Il più famoso bosco sacro della Grecia continentale è stato quello di Dodona, costituito da querce sacre a Zeus. Anche ad Atene, il sito dell'Accademia ateniese fu anticamente un bosco sacro di olivi, detto il "bosco di Academo". Ben note a tutti erano anche, grazie a Omero, le foreste di cipressi consacrate a Persefone. Platone parla del bosco sacro di Poseidone. Infine, Esiodo nomina il divino Olmeo, ai piedi dell'Elicona.
Il bosco sacro di Cosilinum
COSILINUM: BOSCO SACRO, (Epigrafe di chiara indicazione)
-ANSIA TARVI F
-RUFA EX D D CIRC
-LUCUM MACER
-ET MURUM ET IANU
- D S P F C
Il sito che meglio offre oggi prospettive archeologiche allettanti è quello di Cosilinum, nota in primis da un’epigrafe che nomina un Curator rei publicae Cosilinatium e da testimonianze su una Torre Quadrata di età repubblicana costruita da M. Minazio Sabino, di una recinzione di un lucus (bosco sacro) e della ricostruzione in età imperiale di una Porticus Herculis da parte di M. Vehilio Primo (il curator prima nominato).
Da Cosilinum dipendeva il sobborgo di Marcellianum posto lungo la Via Consolare Annia il cui toponimo parrebbe riferirsi all’età di Costantino (ed al Papa Marcello I).
Lucus e Nemus
I Romani davano ai boschi sacri il nome latino di Lucus o Nemus distinguendoli dai boschi privi di valore sacrale che venivano chiamati Silva.[1]
Nell'Italia centrale, la città odierna di Nemi richiama nel nome il nemus Aricinum ("bosco di Ariccia"), antica sede del santuario di Diana Nemorensis.
Esso sorgeva presso il Tempio di Diana (Nemi).
Il Luco, in latinoLucus (con il significato originario di «radura nel bosco dove arriva la luce del sole»)[2][3] è il bosco sacro per gli antichi romani.
Un santuario dedicato alla ninfa Marìca era sulla sponda del fiume Garigliano in prossimità della città romana di Minturnae. Il Lucus Maricae, il bosco sacro a lei dedicato, era invece sulla sponda opposta, oggi la pineta della località turistica Baia Domizia. In questo bosco che un tempo doveva essere paludoso trovò rifugio il console Gaio Mario, nell'88 a.C., per salvarsi dai sicari inviati da Silla che volevano ucciderlo.
All'interno del bosco è collocata la riproduzione di un cippo lapideo su cui è scritta la "Lex luci Spoletina", primo esempio di norma forestale nel mondo romano: iscrizioni su pietra del tardo III secolo a.C., scritte in latino arcaico, che stabiliscono le pene per la profanazione del bosco sacro dedicato a Giove.
La traduzione recita:
«Questo bosco sacro nessuno profani, né alcuno asporti su carro o a braccia ciò che al bosco sacro appartenga, né lo tagli, se non nel giorno in cui sarà fatto il sacrificio annuo; in quel giorno sia lecito tagliarlo senza commettere azione illegale in quanto lo si faccia per il sacrificio. Se qualcuno [contro queste disposizioni] lo profanerà, faccia espiazione offrendo un bue a Giove ed inoltre paghi 300 assi di multa. Il compito di far rispettare l'obbligo tanto dell'espiazione quanto della multa sia svolto dal dicator.»
(Traduzione dell'iscrizione del cippo lapideo della Lex spoletina)
L'originale attualmente è custodita al Museo Archeologico Nazionale nella città umbra di Spoleto.
Un Bosco Sacro, chiamato Lucus Vestae, era presente a Roma dietro alla Casa delle vergini Vestali sotto la pendice del Palatino; esso si ridusse per i vari ingrandimenti fatti alla casa e le ultime vestigia andarono in fiamme nel Grande incendio di Roma del 64.
Anche la collinare Lucera era anticamente un bosco sacro (etrusco "luk": bosco, "eri": sacro, una tra le sue probabili etimologie) e vantava una propria Lex de luco sacro, appunto. Dell'iscrizione, rinvenuta fortuitamente attorno alla metà dell'Ottocento e subito andata perduta, resta una trascrizione dell'epoca.[4]
In India i boschi sacri vengono chiamati Devarakadus ("foreste degli dèi"). Un tempo venivano mantenuti dalla comunità locale, proibendo all'interno di essi la caccia e il disboscamento.
Attualmente in Europa va diffondendosi l'usanza ecologica dei boschi funerari, dove possono essere inumate le ceneri in un'urna biodegradabile attorno ad un albero prescelto (cosiddetta "sepoltura naturale") oppure le ceneri vi si possono spargere.[5].
^ P. F. Girard, Textes de droit romain, n. 1, 2ª ed., Paris, 1895, 22-23. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, Bonn (Germany), Dr. Rudolf Habelt GmbH. emendamento di Mommsen sull'apografo, direttamente dall'originale, di Francesco del Buono, erudito del posto:.
«In hoce loucarid stircus ne [qu]is fundatid, neve cadaver projecitad, neve parentatid. Sei quis arvorsu hac faxit, [ceiv]ium quis volet pro joudicatod n(umum) [L] manum inject[i]o estod. Seive mac[i]steratus volet moltare, [li]cetod»