Fario; costumi L. Viglietti; datore luci D. Ronchieri; montaggio audio E. Savinelli; tecnico video P. Murolo; mixer video C. Ciampa; assistente alla regia M. Lamagna; ottimizzazione A. Loreto; direttore di produzione G. Pagano; produzione Nostra Signora S.r.l. e RAI; realizzato nel Centro di Produzione Tv di Napoli; durata 60'; trasmesso il 5/4/1997, Rai 2.
Lectura Dantis, regia e interprete[2] principale C.B.; montaggio P. Centomani; montaggio audio E. Savinelli; tecnico video P. Murolo; mixer video C. Ciampa; assistente alla regia M. Lamagna; ottimizzazione A. Loreto; direttore di produzione G. Pagano; produzione Nostra Signora S.r.l. e RAI; realizzato nel Centro di Produzione Tv di Napoli; Rai 2. Inedito.
Canti orfici, regia e interprete[2] principale C.B.; montaggio P. Centomani; montaggio audio E. Savinelli; tecnico video P. Murolo; mixer video C. Ciampa; assistente alla regia M. Lamagna; ottimizzazione A. Loreto; direttore di produzione G. Pagano; produzione Nostra Signora S.r.l. e RAI; realizzato nel Centro di Produzione Tv di Napoli; durata 62'33", trasmesso da Rai 2.
1997 Carmelo Bene - In-vulnerabilità d'Achille (tra Sciro e Ilio), libera versione poetica da Stazio, Kleist, Omero ci Carmelo Bene; regia, scene, costumi e voce solista C.B.; tecnico del suono A. Macchia; montaggio M. Contini; produzione Nostra Signora S.r.l., Rai; durata 50'50".
1998 Carmelo Bene e la voce dei Canti, dai Canti di G. Leopardi, regia e interprete[2] C.B; musiche di G. Giani Luporini; pianoforte solista S. Bergamasco; tecnici del suono D. D'Angelo, A. Macchia; montaggio M. Contini; direttore di studio T. Fario; Luci D. Ronchieri; produzione Nostra Signora S.r.l., Rai e l'Assessorato alla Cultura di Roma; trasmesso in sette puntate di circa 30' dal giugno al luglio 1998 da Rai 2.
1999 Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza; riduzione e adattamento da Caro Collodi di Carmelo Bene; regia e interprete[2] principale C.B., musiche G. Giani Luporini; scene e maschere T. Fario; costumi L. Viglietti; direttore della fotografia G. Caporali; montaggio F. Lolli; altri interpreti: S. Bergamasco; luci spettacolo D. Ronchieri;fonico A. Macchia; assistente alla regia M. Lamagna; postproduzione audio C. Bocci; postproduzione in Edit box C. Bonavita; direttore di produzione G. de Vizio; produzione RAI e Nostra Signora S.r.l.; durata 75'; trasmesso il 29/5/1999, Rai 2.
2001Carmelo Bene in Carmelo Bene – quattro momenti su tutto il nulla, di C.B.; luci P. Rachi; cameraman N. Confalonieri; direttore produzione R. Romoli; montaggio A. Buonomo; direttore tecnico C.B.; produzione Nostra Signora S.r.l., S. Giussani -Sacha Film e P. Ruspoli - Rai Trade, durata1 h 45'; Rai 2 Palcoscenico
2002Otello o la deficienza della donna di William Shakespeare secondo Carmelo Bene, riprese del 1979; girato in due pollici, durata circa 15 ore, presso gli studi Rai di Torino; montaggio 2001/2002 di C.B. e M. Fogliatti; regia scene, costumi e interprete[2] principale C.B.; musiche L. Zito; altri interpreti: C. Cinieri, M. Martini, L. Bosisio, C. Dell'Aguzzo, J.P. Boucher; produzione RAI; in onore di Carmelo Bene proiettato in prima internazionale al Teatro Argentina il 18 marzo 2002.; durata 76' 46".
2003 Lorenzaccio, al di là di de Musset e Benedetto Varchi, di Carmelo Bene. Regia di Carmelo Bene, interpreti[2]: Carmelo Bene, Isaac George, Mauro Contini. Registrazione dello spettacolo teatrale del 1986, montaggio di Mauro Contini con la supervisione di Carmelo Bene. Direzione televisiva: Mauro Contini, Produzione: Fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene in collaborazione con Rai International e il comune di Roma, durata 90', 2003, Italia, colore, video. (Proiettato in prima internazionale all'Auditorium Parco della Musica di Roma nell'ambito della manifestazione “Roma per Carmelo ” il 1º settembre 2003)
Pinocchio, due parti dal romanzo omonimo di Carlo Lorenzini Collodi. Personaggi e Interpreti[2]: Pinocchio: Carmelo Bene; La Bambina dai Capelli Turchini: Lidia Mancinelli; Lucignolo: Luigi Mezzanotte; La Volpe: Bianca Doriglia, Mastro Ciliegia, Il Grillo Parlante, Il Pappagallo, L'Imbonitore: Cosimo Cinieri; Geppetto, Mangiafuoco, Il Gatto, Il Narratore: Alfiero Vincenti; Un Ragazzo, Rosa Bianca Scerrino; La Piccola Vedetta Lombarda: Irma Palazzo.
Gabriele D'Annunzio – La figlia di Iorio; da G. D'Annunzio
Pinocchio, ovvero lo spettacolo della provvidenza; riduzione e adattamento da Caro Collodi di Carmelo Bene; regia e interprete[2] principale C.B., musiche G. Giani Luporini; scene e maschere T. Fario; costumi L. Viglietti; direttore della fotografia G. Caporali; montaggio F. Lolli; altri interpreti: S. Bergamasco;
2000In-vulnerabilità d'Achille, da Stazio, Omero e Kleist
Discografia
1962 –Il teatro laboratorio Majakovskij e Garcia Lorca; attore-solista C.B.; musiche di G. Lenti; Roma, RCA Edizioni letterarie.
1976 – Una nottata di Carmelo Bene con Romeo, Giulietta e compagni; a cura di R. Lerici - registrazioni al Teatro Valle di Roma durante le prove di Romeo e Giulietta 1976; Audiolibri Mondadori
1980
Carmelo Bene - Manfred – Byron-Schumann; poema drammatico di G. G. Byron; musiche da R. Schumann; traduzione italiana, regia e voce solista C.B.; e con: L. Mancinelli (voce recitante), S. Baleani (soprano), W. Borelli (mezzosoprano), E. Buoso (tenore), C. del Bosco (basso); orchestra e coro del Teatro alla Scala, direttore D. Renzetti; direttore del coro R. Gandolfi; produzione a cura di R. Maenza; direttore musicale della registrazione F. Miracle; regia del mixaggio C.B.; registrazione live effettuata al Teatro della Scala di Milano il 1/10/1980; doppio LP stereo, Fonit Cetra.
Carmelo Bene - Majakovskij, dedicato a Sandro Pertini, nel cinquantenario della morte di Majakovskij e nel centenario della nascita di Blok, concerto per voce recitante e percussioni; testi di A. Blok, V. Majakovskij, S. Esenin, B. Pasternak; traduzioni di: R. Poggioli, A. M. Ripellino, B. Carnevali; riduzione, adattamento, regia e voce recitante C.B.; musiche di G. Giani Luporini; musicisti solisti: M. ilie, (violino), S. Verzari (tromba), V. De Vita (pianoforte); direttore della registrazione P. Chiesa; fonico R. Citterio; produzione a cura di R. Maenza; registrazione live effettuata il 10/10/1980 – Roma – Teatro dell'Opera doppio LP Fonit Cetra.
1981
Carmelo Bene - Lectura Dantis; voce recitante C.B.; musiche introduttive di S. Sciarrino; musicista solista D. Bellugi (flauto); produzione R. Maenza; registrazione live Bologna, Torre degli Asinelli, 31 luglio.- CGD.
Carmelo Bene in Pinocchio (storia di un burattino da Collodi); nel centenario della nascita di Pinocchio; regia, elaborazione testi e voce principale C.B.; musiche di G.Giani Luporini; la Fatina L. Mancinelli; tecnici della registrazione: G. Burroni, M. Contini, B. Bucciarelli; Mixer L. Torani; produzione a cura di R. Maenza; registrazione effettuata a Forte dei Marmi - CGD.
1984 Carmelo Bene – “L'Adelchi di Alessandro Manzoni”; uno studio di Carmelo Bene e Giuseppe Di Leva; musiche di G. Giani Luporini, orchestra sinfonica e coro di Milano della Rai; Direttore E: Collina, maestro del coro M. Balderi; voce principale C.B.; Ermengarda: A. Perino; percussioni A. Striano; registrato in occasione delle recite al Teatro lirico di Milano febbraio – marzo 1984; produzione a cura di A, Pischedda; regia del mixaggio C.B.; tecnici del suono L. Cavallarin, G. Jametti; Fonit-Cetra.
1994 Carmelo Bene in Hamlet suite – spettacolo-concerto; collage di testi e musiche di C.B.; interprete[2] principale C.B.; Kate-Ofelia: M. Chiarabelli, P. Boschi; mixer P. Lovat; assistente L. Viglietti; produzione a cura di M. Bavera; registrato al Teatro Morlacchi di Perugia il 25 novembre 1994, Nostra Signora S.r.l.
1999 Dino Campana – Carmelo Bene - Canti Orfici – Variazioni per voce - stralci e varianti, voce recitante C.B., in collaborazione con la RAI; Mastering Suoni S.r.l.; tecnico del suono A. Macchia; libro e compact disc - Bompiani, giugno
Registrazioni audiovisive di prove e seminari
Il principe cestinato, (colloquio satirico-filosofico con Carmelo Bene), realizzato da Carlo Refele e Maurizio Grande, durante le prove di Un Amleto di meno, con Lydia Mancinelli e Alberto Arbasino, 1972.
L'immagine della phoné, Teatro Argentina, Roma, 18 e 20 novembre 1984. Archivio Storico delle Arti Contemporanee, La Biennale, Venezia.
Seminario a porte chiuse sulla macchina attoriale, per la Biennale Teatro 1989, Venezia, settembre 1989. Archivio Storico delle Arti Contemporanee, La Biennale, Venezia.
Macbeth di William Shakespeare. Videoregistrazione in tempo reale delle prove dell'edizione teatrale del 1983. Teatro Ateneo, Roma, 22 ottobre – 23 novembre 1982. Centro Teatro Ateneo, Archivio dello spettacolo, Roma.
Macbeth di Carmelo Bene, programma video in due parti: Concerto per attore solo e Le tecniche dell'assenza. Progetto di F. Marotti e M. Grande. Centro Teatro Ateneo, Archivio dello spettacolo, Roma, 1985.
Quattro seminari straordinari di Carmelo Bene, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 12-15 dicembre 1990.
Note
^Il massacro dei “classici” e la loro manipolazione integrale: questo è un altro elemento da annoverare a favore di Carmelo Bene, come condizionamento di una scrittura drammaturgica ad una scrittura scenica. Il “massacro” avviene peraltro il meno gratuitamente possibile, quale eliminazione da un lato del reticolato ideologico immobile e dall'altro lato per inserimento del maggior numero di elementi di “contemporaneità”. (Giuseppe Bartolucci, da “La Scrittura scenica”, Lerici, Milano 1969). In altri termini, quella che può sembrare apparentemente dissacrazione o massacro del "testo a monte", per Bene e per gli studiosi più avveduti non è altro che una rilettura o riscrittura dell'opera originaria a più livelli. Uno splendido saggio esplicativo a tal riguardo è Un manifesto di meno di Gilles Deleuze.
^La spiegazione di cosa sia la scrittura di scena è stata ampiamente spiegata in modo abbastanza esaustivo, sia da Carmelo Bene che da studiosi... Una fonte tra le altre è per esempio, la chiarissima spiegazione fornita da Carmelo Bene a Mixer Cultura
^Carmelo Bene realizzò una propria interpretazione di Amleto in cui recitava le parti più importanti privandole del rilievo meritato. Il monologo "Essere o non essere" era affidato ad un altro attore, che gli faceva da alter ego. Nelle diverse edizioni dei suoi Amleti (Un Amleto di meno, Hamlet Suite, Hommelette for Hamlet, ...), Carmelo Bene, non solo si priva del monologo dell'"essere o non essere", ma si discosta da tutte quelle parti significative (corroborate dalla tradizione recitativa teatrale) del testo a monte; si svincola dal suoruolo drammatico, che viene supportato dallo sdegnato Orazio, costretto a leggervi (queste parti non sue), in bigliettini fortuiti, stracciati dal copione, e consegnatigli da un Amleto che non ne vuol proprio sapere della sua parte, che scantona, evita di intercalarsi nel ruolo che gli spetta, al quale non si sente affatto legato o partecipe, più che preparato. Nell'usuale "massacro" del testo a monte, la figura di Amleto appare tutt'altro che enigmatica, turbata dallo spettro paterno, o dal suo dovere filiale di vendetta; Il Principe danese diventa talmente scaltro e opportunista che finisce addirittura per accordarsi con lo zio Claudio, il quale gli sborsa una certa sommetta, rateata di tanto in tanto, che gli consente di pagare così il suo silenzio o meglio la sua esenzione dal ruolo che gli spetta, come da copione. Spesso, oltre a filo rosso laforguiano, Carmelo Bene inserisce, in modo mirabile, nei suoi Amleti, degli insert estranei (tratti da Gozzano, per esempio) complicando ancor più il testo a monte, definito dallo stesso Bene "cartastraccia". Vedi Un Amleto di meno
^A causa di questa sua pluri-funzionalità nella ri-scrittura dell'opera svolta dall'artefice e controllore, Piergiorgio Giacchè pensa che la definizione più pertinente sia quella di "uomo-teatro" (e non uomo di teatro), attribuita a Bene per la prima volta da Ferdinando Taviani, ma già riferita ad Antonin Artaud da Jean-Louis Barrault. (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., pag. 57.)
^Piergiorgio Giacché, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., tav. XV.
^Gilles Deleuze scrive: « Si potrebbe dire che Bene non è il primo a fare un teatro della non-rappresentazione. Si possono citare a caso Artaud, Bob Wilson, Grotowski, il Living... Ma non crediamo alle utilità delle filiazioni. Le alleanze sono più importanti delle filiazioni e Bene ha alleanze estremamente diverse con essi tutti. Appartiene a un movimento che agita profondamente il teatro di oggi. Ma appartiene a un movimento solo per quanto egli stesso inventa, non inversamente ». (da Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit. pag. 89).
^Di Brecht si può dire solo ciò che sarebbe stato, qualora non fosse finito nelle grinfie di certi registi [...] L'intenzione di Brecht è tentare un déplacement della rappresentazione, ma tutto quello a cui arriva, a partire dai suoi testi, lo straniamento, è una rappresentazione al quadrato [...] - Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di C.B., op. cit., pag. 322
^Piergiorgio Giacchè precisa che: « ... troppo importanti sono, per la sua arte, i fondamenti e i riscontri che gli offrono via via le vite e le opere di santi, poeti, filosofi, scrittori, pittori, musicisti... Un elenco sarebbe troppo incompleto e una loro gerarchia risulterebbe inammissibile, giacché non si tratta di cogliere qua e là contributi o di saccheggiare citazioni: per Bene "la cultura deve essere l'aria (non un'aria o l'area)" [...] E se si sceglie di abitare nell'aria, non può che essere una necessaria e necessitante libertà d'associazione ciò che ci guida in una ricerca che è pur sempre alla fin fine di "poesia". Su tutto il resto, che è appunto soltanto "teatro", Carmelo Bene si lascia andare piuttosto a un eccessivo ed eccedente libertinaggio ». (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., pagg. 59-60)
^Carmelo Bene parla di idiosincrasia assoluta fra "teatro e spettacolo. Dove c'è spettacolo non c'è teatro. Il teatro può dare osceno, proprio nell'etimo, porno nel senso proprio greco". (Un dio assente, op. cit., pag. 33)
^Per Carmelo Bene la "rappresentazione" (di Stato) è un retaggio millenario, subentrata già con Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane.
L'artista salentino si considera invece come colui che ha riportato il teatro alla sua forma originaria barbarica.
^abGilles Deleuze sottolinea il fatto che "l'uomo di teatro" non è più "autore, attore o regista", ma un "operatore", e che «l'orgoglio di Bene sta più nel far scattare un processo in cui egli è il controllore, il meccanico o l'operatore [...] piuttosto che l'attore ». (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 88)
^"È proprio per essere nell'oblio, che bisogna leggere! Perché se questo occupa anche un dieci per cento della memoria, della memoria d'attore, il gioco è finito". (Un dio assente, op. cit., pag. 87)
^Video, Mixer Cultura, 1987, condotto da Arnaldo Bagnasco
^abGilles Deleuze precisa che « la scrittura e i gesti di Bene sono musicali... » (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 102). Piergiorgio Giacché ricorda che il nome Carmelo è stato soggetto a una serie di suggestioni che lo farebbero per esempio derivare in modo senz'altro immaginifico da carme e melos (Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, op. cit., tav. IX). È il caso per esempio del poeta Emilio Villa che parla di Carmelo e della sua voce come voix Charmehêlée.
^"Nessun’azione può realizzare il suo scopo, se non si smarrisce nell'atto. L'atto, a sua volta, per compiersi in quanto evento immediato, deve dimenticare la finalità dell'azione. Non solo. Nell'oblio del gesto (in questo caso tirannicida) l'atto sgambetta l'azione, restando orfano del proprio artefice". (Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag. 237). Altrove Bene afferma che oltre "a uscire fuori dalla frastica: bisogna paralizzare l'azione", giungendo a quel che lui ama definire "l'atto. Mentre l'azione è qualcosa di storico, legato al progetto, l'atto è oblio: per agire, occorre dimenticare, altrimenti non si può agire. In questo una parola come attore va decisamente riformulata.
Mentre con attore s'intende per solito colui che fa avanzare l'azione, porgendo la voce al personaggio, io mi muovo in senso contrario. Vado verso l'atto, e cioè l'instaurazione del vuoto. Questo è il senso della sovranità o super-umanità attoriale. Ma per far questo si deve decostruire il linguaggio, spostando l'accento dai significati ai significanti che, come dice Lacan, sono stupidi, sono il sorriso dell'angelo. Occorre arrivare all'inconscio, a quanto non si sa, all'oblio di sé". (Un dio assente, op. cit., pag. 124)
^In realtà è una semplificazione estemporanea, poiché Bene preferisce parlare piuttosto di eccesso del desiderio che non di un aldilà del desiderio.
^Definizione estemporanea fornita da Bene nel mentre dialoga con D'Agostino al Maurizio Costanzo Show del 1994
^Bene aggiunge infine un'analogia riferita all'erezione maschile e cioè che il porno è quanto non gli tira, pur tirando non tira. È stirato. Per sempre.
^Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Vita di C.B., op. cit., pag. 31
^Lo conferma anche la teoria junghiana dell'anima e dell'animus, rispettivamente l'atteggiamento interiore dell'uomo e della donna
^Onde risolvere l'equivoco, Gilles Deleuze spiega: « È strano a tal proposito che alcune donne in collera, e anche alcuni critici, abbiano potuto rimproverare a Bene la sua messa in scena del corpo femminile, accusandolo di sessismo o di fallocrazia. La donna-oggetto di S.A.D.E., la ragazza nuda, passa attraverso tutte le metamorfosi che il padrone sadico le impone, trasformandola in una serie successiva di oggetti usuali; ma appunto, attraversa queste metamorfosi, senza mai assumere pose avvilenti [...] ». (Un manifesto di meno, in Sovrapposizioni, op. cit., pag. 101)
^Carmelo, Opere, Con l'Aut. op. cit. tav. XIII-XIV
^abcAl posto del proposito volitivo o della volontà, Bene cerca di percorrere il cammino della cosiddetta nolontà che Schopenhauer chiama "volontà senza oggettità", ovvero, "niente rappresentazione, niente mondo. Si è al di là del principio del piacere". (Un dio assente, op. cit., pag. 121)
^Bene dice: "... a Lacan interessava aver articolato l'inconscio come linguaggio. Io parto articolando il linguaggio come un incosncio, ma affidandolo ai significanti e non ai significati, in balia dei significanti..." (Un dio assente, op. cit., pag. 97)
^La voce di Narciso, in Opere, con l'Autografia d'un ritratto, op. cit., pag. 995
^Al MCS, Uno contro tutti, puntata del 27 giugno del 1994, Bene, furibondo, prorompe violentemente contro una certa Sonia Cassiani che, secondo lui, stava abusando del verbo "essere" nei suoi confronti: "Non parlo a chi mi rompe i coglioni con l'essere e con l'esserci, non parlo con l'ontologia. Abbasso l'ontologia. Me ne strafotto. Parli con il professore Heidegger, non con me, e vada a fare in culo".
^La pellicola di Nostra Signora de' Turchi fu da lui e i suoi collaboratori calpestata, bruciacchiata con cicche e tagliuzzata, metodicamente, sotto gli occhi allibiti e sconcertati del nobile napoletano Franco Jasiello che ne aveva finanziato la realizzazione. Per quanto possa sembrare distruttivo, questo degrado della pellicola servì per creare degli effetti speciali particolari a delle intere sequenze consecutive in bianco e nero, che principalmente sembrano rieditare l'aspetto delle pellicole rovinate d'altri tempi.
^Nel seminario del 1984 Carmelo Bene chiarisce ancor più dicendo che
«...la scena non c'è più, non c'è più niente, anche le luci le tengo basse, voglio che non si veda niente, il meno possibile [...] io devo lavorare quando lavoro; voglio che il pubblico non si distragga a guardare il mio viso che si deforma per ottenere certi suoni, in un modo quasi mostruoso. [Si tratta] di chiudere, di lasciare veramente aperti i varchi al grande salto]»
^La B.B.B. ha prodotto Capricci e sta per Barcelloni, Bene, Brunet
^Nella video-intervista fatta da Piero Panza, risalente alla "parentesi cinematografica, Bene parla di Keaton come "formula anti-chapliniana" e altrove più o meno nello stesso periodo, l'artista salentino definisce Chaplin un "guittetto ributtante" che insieme a tanti altri, tra cui Luis Buñuel (tacciato senza mezzi termini come "coglione"), sono "tutti fenomeni meschini e piccoloborghesi". (Intervista tratta da “Cinema & Film”, 11-12, estate-autunno 1970, pp. 276-279, Roma, maggio 1970. ( Adriano Aprà, Gianni Menon, Conversazione con Carmelo Bene (PDF), su agenziax.it, 1970, pp. 84-98. URL consultato l'8 novembre 2010 (archiviato dall'url originale il 5 gennaio 2012).
^Della filmografia del suo amico Pasolini Carmelo Bene apprezzerà solo alcune cose di Salò o le 120 giornate di Sodoma che secondo l'artista salentino "non sono cinema"
^La frase è citata da Rien Va di Tommaso Landolfi. Adelphi, Milano, 1998, pag. 108. ISBN 88-459-1345-7. Carmelo Bene la ribadirà spesso, come al Maurizio Costanzo Show, nell'uno contro tutti del 1994, aggiungendo che "non si può vivere con la vita".
^abN.B. - Gli articoli, interventi, critiche, libri, monografie, ecc. qui riportati sono solo una parte della produzione cartacea di e su Carmelo Bene.
Giorgio Taffon, Carmelo Bene: scrivere, ri-scrivere, di-scrivere, in Maestri drammaturghi nel teatro italiano del '900. Tecniche, forme, invenzioni, Editori Laterza, Roma-Bari, 2005
Umberto Artioli - Carmelo Bene, Un dio assente. Monologo a due voci sul teatro, Medusa ed., Milano, 2006, ISBN 88-7698-051-2