Fu tra le più argute e caustiche commentatrici dei fenomeni di costume americano dell'epoca, capace di fustigare con cinismo le debolezze i vizi e le virtù della società del XX secolo.
Orfana di madre fin dalla primissima infanzia, Dot crebbe nell'Upper West Side di New York. A dispetto della sua origine ebraica da parte di padre, e dell'estrazione protestante della sua matrigna, fu mandata al collegio cattolico del Santissimo Sacramento. A 9 anni perse la matrigna e nel 1912 morì anche suo zio, Martin Rothschild, nell'affondamento del Titanic. Infine, perse anche il padre nel 1913. Nonostante il cognome, non v'era parentela alcuna con i famosi banchieri Rothschild e la stessa Dorothy ammise sempre di sentirsi a disagio nel portare un cognome ebraico in un periodo in cui persino l'America non era immune dall'antisemitismo. Talora, scherzando, sosteneva che il matrimonio le fosse servito unicamente per tenere il cognome Parker anche dopo il divorzio e, ogni volta che le veniva chiesto se ci fosse un signor Parker, lei rispondeva: «Una volta c'era».
Fino a 21 anni le sue principali entrate vennero dal lavoro di pianista in una scuola di danza, finché, da poetessa autodidatta, si fece notare da Vanity Fair, periodico al quale vendette un suo componimento. Alla fine del 1914 fu assunta come assistente editoriale da Vogue, testata dello stesso gruppo editoriale di Vanity Fair. Nel 1917 conobbe e sposò Edwin Pond Parker II, un broker alla Borsa di New York, inviato subito dopo il matrimonio al fronte in Europa per la prima guerra mondiale.
Nel frattempo Dorothy si trasferì a Vanity Fair come critico teatrale, all'inizio come rimpiazzo di P. G. Wodehouse: fu questo l'inizio della sua carriera. Conobbe Robert Benchley, del quale divenne amica intima, e Robert E. Sherwood. La compagnia iniziò a pranzare all'Hotel Algonquin (un albergo sito in una traversa tra la Quinta e la Sesta Strada di Manhattan, famoso per essere il ritrovo di artisti vari, scrittori, intellettuali e giornalisti) insieme ad altri membri fondatori della cosiddetta Tavola rotonda dell'Algonquin.[2]
Altri personaggi si aggiunsero nel tempo, come i giornalisti Franklin P. Adams, Alexander Woollcott (che ebbero una grossa parte nel far conoscere al grosso pubblico l'ironia di Dorothy), il compositore Deems Taylor (con cui la Parker ebbe anche una relazione) e Harold Ross.
Dot fu licenziata da Vanity Fair nel 1920 (provocando le dimissioni per solidarietà di Benchley e Sherwood), e iniziò a guadagnarsi da vivere come freelance; nel frattempo iniziò la separazione dal marito e intrecciò relazioni con il commediografo Charles MacArthur e il giornalista Seward Collins. Quando Harold Ross fondò il New Yorker nel 1925, Dot e Benchley furono considerati fin dall'inizio membri della redazione, anche se nei primi tempi il loro contributo fu minimo.
Da quel punto in poi Dot divenne famosa per i suoi poemetti ferocemente umoristici; alcuni di essi erano spesso giocati sull'autoironia e sulla sistematica messa in ridicolo dei suoi (spesso fallimentari) affari di cuore, mentre altri sembravano fare l'elogio del suicidio (cosa che, peraltro, nel corso della sua vita tentò non meno di tre volte), mai disgiunto da una buona dose di sarcasmo:
(EN)
«Razors pain you; Rivers are damp; Acids stain you; And drugs cause cramp. Guns aren't lawful; Nooses give; Gas smells awful; You might as well live»
(IT)
«I rasoi fanno male; i fiumi sono umidi; l’acido macchia; i farmaci danno i crampi. Le pistole sono illegali; i cappi cedono; il gas ha un odore terribile. Tanto vale vivere…»
(Dorothy Parker, Résumé)
Questa frase venne recitata da Angelina Jolie nel film Ragazze interrotte, che contribuì a renderla famosa. Nella versione italiana subisce delle leggere modifiche.
Nonostante il successo, Dot non considerò mai quelle composizioni tra i suoi lavori più importanti. Nei successivi quindici anni uscirono sette volumetti di racconti e poesie, i primi sei raccolti in Collected Poetry (it. Poesie Raccolte): Enough Rope, Sunset Gun, Death and Taxes, Laments for the Living, After Such Pleasures e Not So Deep as a Well; il settimo fu Here Lies (it. Il mio mondo è qui).
Il suo racconto più famoso è, tuttavia, Big Blonde (1929), contenuto in After Such Pleasures, pervaso di umorismo agrodolce e acuto non disgiunto da una vena malinconica.
Nel 1934 Dot sposò Alan Campbell, un attore con ambizioni di sceneggiatore, supposto bisessuale grazie anche a voci alimentate da Dot stessa: la coppia si stabilì a Hollywood, dove guadagnava più di cinquemila dollari la settimana, una cifra considerevole dato il clima della Grande depressione. Insieme a Robert Carson la coppia si guadagnò una nomination al Premio Oscar per la sceneggiatura del film È nata una stella (1937) di William A. Wellman. Dot e Campbell ebbero una movimentata storia d'amore: divorziati nel 1947, si risposarono nel 1950 e, tra alti e bassi, rimasero insieme e non si lasciarono fino alla morte di lui nel 1963.
Impegnata politicamente, Dot non mancò mai di mostrare le sue simpatie di sinistra, tanto che appoggiò e patrocinò la nascita della Lega antinazista a Hollywood. Più tardi, nel 1950, in pieno maccartismo, queste attività le avrebbero valso l'etichetta di "comunista" e la messa sotto inchiesta da parte dell'FBI per sospetta attività antiamericana. Come conseguenza di ciò, finì sulla "lista nera" di Hollywood.
Dal 1957 al 1962 Dot scrisse per Esquire recensioni librarie, sempre più irregolari e bizzarre per via del suo alcolismo. Un infarto cardiaco nel 1967 pose fine alla sua vita.
Nel suo testamento Dorothy Parker lasciò le sue proprietà alla fondazione di Martin Luther King, del quale era simpatizzante. Alla morte di King avvenuta nel 1968 tali proprietà andarono alla NAACP (National Association for the Advancement of Coloured People, Associazione Nazionale per la Promozione della Gente di Colore), a sua volta erede designata dello stesso King.[3]
Per 21 anni nessuno reclamò le ceneri di Dot, finché la NAACP costruì un giardino apposito nella sua sede di Baltimora allo scopo di custodirle. Il giardino reca una targa che recita:
«Qui giacciono le ceneri di Dorothy Parker (1893 - 1967), umorista, scrittrice, critica. Ha difeso i diritti umani e civili. Come epitaffio suggerì “Scusatemi se faccio polvere”. Questo giardino è dedicato alla sua memoria, al suo nobile spirito che ha celebrato l’unicità dell’umanità e i legami dell’eterna amicizia tra il popolo nero e quello ebraico. La NAACP pose il 28 ottobre 1988.»
Dorothy Parker ha notevolmente influenzato la cultura americana del suo periodo, e la sua influenza si sente ancora ai giorni nostri. A titolo d'esempio, il suo nome appare su una canzone di Prince (The Ballad of Dorothy Parker) e nel 1994 uscì un film ispirato alla vita di Dot e dei suoi amici dell'Algonquin, Mrs. Parker e il circolo vizioso (diretto da Alan Rudolph).
Nel 2006, la commediografa romana Valeria Moretti e la regista francese Rachel Salik le hanno dedicato una brillante commedia "Hotel Dorothy Parker", andato in scena al Théâtre les Déchargeurs, che è rimasto in cartellone sei mesi. Protagoniste, sei attrici: Geneviève Mnich, Susanne Schmidt, Sylvie Jobert Yvette Caldas, Betty Bussmann E Gonzague Phélip.
Opere
(EN) The Collected Poetry, New York: The Modern Library, 1936
Il mio mondo è qui: novelle, trad. Eugenio Montale, Milano: Bompiani, 1941; Garzanti, 1975; Bompiani 1993 (con prefazione di Fernanda Pivano)
(EN) The Collected Stories, New York: The Modern Library, 1942
(EN) The Best of Dorothy Parker, London: Methuen & Co., 1957
Tanto vale vivere: racconti e poesie, trad. Marisa Ciaramella, Milano: La Tartaruga, 1983; n. ed. allargata, come Tanto vale vivere: racconti, poesie, prose, trad. Marisa Caramella, Chiara Libero e Silvio Raffo, ivi, 1993; 2002
(EN) The Collected Dorothy Parker, London: Penguin books, 1989
Uomini che non ho sposato, a cura di Ileana Pittoni, Milano: La Tartaruga, 1995; 2006
(EN) Complete Stories, a cura di Colleen Breese, London: Penguin Books, 2003