Il concilio in Trullo (dal luogo dove si svolse), detto anche Concilio Quinisesto (Quinisextum), si tenne a Costantinopoli nel 692. Le disposizioni approvate da questo concilio sono ritenute, dagli ortodossi, non come un nuovo concilio ecumenico, bensì come un completamento delle decisioni dei concili ecumenici di Costantinopoli del 553 e del 680-681.
Storia
Il concilio fu convocato dall'imperatore Giustiniano II per elaborare canoni disciplinari di sviluppo alle decisioni del V e VI concilio ecumenico: da ciò prende il nome di "Concilio Quinisesto" (quinto e sesto). Fu convocato all'insaputa della chiesa occidentale e vi parteciparono 226 vescovi orientali: il vescovo Basilio di Creta, la cui diocesi dipendeva da Roma, firmò i canoni conclusivi aggiungendovi di rappresentare il papa, non avendo però alcun mandato.
È detto anche "in trullo" o "trullano" perché si svolse nel palazzo imperiale (il "trullo" - greco τροῦλλος - era la cupola della sala dove erano trattati gli affari di Stato).
Nel I canone il concilio ribadì le condanne contro le eresie stabilite dai precedenti concili (in particolare quelle del VI Concilio ecumenico contro il monotelismo).
Gli altri 101 canoni hanno carattere esclusivamente disciplinare e alcuni erano già stati precedentemente enunciati. Col secondo canone il concilio recepì gli 85 Canoni Apostolici, attribuiti inverosimilmente a papa Clemente I, dei quali solo 50 erano stati approvati dai papi successivi.
Anche altri dei canoni successivi erano stati già ripetutamente rifiutati dal papa: ad esempio il III canone del I Concilio di Costantinopoli e il XXVIII canone del Concilio di Calcedonia stabilivano la superiorità del vescovo di Costantinopoli su tutti gli altri vescovi, a parte il papa, e quindi il suo diritto di nominare i vescovi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme (gli altri tre patriarcati).
Il concilio trullano volle dichiarare la superiorità dal Patriarca di Costantinopoli anche sul Pontefice romano. Inoltre il concilio eliminò le norme a favore del celibato dei preti, da sempre però contrarie alla prassi vigente in Oriente sin dai tempi apostolici; in particolare il divieto per i chierici sposati di avere figli, sotto pena di sospensione. Inoltre condannò alcune piccole differenze liturgiche affermatesi recentemente nella chiesa latina come contrarie agli usi apostolici.
Vennero trattati anche argomenti circa la venerazione delle immagini: in particolare il canone 73 richiama l'importanza della Santa Croce e della sua venerazione, il canone 82 prescrive di rappresentare Cristo in forma umana e non simbolica, come Agnello.
«Dal punto di vista teologico questo canone è di estrema importanza perché fornisce una base dottrinale alla rappresentazione delle immagini: è il rifiuto dell'arte simbolica della prima Chiesa a vantaggio dell'icona»[1].
Il canone 68 minaccia di scomunica coloro che distruggono un manoscritto dell'Antico o del Nuovo Testamento o che lo cedono a librai o profumieri perché venga riutilizzato come carta da imballaggio; il 73 specifica che la Croce non venga tracciata a terra, dove corre il rischio di essere calpestata; il canone 100, contro i dipinti lascivi e impuri, proibisce "di eseguire d'ora in poi rappresentazioni sia su lastre che in altro modo (bassorilievi o pitture) che ammaliano lo sguardo corrompendo lo spirito e portano vergognose vampate di piacere"[2].
Di particolare rilievo come prima completa definizione all'interno di un concilio risulta la definizione del "peccato" come "malattia dello spirito" all'interno del canone 102. Il medesimo canone pone pure le condizioni per la pratica della "akrivìa" e della "oikonomìa" come fondamento della prassi di guarigione del peccatore all'interno della spiritualità orientale.
Come viene pure annotato da Paolo Diacono, al termine del concilio l'imperatore inviò a Roma una delegazione armata, agli ordini del protospatario Zaccaria, per estorcere la firma di papa Sergio I, ma il papa venne protetto dalle truppe imperiali di stirpe latina di stanza a Ravenna e dalle altre truppe imperiali di stanza in Italia, e subito accorse a Roma.
Qui Zaccaria venne assediato, costringendo alla fuga le truppe di Giustiniano e lo stesso Zaccaria rischiò di venir giustiziato, se in difesa della sua vita non fosse intervenuto lo stesso papa Sergio I.[3] Il concilio Quinisesto non venne mai riconosciuto dalla Chiesa di Roma, anche se nel corso del VII concilio ecumenico, circa cento anni dopo, il papa Adriano I scrisse al patriarca Tarasio una ambigua lettera di approvazione dei canoni disciplinari del "sesto concilio", il cui significato e validità sono controversi (Tarasio aveva precedentemente scritto che non vi era stato un nuovo concilio, ma solo una sessione suppletiva del concilio precedente).[senza fonte]
Partecipanti
Nel 2013 è stata pubblicata l'edizione critica degli atti del concilio in Trullo, ad opera di Heinz Ohme, con l'aiuto di Reinhard Flogaus e Christof Rudolf Kraus. A partire dai numerosi manoscritti, gli editori hanno ricostruito l'elenco dei 226 prelati che sottoscrissero gli atti conciliari di proprio pugno.[4]
L'elenco che segue è quello pubblicato alle pagine 62-86 dell'opera Concilium Constantinopolitanum a. 691/92 in Trullo habitum (Concilium Quinisextum). La lista riporta nell'ordine:
^ Leonid Uspenskij, La Teologia dell'Icona, p. 55-62.
^John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, p. 231
^Concilium Constantinopolitanum a. 691/92 in Trullo habitum (Concilium Quinisextum), edidit Heinz Ohme, adiuvantibus Reinhard Flogaus et Christof Rudolf Kraus, «Acta conciliorum oecumenicorum», series secunda, volumen secundum, pars quarta, Berlin/Boston, 2013, pp. 62-86.
^Questo è il nome della sede che si trova nella firma del metropolita Giovanni di Cipro che, a causa dell'occupazione dell'isola da parte degli arabi, si trovava in esilio in Ellesponto.
^Gli atti del concilio riportano le sottoscrizioni di due vescovi di Amasea, Giovanni e Teodoro, il primo tra i metropoliti, il secondo tra i vescovi suffraganei (nº 113).
^Giovanni è il nome riportato dall'edizione critica degli atti (p. 66, nº 25). L'edizione online della Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit (nº 3719), citando come propria fonte uno studio di Heinz Ohme (Das Concilium Quinisextum und seine Bischofsliste, Berlin/New York, 1990), precedente all'edizione critica degli atti, chiama il vescovo Costantino e non Giovanni.
^La sede di questo vescovo, che apparteneva alla provincia dell'Isauria, non è riportata nell'edizione critica.
^Negli atti, Sisinnio appone la sua firma come ἐπίσκοπος πόλεως Σιλουανῶν τῆς Ἰσαύρων (episcopos poleos Silouanon tes Isauron). Gli editori attribuiscono questo vescovo alla sede di Selinonte in Isauria.
^Andrea sottoscrive come ἐπίσκοπος πόλεως Εὐεραγάπων Πακατιανῆς (episcopos poleos Eueragapon Pacathianes); questa sede, appartenente alla provincia della Frigia Pacaziana, è sconosciuta alle Notitiae Episcopatuum del patriarcato di Costantinopoli. Gli editori della Prosopographie der mittelbyzantinischen Zeit (nº 634) identificano questa sede con quella di Ceretapa, anche se questa identificazione è controversa.
Concilium Constantinopolitanum a. 691/2 in Trullo habitum. H. Ohme (ed.) Acta conciliorum oecumenicorum, Series Secunda II: Concilium Universale Constantinopolitanum Tertium, Pars 4. ISBN 978-3-11-030853-2. Berlin/Boston Oktober 2013. (onlineArchiviato il 15 maggio 2018 in Internet Archive.).
John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme S.p.A., 1989, ISBN 88-384-1326-6.