Collezione Mattei

Lo stemma della famiglia Mattei di Giove
Ritratto di Asdrubale Mattei, Anonimo romano del XVII secolo (Museo Condé, Chantilly)

La collezione Mattei è stata una collezione d'arte nata a Roma nel XVII secolo e appartenuta all'omonima famiglia romana.

Ritenuta sin dal principio tra le grandi collezioni d'arte del XVII secolo della città pontificia, frutto del colto mecenatismo dei fratelli Ciriaco e Asdrubale Mattei, deve la sua peculiarità al corposo numero di opere di pittori caravaggeschi che l'hanno composta, di cui almeno tre tele commissionate proprio allo stesso Merisi.

Smembrata a partire dal XVIII secolo, le opere (sia pittoriche che archeologiche) sono oggi dislocate in diversi musei e collezioni private del mondo.

Storia

Origini della famiglia

Le tombe della famiglia Mattei nella chiesa di Santa Maria Ara Coeli di Roma

I Mattei furono una importante famiglia della nobiltà romana che trovò il suo momento di massima espansione socio-economica dopo il sacco di Roma del 1527. Originariamente residenti nel rione Trastevere, infatti, colsero l'occasione del momento storico per acquistare proprietà immobiliari a basso costo nell'insula "al di qua del fiume", presso Sant'Angelo in Pescheria, che diverrà poi nota come Isola Mattei.

Alla metà del secolo Alessandro Mattei avvia la costruzione del palazzo di famiglia in via delle Botteghe Oscure e della cappella familiare presso la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli.

Seicento

Le commesse di Ciriaco Mattei a Caravaggio

Palazzo Mattei alle Botteghe Oscure

La collezione nacque e si sviluppò principalmente grazie all'attività dei tre figli maggiori di Alessandro, ossia i marchesi Ciriaco, Asdrubale e, in misura minore, il cardinale Girolamo.[1]

Cena in Emmaus, Caravaggio

Ciriaco, noto già alle cronache del tempo per essere un uomo molto colto e generoso verso i pittori ai quali affidava le commesse, fu l'iniziatore vero e proprio della raccolta artistica.[1] Fu per sua iniziativa che dal 1601 al 1603 il Caravaggio fu ospite presso il palazzo Mattei alle Botteghe Oscure: sebbene infatti nominalmente Merisi fosse ospite del cardinale Girolamo, che tra i tre fratelli era quello che ricopriva un ruolo sociale di maggior rilievo, fu Ciriaco a ricoprire l'effettivo ruolo di protettore per l'artista lombardo durante i suoi primi anni romani (assieme al cardinal Del Monte). Durante la permanenza del pittore presso il palazzo di famiglia, Ciriaco gli commissionò tre dipinti (la Cena in Emmaus, la Cattura di Cristo e il San Giovanni Battista "capitolino")[2][3] che assunsero sin dal principio un ruolo predominante all'interno della collezione; essi furono molto ben pagati dal Mattei, che elargì 85 scudi per il San Giovanni, 125 scudi per la Cattura di Cristo, e ben 150 scudi per la Cena in Emmaus.[1]

Villa Mattei al Celio

Una delle tre opere commissionate da Ciriaco al Merisi uscì comunque ben presto dalla collezione: la Cena in Emmaus, infatti, fu regalata intorno al 1605 al neo cardinale Scipione Borghese, per celebrare la sua elevazione alla porpora. Questa donazione, così come altre simili che riguarderanno altre opere della sua collezione, faceva parte di una più ampia strategia del Mattei volta a ingraziarsi i più illustri esponenti della società romana.

La collezione del marchese Mattei non era collocata solo presso il palazzo alle Botteghe Oscure, ma anche nella villa della Navicella al Celio: risultavano esser qui presenti quattro tele di Bartolomeo Passerotti, tra cui la Macelleria e la Pescheria (oggi a Palazzo Barberini di Roma), nonché un cospicuo numero di pezzi di statuaria classica, che adornavano sia i giardini della villa che gli interni. Altre statue classiche erano poi collocate nel cortile del palazzo alle Botteghe Oscure. Queste statue costituirono il principio della componente di antichità classica della collezione Mattei, sebbene il nucleo più corposo sarà quello poi raccolto nel tempo dal fratello Asdrubale.

Nel 1610, per volere di Ciriaco, fu istituito un fedecommesso sui beni artistici, che vietava agli eredi la vendita degli stessi: rientravano nel vincolo anche i reperti archeologici della villa al Celio. Alla morte del nobile nel 1614 la collezione passò al figlio Giovanni Battista.[4]

La collezione sotto Giovanni Battista Mattei

Il primo inventario del 1616
San Giovanni Battista, Caravaggio

Due anni dopo la morte del padre, nel 1616, Giovanni Battista fece redigere un inventario per fare il punto sullo stato della collezione lasciata da Ciriaco.[5]

Figuravano nell'elenco dei quadri di Ciriaco, oltre ai due dipinti "superstiti" del Caravaggio, quindi il San Giovanni Battista e la Cattura di Cristo: un'opera di Antiveduto Grammatica, la Disputa di Cristo tra i dottori (oggi in custodia presso la Galleria nazionale di Edimburgo), che rappresentava l'opera più importante del catalogo dopo quelle del Merisi; alcune opere di Bartolomeo Cavarozzi, tra cui la Disputa di santo Stefano (oggi a New York); alcune opere di Lorenzo Lotto, di cui l'Assunzione di Maria (oggi alla Pinacoteca di Brera di Milano); e infine una Cacciata dei mercanti dal Tempio e una Fuga in Egitto entrambe di Carlo Saraceni (entrambe oggi perdute, seppur la prima è nota attraverso una copia).

Qualche anno dopo, intorno al 1624, il San Giovanni Battista entrerà nelle collezioni del cardinale Francesco Maria Del Monte per gentile donazione di Giovanni Battista, in violazione del fedecommesso paterno. Così, dei tre dipinti del Merisi rimase presso la collezione solo la Cattura di Cristo, catalogato “con la cornice nera rabescata d’oro col suo taffetà rosso, e cordoni di seta rossa, e fiocchi pendenti”.[5] Questo particolare della cornice è divenuto in anni recenti un elemento di dibattito circa la reale paternità delle opere oggi note con questo titolo (vedi sotto la sezione le due versioni della Cattura di Cristo).

Le versioni della Cattura di Cristo
Cattura di Cristo, versione di Dublino

Nella Memoria delli nomi dell'artefici delle pitture, che sono in alcune chiese, facciate e palazzi di Roma che il pittore Gaspare Celio scriverà intorno agli anni '20 del Seicento, vengono comunque citati nella sezione della guida al palazzo Vecchio dei Mattei, oltre agli affreschi, già realizzati su committenza di Asdrubale, e ad altre opere pittoriche facenti parte dell'edificio, tra cui una Battaglia di Cesare e Pompeo dello stesso Celio, le tre tele del Caravaggio, sebbene a quella data sicuramente almeno uno dei tre dipinti (e probabilmente anche due) era già uscito dalla collezione.

L'unica opera del Merisi che certamente era nelle proprietà Mattei in quegli anni era quindi la Cattura di Cristo, che diverrà nota in più redazioni e copie fatte realizzare dai Mattei a causa delle quali si è determinato in epoche recenti un dibattito in merito a quale tra esse sia la versione originale della tela.[3] Convenzionalmente la tela attualmente a Dublino è ritenuta essere l'originale del Caravaggio, seppur parte della critica recente ritiene che invece apparterrebbe a un suo seguace della maniera di Gerrit van Honthorst, nonostante nei documenti è menzionata ab antiquo come del Caravaggio.[3] Un'altra tela dibattuta è comparsa negli ultimi anni ed é invece in collezione privata romana.

Di certo si sa che il dipinto citato nell'inventario del 1616 «con la cornice nera rabescata d’oro col suo taffetà rosso, e cordoni di seta rossa, e fiocchi pendenti» è lo stesso che viene menzionato nelle notule di pagamento di Ciriaco Mattei del 1603, in cui viene indicato con la medesima descrizione.[5]

Cattura di Cristo, versione in collezione privata romana

La critica a questo punto si divide su quale strada abbia preso il dipinto, se andò nelle collezioni di Asdrubale o se confluì in quelle di Paolo, essendo citate in entrambe le dimore un dipinto del medesimo soggetto assegnato al Caravaggio.

Una versione è infatti passata di eredi in eredi di casa Mattei prendendo la strada di Asdrubale, dove addirittura compare già nel 1624, citata anche dal Bellori, e poi negli inventari del 1631 e 1638 fino a riapparire nell'inventario di Alessandro nel 1729 prima e in quello di Girolamo nel 1753 poi.[5]

Cattura di Cristo, versione di Odessa

Un'altra versione coeva (probabilmente una copia fatta eseguire da Giovanni Battista, seppur sin dalla prima menzione, che avviene nell'inventario del 1616, è descritta come opera del Caravaggio) «con cornice dorata e sua tendina di taffetà verde», é invece quella poi donata nel 1624 al cugino Paolo Mattei e quindi finita anch'essa nelle eredità di Girolamo prima e di Alessandro poi.[5] L'opera sarebbe poi confluita in un momento imprecisato nella collezione Vandeneynden di Napoli, dove compare nel 1688 inventario con «cornice dorata», quindi in quella Colonna di Stigliano, poi Ruffo di Calabria, quindi presso la collezione privata Ladis Sannini e infine in quella Bigetti di Roma.[5][6][7] Tuttavia l'assunto non trova unanime certezza nella critica, proprio poiché dipinti con questo soggetto vengono menzionati in casa Mattei ancora nel 1729 e nel 1753, dove si aggiunse una terza versione fatta copiare da Asdrubale nel 1626 e donata a Paolo (probabilmente la tela oggi a Odessa), creando confusione nella corretta identificazione dei quadri.[5]

La differenza sostanziale sotto il profilo della cronistoria che esiste tra i due dipinti noti, dunque, riguarda il percorso che questi hanno fatto, dove se uno (quello con cornice nera rabescata d'oro) compare già nelle notule di Ciriaco Mattei e quindi nella collezione di Asdrubale nel 1624 (citato dal Bellori), poi nel 1631 e nel 1638, fin poi a quello di Alessandro nel 1729, dov'è senza attribuzione e con valore di 200 scudi, l'altro (con cornice dorata) compare per la prima volta in occasione della donazione del 1624 di Giovanni Battista al cugino Paolo, da cui passa poi direttamente al fratello Girolamo e alla sua discendenza, saltando quindi l'iter che porta le collezioni ad Asdrubale presso cui invece convergerà effettivamente la collezione.[5]

Alla morte di Giovanni Battista la collezione e i palazzi familiari passarono al fratello Alessandro, il quale tuttavia vi rinuncerà in cambio di un vitalizio in favore appunto dello zio Asdrubale.

La collezione sotto Asdrubale Mattei

Il palazzo Mattei di Giove
Palazzo Mattei di Giove ai Funari

La collezione di Asdrubale si sviluppò inizialmente in maniera parallela rispetto a quella che intanto andava costruendo il fratello Ciriaco: le due saranno riunite solo con il lascito del nipote Alessandro. Se Ciriaco era particolarmente generoso in termini economici, Asdrubale era invece noto per essere un cattivo pagatore per gli artisti, particolarmente avido e sempre pronto a fare gare a ribasso durante le trattative economiche con loro.[1]

Nonostante ciò, con lui la famiglia godette di un notevole aumento di prestigio, sia grazie alla formazione della collezione d'arte che, in particolare, grazie alla espansione delle proprietà immobiliari, in primis con l'edificazione del palazzo Mattei ai Funari a Roma, ultimo edificio in ordine cronologico innalzato nell'insula Mattei.[1]

Scorcio della loggetta dal cortile interno di palazzo Mattei di Giove ai Funari

A contribuire alle numerose decorazioni del palazzo furono chiamati, nel primo decennio del Seicento, diversi artisti. Fu qui che Pietro da Cortona ricevette la sua prima importante commissione privata, nella quale fu incaricato di dipingere la volta della Galleria con le Storie del re Salomone e la regina Saba, stesso ambiente su avrebbe lavorato anche Pietro Paolo Bonzi che avrebbe eseguito nelle lunette scene di paesaggi dei feudi Mattei.[1] Francesco Albani realizzò invece i cicli con le Storie di Giacobbe (1606-1607), ai quali collaborò anche Domenichino; Giovanni Lanfranco fu autore invece del Giuseppe e la moglie di Putifarre (1614), mentre altri lavori furono successivamente commissionati a Gaspare Celio, che si occupò di affrescare l'ultima stanza del piano nobile.[1]

Nel cortile interno furono invece disposte molte statue e altri reperti di antichità rinvenute nei possedimenti familiari al Palatino, che riempiono ancora oggi anche le scale, le facciate interne e le loggette, nonché busti di imperatori antichi e moderni realizzati tra il 1590 e il 1610.

La Galleria di palazzo Mattei di Giove ai Funari

Il palazzo ai Funari costituiva di fatto la residenza di Asdrubale, mentre quello di Giove sarà la sua dimora estiva; Ciriaco invece viveva prettamente tra il palazzo alle Botteghe Oscure e la villa al Celio.[8]

Gli inventari del 1631 e 1638

Nel 1631 Asdrubale stilò un ulteriore inventario della collezione, comprendente a questo punto sia le sue personali commesse che quelle già di Ciriaco (e poi dei suoi figli): fu chiamato per l'occasione Giovanni Battista Crescenzi per avere anche una valutazione economica alle opere presenti.

Tra le varie opere dell'elenco risulta registrata presso la proprietà di Roma la Cattura di Cristo «con cornice nera rabescata d’oro», già di Ciriaco e poi di Giovanni Battista, così come comparirà nell'inventario post mortem del 1638. Pertanto a quella data sono già due le versioni del dipinto appartenenti alla famiglia, una che teneva Paolo, con cornice dorata, donata nel 1624 da Giovanni Battista, e quest'altra che figura per l'appunto negli inventari di Asdrubale con cornice nera rabescata d'oro, che coincide con quella commissionata da Ciriaco nel 1603.[3]

Particolare degli affreschi di Pietro da Cortona e Paul Bril nella volta della Galleria di palazzo Mattei di Giove ai Funari

Ancora, non si sa per quale motivo, il 3 settembre 1626 Asdrubale fece realizzare da Giovanni Attilio una terza copia del dipinto, che fu donata anche questa volta a Paolo (probabilmente identificabile con l'opera oggi a Odessa), il quale la teneva nella propria camera da letto.[1]

Oltre all'opera del Merisi erano presenti nella collezione di Asdrubale anche una cospicua serie di tele a tema cristologico tutte facenti parte della corrente caravaggista, commissionate dallo stesso marchese che le pensò appositamente per le sale del proprio appartamento (infatti le tele avevano quasi tutte taglio orizzontale ed erano di dimensione pressoché simili).[1] Tra queste vi erano le pitture che decoravano la Galleria: due tele su Santa Marta con santa Maria Maddalena e la Samaritana al pozzo di Alessandro Turchi "a mo' di sovraporta"; il Tributo della moneta e l'Incontro tra i santi Pietro e Paolo sulla via del martirio di Giovanni Serodine, entrambe pagate (assieme a una terza, la Disputa di Cristo tra i Dottori, che non era però in Galleria) dal committente appena 25 scudi; l'Ultima cena di Valentin de Boulogne; il Sacrificio di Isacco di Orazio Riminaldi; e infine la Natività e il Cristo e l'adultera, pagate rispettivamente 30 e 40 scudi, di Pietro da Cortona.[1]

Giovanni Serodine, Disputa di Cristo tra i Dottori

Tutte le suddette tele furono richieste appositamente per la Galleria, dov'era anche la Disputa di Cristo di Antiveduto Grammatica, unica tela dell'iconografia non commissionata da Asdrubale bensì da Ciriaco Mattei.[1] La nota Cattura di Cristo del Caravaggio segnalata dal 1624 presso Asdrubale (originale o copia che fosse) era invece nella prima anticamera degli appartamenti, assieme alla Disputa di Serodine e alla Circoncisione di Pietro Ferri, quest'ultima pagata solo 10 scudi.[1]

Alla morte di Asdrubale, nel 1638, la collezione passò al figlio Paolo, che tuttavia morirà solo quattro giorni dopo il padre, lasciando a sua volta tutti i beni al fratellastro Girolamo, sotto al quale per la prima volta si riunirono le due versioni della Cattura di Cristo di Caravaggio già discusse.

La collezione sotto il ramo Mattei di Giove

Il castello Mattei di Giove, residenza feudale di Asdrubale

Girolamo fu erede di tutti i feudi di famiglia con annessi titoli nobiliari (Rocca Sinibalda, Castel San Pietro Sabino, Antuni e Giove) e soprattutto dell'enorme patrimonio immobiliare accumulato fino a quel momento dalla linea romana di Alessandro senior, comprendente i diversi palazzi dell'Isola Mattei (Palazzo Mattei alle Botteghe Oscure, Palazzo Mattei di Giove e il palazzetto all'Olmo) e due ville urbane (Villa Mattei al Celio e Villa Mattei al Palatino, luogo in cui furono rinvenute gran parte delle opere antiche della collezione Mattei, alcune delle quali entrate a far parte delle decorazioni del palazzo ai Funari)[8] con annesse le collezioni d'arte ivi conservate.[9][10]

Tuttavia, assieme a tutto questo, Girolamo ereditò anche i numerosi debiti che suo padre e i suoi zii avevano accumulato nel tempo per creare le loro raccolte. Nel tentativo di risanare le proprie condizioni finanziarie, questi decise di dismettere alcune proprietà vendendole ad acquirenti interessati.[11] La difficile condizione economica in cui versava la famiglia Mattei comportò una notevole perdita di prestigio per il casato, il che rendeva difficile per Girolamo anche ottenere credito: gli venne in soccorso papa Urbano VIII che nel 1643 gli concesse la dignità ducale sul feudo di Giove (fino ad allora il titolo nobiliare sul feudo era quello di marchese).[12]

Il 26 settembre 1672 papa Clemente X, amico e protettore della famiglia Mattei, gli concesse di istituire il Monte Mattei, al quale Girolamo vincolò alcuni beni di famiglia.[13] Morto nel 1678, la sua vedova fu costretta a vendere quasi tutti i possedimenti del defunto marito (nel 1682 fu ceduto il palazzo romano alle Botteghe Oscure al cardinale Giovanni Francesco Negroni)[14] per coprire le spese di mantenimento del Monte. Alla famiglia rimase solo il feudo di Giove, il palazzo ai Funari e la villa al Celio.[10]

Erede della collezione fu Alessandro Mattei, unico figlio maschio avuto da Girolamo in seconde nozze con Eugenia Spada, nipote del noto cardinale Bernardino.

Settecento

Intorno alla metà del XVIII secolo, Giovanni Gaetano Bottari visita il palazzo Mattei di Giove e annota la situazione delle sale, che apparivano all'epoca ancora com'erano al tempo di Asdrubale, ad eccezione della Disputa di Cristo tra i Dottori di Serodine e della Circoncisione di Pietro Ferri, che non vengono menzionati. Lo scrittore evidenzia con accezioni elogiative tutti i quadri della Galleria, ritenuti singolari (seppur i due di Serodine vengono scambiati per due di Caravaggio) mentre il dipinto della Cacciata dei mercanti dal Tempio di Carlo Saraceni (oggi non rintracciato) viene addirittura considerato essere «bellissimo».[1]

Base di statua di Naeratius Cerealis

In questo secolo la collezione passa da Alessandro al figlio Girolamo, III duca di Giove, al quale si deve l'ultimo inventario della collezione prima dell'inizio della sua dismissione (dove figurano le due versioni della Cattura di Cristo discusse del Caravaggio, seppur quella oggi in collezione privata riferita senza nome, ma con valore particolarmente alto, pari a 200 scudi, e tutte le altre copie fatte realizzare nel tempo), e poi infine a Giuseppe Mattei.[3]

Nonostante il divieto di esportare fuori da Roma le opere d'arte, sancito già nel 1685 da Innocenzo XI e rinnovato dai papi successivi, sotto Giuseppe Mattei avvennero le prime cessioni di opere della collezione. Così come accadde per altre famiglie romane cadute in disgrazia, un corposo gruppo di reperti archeologici dislocati tra la villa al Celio e il palazzo ai Funari fu acquistato nel 1770 da Clemente XIV per i Musei Vaticani, con lo scopo di scongiurare la "sottrazione" da Roma dei pezzi. Furono pagati 4.300 scudi per diverse statue, busti, bassorilievi e urne cinerarie.[4][15]

Athena tipo Mattei

Ottocento

Con l'avvento dei francesi nel 1798 la famiglia subì il definitivo tracollo finanziario che costrinse gli eredi alla lenta ma inesorabile dismissione pressoché totale di tutto il proprio patrimonio.[16]

Nel 1802 furono venduti diversi capolavori della Galleria al politico e mercante inglese William Hamilton Nisbet, tra cui la Cattura di Cristo di Caravaggio nella versione oggi a Dublino (che all'epoca delle vendita era attribuita a Gerrit van Honthorst),[17] la Cacciata dei Farisei dal tempio di Giovanni Serodine, la Disputa di Gesù tra i dottori del Grammatica, la Samaritana al pozzo di Alessandro Turchi, il Lazzaro alla tavola dell'uomo ricco e l'Adorazione dei pastori di Jacopo Bassano.

Per far fronte alle criticità economiche nello stesso anno furono dismesse anche alcune proprietà immobiliari: tra queste la villa al Celio. Sempre nel 1802, intanto, compare nell'inventario Mattei un'altra tela del Caravaggio, quella del San Francesco in meditazione, valutata ben 500 scudi. L'opera, sulla cui storia e commissione si hanno oggi solo semplici ipotesi, è stata accostata a una in collezione privata, copia o prototipo (il dibattito della critica moderna resta aperto) di quelle nella chiesa dei Cappuccini e di palazzo Barberini.

Tra il 1808 e il 1814 vi furono la vendita di altri lotti di opere, sia pittoriche che di archeologia, molte di queste confluite nella collezione del cardinale Joseph Fesch, tra cui l'Ultima cena di Valentin de Boulogne (oggi a Palazzo Barberini) e la statua di Athena (finita poi nel 1821 entro le collezioni di Luigi XVIII e quindi oggi al Louvre di Parigi).[16] Nel 1836 la tavoletta di Lorenzo Lotto (che negli inventari antichi era di scuola raffaelliana) fu venduta in collezione privata lombarda (oggi alla Pinacoteca di Brera).

Il ramo dei Mattei di Giove si estinse con Caterina, nipote del già citato Giuseppe, che lasciò la proprietà del palazzo di Giove al figlio Carlo Canonici, il quale, morendo prematuramente senza eredi, lo passerà poi alla prozia Marianna Mattei (sorella del nonno Filippo Mattei), la quale, coniugatasi con il marchese Carlo Teodoro Antici, diede inizio alla famiglia Antici-Mattei, che sarà erede anche del palazzo ai Funari.

Novecento

Un gruppo di 39 sculture antiche che adornavano la villa Celimontana (già non più di proprietà della famiglia Mattei dal 1802) furono acquistate dallo Stato italiano nel 1923 per il Museo nazionale romano (25 di queste ricollocate nel Museo delle Terme di Diocleziano e altre 14 presso il Museo di Palazzo Altemps a Roma).[16]

Nel 1936 il castello di Giove fu ceduto alla famiglia Acquarone.[18] Nel 1939 fu venduto un gruppo di 23 opere che erano ancora collocate nel palazzo ai Funari: il Sacrificio di Isacco di Riminaldi, la Natività di Pietro da Cortona, il Battesimo di Cristo copia da Ciro Ferri, l'Incontro tra i santi Pietro e Paolo sulla via del martirio di Giovanni Serodine, le Nozze di Cana di scuola del Tintoretto, svariate scene di Cortei di Giovanni Ferri, il David e Abigail e la Continenza di Scipione di Giovanni Battista Ruggieri, alcune vedute di Paul Bril e la grande Battaglia di Gaspare Celio.[16]

Queste opere rimasero fino al 1978-1979 nei locali del palazzo, ora occupati dal Centro italiano di studi americani, per poi essere ricollocate l'anno seguente nella Galleria nazionale di Palazzo Barberini a Roma, dove sono tuttora.[16]

Elenco delle opere (non completo)

Opere archeologiche

Amazzone ferita
Frammento di fronte di sarcofago con scena di caccia al leone (detto Sarcofago Mattei I)
Statua di Dace

Opere d'arte

Valentin de Boulogne, Ultima cena
Lorenzo Lotto, Assunzione di Maria
Bartolomeo Passerotti, Macelleria
Bartolomeo Passerotti, Pescheria
Giovanni Battista Ruggieri, Continenza di Scipione
Giovanni Serodine, Tributo della Moneta

Albero genealogico degli eredi della collezione

Segue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione Mattei, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Mattei viene abbreviato a "M.".

 Alessandro M.
(...-1565)
(sposato con Emilia Mazzatesta)
 
    
 Ciriaco M.
(1545-1614)
(fu l'iniziatore della collezione nonché il committente delle tre tele del Caravaggio presenti nella raccolta: la Cena in Emmaus, il San Giovanni Battista "Capitolino" e la Cattura di Cristo)
Girolamo M.
(1547-1603)
(cardinale; Caravaggio dichiarava nei suoi atti che viveva presso il palazzo M. ospite di Girolamo)
 Asdrubale M.
(1556-1638)
(ereditò la collezione per rinuncia del nipote Alessandro; già dal 1624, poi nel 1631 e 1638 risultava presso di lui la Cattura di Cristo del Caravaggio)
...e altri 3 fratelli
  
     
Giovanni Battista M.
(1568-1624)
(ereditò il San Giovanni Battista e la Cattura di Cristo del Caravaggio, che figurano nel suo inventario del 1616; nel 1624 dona un'altra versione della Cattura di Cristo al cugino Paolo, probabilmente identificabile con la tela oggi a Dublino)
Alessandro M.
(1574–1630)
(abate, ereditò la collezione del fratello, il palazzo di famiglia a Roma e la villa al Celio, che in seguito donò allo zio Asdrubale in cambio di un vitalizio)
...e altri 3 fratelli/sorelle
sposato in prime nozze con Eleonora de' Rossi
 sposato in seconde nozze con Costanza Gonzaga, da cui nacque il ramo dei M. di Giove
  
   
 Paolo M.
(1589-1638)
(abate e protonotario apostolico, ebbe in dono nel 1624 da Giovanni Battista una versione della Cattura di Cristo, che non era quella già di Ciriaco, che invece finì al padre Asdrubale; morì quattro giorni dopo il padre)
Girolamo M.
(1606-1676)
(I duca di Giove; ereditò la collezione del fratello Paolo e generò, tramite seconde nozze con Eugenia Spada, nipote del cardinale Bernardino, la linea che diede seguito alla raccolta; il suo inventario post mortem del 1676 citava sia la Cattura di Cristo già di Ciriaco e di Asdrubale che la copia già di Paolo)
...e altri 6 fratelli/sorelle
 
 
 Alessandro M.
(1670-1729)
(II duca di Giove; nel suo inventario post mortem del 1729 era citata la Cattura di Cristo oggi a Dublino)
 
  
 Girolamo M.
(1702-1753)
(III duca di Giove; nell'inventario del 1753 era citata la Cattura di Cristo ritenuta originale, quella poi confluita nella collezione Sannini a Firenze e oggi in raccolta privata)
...e altri 4 fratelli/sorelle
 
  
 Giuseppe M.
(1735-1809)
(IV duca di Giove; nel 1770 vendette gran parte delle opere archeologiche della collezione a papa Clemente XIV)
...e altri 4 fratelli/sorelle
 
  
 Marianna M.
(1777-1830)
(sposò Carlo Teodoro Antici, da cui ebbe seguito la dinastia Antici-M.; fu di fatto l'ultima discendente dei M. di Giove dopo il ritorno della collezione dal pronipote Carlo Canonici)
 Filippo M.
(...-1801)
(V duca di Giove, sposò Anna Sforza Cesarini; fu l'ultimo erede maschio della linea dei M. di Giove)
  
   
 Matteo Antici-M.
(...-...)
(ereditò il feudo e il palazzo di Giove, nonché quello di Roma con tutta la collezione ivi rimasta)
...e altri 8 fratelli/sorelle
Caterina M.
(...-...)
(sposò Giovanni Battista Canonici)
  
  
 
Nel 1923 e nel 1936 sono stati acquistati rispettivamente un gruppo di 39 pezzi d'antichità e il palazzo M. di Giove ai Funari dallo Stato italiano che nel 1939 acquistò anche un gruppo di 23 tele
 Carlo Canonici
(...-...)
(prematuramente morto, senza eredi, ritornò la collezione alla linea dei M. di Giove della prozia Marianna)

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m Stefano Pierguidi, Caravaggio e il ciclo della galleria di palazzo Mattei. URL consultato il 23 ottobre 2022.
  2. ^ A questi tre Giovanni Baglione aggiunse tra le commissioni di Ciriaco a Caravaggio anche una Incredulità di san Tommaso, che tuttavia non è identificabile con quella di Potsdam già in collezione Giustiniani.
  3. ^ a b c d e About Art, CARAVAGGIO e i MATTEI: da nuovi studi, importanti novità nell'analisi stilistico-documentaria di quattro capolavori, su ABOUT ART ON LINE, 16 settembre 2020. URL consultato il 23 ottobre 2022.
  4. ^ a b L. Hautecoeur, La vente de la collection Mattei et les origines du Musée Pio-Clémentin, Mélanges de l'école française de Rome, 1910, pp. 57-75.
  5. ^ a b c d e f g h About Art, Excursus caravaggesco, novità su Caravaggio e i Mattei e in esclusiva le analisi riflettografiche su La Presa di Cristo e sul San Francesco ex Cecconi, su ABOUT ART ON LINE, 26 maggio 2021. URL consultato il 19 ottobre 2022.
  6. ^ About Art, Al Palazzo Chigi di Ariccia per la prima volta al pubblico dal 14 Ottobre la ‘Presa di Cristo’ dalla collezione Ruffo., su ABOUT ART ON LINE, 3 settembre 2023. URL consultato il 20 settembre 2023.
  7. ^ a b Secondo una parte della critica la tela è quella registrata nel 1688 nell'inventario della napoletana collezione Vandeneynden, poi successivamente in quella Colonna di Stigliano, poi Ruffo di Calabria e poi in quella fiorentina Sannini. Un'altra parte della critica ritiene questo assunto non attendibile, poiché il Cristo nell'orto del Caravaggio di cui trattasi risulta nel 1729 nella collezione di Alessandro e nel 1753 ancora negli inventari Mattei.
  8. ^ a b Daniela Candlio, Nuove considerazioni sulle statue del cortile di Palazzo Mattei (PDF), in Bollettino di Archeologia On-Line, VII, n. 2016/3-4, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
  9. ^ Giulia Marzani, Il cardinale Girolamo Mattei (1547- 1603) by Fondazione Camillo Caetani - Issuu, su issuu.com, p. 116. URL consultato il 22 ottobre 2022.
  10. ^ a b Giulia Marzani, Il cardinale Girolamo Mattei (1547- 1603) by Fondazione Camillo Caetani - Issuu, su issuu.com, p. 126. URL consultato il 22 ottobre 2022.
  11. ^ (EN) Giulia Marzani, Il cardinale Girolamo Mattei (1547- 1603) by Fondazione Camillo Caetani - Issuu, su issuu.com, p. 118. URL consultato il 22 ottobre 2022.
  12. ^ Giove ed il suo Palazzo, su corteostoricogiove.it.
  13. ^ Giulia Marzani, Il cardinale Girolamo Mattei (1547- 1603) by Fondazione Camillo Caetani - Issuu, su issuu.com, p. 124. URL consultato il 22 ottobre 2022.
  14. ^ Giulia Marzani, Il cardinale Girolamo Mattei (1547- 1603) by Fondazione Camillo Caetani - Issuu, su issuu.com, pp. 1-3. URL consultato il 19 ottobre 2022.
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  19. ^ FONDAZIONE ZERI | CATALOGO : Ricerca opere per :, su catalogo.fondazionezeri.unibo.it. URL consultato il 20 ottobre 2022.
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Bibliografia

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  • AA. VV., Caravaggio e la collezione Mattei, Milano, Mondadori Electa, 1995, ISBN 8843552597.

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