Nel 1784 la diocesi comprendeva 87 parrocchie, suddivise in due arcipreture: quella di Saint-André di Alet e dell'Alto Razès con 54 parrocchie, e quella di Caudiès e del paese dei Fenouillèdes con 33 parrocchie.[1]
Storia
La diocesi di Alet fu eretta il 28 febbraio 1318 con la bollaAlma mater Ecclesia di papa Giovanni XXII, ricavandone il territorio dall'arcidiocesi di Narbona. Sede vescovile divenne l'abbazia Notre-Dame d'Alet, eretta agli inizi del IX secolo dal conte Berà di Barcellona. Primo vescovo della nuova diocesi fu anche l'ultimo abate, il benedettino Barthélemy, nominato vescovo il 1º marzo successivo. La scelta dell'abbazia come sede episcopale tornò a vantaggio del vescovo, alla cui mensa vescovile spettarono di diritto gli emolumenti dell'abbazia.
Con bolla del 1º marzo 1318, il papa definì i confini della nuova diocesi, che comprendeva, grosso modo, l'alta valle dell'Aude e le valli del Rébenty e dell'Agly; era costituita da circa 80 parrocchie e nel suo territorio esisteva una sola abbazia, quella benedettina di San Giacomo di Joucou.[2]
Il capitolo benedettino dell'abbazia fu anche il capitolo della cattedrale fino al 1531, quando con una bolla di papa Clemente VII venne secolarizzato.[3] Inizialmente papa Giovanni XXII dispose che per l'elezione del vescovo concorressero sia il capitolo benedettino di Alet sia quello della collegiata di Saint-Paul-de-Fenouillet, appositamente istituito per l'occasione; ma la cooperazione fra i due capitoli non funzionò e dovette essere soppressa da papa Clemente VI nel 1343.
Nel 1573 la città episcopale fu conquistata dagli Ugonotti, che ne restarono padroni per una decina d'anni. Nella furiosa battaglia per la riconquista della città, ad avere la peggio furono la cattedrale e il palazzo episcopale, che vennero bombardati e ridotti in rovina. Da questo momento l'antico refettorio dell'abbazia venne riadattato per l'uso liturgico, divenendo di fatto la cattedrale della diocesi, con il titolo di San Benedetto, fino alla rivoluzione francese. I vescovi posero momentaneamente la loro residenza nel castello di Cournanel, di loro proprietà.[4]
Nel XVII secolo, durante l'episcopato di Nicolas Pavillon, la diocesi divenne uno dei centri di diffusione del giansenismo. Pavillon fu tra i vescovi più attenti alle riforme introdotte dal concilio di Trento: istituì il seminario (1648) e le conférences per l'istruzione e la formazione del clero; obbligò i seminaristi destinati all'insegnamento elementare, negli ambienti più poveri e disagiati della diocesi, a periodi di formazione; costruì un nuovo palazzo episcopale ad Alet. Il suo nome divenne uno dei più chiacchierati di tutta la Francia quando si rifiutò di sottoscrive il Formulario di papa Alessandro VII di adesione alla condanna delle proposizioni dell'Augustinus di Giansenio. Nel 1677 diede alle stampe un Rituale per la sua diocesi, che sebbene fosse a grandi linee conforme al Rituale romano del 1614, includeva delle spiegazioni dei riti in francese, scritte dal vescovo. Alcune di queste spiegazioni erano decisamente giansenistiche: fra di queste la pratica di rimandare sistematicamente l'assoluzione dopo la confessione, per essere certi della vera contrizione del penitente.[5]