Frequentò il liceo classico a Roma e poi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", laureandosi nel 1910. Nel 1908 sposò Nicoletta Prinetti Castelletti, figlia del conte Guglielmo Prinetti Castelletti, ed ebbero quattro figli: Laura, Gregorio, Giulia e Alberico.[1]
Nel 1919 si candidò nelle file del Partito Popolare Italiano venendo eletto alla Camera dei deputati nella XXV legislatura. Fu rieletto anche nella XXVI e nella XXVII legislatura. Durante i suoi mandati si concentrò principalmente su tematiche riguardanti l'agricoltura, l'istruzione, il trasporto pubblico e la tutela dei veterani e delle loro famiglie. Si mise in luce per aver votato la fiducia al governo Facta II, in contrapposizione con la linea adottata dai popolari, affermando che Facta "non era riuscito a sopprimere il fascismo non per debolezza propria, ma perché non era stato sostenuto adeguatamente dalla maggioranza parlamentare".[2]
«Il fascismo è una santa e gloriosa milizia e noi che abbiamo l'onore e la ventura di fare parte di essa dobbiamo considerarci come le sentinelle che il Comandante Supremo muove e dispone e che si incontrano e si salutano sulle linee più avanzate per darsi il cambio e le consegne»
(Francesco Boncompagni Ludovisi riferendosi al suo predecessore alla guida del governatorato di Roma, Ludovico Spada Veralli Potenziani)
Sotto il suo mandato di governatore furono portati a termine e inaugurate le due grandi arterie stradali iniziate dai suoi predecessori, ossia la via del Mare e la via dell'Impero, mentre nel 1930 si fece promotore della riforma tranviaria che stravolse l'intera rete automobilistica, filoviaria e tranviaria gestita dalla municipalizzata ATAG. Sempre durante il suo governatorato furono aperti il Museo napoleonico e il Parco urbano Pineta di Castel Fusano mentre nel centro storico si portò a compimento l'isolamento delle aree del Campidoglio e di Castel Sant'Angelo. Fu inoltre un ardito sostenitore della "soluzione patrizia" alla questione romana, contribuendo attivamente alla stipula dei Patti Lateranensi del 1929.[2]
Si dimise nel 1935, dopo sei anni di governo della città, e fu descritto dal suo successore, Giuseppe Bottai come: "Strumento fedele della grande opera di ricostruzione dell'Urbe disegnata dal Duce".[2] Poco tempo dopo ricevette anche il titolo onorifico di Ministro di Stato.[1]
Nel 1944 fu deferito all'Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo, che ne dispose la decadenza dalla carica di senatore, revocata nel 1946 in seguito all'accoglimento del ricorso presentato da Boncompagni Ludovisi. Scelse in ogni caso di ritirarsi a vita privata e morì il 7 giugno 1955.[1]