Aurelio Robino (Genova, 16 luglio 1867 – Grazigna, 16 maggio 1917) è stato un militare italiano, decorato di Medaglia d'oro al valor militare alla memoria durante il corso della prima guerra mondiale.
Nacque a Genova il 16 luglio 1867,[1] figlio di Agostino[N 1] e Fanny Dellacella.[2] Dopo aver conseguito il diploma di ragioniere presso l'Istituto tecnico Germano Sommeiller di Torino, intraprese la carriera militare arruolandosi nel Regio Esercito, e nel 1885 fu ammesso a frequentare come Allievo ufficiale la Regia Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, da cui uscì con il grado di sottotenente dell'arma di fanteria, corpo dei bersaglieri, nell'ottobre 1887.[2] Prestò servizio nell'11º Reggimento bersaglieri, e una volta promosso tenente nel corso del 1891, vi ricoprì l'incarico di Aiutante maggiore in seconda.[1] Nel 1902 ottenne la promozione a capitano a scelta, in servizio nel 1º Reggimento bersaglieri, venendo trasferito nel 1907 in servizio presso il Corpo di Stato maggiore.[2] Divenuto maggiore nel 1913, ed in forza al 4º Reggimento bersaglieri, fu incaricato di progettare e realizzare alcune opere a carattere difensivo sull'altopiano di Asiago.[2]
All'atto dell'entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 24 maggio 1915, si trovava al comando del XXXVII Battaglione bersaglieri operante in Valsugana, partecipando subito alla prima offensiva arrivando a conquistare l'abitato di Borgo.[1] Promosso tenente colonnello, si distinse nei combattimenti di Santa Lucia (novembre 1915) e di Santa Maria di Tolmino (maggio-giugno 1916).[1] Nel febbraio 1917 ottenne la promozione a colonnello per merito di guerra, assumendo il comando del 119º Reggimento fanteria della Brigata Emilia.[3] Il mattino del 16 maggio dello stesso anno, nel corso della decima battaglia dell'Isonzo,[3] ricevette l'ordine di attaccare le posizioni avversarie di Quota 126 di Grazigna,[1] una piccola altura posizionata nei pressi di Gorizia.[3] Una volta raggiunta la prima linea del nemico, e successivamente superata la cima dell'altura, l'avanzata dei suoi uomini fu fermata da un fitto e profondo reticolato rimasto intatto, sottoposto all'intenso tiro dell'artiglieria nemica.[1] Dovendo contrastare i contrattacchi nemici che miravano a riconquistare le trincee perdute non volle lasciare i suoi uomini, e cadde colpito a morte dallo scoppio di una granata nemica.[2] Per onorarne la memoria fu decretata la concessione della Medaglia d'oro al valor militare.[2]
La fanfara del bersaglieri di Legnano porta il suo nome, così come uno dei quartieri della città[3], visto che visse a Legnano per lungo tempo, fino all'entrata in guerra dell'Italia nella prima guerra mondiale e la successiva partenza per il fronte[4].
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