Gli attentati a Benito Mussolini furono almeno sei; Mussolini sopravvisse a tutti i tentativi di ucciderlo mentre era a capo del Governo italiano durante il regime fascista, che governò l'Italia tra gli anni 1920 e 1940.
Il 7 aprile 1926Violet Gibson, una donna irlandese squilibrata, sparò un colpo di pistola verso Mussolini.
Il Duce si salvò solo perché in quel momento stava compiendo un saluto romano che lo portò ad arretrare la testa, rimanendo con solo una lieve ferita al naso.
Successivamente la famiglia della Gibson, temendo per il proprio futuro, spedì una lettera di scuse al governo italiano, congratulandosi con Mussolini per essere sopravvissuto all'attentato. [1][2][3]
L'11 settembre 1926 l'anarchico Gino Lucetti lanciò un ordigno esplosivo contro l'auto del capo del Governo.
La bomba rimbalzò contro lo sportello della vettura ed esplose in strada, ferendo otto persone[4]. Lucetti fu immediatamente immobilizzato da un passante, tale Ettore Perondi, e poi raggiunto dalla polizia.
Dalla perquisizione subito effettuata, Lucetti fu trovato armato anche di una pistola caricata a proiettili dum-dum[5]. Fu condannato a trent'anni di carcere.
La sera del 31 ottobre 1926, durante la commemorazione della marcia su Roma a Bologna, il quindicenne Anteo Zamboni esplose un colpo di pistola verso il capo del Governo, bucandogli la giacca e sfiorandogli il petto. Bloccato dal tenente del 56º fanteria Carlo Alberto Pasolini, padre dello scrittore e regista Pier Paolo, Zamboni fu linciato ed ucciso sul posto con numerose coltellate dalle camicie nere[6].
Secondo alcune ricostruzioni, l'attentato sarebbe stato, in questo caso, il risultato di una cospirazione maturata all'interno degli ambienti fascisti avversi alla normalizzazione inaugurata da Mussolini, contrario a ulteriori eccessi rivoluzionari e al potere eccessivo delle formazioni squadriste.
Secondo tali ipotesi, il colpo di pistola in realtà non sarebbe neppure stato sparato da Zamboni, che sarebbe stato una vittima delle circostanze.
Le indagini di polizia si svolsero inizialmente negli ambienti squadristi bolognesi, ipotizzando in un primo tempo un coinvolgimento di ras locali come Roberto Farinacci, Arconovaldo Bonacorsi e, secondo un'altra ipotesi, Leandro Arpinati, ma non portarono ad alcun risultati, dato che le autorità imposero di non indagare ulteriormente, viste le gravi ripercussioni che la notizia di dissapori interni al fascismo avrebbe avuto sull'opinione pubblica.[7] A quel punto si concluse ufficialmente che l'attentato non poteva che essere opera di un elemento isolato.[8] Un'ulteriore indagine sollecitata dal Ministero dell'Interno fu svolta ancora dai magistrati del Tribunale Speciale, ma anch'essa approdò alle medesime conclusioni conseguite dalla polizia.[9]
I procedimenti penali successivi condannarono a pene detentive il padre e la zia dell'attentatore per aver influenzato il giovane nelle sue scelte; poco tempo dopo il Duce decise di graziare i due condannati e di sovvenzionarne il fratello, che si trovava in difficoltà economiche.[10]
^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a Mussolini, Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata, n. 8, 1965, p. 243. "Lucetti, fermo dove la strada si restringe sulla destra di Porta Pia, lancia contro la prima vettura una bomba a mano tipo Sipe. Ma la bomba colpisce il tetto della macchina senza esplodere, rimbalza a terra e solo allora deflagra, facendo otto feriti leggeri tra i passanti."
^Gli attentati a Mussolini, ,ibidem, "Lucetti fu trascinato di peso nel portone attiguo agli uffici della Banca Commerciale, che allora si trovava all'inizio di via XX Settembre, perquisito (gli fu trovata addosso una pistola caricata a pallottole dum-dum) e portato alla sede della Questura romana, che allora occupava i locali dell'attuale commissariato Trevi, a piazza del Collegio Romano."
^Gli attentati a Mussolini, pag. 244 "Un gruppo di squadristi si lanciò sull'attentatore: più tardi sul suo cadavere furono contate quattordici pugnalate profonde, un colpo di pistola e tracce di strangolamento"
^Gli attentati a Mussolini, pag. 244 "Lasciamo la parola all'ex capo dei servizi politici presso la Direzione generale della PS, Guido Leto. "Furono sospettati a turno" egli scrive "Farinacci, Balbo, Arpinati, quest'ultimo perché proveniente dalle file anarchiche e amico della famiglia Zamboni, e lo stesso Federzoni, ma le indagini accurate che furono eseguite dalla questura di Bologna, diretta allora da un eccellente funzionario, il questore Alcide Luciani, e da un altro espertissimo funzionario, perfetto conoscitore dell'ambiente bolognese, Michelangelo Di Stefano, giunsero alla conclusione che non v'era alcun elemento apprezzabile per sostenere la tesi di un complotto organizzato nei ranghi fascisti. Ve n'erano, invece moltissimi per convalidare quella di un gesto di un isolato".
^Gli attentati a Mussolini, pag. 244 "Un'inchiesta segreta fu anche compiuta, in seguito, per iniziativa del Sottosegretario all'Interno, conte Giacomo Suardo, dal magistrato Noseda del Tribunale Speciale; ma i risultati non differirono da quelli stabiliti dalle indagini della polizia"
^Gli attentati a Mussolini, pag. 244: "Mussolini pure accettando la tesi ufficiale perché non si trovò mai traccia che portasse ad altre conclusioni, rimase non del tutto persuaso dell'opera della giustizia, tanto che-dopo qualche tempo- fece non solo graziare i condannati, ma sovvenzionò sempre un fratello dell'attentatore"