Abbandonate le scene calcistiche, collaborò coi propri genitori nella pasticceria di proprietà investendo poi i proventi della carriera nel settore industriale.[3]
Caratteristiche tecniche
Ala destra specializzata nei traversoni e veloce nello scatto — con dati che ne indicavano la copertura dei 100 metri in appena 11" —[1] mancò di affermarsi durante l'esperienza nel campionato italiano anche per via dello schieramento nel ruolo di punta centrale.[3][2]
Carriera
Dopo gli inizi in patria, durante i quali vestì le maglie di Palmeiras e Botafogo di Ribeirão Preto[1][2], nell'estate 1980 fu acquistato dalla Pistoiese neopromossa in Serie A nonché esordiente nella massima categoria[1]: al suo approdo in Italia concorse la riapertura delle frontiere decisa in quelle settimane dalla Federazione dopo un blocco aperto nel 1966.[4]
Debuttò il 14 settembre 1980 nell'incontro perso di misura sul campo del Torino[4], conoscendo già in autunno la relegazione in panchina.[2][3] Il precoce accantonamento da parte della squadra toscana, che aveva compiuto un esborso pari a 170 milioni di lire per il tesseramento,[3][5] trovò giustificazione nel profilo tattico del ventenne[5], ingaggiato nell'erronea ottica di essere un centravanti[5][3]: destituito dall'abituale collocazione di ala destra[2], egli non si rivelò propenso a vestire i panni di attaccante.[3][2]
Il fugace capitolo italiano della sua carriera registrò appena 431' giocati[3], cui aggiungere una presenza in Coppa Italia[3]: l'ultima apparizione in campo si verificò il 29 marzo 1981 nella trasferta di Perugia, conclusa col rotondo successo degli umbri.[6]
Archiviata dunque l'esperienza arancione dopo un solo anno (conclusa con la retrocessione in B della squadra)[7], fece ritorno in Brasile per giocare in diverse squadre del massimo campionato, di prima e seconda divisione per poi appendere le scarpe al chiodo nel 1990[8], dopo aver giocato per il Rio Branco di San Paolo.[9]
Cultura di massa
L'anonimo passaggio nel panorama calcistico europeo suscitò dubbi alimentati dalla stampa circa la sua effettiva professione agonistica[8][5], cui fecero seguito notizie che ne indicavano l'appartenenza al settore alimentare o financo al cinema pornografico[2]: una personale smentita giunse solamente nel 2007 con un'intervista da lui rilasciata alla Gazzetta dello Sport.[2] Si trattavano solo di false dicerie.
Tradito dalla scarsa comprensione della lingua italiana[3], nel primo contatto coi dirigenti della Pistoiese (avvenuto nell'agosto 1980 dopo il suo atterraggio a Fiumicino[3]) fraintese infatti il termine «punta» (sinonimo di attaccante) col portoghese «ponta» che identifica invece un'ala, dando così ad intendere di essere un centrattacco anziché un laterale[2][10]: sbrogliato quindi l'equivoco tattico di cui era risultato suo malgrado protagonista[3][11], negò inoltre voci secondo le quali il Ponte Preta avesse falsato una partita per esaltarne le doti e catturare l'interesse degli osservatori italiani.[2][3]
Assurto nell'immaginario collettivo a storico «abbaglio di mercato» della Serie A[4][5], fornì l'ispirazione per il personaggio di Aristoteles (interpretato da Urs Althaus) comparso nel film L'allenatore nel pallone.[2][3] Luís fece una onesta carriera di calciatore cui pose fine ad inizio anni novanta per intraprendere la professione di ristoratore assieme alla sua famiglia.