Il calice (dal grecoϰύλιξ, coppa, e dal latinocalix, calice) è un oggetto liturgico utilizzato per contenere il vino e l'acqua durante la Celebrazione eucaristica.[1] Esso rientra nella categoria dei vasi sacri,[2] per i quali è richiesto dal Messale Romano che siano in metallo nobile e inossidabile, o in «altre materie solide e nobili» purché perlomeno la loro coppa sia dorata internamente;[3] il calice, in particolare, deve avere «la coppa fatta di una materia che non assorba i liquidi», mentre la sua base «può essere fatta con materie diverse, solide e decorose».[4] La benedizione del calice e della patena, con la quale essi acquisiscono «destinazione esclusiva e permanente alla celebrazione dell'Eucaristia», può essere impartita da un qualunque presbitero, «purché l'uno e l'altra siano fatti secondo le disposizioni».[5]
Uso
Nel rito romano, per la celebrazione della Messa il calice viene preparato sulla credenza, «lodevolmente ricoperto da un velo»,[6] e portato all'altare all'offertorio; un diacono oppure lo stesso celebrante vi versa il vino con una goccia di acqua, recitando sottovoce la formula: «L'acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana».[7] Nel rito ambrosiano la formula da recitare ad alta voce è: «Dal fianco aperto di Cristo uscì sangue e acqua». Durante la liturgia eucaristica e i riti di comunione, il calice resta appoggia al centro dell'altare, sul corporale, normalmente il calice viene coperto con la palla;[8] viene elevato durante la presentazione del vino all'offertorio, all'ostensione dopo le parole dell'istituzione, e durante la dossologia finale; eventualmente, anche quando il sacerdote mostra al popolo l'ostia spezzata, alla frazione della quale fa cadere un frammento nella coppa.[9] Quando poi si comunica al calice, egli pronuncia la seguente formula: «Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna».[10] La purificazione del calice viene fatta all'altare o alla credenza[11] con acqua o con acqua e vino,[12] dicendo sottovoce: «Il sacramento ricevuto con la bocca sia accolto con purezza nel nostro spirito, o Signore, e il dono a noi fatto nel tempo ci sia rimedio per la vita eterna».[13] Fino al XIV secolo il calice veniva purificato in un'apposita vaschetta o nel sacrarium della sacrestia; quest'uso è stato interrotto dall'introduzione del purificatoio.[14] È inoltre attestato, nella Francia del XIV-XVI secolo, l'uso di benedire da parte del sacerdote al termine della celebrazione eucaristica con il calice o la patena, per distinguere la benedizione impartita dal presbitero (con un oggetto) da quella del vescovo (con la mano).[15]
Nel rito bizantino, il calice presenta un'ampia base ed una corona che cinge la parte inferiore della coppa;[16] è tradizionalmente ornato con raffigurazioni (sovente cesellate) della Crocifissione di Gesù, della sua Resurrezione, della Vergine Maria, di Giovanni Battista e degli Evangelisti, nonché con motivi vegetali che richiamano l'uva e la vite.[17] Per la comunione dei fedeli, che avviene sotto le due specie del pane e del vino, viene usato un apposito cucchiaio (in greco: λαβίς; in russo: лжицаin) metallo prezioso.[18]
Mario Righetti, Manuale di storia liturgica, vol. I, Milano-Genova, Ancora-Apostolato Liturgico, 1945, ISBN non esistente.
Josef Andreas Jungmann, Missarum Sollemnia: origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, 2ª ed., Torino, Marietti, 1963, ISBN non esistente.
Conferenza Episcopale Italiana, Messale Romano riformato a norma dei decreti del Concilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da papa Paolo VI, 2ª ed., Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1984, ISBN88-209-1445-X.
Claudia Barsanti, Calice, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, vol. IV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993, pp. 71-78, ISBN non esistente.