DICO è una sigla che significa "DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi" e viene riferita comunemente al disegno di legge, presentato dal Governo Prodi II l'8 febbraio 2007, finalizzato al riconoscimento nell'ordinamento giuridico italiano di taluni diritti e doveri discendenti dai rapporti di "convivenza" registrati all'anagrafe: l'iter legislativo si è di fatto concluso con la caduta del Governo Prodi II nel 2008.
Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche in Italia del 2006, nel corso della redazione del programma della coalizione di Romano Prodi (cosiddetta Unione, che comprendeva tutti i partiti di centrosinistra) fu sollevato da esponenti della sinistra il problema dei diritti civili e in particolare del riconoscimento delle coppie di fatto anche omosessuali.
Si aprì dunque un forte dibattito che vedeva contrapposti, da un lato, La Margherita guidata da Francesco Rutelli e diversi esponenti del centro cattolico, contrari a tale riconoscimento e, dall'altro, la Rosa nel Pugno rappresentata da Emma Bonino e varie personalità della sinistra laica, invece favorevoli.
L'aspra dialettica si concluse, con l'abbandono del tavolo da parte dei radicali e socialisti rappresentati da Emma Bonino e la seguente formulazione definitiva del programma: "L'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto"[1]. Tale formulazione prendeva le mosse da uno studio approfondito dapprima in seno al think tank del Laboratorio per la polis[2] e presentato in un incontro pubblico con Piero Fassino, Lucia Fronza Crepaz e i giuristi Alberto Gambino e Filippo Vari: quest'ultimo si espresse in senso contrario a ogni forma di riconoscimento pubblico delle convivenze more uxorio e delle unioni omosessuali[3].
Successivamente lo studio è stato poi presentato in seno alla Commissione "Unioni di fatto" incaricata dalla Margherita[4].
Il testo del disegno di legge è poi stato varato dal Consiglio dei ministri l'8 febbraio 2007, dopo essere stato redatto dagli staff legislativi dei due ministri Barbara Pollastrini (Pari Opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia).
È stato quindi presentato all'esame del Senato della Repubblica, in quanto in quell'Aula erano già stati presentati provvedimenti simili.
In commissione Giustizia del Senato, il 10 luglio, il relatore (e presidente della commissione) Cesare Salvi presentò un suo testo, che prevedeva pure la modifica del nome con il quale indicare la futura legge, da Di.Co. (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), che era il nome scaturito dal ddl Pollastrini-Bindi, in quello di Contratto di Unione Solidale (CUS), proposto dallo stesso Salvi. La commissione, nella seduta del 23 ottobre, decise di riprendere l'esame del testo base del relatore, fissando i tempi del suo iter: gli emendamenti dovevano essere presentati entro il 12 novembre. In quella data, cioè appena votata la finanziaria e chiusa la "sessione di bilancio", sarebbe iniziata la fase finale del cammino, con votazioni previste per la fine dello stesso novembre 2007.
Il disegno di legge non fu mai approvato. L'iter legislativo subì infatti un arresto prematuro per via della caduta del Governo Prodi II (che perse la maggioranza al Senato il 24 gennaio 2008) e del conseguente scioglimento delle Camere, decretato in data 6 febbraio 2008.
L'allora ministro Bindi, in un'intervista[5] ha tenuto a precisare, a seguito delle numerose critiche provenienti dagli ambienti cattolici, che alla stesura del testo del decreto «hanno collaborato molti giuristi cattolici», guidati dai proff. Renato Balduzzi, consigliere giuridico del ministro Bindi e presidente del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) e Stefano Ceccanti, ex presidente FUCI e capo legislativo del ministro Pollastrini. Tuttavia, da altri ambienti cattolici parlamentari del centrosinistra venivano sollevate critiche di incoerenza del disegno di legge rispetto all'impostazione originaria definita nel programma dell'Unione[6] ed in effetti lo stesso prof. Alberto Gambino, consigliere politico del vicepremier Rutelli e principale ispiratore della formula di mediazione raggiunta nel programma dell'Unione, in un comunicato stampa ne avrebbe preso le distanze.[7]
Avrebbero potuto beneficiare degli effetti del disegno di legge, qualora approvato dalle Camere, i conviventi ovvero «due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela.».
Il disegno di legge era finalizzato al riconoscimento giuridico alle "convivenze" che risultano iscritte nei registri anagrafici di ogni comune, con il conseguente riconoscimento di taluni diritti e doveri a seconda della rispettiva durata della convivenza:
I diritti immediatamente fruibili sarebbero:
I diritti fruibili dopo un determinato periodo di tempo sarebbero:
La legge avrebbe avuto effetto retroattivo e i conviventi avrebbero avuto nove mesi per mettersi in regola.
«È difficile dire dei no, porre dei paletti in ordine al bene quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso. Se l'unico criterio diventa quello dell'opinione generale perché dire no, oggi a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell'incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?»
(Angelo Bagnasco, Genova, incontro con gli animatori della comunicazione della diocesi, 30 marzo 2007.[8])
Il percorso del disegno di legge è stato caratterizzato (così come lo è l'iter parlamentare in corso) da accese polemiche, sia in ambito politico (da parte dell'opposizione di governo e all'interno della stessa maggioranza) che in alcuni settori della società italiana. In estrema sintesi, le critiche espresse nel dibattito in corso possono essere così schematizzate:
Queste le principali contestazioni sul primo versante:
Queste le principali contestazioni sul secondo versante:
Si aggiungono preoccupazioni sui rischi di abuso, nel caso di una persona che dichiari la convivenza all'insaputa dell'altra persona coinvolta. Molti editorialisti e politici hanno infatti evidenziato come nell'ultima versione del testo del disegno di legge sia stato rimosso l'obbligo, precedentemente presente, di dichiarazione congiunta all'anagrafe del Comune di residenza. Allo stato attuale delle cose quindi, la dichiarazione potrebbe essere fatta da una sola persona, con effetto retroattivo, dietro comunicazione tramite raccomandata all'altro convivente. Raccomandata che però potrebbe essere materialmente intercettata e siglata dallo stesso primo dichiarante all'insaputa dell'altro, se effettivamente coabitante.
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